Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 1 giugno 2020, n. 3451.
La massima estrapolata:
Gli atti censurabili ai fini dell’adozione di un Daspo possono essere realizzati anche in un momento non contestuale ad una manifestazione sportiva ma, in ogni caso, devono avere con questa un necessario nesso eziologico.
Sentenza 1 giugno 2020, n. 3451
Data udienza 21 maggio 2020
Tag – parola chiave: DASPO – Manifestazioni pubbliche – Violazione art. 5, Legge n. 152/75 – Annullamento giudiziale DASPO – Insussistenti collegamenti con eventi sportivi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9924 del 2019, proposto da
Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, via (…);
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Si. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della terza sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.zza (omissis);
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente il provvedimento di c.d. “D.A.S.P.O.” emesso nei confronti dell’appellato, in data 05.01.2019, dalla Questura della Provincia di Rimini.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 21 maggio 2020, tenuta in videoconferenza ai sensi dell’art. 84, co. 6, d.l. n. 18/2020, il Cons. Giovanni Pescatore;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. In conseguenza della manifestazioni pubbliche svoltesi in Rimini in data 8 settembre 2018 e promosse da gruppi appartenenti alla cd. “sinistra antagonista”, oltre che da associazioni e rappresentanti istituzionali locali e nazionali, alcuni partecipanti, tra i quali il sig. -OMISSIS-, sono stati deferiti all’autorità per la ipotizzata violazione dell’art. 5 l. 152/75.
Sulla base di tale segnalazione, il Questore di Rimini ha emesso nei confronti dell’odierno appellato il provvedimento di D.A.Spo. del 5 gennaio 2019, consistente nel divieto di accesso, per anni due, ai luoghi previsti dalla normativa.
2. Il -OMISSIS- ha quindi impugnato il provvedimento evidenziando, in punto di fatto, che il comportamento sanzionato dalla Questura non presentava collegamenti con alcun evento sportivo, avendo avuto luogo nel contesto di una manifestazione avente finalità prettamente politiche. In punto di diritto, il ricorrente ha denunciato l’erronea interpretazione dell’art. 6, primo comma, della legge n. 401/1989 in quanto, a suo dire, riferibile ai soli illeciti commessi “in occasione o a causa di manifestazioni sportive”.
3. Il Tribunale Amministrativo, con la sentenza n. -OMISSIS-, ritenendo “fondata l’assorbente censura rilevante la mancanza dei presupposti per l’adozione, nel caso di specie, del provvedimento di DASPO.. con conseguente falsa applicazione dell’art. 6 co. 1 e 5 della L.n. 401/89”, ha annullato il provvedimento impugnato, esprimendo adesione alla tesi secondo la quale il divieto di accesso alle manifestazioni sportive costituisce “una misura di prevenzione atipica, applicabile solo qualora i fatti […] e le condotte […] siano direttamente o anche indirettamente collegate con una manifestazione sportiva”.
4. Ad avviso del Ministero qui appellante la pronuncia risulterebbe manifestamente iniqua ed erronea, poiché impostata su un’interpretazione dell’art. 6 della l. 401/98 in contrasto col dato letterale della norma, oltre che con una sua interpretazione logico – sistematica ed evolutiva.
a) Sul piano letterale, la difesa erariale segnala la presenza, all’interno del primo comma dell’art. 6, di due fattispecie, tra di loro alternative in quanto slegate dalla disgiunzione “ovvero”: una, tipica, correlata alla commissione di determinate fattispecie di reato; l’altra atipica, nella quale rientrano fattispecie a condotta libera (tra le quali anche – ma non solo – i fatti commessi “in occasione o a causa di manifestazioni sportive”), alle quali può essere ricondotta anche la segnalazione di reato rivolta all’odierno appellato.
b) In un’ottica di interpretazione logico – sistematica della norma, il Ministero rappresenta come una parte della giurisprudenza abbia preso le distanze dalla tesi secondo cui il provvedimento di D.A.Spo. è applicabile solo a fatti direttamente o indirettamente collegati a manifestazioni sportive, accedendo alla diversa posizione per cui la misura si applica a tutti i fatti che possono porre in pericolo la sicurezza pubblica o creare turbative per l’ordine pubblico (v. Cass. pen., sez. III, n. 41501/2016 e Tar Lazio, sez. I ter, n. 4085/2019).
c) Ai fini, quindi, di una interpretazione sistematico – evolutiva della normativa, la difesa appellante valorizza i ripetuti interventi legislativi volti ad ampliare il novero delle fattispecie delittuose o comunque antigiuridiche che autorizzano l’emanazione di un provvedimento di D.A.Spo.; e, tra questi, da ultimo, il d.l. 53/2019 – il c.d. Decreto Sicurezza bis – il quale, riformulando l’art. 6 della l. 401/1989, ha espressamente previsto che “il questore può disporre il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive […] nei confronti di […] coloro che risultino denunciati […] per alcuno dei reati di cui […] all’art. 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152 […] anche se il fatto non è stato commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive”.
5. L’appellato si è ritualmente costituito in giudizio, replicando alle deduzioni avversarie e chiedendone la reiezione.
6. In assenza di istanze cautelari, la causa è stata posta in decisione all’udienza pubblica del 21 maggio 2020.
DIRITTO
1. L’appello è infondato.
2. Con decisione n. -OMISSIS-, questa sezione – esaminando un caso speculare a quello posto alla base del presente ricorso – è intervenuta sul tema della legittimità del provvedimento inibitorio di D.A.Spo. adottato con riguardo a condotte illecite poste in essere in contesti del tutto avulsi dalle manifestazioni sportive.
In quel caso il provvedimento aveva tratto origine da una comunicazione di notizia di reato per la violazione dell’art. 5, l. n. 152 del 1975, asseritamente consumatasi in occasione di una manifestazione di protesta svoltasi in coincidenza ed a motivo dei lavori parlamentari sul disegno legislativo del cosiddetto “ius soli”.
2.1. La sezione, nel dichiarare l’illegittimità del provvedimento impugnato, ha inteso il riferimento alle manifestazioni sportive, contenuto nell’art. 6, comma 1, della l. n. 401 del 1989, come “limitativo dell’area di adottabilità del provvedimento, atteso che la manifestazione sportiva deve essere l’occasione nel corso della quale sia stata posta in essere la condotta passibile di Daspo. Ciò sia perché, trattandosi di misura restrittiva della libertà personale, deve ritenersi precluso il ricorso all’analogia, risultando la norma di stretta interpretazione, sia perché il presupposto fattuale ai fini dell’adozione dei provvedimenti di divieto deve essere strettamente correlato alle condotte che si intendono prevenire. L’interpretazione rigorosa e, dunque, maggiormente aderente al significato letterale della norma, è infatti doverosa, avuto riguardo al quadro costituzionale in cui si inserisce il provvedimento restrittivo impugnato, i cui effetti si traducono in una limitazione della libertà di circolazione del soggetto destinatario della misura, posto che l’art. 16 della Carta Costituzionale consente restrizioni del diritto in esame solo nei casi stabiliti dalla legge, quali quelli in materia di sanità e sicurezza (Cass. pen., sez. III, n. 50928 del 2017; in tal senso anche, Cons. St., sez. III, n. 6138 del 2011)”.
2.2. La sezione ha tratto un ulteriore argomento esegetico dall’art. 2-bis, l. n. 377 del 2001, che ha modificato la l. n. 401 del 1989, introducendo una norma d’interpretazione autentica a proposito della nozione di manifestazione sportiva e, così, prevedendo che “per manifestazioni sportive ai sensi degli artt. 1 e 2 si intendono le competizioni che si svolgono nell’ambito delle attività previste dalle federazioni sportive e dagli enti e organizzazioni riconosciuti dal Comitato olimpico nazionale italiano. All’art. 6, comma 1, l. 13 dicembre 1989, n. 401, per incitamento, inneggiamento e induzione alla violenza deve intendersi la specifica istigazione alla violenza in relazione a tutte le circostanze indicate nella prima parte del comma”.
La sezione ha avuto cura di precisare che l’introduzione della norma interpretativa “..si è resa necessaria al fine di delimitare il campo delle manifestazioni coinvolte, stante la nozione particolarmente ampia di sport e di quanto vi ruota intorno, escludendo che il bene giuridico tutelato dalla norma fosse quello della sicurezza in occasione di una qualsivoglia manifestazione semplicemente collegata all’attività sportiva, e dunque di natura meramente parasportiva (in tal senso, da ultimo, Cass. pen., sez. III, n. 7224 del 2019).. Come sostenuto in più occasioni da questa Sezione, il provvedimento di Daspo è una misura di prevenzione, che tutela la sicurezza e l’ordine pubblico (da ultimo, n. 2997 del 2019; id. n. 2916 del 2019; id. n. 866 del 2019), la quale può essere disposta, ai sensi della norma ratione temporis applicabile, nei confronti di soggetti considerati pericolosi – secondo la logica del “più probabile che non” e con un giudizio connotato da ampia discrezionalità – che abbiano, però, estrinsecato la propria condotta in occasione o a causa di “manifestazioni sportive”, da intendere nel senso soprindicato.
Corollario di ciò è che gli atti censurabili possono essere realizzati anche in un momento non contestuale ad una manifestazione sportiva ma, in ogni caso, devono avere con questa un necessario nesso eziologico, assente nel caso di specie (in tal senso, Cons. St., sez. III, n. 5304 del 2016)”.
2.3. La pronuncia, infine, ha preso posizione anche in ordine alla rilevanza attribuibile alla modifica apportata dal d.l. 53/2019, affermando che l’interpretazione sin qui illustrata, preferibile in quanto “..costituzionalmente orientata e in linea con la giurisprudenza della Corte EDU, risulta confermata dalla recente modifica dell’art. 6, l. n. 401 del 1989, attuata con il d.l. n. 53 del 14 giugno 2019 (conv. in l. n. 77 dell’8 agosto 2019), il quale ha espressamente previsto che il Questore può disporre il Daspo nei confronti di coloro che risultano denunciati per uno dei reati ivi tassativamente elencati “anche se il fatto non è stato commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive”. L’assenza di siffatto inciso nella vigenza della precedente disciplina – contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione – non fa altro che comprovare la necessità di un nesso di causalità tra la condotta commessa e la manifestazione sportiva, anche alla stregua del generale principio per cui ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.
Tale carenza normativa non può certo essere colmata con un’interpretazione che estenda il campo di applicazione della disposizione in parola a casi non espressamente previsti dalla legge. Il principio di legalità, in materia di misure di prevenzione limitative – come nel caso all’esame – di libertà personali, impone la puntuale individuazione dei presupposti che ne giustificano l’applicazione e, dunque, un’interpretazione restrittiva della norma di prevenzione, la quale non è suscettibile di essere applicata estensivamente o con analogia in malam partem.
In conclusione, il provvedimento di Daspo, ancorché emesso alla luce di un giudizio prognostico, deve, quindi, trovare presupposto e fondamento nelle fattispecie di pericolosità precisamente determinate dalla normativa, al fine di rispettare le finalità di tutela che la norma, al tempo della sua adozione e per quello della sua vigenza, mira a perseguire”.
2.4. I passaggi argomentativi del precedente sin qui richiamato intercettano e risolvono tutte le questioni problematiche poste dall’atto di appello qui in esame, rivelandone l’integrale infondatezza.
Risulta infatti pacifico che il provvedimento è stato adottato in relazione ad una fattispecie disancorata da condotte direttamente o indirettamente riconducibili a manifestazioni sportive, ed in un frangente temporale (10.01.2019) nel quale il d.l. 53/2019 non era ancora stato emanato. Al contempo, la nuova normativa rivela un contenuto innovativo (e non interpretativo), la cui portata precettiva non può essere estesa retroattivamente a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore.
Appaiono quindi corrette e meritevoli di conferma la motivazioni poste dal Tar a base della reiezione del ricorso di primo grado.
3. Per tutte le ragioni sopra esposte l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
4. Tenuto conto della natura essenzialmente ermeneutica delle questioni trattate e degli orientamenti contrastanti emersi in giurisprudenza, si ravvisano giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge.
Spese di lite compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti private.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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