Corte di Cassazione, sezioni unite penali, Sentenza 13 febbraio 2020, n. 5788
Massima estrapolata:
Nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria a norma dell’art. 438, comma 5, cod. proc. pen. o nel quale l’integrazione probatoria sia stata disposta a norma dell’art. 441, comma 5, dello stesso codice è possibile la modifica dell’imputazione solo per i fatti emergenti dai predetti esiti istruttori ed entro i limiti previsti dall’art. 423 cod. proc. pen.
Sentenza 13 febbraio 2020, n. 5788
Data udienza 18 aprile 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARCANO Domenico – Presidente
Dott. BRUNO Paolo A. – Consigliere
Dott. MAZZEI Antonella – Consigliere
Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere
Dott. DE CRESCIENZO Ugo – rel. Consigliere
Dott. CIAMPI Francesco – Consigliere
Dott. ZAZA Carlo – Consigliere
Dott. MOGINI Stefano – Consigliere
Dott. RAMACCI Luca – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/10/2017 della Corte di Assise d’Appello di Perugia;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Componente Dott. DE CRESCIENZO Ugo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Procuratore Generale aggiunto Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio parziale e l’annullamento senza rinvio sulla pena;
udito l’avvocato (OMISSIS), difensore della parte civile (OMISSIS), che ha chiesto la conferma della sentenza, con particolare riferimento alle statuizioni civili;
uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori dell’imputato, che hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. All’esito di indagini seguite alla denuncia della scomparsa di (OMISSIS) la polizia giudiziaria arrestava (OMISSIS) che, dopo avere ammesso il proprio coinvolgimento nella vicenda omicidiaria, indicava, nell’immediatezza il luogo ove aveva occultato il corpo della vittima, spiegando le ragioni del delitto e fornendo una personale ricostruzione del fatto.
Il Pubblico Ministero, ritenuta la evidenza della prova procedeva con giudizio immediato formulando la seguente imputazione:
“a) del delitto di cui all’articolo 575 c.p., perche’ cagionava la morte di (OMISSIS), causata da multiple fratture della volta cranica-anteriore e della fossa cranica anteriore con conseguente sfacelo cranio-encefalico.
“b) del delitto di cui all’articolo 423 c.p. perche’ cagionava l’incendio del veicolo targato (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), con l’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 2 per avere commesso il fatto per assicurarsi l’impunita’ del reato sub a);
Fatti commessi in (OMISSIS)”
Introdotto il giudizio immediato ex articolo 455 c.p.p., seguiva la richiesta dell’imputato di procedere con il rito abbreviato condizionato al compimento di accertamenti peritali sui telefoni cellulari e all’audizione di un testimone; il giudice ammetteva le prove richieste, disponendo di ufficio anche l’audizione del consulente medico del pubblico ministero; quest’ultimo contestava poi, all’imputato, in via suppletiva, l’ulteriore reato di occultamento di cadavere (articolo 412 c.p.), nonche’, con riferimento al delitto di omicidio, le circostanze aggravanti dei motivi abbietti (articolo 61 c.p., comma 1, n. 1), di avere adoperato sevizie (articolo 61 c.p., comma 1. n. 4) e di avere agito con premeditazione (articolo 577 c.p., comma 1, n. 3).
La difesa denunciava ex articolo 441-bis c.p.p. l’inammissibilita’ della contestazione suppletiva argomentando che nel corso del giudizio abbreviato non era emersa alcuna circostanza nuova ed ulteriore rispetto a quanto gia’ noto al pubblico ministero al momento della formulazione dell’imputazione originaria.
Con ordinanza del 24 ottobre 2016 il giudice respingeva le censure della difesa, disponeva la prosecuzione del giudizio anche in relazione alle nuove contestazioni formulate dalla pubblica accusa e, esclusa la aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 4 e derubricato il delitto di cui al capo b) in danneggiamento aggravato seguito da incendio, con sentenza del 23 febbraio 2017 dichiarava la penale responsabilita’ dell’imputato, condannandolo alla pena di anni trenta di reclusione, oltre alle pene accessorie.
La Corte di Assise di Appello di Perugia, adita dalla difesa, ritenuta, a sua volta, la legittimita’ delle contestazioni suppletive, siccome inerenti a fatti gia’ desumibili dagli atti del processo, esclusa l’aggravante di cui all’articolo 577 c.p., n. 3, confermava nel merito la decisione di primo grado con la sentenza in epigrafe indicata.
2. Contro la sentenza di appello, l’imputato tramite i suoi difensori ha proposto ricorso per Cassazione deducendo i seguenti motivi:
– ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) per inosservanza degli articoli 441 e 441 bis, 423 c.p.p. conducente ad una nullita’ a regime intermedio ex articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), tempestivamente denunciata;
– ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione nel punto in cui la Corte territoriale ha escluso la riconducibilita’ del fatto contestato al capo a) sotto la disciplina dell’articolo 584 c.p.;
– ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) per violazione dell’articolo 61 c.p., comma 1, n. 1 nonche’ contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in relazione al riconoscimento della residua aggravante dei motivi abbietti e futili;
– ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione circa il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e l’omessa indicazione dei criteri di determinazione della pena ex articolo 133 c.p., perche’ la Corte non avrebbe valutato condizioni sociali del reo, la sua incensuratezza e il suo comportamento processuale.
La difesa ha depositato i motivi aggiunti (da ricollegarsi al terzo motivo del ricorso principale), denunciando, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il vizio di manifesta illogicita’ della motivazione nel punto ove si afferma che il movente del delitto di omicidio e’ da rinvenirsi nell’intento di vendetta e non gia’ in quello della gelosia.
3. La Prima Sezione di questa Corte, assegnataria del procedimento per competenza interna, con ordinanza del 14 dicembre 2018, ai sensi dell’articolo 618 c.p.p., comma 1 ha trasmesso gli atti alle Sezioni Unite, segnalando l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza relativamente alla legittimita’ delle contestazioni suppletive elevate dal pubblico ministero nel corso del giudizio abbreviato condizionato riferibili a circostanze gia’ in atti del processo e non riportate nell’originario capo di imputazione.
In particolare, la sezione remittente sottolinea che e’ riscontrabile dagli atti del processo come, sia la natura “passionale” del reato di omicidio, sia l’occultamento del corpo della vittima, emergessero in modo chiaro gia’ dalle dichiarazioni confessorie rese dall’imputato pochi giorni dopo la consumazione del grave delitto, mentre non e’ rinvenibile alcun nesso di derivazione tra la contestazione suppletiva e l’esito degli accertamenti istruttori svolti nel corso del giudizio abbreviato condizionato.
3.1. Sulla base di tale premessa viene evidenziato che nella giurisprudenza di legittimita’) sarebbe presente un orientamento interpretativo costante (applicato, nel caso concreto dalla Corte di Assise di appello) in base al quale, nel giudizio abbreviato condizionato, ai sensi dell’articolo 423 c.p.p. possono essere formulate contestazioni suppletive che, pur non derivando da nuove emergenze processuali, riguardino fatti o circostanze non contestate, ma gia’ desumibili dagli atti (Sez. 2 n. 23466 del 09/05/2005, Scozzari, Rv. 231993; Sez. 5, n. 7047 del 27/11/2008, Reinhard, Rv. 242962; Sez. 6, n. 5200 del 15/11/2017, Ribaj, Rv. 272214), e quindi conosciute o conoscibili da parte dell’imputato nel momento della richiesta di ammissione al rito speciale.
Viene anche sottolineato come, nelle decisioni richiamate, il tema della legittimita’ delle suddette contestazioni suppletive sia risolto in modo del tutto implicito affermandosi che nel caso di contestazione suppletiva relativa a fatti gia’ emergenti dagli atti del processo, l’imputato non puo’ esercitare il diritto di rinunciare alla prosecuzione del giudizio con il rito abbreviato, cosi’ come previsto dall’articolo 441 bis c.p.p. (Sez. 6 n. 5200 del 15.11.2017, Ribaj, Rv. 272214).
Viene poi rilevato che con la sentenza Sez. 4, n. 48280 del 26/09/2017, Squillante, Rv 271293, si e’ affermato che in sede di giudizio abbreviato condizionato la contestazione suppletiva per circostanze gia’ desumibili dagli atti sarebbe comunque legittima, perche’ la regola contenuta nell’articolo 423 c.p.p. (attuativo della direttiva contenuta nella Legge Delega 16 febbraio 1987, n. 81, articolo 2, punto 52, che impone la previsione per il pubblico ministero nell’udienza preliminare del potere di modificare l’imputazione e procedere a nuove contestazioni) se pur riferita esplicitamente alla sola udienza preliminare, deve ritenersi estesa, valendo gli stessi criteri, anche nella ipotesi di giudizio abbreviato condizionato, non ricorrendo nella specie alcuna lesione del diritto di difesa.
La sezione rimettente, afferma di non condividere il suddetto orientamento, perche’ esso non trova giustificazione ne’ sul piano dell’interpretazione letterale delle norme che disciplinano il rito abbreviato, ne’ su quello logico – sistematico. In particolare viene messo in evidenza che la soluzione prospettata dalla giurisprudenza circa la legittimita’ della contestazione suppletiva, possibile nel giudizio “abbreviato condizionato” in relazione a fatti gia’ noti ed in atti, si pone in antitesi rispetto alla disciplina del rito abbreviato c.d. “secco”, ove analoga opzione non e’ invece possibile. Si sottolinea infine che la soluzione seguita nell'”abbreviato condizionato” e’ in contrasto con quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 140/2010.
Il collegio, richiamate quindi l’evidente asimmetria tra le due forme di rito abbreviato in tema di contestazioni suppletive per fatti gia’ in atti, nonche’ i principi affermati dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza, motivatamente segnala il profilarsi di un potenziale contrasto rilevante ex articolo 618 c.p.p. Infatti, secondo il collegio rimettente, le deroghe alla disciplina generale introdotte dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479, (articolo 438 c.p.p., comma 5 e articolo 441 c.p.p., comma 5), devono essere interpretate e considerate come eccezioni al regime ordinario dettato dall’articolo 441 c.p.p., comma 1 con la conseguenza che dette eccezioni non sono estensibili oltre il sistema specifico di riferimento. Pertanto conclude che l’adeguamento dell’imputazione nel giudizio abbreviato condizionato e’ giustificato solo in relazione ai fatti nuovi emersi nel corso del giudizio e direttamente dipendenti dall’ampliamento della base cognitiva attraverso le nuove prove (c.d. contestazioni suppletiva fisiologica); in caso contrario vi sarebbe un’ingiustificata disparita’ di trattamento tra un giudizio abbreviato che, nel caso sia stato condizionato dall’imputato, pur in assenza di elementi di novita’, potrebbe portare a contestazioni suppletive patologiche, rispetto ad un giudizio abbreviato “puro” ove queste non sono comunque ammissibili.
4. Con decreto del 28 gennaio 2018 il Presidente Aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’odierna udienza.
RITENUTO IN DIRITTO
1. La questione sottoposta alle Sezioni Unite puo’ essere cosi’ sintetizzata: “Se nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria o nel quale l’integrazione sia stata disposta dal giudice, sia consentito procedere alla modificazione dell’imputazione o a contestazioni suppletive con riguardo a fatti gia’ desumibili dagli atti delle indagini preliminari e non collegati agli esiti dei predetti atti istruttori”.
2. Per la soluzione della questione occorre partire dalla disciplina dell’articolo 441 c.p.p., comma 1, ove, e’ previsto che nel rito abbreviato si osservano in quanto applicabili le disposizioni dettate per l’udienza preliminare, fatta eccezione per quelle di cui agli articoli 422 e 423 c.p.p..
L’effetto derivante dalla suddetta regola e’ l’impossibilita’ per il pubblico ministero di modificare l’imputazione originariamente mossa e nota all’imputato nel momento in cui questi ha formulato la propria richiesta di ammissione al rito premiale. La regola anzidetta si applica anche nel caso in cui l’imputazione sia errata (c.d. “imputazioni patologiche”), per essere caratterizzata da errori od omissioni desumibili gia’ dalla sola lettura degli atti del fascicolo processuale, come nel caso di omessa contestazione di reati connessi o di circostanze aggravanti. La regola segnata dall’articolo 441 c.p.p., comma 1, unitamente alla rinuncia da parte dell’imputato alla formazione della prova in contraddittorio, a fronte del riconoscimento di una diminuente sulla pena, costituisce il tratto distintivo proprio del c.d. rito abbreviato.
La lettera dell’articolo 441 c.p.p., comma 1, rimasta invariata anche dopo le modificazioni introdotte dal legislatore nel 1999 e’ chiara, con la conseguenza che (anche alla luce della sentenza 378/1997 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato la piena legittimita’ dell’istituto) va confermata la consolidata linea giurisprudenziale (v., fra le altre: Sez. 4, n. 3758 del 03/06/2014, Costa, Rv. 263196; Sez. 6 n. 13117 del 19.1.2010, Sghizi Yassine e altro, Rv. 246680; Sez. 4, n. 12259 del 14/02/2007, Biasotto, Rv. 236199) per la quale la modificazione dell’imputazione in violazione della norma in esame, ex articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), e’ causa di nullita’ generale a regime intermedio della sentenza pronunciata all’esito del giudizio.
Per completezza, si osserva che il dettato dell’articolo 441 c.p.p. attiene esclusivamente ai limiti posti al pubblico ministero nel modificare l’imputazione nel corso del giudizio e non riguarda invece l’autonomo ed esclusivo potere-dovere del giudice di dare al fatto una diversa definizione giuridica del fatto; infatti il legislatore ha previsto il mezzo di impugnazione dell’appello da parte del pubblico ministero contro la sentenza di condanna nella quale sia stato modificato il titolo del reato originariamente contestato (articolo 423 c.p.p., comma 3).
2.2. La regola scaturente dalla lettura dell’articolo 441 c.p.p., comma 1, porta alle seguenti pratiche conseguenze: 1) qualora, successivamente alla ammissione del giudizio abbreviato c.d. “secco” vengano in evidenza fatti (reati connessi o circostanze aggravanti) desumibili dagli atti processuali, ma non ricompresi nell’imputazione, in linea generale il pubblico ministero non potra’ procedere alla formulazione di contestazioni suppletive; 2) nel caso in cui l’omessa contestazione attenga ad un reato connesso, il pubblico ministero dovra’ procedere con un separato giudizio, posto che in tal caso la azione penale non e’ stata ancora consumata; 3) nel caso in cui la omissione attenga ad una circostanza aggravante, questa non sara’ piu’ recuperabile.
Il sistema descritto e’ stato ritenuto immune da vizi rilevanti in sede costituzionale sia nel caso in cui la preclusione alla modificazione dell’accusa venga collegata agli effetti premiali del rito, sia che essa venga inquadrata nella peculiare natura del giudizio “allo stato degli atti” essendo invece del tutto coerente con le finalita’ del rito (v. Corte Cost. sentenza n. 378/1997).
2.3. Con la L. 16 dicembre 1999, n. 479 il legislatore ha modificato il rito processuale in esame, introducendo la possibilita’ di arricchire la piattaforma probatoria o su richiesta dell’imputato (articolo 438 c.p.p., commi 1 e 5, c.d. rito abbreviato condizionato) o su disposizione del giudice (articolo 438 c.p.p., comma 1 e articolo 441 c.p.p., comma 5).
In tale modo il legislatore ha superato l’originaria rigidita’ del giudizio abbreviato assecondando le esigenze dell’imputato o dello stesso giudicante attraverso la possibilita’ di un ampliamento della base cognitiva del processo, con la immissione di materiale istruttorio “nuovo” rispetto a quello gia’ presente in atti. Il legislatore, nella previsione che l’apporto di nuovi elementi di prova, potesse far emergere nuove circostanze aggravanti o nuovi reati connessi a quelli gia’ oggetto del giudizio, ha dettato ulteriori regole (articolo 441 c.p.p., comma 5, e articolo 441-bis c.p.p.) che permettessero, da un lato, al pubblico ministero di modificare la imputazione ex articolo 423 c.p.p., comma 1, e dall’altro, all’imputato alternativamente di recedere dal rito abbreviato ex articolo 441 bis c.p.p., comma 1 o, ai sensi dell’u.c. dell’articolo richiamato, proseguire nel giudizio abbreviato in corso chiedendo l’ammissione di nuove prove relative alle contestazioni formulate ai sensi dall’articolo 423 c.p.p..
La soluzione della questione rimessa alle Sezioni Unite va quindi rinvenuta all’interno delle disposizioni richiamate che vanno fra loro coordinate in una lettura che tenga presente i principi affermati dalla Corte Costituzionale.
Il dato letterale dell’articolo 423 c.p.p. non appare di per se’ solo, sufficiente a dare una convincente risposta al quesito posto. Infatti se l’articolo in esame e’ chiaro nel delimitare l’oggetto della modificazione della contestazione (diversita’ del fatto; reato connesso ex articolo 12 c.p.p., lettera b); circostanze aggravante) l’espressione “nel corso del giudizio” appare ancora vaga e non idonea a far univocamente ritenere se le contestazioni suppletive debbano riguardare esclusivamente fatti nuovi o possano ritenersi estensibili anche a fatti gia’ noti, in atti e non regolarmente contestati. La ambiguita’ segnalata viene invece superata nel momento in cui l’articolo 423 c.p.p. viene calato allo interno della disciplina del giudizio abbreviato e letta in relazione alle peculiarita’ del rito.
Questo si caratterizza per tre elementi distintivi: e’ un giudizio allo stato degli atti; e’ un giudizio nel quale l’imputato accetta di essere giudicato rinunciando al contraddittorio sulla formazione della prova; e’ un giudizio che prevede un trattamento sanzionatorio premiale per la scelta fatta dall’imputato. Il fatto che il legislatore abbia previsto (articolo 441 c.p.p., comma 5, e articolo 438 c.p.p., comma 5) che la base cognitiva del giudizio possa essere ampliata da una richiesta di integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione, non muta la natura del giudizio che e’ e rimane comunque “allo stato degli atti”. Infatti l’imputato continua a rinunciare al contraddittorio sulla formazione delle prove acquisite e per esempio a far valere le nullita’ a regime intermedio, la incompetenza per territorio e le inutilizzabilita’ c.d. fisiologiche. Tali rinunce processuali, eventualmente temperate dalla possibilita’ di richiedere una integrazione probatoria (utile ai fini della decisione e compatibile con le finalita’ di economia processuale proprie del processo) sono il frutto di una scelta dell’imputato fondata proprio sullo “stato degli atti”.
La anzidetta valutazione degli “atti” non puo’ prescindere dal tenore della imputazione che costituisce, per il suo contenuto, la sintesi degli addebiti che vengono mossi proprio in loro funzione. Tale considerazione vale tanto per il rito abbreviato c.d. “secco”, quanto nel caso del rito abbreviato condizionato. Infatti, nel caso in cui l’imputato scelga di seguire la strada del rito abbreviato condizionato, e’ di tutta evidenza che la richiesta di integrazione probatoria viene formulata in funzione degli atti contenuti nel fascicolo, apprezzati alla luce del tenore dell’accusa mossa, sicche’ anche la richiesta di integrazione probatoria risente del tenore dell’accusa. Va altresi’ rilevato che la valutazione del giudicante in ordine all’ammissione delle prove richieste, ex articolo 438 c.p.p., comma 5, a sua volta, si fonda necessariamente su tutti gli atti del processo compresa la relativa imputazione. Proprio questa diretta dipendenza dallo stato degli atti, incidente sulle scelte nel rito abbreviato condizionato dell’imputato e sulla susseguente decisione del giudice porta a ritenere che il pubblico ministero non e’ legittimato a variare la imputazione originariamente formulata recuperando aspetti gia’ desumibili dal contenuto del fascicolo depositato al momento della richiesta di ammissione al rito, ma non correttamente considerati.
All’interno di questa dimensione giuridica e della pregnanza della scelta processuale di accedere al rito abbreviato, non puo’ essere sottaciuto che la imputazione e’ presidio di garanzia per l’imputato che ha diritto a conoscere nei suoi esatti termini il contenuto dell’accusa sulla cui base opera le proprie scelte anche in relazione al rito processuale e alla modalita’ di accesso ad esso. Ritenere che il pubblico ministero possa, nel rito abbreviato condizionato, modificare ad libitum l’imputazione originaria, perche’ ritenuta non adeguata rispetto a quanto gia’ e’ agli atti del processo, vuol dire minare una garanzia dell’imputato e indirettamente la bonta’ delle decisioni del giudice nella fase di ammissione al rito.
Sempre in una lettura coordinata delle disposizioni che disciplinano il rito abbreviato, viene ancora in evidenza (come segnalato dalla sezione rimettente) che diversamente opinando si andrebbe incontro ad una illogica disarmonia di sistema. Infatti, mentre e’ assolutamente pacifico che in caso di rito abbreviato “secco” il pubblico ministero non puo’ operare alcuna modificazione dell’imputazione neppure per recuperare una contestazione piu’ adeguata allo stato degli atti, tale facolta’ gli sarebbe inspiegabilmente riconosciuta nel caso in cui l’imputato abbia optato per un rito abbreviato condizionato attraverso una lettura asistematica dell’articolo 423 c.p.p. che non tenga conto delle caratteristiche proprio del rito abbreviato. La soluzione data dalla giurisprudenza criticata nell’ordinanza di rimessione non trova pertanto giustificazione nel contenuto delle norme in esame, lede il presidio di garanzia dell’imputato costituito dalla stabilita’ dell’accusa rispetto a quanto gia’ in atti, crea una ingiustificata disarmonia di sistema che si concreta in un’inspiegabile diversita’ di trattamento tra rito abbreviato secco e rito abbreviato condizionato in relazione ad una medesima situazione processuale rappresentata da una contestazione patologica.
Mutatis mutandis le considerazioni fin qui svolte valgono anche nel caso in cui sia il giudice a disporre l’acquisizione di nuovi elementi ex articolo 441 c.p.p., comma 5. A tal proposito va osservato che la decisione del giudice di ampliare il quadro probatorio non puo’ costituire l'”occasione” per il pubblico ministero di mutare e adeguare il tenore dell’accusa rispetto a quanto gia’ in atti, cosi’ pervenendosi ad una disparita’ di trattamento rispetto al caso in cui il giudice non senta alcuna necessita’ di allargare la piattaforma probatoria.
Da quanto sopra deriva, quindi, che le nuove contestazioni ex articolo 423 c.p.p. non possono che trovare giustificazione se non nei nuovi elementi di fatto emersi dall’allargamento della piattaforma probatoria ex articolo 438 c.p.p., comma 5, e articolo 441 c.p.p., comma 5, e le nuove contestazioni devono essere direttamente dipendenti dall’arricchimento del piano cognitivo del giudizio.
Riconoscere che il pubblico ministero possa, nel giudizio abbreviato condizionato, modificare l’imputazione sulla base di quanto gia’ in atti, si traduce nell’inosservanza delle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale che si e’ pronunciata a tal proposito con la sentenza 140 del 2010, con cui, dichiarando non fondata la questione di legittimita’ costituzionale degli articoli 441 e 441-bis c.p.p., in relazione agli articoli 3, 24, 97, 111 e 112 Cost., ha sottolineato che la previsione della possibilita’ per il pubblico ministero di modificare ex articolo 423 c.p.p. il capo di imputazione nelle ipotesi in cui sia stato operato un ampliamento della piattaforma probatoria si pone come eccezione rispetto alla regola enunciata dall’articolo 441 c.p.p., comma 1. Sicche’ le nuove contestazioni sono legittimamente formulate in quanto ancorate a fatti nuovi o nuove circostanze emerse a seguito della modificazione della base cognitiva conseguenti all’attivazione dei meccanismi di attivazione probatoria. La Corte Costituzionale ha inoltre affermato che “…con la richiesta di giudizio abbreviato l’imputato accetta di essere giudicato con il rito semplificato in rapporto ai reati gia’ contestatigli dal pubblico ministero, rispetto ai quali solo egli esprime l’apprezzamento della convenienza del rito: sicche’ non sarebbe costituzionalmente accettabile che egli venisse a trovarsi vincolato dalla sua scelta anche in relazione ad ulteriori reati concorrenti che gli potrebbero essere contestati a fronte di evenienze patologiche”. Nella specie si tratta di una sentenza interpretativa di rigetto della quale va comunque tenuto conto nella lettura delle disposizioni qui richiamate.
4. In conclusione, sulla base di quanto fin qui considerato, si deve pertanto affermare il seguente principio di diritto:
“nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria a norma dell’articolo 438 c.p.p., comma 5, o nel quale l’integrazione sia stata disposta a norma dell’articolo 441 c.p.p., comma 5, e’ possibile la modifica dell’imputazione solo per i fatti emergenti dagli esiti istruttori ed entro i limiti previsti dall’articolo 423 c.p.p.”.
5. Sfuggono ovviamente alla rigida applicazione delle regole indicate i casi in cui il pubblico ministero proceda, dopo l’ammissione del rito, a mere rettifiche di imprecisioni contenute nell’atto di accusa e che non incidano sugli elementi essenziali dell’addebito in considerazione dei quali l’imputato ha compiuto le sue scelte difensive. Va infine affermato che e’ legittima la formulazione di una contestazione suppletiva da parte del pubblico ministero anche successivamente alla richiesta dell’imputato di ammissione al rito speciale, quando questa non sia stata ancora disposta dal giudice con ordinanza; infatti, prima della formale instaurazione del rito speciale deve ritenersi che e’ ancora in corso l’udienza preliminare e l’imputato puo’ pur sempre revocare la scelta processuale precedentemente compiuta.
6. Passando all’esame della fattispecie concreta, ed applicando il principio di diritto sopra formulato, va accolto il primo motivo di ricorso con assorbimento del terzo e del quarto, essendo inammissibile il secondo con il quale la difesa, prescindendo dai limiti entro i quali e’ deducibile un vizio di motivazione, si limita a formulare censure generiche relative ad una ricostruzione alternativa della vicenda, che e’ stata ampiamente ed esaustivamente esaminata dalla Corte d’appello, in particolare nelle pagine 23-25 della sentenza con motivazione immune da vizi.
6.1. La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio per quanto attiene alla (residua) circostanza aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 1 contestata nel corso del giudizio abbreviato condizionato in relazione al delitto di omicidio di cui al capo a). Infatti le ragioni sottese alla commissione del delitto erano gia’ emergenti dagli atti di indagine depositati dal pubblico ministero al momento dell’esercizio della azione penale e non sono derivazione dell’attivita’ istruttoria suppletiva richiesta dall’imputato, ne’ da quella disposta ex officio dal giudice.
La sentenza impugnata va annullata senza rinvio per quanto attiene al delitto di occultamento di cadavere (capo c), contestato successivamente all’ammissione al rito abbreviato. Anche in questo caso si tratta di un fatto che gia’ emergeva dagli atti di indagine, attraverso le dichiarazioni dell’imputato che aveva permesso il ritrovamento del cadavere della vittima. Per tale parte gli atti vanno pertanto restituiti al pubblico ministero perche’ proceda al corretto esercizio della azione penale in relazione a tale reato.
Per l’effetto la sentenza impugnata va annullata anche in riferimento al trattamento sanzionatorio che dovra’ essere riconsiderato dalla Corte di Assise di Appello di Firenze, cui vanno rinviati gli atti per un nuovo giudizio sul punto.
Per quanto attiene alle conclusioni della parte civile, queste dovranno essere prese in considerazione solo all’esito del giudizio definitivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la impugnata sentenza limitatamente: alla circostanza di cui all’articolo 61 c.p., n. 1 del capo A) e che elimina; al delitto di cui al capo c) (occultamento di cadavere) e dispone la trasmissione dei relativi atti al Procuratore della Repubblica di Terni.
Annulla la impugnata sentenza con rinvio alla Corte di Assise di Appello di Firenze limitatamente al trattamento sanzionatorio.
Rigetta nel resto il ricorso.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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