Giudizio di congruità delle offerte

Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 12 giugno 2020, n. 3760.

La massima estrapolata:

E’ obiettivo proprio del giudizio di congruità delle offerte quello non già di ricercare specifiche inesattezze di ogni elemento dell’offerta, bensì di valutare se, globalmente considerata, la proposta economica sia seria ed attendibile e se i prezzi offerti trovino rispondenza nella realtà, sia di mercato che aziendale, cioè se gli stessi siano verosimili in relazione alle modalità con cui si svolge il lavoro, alle dimensioni dell’azienda, alla capacità di effettuare acquisti convenienti o di realizzare particolari economie ed efficienze di spesa.

Sentenza 12 giugno 2020, n. 3760

Data udienza 4 giugno 2020

Tag – parola chiave: Contratti della PA – Servizi – Affidamento – Gara – Offerta – Giudizio di congruità – Funzione – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10315 del 2019, proposto da
Co. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Pe. e Ar. Te., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Corso (…);
contro
Azienda Ospedaliera Universitaria “Federico II” di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato An. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ge. Te. in Roma, piazza (…);
e con l’intervento di
ad opponendum:
Te. Se. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Da. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto ex art. 25 c.p.a. presso la segreteria della terza sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.zza (…);
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Seconda n. 05746/2019, resa tra le parti, concernente il provvedimento di esclusione di Co. dalla gara indetta per l’affidamento del servizio di custodia, guardiania, reception, posta interna ed altre mansioni accessorie da svolgere presso i varchi, gli edifici e l’anello viario dell’A.O.U. Federico II (Lotto 1).
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Ospedaliera Universitaria “Federico II” di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 giugno 2020, tenuta in videoconferenza ai sensi dell’art. 84, co. 6, d.l. n. 18/2020, il Cons. Giovanni Pescatore e uditi per le parti, a mezzo di note difensive, gli avvocati Ar. Te., An. Me. e Da. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Co. S.p.A. ha partecipato al Lotto 1 della gara indetta dall’Azienda Ospedaliera Universitaria “Federico II” di Napoli (di seguito A.O.U.) per l’affidamento del servizio polifunzionale, della durata di anni 4, di custodia, guardiania, reception, posta interna ed altre mansioni accessorie da svolgere presso i varchi, gli edifici e l’anello viario dell’amministrazione aggiudicatrice.
2. Sul presupposto che l’offerta di Co., risultata prima graduata, superasse la soglia di possibile anomalia ex art. 97, comma 3, d.lgs. n. 50/2016, la stazione appaltante ha avviato il subprocedimento di verifica della sua congruità e lo ha concluso con esito negativo, giudicando l’offerta economicamente non sostenibile.
3. I rilievi della A.O.U. si sono appuntati sul fatto che: i) il trattamento di fine rapporto (di seguito TFR), esposto tra le voci inerenti al costo del personale, non sarebbe stato correttamente computato nella sua cifra complessiva, essendo stato escluso dalla sua base di calcolo l’importo relativo alle festività retribuite, le quali, avendo natura di indennità dal carattere “non occasionale”, avrebbero dovuto essere conteggiate con riguardo alla posizione retributiva di ogni singolo lavoratore da impiegare nell’appalto; ii) l’importo degli oneri per la sicurezza sarebbe stato indebitamente parametrato alle ore annue mediamente lavorate, anziché al numero di lavoratori, così eludendo il costo minimo annuo di Euro 150,00 per ogni lavoratore, indicato nella tabella ministeriale di riferimento.
4. Con sentenza n. 5746/2019, il giudice di primo grado ha respinto le deduzioni avanzata dalla Co., ritenendo la prima delle ragioni addotte nel provvedimento impugnato assorbente ed idonea a giustificare l’estromissione della Co. dalla gara.
Il ragionamento che ha condotto a tale conclusione si dipana nei seguenti passaggi:
— la voce “indennità che abbiano carattere non occasionale”, prevista quale componente obbligatoria dall’art. 55 del CCNL ai fini del calcolo del TFR, si presta a ricomprendere nel suo ambito, proprio per la sua ampia formulazione, ogni indennità (come le festività retribuite) collegata alla particolare organizzazione del lavoro, anche se non corrisposta con regolare ripetitività ;
— d’altra parte, l’art. 2120 c.c., comma 2, nel definire la nozione di retribuzione ai fini del calcolo del TFR, non richiede, a differenza del suo precedente testo, la ripetitività regolare e continua delle prestazioni e dei relativi compensi, ma statuisce piuttosto che questi ultimi vanno esclusi dal suddetto calcolo solo in quanto sporadici ed occasionali, come tali dovendosi intendere solo quelli dipendenti da ragioni aziendali del tutto imprevedibili e fortuite;
— a giustificazione dell’incongruenza di calcolo presente nell’offerta della Co. non vale invocare la compensazione dei maggiori costi per festività retribuite con l’utile d’impresa o con i costi di rivalutazione del TFR, in quanto nel caso di specie l’offerta della società ricorrente si è attestata, nella definizione dei costi del personale, al di sotto dei minimi salariali imposti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, costituendo il TFR retribuzione differita ed essendo le festività retribuite componente della sua base di calcolo. Tale violazione dei minimi salariali integra in sé un indice assorbente di anomalia dell’offerta, non superabile da alcuna giustificazione di sorta ed implicante la doverosa esclusione dell’impresa concorrente;
— a tanto conduce l’esame del combinato disposto di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 97 del d.lgs. n. 50/2016, il quale ammette la derogabilità delle indicazioni del costo del lavoro fissate nelle tabelle ministeriali qualora lo scostamento non sia macroscopico e l’impresa fornisca idonea giustificazione; ma, al contempo, esclude la derogabilità dei minimi salariali contemplati dalla legge o dalla contrattazione collettiva, precludendo la giustificazione delle relative violazioni.
5. In questa sede di appello, Co. svolge l’opposta tesi secondo cui la violazione dei minimi salariali non solo non sussiste (poiché la controversa voce delle festività retribuite non incide sull’osservanza della retribuzione minima salariale complessivamente intesa) ma non è neppure stata eccepita dalla stazione appaltante, essendo stata introdotta extra petitum dal giudice di primo grado.
In ogni caso, l’eventuale incongruenza della voce retributiva determinerebbe un incremento di costo complessivo (pari a circa Euro 4.000,00) non in grado di incidere sul trattamento salariale minimo globalmente inteso, trovando esso ampia compensazione sia nella stima del trattamento retributivo, conteggiata nell’offerta Co. ben al di sopra della soglia minima di legge; sia nel margine di utile residuo (Euro 70.000,00), ampiamente superiore ad entrambi i maggiori oneri per costi del lavoro e della sicurezza (pari rispettivamente a circa Euro 4000,00 ed Euro 12.000,00) contestati dalla stazione appaltante.
Difatti, Co. ha formulato una offerta di complessivi Euro 11.681.200,00, indicando costi del lavoro pari Euro 11.491.200,00 e costi per la sicurezza pari ad Euro 68.400,00.
6. Si è costituita in giudizio l’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, la quale, oltre a replicare nel merito alle deduzioni avversarie, in via preliminare ha eccepito l’improcedibilità dell’appello, stante l’intervenuta aggiudicazione dell’appalto, non impugnata da Co..
7. L’istanza cautelare è stata accolta con ordinanza n. 93 del 17 gennaio 2020.
8. Con atto depositato il 14 maggio 2020, ha spiegato intervento ad opponendum la Te. Se. s.r.l., divenuta aggiudicataria dell’appalto in forza della delibera n. 997 del 17 dicembre 2019.
9. A seguito dello scambio delle memorie ex art. 73 c.p.a. e delle note di udienza ex art. 84 del d.l. n. 18 del 2020, la causa è stata infine posta in decisione all’udienza pubblica del 21 maggio 2020.

DIRITTO

1. – L’eccezione di improcedibilità sollevata dalla parte appellata si è rivelata in corso di giudizio destituita di fondamento, in quanto la Co. ha documentato l’avvenuta tempestiva impugnazione, con distinto ricorso, del provvedimento di aggiudicazione del 17 dicembre 2019. La stessa amministrazione ne ha preso atto, con memoria datata 1° giugno 2020, confermando l’inattualità del rilievo.
2. – Venendo al merito dell’appello, va innanzitutto respinto il primo motivo, riferito all’esorbitanza della pronuncia di primo grado rispetto ai limiti contenutistici del provvedimento impugnato, posto che quest’ultimo farebbe esclusivo riferimento all’art. 97 comma 5 del d.lgs. n. 50 del 2016 (e quindi all’inosservanza dei minimi salariali retributivi), mentre la prima ha argomentato circa il mancato rispetto da parte dell’appellante dei trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o dalle fonti, di cui al successivo comma 6 dell’art. 97.
2.1. – Il Collegio dissente, innanzitutto, sulla premessa in fatto della deduzione, in quanto l’atto di esclusione stigmatizza il mancato conteggio delle festività retribuite nella base di calcolo del TFR, senza tuttavia fare esplicito richiamo ad alcuno dei commi dell’art. 97 del Codice appalti.
2.2. – Ciò posto, il tracciato motivazionale del provvedimento si presta, in considerazione del suo contenuto (incentrato sulla non corretta quantificazione del TFR), alla qualificazione che ne ha proposto il primo giudice (con riferimento all’art. 97 comma 6), in alternativa a quella meno restrittiva avanzata dalla parte appellante (con esclusivo riferimento all’art. 97 comma 5).
3. – Quanto al merito della censura e, quindi, al tema della supposta violazione dei minimi salariali contemplati dalla legge o dalla contrattazione collettiva (art. 97 comma 6), i rilievi svolti dalla parte appellante sono fondati e meritano di essere accolti.
3.1. – Costituisce dato pacifico all’esito del procedimento di verifica dell’anomalia (in quanto giammai revocato in dubbio dalla stazione appaltante) che, a fronte di un minimo inderogabile del trattamento salariale pari ad Euro 11,79, l’offerta della ricorrente garantisce una paga oraria pari ad Euro 15,12 (si vedano le tabelle riassuntive riportate alle pagg. 5 e ss. dell’atto di appello e le note giustificative allegate nel procedimento di verifica dell’anomalia). In termini globali, se il costo complessivo minimo inderogabile della manodopera è pari ad Euro 8.960.400,00, l’importo indicato da Co. risulta di Euro 11.491.200,00.
Di contro, la sottostima riferita al computo del TFR è quantificabile in Euro 4.000,00.
3.2. – Ciò posto, non appare condivisibile la tesi del primo giudice secondo la quale l’incongruenza di una singola voce di trattamento stipendiale, pur a fronte di un importo complessivo ampiamente al di sopra dei minimi, determinerebbe di per sé la violazione del divieto di incisione del minimo retributivo, né potrebbe essere corretta, o altrimenti compensata, con i margini sovrabbondanti di altre componenti del trattamento retributivo.
Sottesa a questo ragionamento vi è l’idea secondo cui per “salario minimo” debba intendersi non (solo) un minimo economico ma una sorta di minimo di composizione strutturale per voci, tutte indifferentemente essenziali, sicché la sottostima o l’omissione della singola componente di costo sarebbe idonea a determinare un giudizio di anomalia dell’offerta economica nel suo insieme, pur in presenza di un trattamento salariale globale (e di un TFR) ampiamente al di sopra dei minimi di legge.
3.3. – Una tale impostazione non pare sostenibile innanzitutto alla stregua del disposto dell’art. 97 comma 6 (“Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge”) il quale, nella sua stessa formulazione testuale, deve intendersi riferito al trattamento economico (mensile e TFR) complessivamente dovuto, con la conseguenza che, se tale parametro è rispettato, l’eventuale singola voce considerata in misura non conforme ben può essere compensata dagli altri addendi retributivi.
3.4. – Nello stesso senso vale il principio, tralaticiamente invalso nell’ambito delle gare pubbliche di appalto, secondo il quale il giudizio di incongruenza dell’offerta economica deve essere condotto in termini sintetici e globali, quindi allargando lo sguardo a tutti gli elementi positivi e negativi, attraverso una valutazione complessiva che sia in grado di compensare voci di prezzo eccessivamente basse con altri e maggiormente capienti elementi dell’offerta (v., ex multis, Cons. Stato, sez. III, n. 4871/2019).
3.5. – D’altra parte, è obiettivo proprio del giudizio di congruità delle offerte quello non già di ricercare specifiche inesattezze di ogni elemento dell’offerta, bensì di valutare se, globalmente considerata, la proposta economica sia seria ed attendibile e se i prezzi offerti trovino rispondenza nella realtà, sia di mercato che aziendale, cioè se gli stessi siano verosimili in relazione alle modalità con cui si svolge il lavoro, alle dimensioni dell’azienda, alla capacità di effettuare acquisti convenienti o di realizzare particolari economie ed efficienze di spesa (Cons. Stato, sez. III, n. 5880/2018).
3.6. – Sono le stesse tabelle ministeriali, infine, ad avvalorare questo ragionamento, nel momento in cui individuano un valore globale e di sintesi (costo medio orario) quale risultante di riferimento tendenziale della composizione di plurimi elementi retributivi e contributivi.
3.7. – Nel contesto della composizione delle diverse voci del costo del lavoro, deve quindi ammettersi una compensazione tra sotto-elementi retributivi, ovvero tra voci stimate in eccesso ed altre stimate in difetto, laddove comunque inidonee a far abbassare il livello salariale complessivo al di sotto dei minimi di legge.
3.8. – Nel caso di specie, non solo i minimi salariali risultano rispettati, ma anche i maggiori oneri della sicurezza contestati dalla stazione appaltante nel maggior importo di Euro 12.000,00, trovano agevole compensazione nel margine di utile pari ad Euro 70.000,00, del quale l’amministrazione avrebbe dovuto tenere conto, trattandosi di un dato direttamente evincibile dall’offerta, ove anche non enfaticamente segnalato nei giustificativi.
Dunque, indipendentemente dalla correttezza o meno delle settoriali discordanze rilevate nel provvedimento di esclusione, è la considerazione globale del costo del lavoro e della sostenibilità economica dell’offerta nel suo insieme che appalesa l’erroneità della valutazione operata dalla stazione appaltante, in quanto disancorata sia dalla interpretazione globale del concetto di minimo salariale; sia dal parametro metodologico che impone di condurre il vaglio di sostenibilità in termini unitari e sintetici.
3.9. – Aggiungasi che la divergenza sulla stima delle voci di costo qui controverse è derivata da diverse interpretazioni della normativa applicabile e da una discordante individuazione dei parametri ai quali rapportare la relativa quotazione. Si può quindi escludere che vi sia stato qualunque intento sleale e capzioso – violativo delle regole generali di correttezza che governano la logica relazionale del “contatto sociale qualificato” che si instaura nel corso della procedura della evidenza pubblica – in sé sintomatico di scarsa affidabilità dell’operatore.
3.10 – Al contempo, il margine di incertezza interpretativa sussistente sulla tematica del calcolo del TFR (a riprova del quale rileva il fatto che la stessa stazione appaltante si è avvalsa dell’ausilio di un consulente del lavoro) può deporre quale scusante della limitata e scusabile rettifica introdotta da Co. a seguito del confronto in contraddittorio con l’amministrazione.
4. – Resta da esaminare l’atto di intervento ad opponendum, promosso da Te. Se. nella sua asserita qualità di controinteressato sopravvenuto, in quanto aggiudicatario dell’appalto in forza del provvedimento del 17 dicembre 2019.
4.1. – Il ruolo processuale rivendicato dall’asserita controinteressata è in realtà oggetto di contrasto tra le parti, in quanto il provvedimento di aggiudicazione è stato in seguito revocato dalla stazione appaltante con atto del 4 marzo 2020, avverso il quale la stessa Te. Se. ha prospettato nei suoi scritti difensivi una imminente (ma mai documentata) impugnazione.
4.2. – Nell’atto di intervento si sviluppano sia argomenti in adesione a quelli già svolti dall’amministrazione appellata, sia deduzioni aggiuntive.
Quanto a queste ultime, si sostiene la tesi per cui Co. in sede di gara avrebbe indicato i costi della manodopera separatamente dai costi per oneri della sicurezza, salvo poi, in sede di giustifiche, individuare i costi per gli oneri della sicurezza quale parte dei costi della manodopera. In tal modo, esse sarebbe riuscita a “simulare” un inesistente utile d’impresa (pari a circa Euro 70.000,00), in realtà non invocabile a compensazione dei maggiori costi della sicurezza (per Euro 12.000,00) e del lavoro (per Euro 4.000,00) eccepiti dalla stazione appaltante.
Più precisamente, secondo Te. Se., il costo medio orario (pari ad Euro 15,12) indicato da Co. andrebbe integrato degli oneri della sicurezza individuali (Euro 0,09) e, così rideterminato, raggiungerebbe l’importo complessivo medio orario di Euro 15,21. Di conseguenza, le spese complessive per il personale (manodopera+sicurezza) ammonterebbero ad Euro 11.559.600,00, importo che poi andrebbe sommato ai costi per migliorie ed ai costi generali (pari a Euro 119.684,00), dal che residuerebbe un utile (di Euro 1.916,00) di gran lunga inferiore a quello ipotizzato da Co. (Euro 70.000,00).
Con un ulteriore argomento, Te. Se. asserisce che la lex specialis subordinerebbe al gradimento della stazione appaltante la possibilità di utilizzare personale ulteriore rispetto a quello derivante dal cambio appalto. Dunque, la base di computo del costo del lavoro dovrebbe essere rimodulata in virtù di questa corretta interpretazione della platea dei lavoratori effettivi.
4.3. – Il Collegio ritiene che, in disparte la questione della ritualità dell’atto di intervento (dalla quale si prescinde in applicazione del criterio della ragione più liquida), le deduzioni con esso formulate risultano inammissibili e infondate sotto plurimi profili, puntualmente eccepiti da Co.:
— innanzitutto, gli argomenti che sorreggono le deduzioni di Te. Se. non integrano motivazioni poste a fondamento del provvedimento di esclusione impugnato. La stazione appaltante ha eccepito l’erroneità del calcolo degli oneri della sicurezza sotto il solo profilo della loro parametrazione alle ore annue mediamente lavorate, anziché al numero di lavoratori. Nulla ha eccepito circa l’incidenza degli oneri della sicurezza sul margine di utile e sulla complessiva sostenibilità dell’offerta, né ha rilevato incongruenze sulla asserita confluenza, solo in sede di giustificazione dell’offerta, dei costi della sicurezza nel costo complessivo della manodopera. Al contempo, la parte interveniente riveste una posizione processuale che non può in alcun modo legittimarla all’ampliamento della res controversa, sicché, sotto entrambi i menzionati profili, le questioni poste non possono integrare il thema decidendum;
— sotto un secondo riguardo, è rilevante considerare che i costi della manodopera e degli oneri della sicurezza offerti da Co. superano per Euro 484.812,00 quelli indicati da Te. Se.. Si tratta di un differenziale che in sé certamente indebolisce la persuasività di deduzioni che, ove ritenute fondate, finirebbero per rivelare (“contra factum proprium”) l’illegittimità della stessa situazione giuridica vantata dal soggetto interventore (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1605/2015). Né vale invocare, da parte della società interveniente, il carattere eterogeneo e non comparabile delle due offerte, poiché di tutte le molteplici variabili che in astratto potrebbero concorrere a differenziare l’impostazione delle due offerte, in modo da renderle tra di loro non comparabili, la Te. Se., pur sollecitata ad argomentare sul punto dalla controparte, non ne ha allegata e comprovata alcuna;
— infine, gli argomenti di merito spesi nell’atto di intervento non trovano riscontro negli elementi documentali in atti. In particolare, la tesi dedotta dall’interveniente con riguardo alla fittizietà del margine di utile indicato da Co. risulta smentita per tabulas dalle risultanze del procedimento di verifica dell’anomalia. Il modello riepilogativo dei costi della manodopera predisposto da Co. in sede di giustifiche contiene, in aggiunta rispetto al medesimo modello offerto dalle Tabelle Ministeriali, la voce relativa agli “oneri della sicurezza” nella misura indicata in offerta di Euro 150,00 per ciascuna unità . A conferma di questa integrazione di costo, si legge nella stessa descrizione della “Tabella Costo medio orario della manodopera” predisposta nelle giustifiche di Co.: “Per quanto appena descritto il costo medio orario delle unità da impiegare sarà pari a 15,12 e, come riportato nella seguente tabella riepilogativa, ricomprende l’incidenza degli oneri della sicurezza individuali nella Tabella Ministeriale in Euro 0,09, ovvero 150 / 1603”.
Dunque, diversamente da quanto sostenuto da Te. Se., il costo della manodopera indicato in Euro 15,12 (come si evince dalla Tabella citata) è già inclusivo del costo di Euro 0,09 per oneri della sicurezza. Non a caso esso risulta superiore al valore riportato nelle stesse Tabelle Ministeriali. Non ha quindi ragion d’essere la pretesa di sommare nuovamente al costo della manodopera i medesimi costi (già considerati) degli oneri della sicurezza in misura di Euro 0,09, giungendo ad un apodittico ricalcolo del costo orario in Euro 15,21 e a un residuo utile di Euro 1.916,00;
— lo stesso giudice di primo grado, pur escludendo la fattibilità dell’operazione di compensazione, non ha affatto negato la portata del margine di utile stimato da Co..
Restano quindi ferme le considerazioni già esposte in merito alla capienza della riserva di utile, quale elemento apprezzabile ai fini del giudizio di sostenibilità dell’offerta economica.
4.4. – Aggiungasi, con riguardo all’ulteriore rilievo riferito al numero di lavoratori effettivi da impiegare nella commessa, che la stazione appaltante, all’esito del procedimento di verifica della congruità dell’offerta di Co., ha ritenuto di imputare per la voce relativa agli oneri della sicurezza maggiori costi per Euro 12.000,00. Non vi è possibilità per l’interventore di ricalcolare in peius tale cifra, contestando la scelta di Co. di utilizzare personale ulteriore rispetto a quello derivante dal cambio appalto, in difetto di alcun rilievo sollevato in tal senso da parte della stazione appaltante.
4.5. – Risultano infine inammissibili, in quanto anch’essi estranei al contenuto delle valutazioni espresse in sede di gara dall’amministrazione e al contenuto delle sue conseguenti determinazioni, gli ulteriori rilievi sollevati dalla Te. Se. con le note del 1° giugno 2020 (pagg. 9 – 16).
5. – Per le decisive e assorbenti ragioni sin qui esposte, l’appello merita di essere accolto, dal che consegue l’annullamento dell’atto di esclusione impugnato nel primo grado di giudizio.
6. – Stante la peculiarità delle questioni trattate e l’alterno esito dei due gradi di giudizio, si ravvisano giusti motivi per disporre la compensazione delle relative spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla l’atto di esclusione con esso gravato.
Compensa le spese di lite dei due gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2020 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *