L’evasione fiscale non può essere una ragione neanche indiretta di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 21 marzo 2019, n. 1862.

La massima estrapolata:

L’evasione fiscale non può essere una ragione neanche indiretta di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, in quanto il legislatore non ha previsto che la evasione fiscale sia causa ostativa in sé stessa considerata.

Sentenza 21 marzo 2019, n. 1862

Data udienza 21 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ai sensi degli artt. 38 e 60 c.p.a.
sul ricorso numero di registro generale 387 del 2019, proposto da Ma. Di., rappresentato e difeso dall’Avvocato Gi. Co. Ra. e dall’Avvocato Sa. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza n. 528 del 29 maggio 2018 del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, sez. I, resa tra le parti, concernente il provvedimento del Questore della Provincia di Sassari, recante il diniego di rilascio di permesso per soggiornanti di lungo periodo per motivi di lavoro autonomo prot. n. 80/2017 A/12/2017/Imm/2° sez. del 15 giugno 2017, notificato il 12 luglio 2017, e, per quanto occorrer possa, di ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e/o consequenziale.
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2019 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per l’odierno appellante, Ma. Di., l’Avvocato Fr. Va. su delega dell’Avvocato Sa. Mi. e dell’Avvocato Gi. Co. Ra. e per l’appellato, il Ministero dell’Interno, l’Avvocato dello Stato Ti. Va.;
sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’odierno appellante, Ma. Di., nato a (omissis) il (omissis), ha impugnato avanti al Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna il provvedimento del Questore della Provincia di Sassari, recante il diniego di rilascio di permesso per soggiornanti di lungo periodo per motivi di lavoro autonomo prot. n. 80/2017 A/12/2017/Imm/2° sez. del 15 giugno 2017, notificato il 12 luglio 2017.
1.1. Tale provvedimento ha ritenuto infondata e inattendibile la dichiarazione dei redditi PF2015, presentata dall’odierno appellante, e artefatte le fatture relative ai costi allegate ad essa oltreché l’assenza di redditi per gli anni 2015 e 2016 e, in ogni caso, di un reddito minimo sufficiente derivante da fonte lecita a decorrere dal 2009.
1.2. Il ricorrente in prime cure, deducendo cinque motivi di illegittimità di detto provvedimento, ha chiesto all’adì to Tribunale l’annullamento, previa sospensione, di tale provvedimento.
1.3. Nel primo grado del giudizio si è costituito il Ministero dell’Interno per chiedere la reiezione del ricorso.
1.4. Dopo aver accolto la domanda cautelare, con l’ordinanza n. 405 del 23 novembre 2017, il Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, con la sentenza n. 528 del 29 maggio 2018, ha infine respinto il ricorso e ha compensato le spese di lite.
2. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’interessato e, deducendo cinque motivi di appello, ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma, con il conseguente annullamento del decreto questorile impugnato in prime cure.
2.1. Si è costituito il Ministero dell’Interno per chiedere la reiezione dell’appello.
2.2. Nella camera di consiglio, fissata per l’esame della domanda cautelare, il Collegio, sentiti i difensori delle parti e ritenuto di poter decidere la controversia ai sensi dell’art. 60 c.p.a., dopo averne dato avviso ai difensori stessi, che nulla hanno osservato sul punto, l’ha trattenuta in decisione.
3. L’appello è fondato per le assorbenti ragioni che seguono.
4. Il Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna ha ritenuto priva di pregio la contestazione mossa dal ricorrente in ordine alla ritenuta inattendibilità del reddito dichiarato per l’anno 2014, a cagione della assunta artificiosità delle fatture prodotte a comprova dei costi sostenuti per l’acquisto delle merci, poiché, a suo giudizio, sarebbe evidente – senza bisogno di particolari approfondimenti – la rilevanza presuntiva di tale elemento, mentre non sarebbe condivisibile la giustificazione portata dal ricorrente, secondo cui egli avrebbe successivamente aggiunto il numero di partita IVA, in origine non indicato nelle fatture.
4.1. Si tratterebbe, infine, di una mera allegazione – così si legge nella sentenza impugnata – “priva di qualunque riscontro probatorio e che ben potrebbe essere stata “inventata di sana pianta” al fine di giustificare un elemento di per sé anomalo, il fatto, cioè, che il ricorrente abbia ricevuto le fatture quando era ancora privo di partita IVA, il che depone in senso contrario all’attendibilità complessiva delle sue tesi, a maggior ragione se si considera che il soggetto come indicato come emittente le fatture, connazionale del Diongue, non risulta aver svolto alcun [sic] altra attività di vendita nell’anno di riferimento, il che rende ancora meno attendibile l’intera prospettazione della vicenda”.
4.2. La tesi del primo giudice è fallace perché essa in modo apodittico, senza procedere a quelli che, invece, sarebbero stati più che mai necessari approfondimenti istruttori, ha trascurato tutta la documentazione depositata in prime cure, la quale al contrario depone decisamente contro la fittizietà del reddito dichiarato per il 2014.
4.3. La sentenza impugnata ha ritenuto infatti, sulla scorta del provvedimento questorile, inattendibile la dichiarazione dei redditi, senza valorizzare in modo adeguato la copiosa documentazione prodotta dall’odierno appellante in prime cure e, in particolare:
a) l’atto di notorietà del soggetto venditore, attestante l’avvenuta vendita di specifiche merci all’odierno appellante, come da fatture oggetto di contestazione da parte della Questura nel provvedimento impugnato nel presente giudizio;
b) le copie delle fatture inizialmente emesse dal venditore con codice fiscale e poi sostituite/integrate con l’aggiunta della partita IVA;
c) il conto economico dei redditi per l’anno 2014, realizzato dal commercialista che, di per sé, costituisce documento idoneo a dimostrare il reddito ai fini del rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998;
d) le fatture dei costi per gli anni 2015 e 2016;
e) le schede carburante;
f) le autorizzazioni alla vendita su suolo pubblico da parte del Comune di (omissis);
g) le dichiarazioni dei redditi PF 2016 e 2017 attestanti tutte un reddito sopra la soglia;
h) l’esito del controllo eseguito dall’Agenzia delle Entrate proprio sui redditi dell’anno 2014, di cui alla dichiarazione dei redditi PF2015, che ha rilevato dei meri vizi formali sanabili.
4.4. Diversamente da quanto ha ritenuto il primo giudice, esaminandola nel suo complesso, tale documentazione comprova come l’odierno appellante abbia prodotto redditi sopra soglia per gli anni 2015 e 2016 e da essa può inferirsi, ragionevolmente, che anche nel 2014 vi sarebbe stato un reddito superiore alla soglia.
4.5. Proprio alla luce di tale documentazione, infatti, non inverosimile può ritenersi la spiegazione fornita dall’odierno appellante, alla stregua della quale lo scollamento temporale tra la data indicata nei documenti contabili e l’attribuzione della partita IVA trovasse giustificazione nella sospensione/integrazione delle suddette fatture, relative agli acquisti effettuati in vista dell’avvio dell’attività economica, presentata il 16 settembre 2014 sino al momento dell’attribuzione del numero della partita IVA.
4.6. Ciò, come ha correttamente rilevato l’appellante (p. 10 del ricorso), dimostrava al più che gli acquisti erano stati contabilizzati e imputati ai costi dell’attività commerciale in corso di avviamento, integrando le fatture emesse con il numero della partita IVA dell’acquirente, poiché è plausibile che colui che intenda avviare una attività provveda ad approvvigionarsi non quando la stessa deve essere iniziata, ma per tempo reperendo le merci all’uopo necessarie.
4.7. E del resto, come l’appellante ha ben dimostrato, non è particolare secondario, anche ai fini che qui rilevano, che la stessa Agenzia delle Entrate, proprio sulla dichiarazione PF 2015, con la comunicazione del 23 giugno 2016 n. 0098871515001, abbia rilevato esclusivamente l’erroneo calcolo dell’IRPEF e dell’addizionale regionale, senza alcuna contestazione, nel merito, della dichiarazione e dei costi indicati, al fine di correggere mere irregolarità formali e di carattere amministrativo del tutto sanabili.
4.8. Erronea è, perciò, la sentenza impugnata laddove essa assume la fittizietà dei redditi dichiarati nel 2014 senza avere considerato tutti questi elementi solo sulla base della presunta inesistenza giuridica e pretestuosità delle fatture, affermata dalla Questura di Sassari, pure a fronte del controllo effettuato dall’Agenzia delle Entrate, che non ha ritenuto inattendibile la dichiarazione né fittizi i costi indicati nelle fatture e, comunque, non risulta avere adottato alcun provvedimento con il quale abbia contestato allo straniero l’occultamento dei redditi e l’evasione fiscale.
4.9. Ne discende l’illegittimità del provvedimento questorile per eccesso di potere, stanti l’evidente difetto di istruttoria e l’illogicità che lo affliggono, non potendo ritenersi con certezza, allo stato, che vi sia stata una effettiva evasione fiscale, non ravvisata dalla stessa Agenzia delle Entrate, e che tale presunta evasione fiscale rappresenti, come invece si legge nel decreto adottato dalla Questura di Sassari, il tentativo di sottrarsi alla partecipazione alle spese pubbliche, da parte dello straniero, e la sua riluttanza ad accettare e condividere le fondamentali regole alla base del funzionamento della società .
5. Si tratta di una motivazione stereotipa che, oltre a non trovare riscontro certo nei fatti quali sin qui accertati e documentati, è del tutto apodittica e, comunque, non condivisibile poiché perviene in modo tautologico ad affermare che i redditi, sol perché non dichiarati, sarebbero inesistenti ai fini che qui rilevano.
5.1. Questo Consiglio di Stato, anche recentemente, ha ribadito che l’evasione fiscale non può essere una ragione neanche indiretta di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, in quanto il legislatore non ha previsto che la evasione fiscale sia causa ostativa, in sé stessa considerata, sicché una eventuale situazione di evasione in capo all’immigrato, regolarmente accertata, deve essere oggetto di provvedimenti tipici, adottati dagli organi competenti dell’amministrazione fiscale e dagli enti previdenziali, diretti al contrasto all’evasione mediante sia il recupero del credito sia la sanzione dell’inosservanza fiscale e tributaria (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 14 giugno 2017, n. 2931).
5.2. Ne consegue che, in conseguenza dalla evasione fiscale (qui tutta ancora comunque da provare), la Questura non può dedurre, in via automatica e senza alcuna attenta verifica documentale, anche l’inesistenza del reddito risultante da documentazione, la cui autenticità non sia contestata nelle debite sedi e nelle debite forme dalle autorità fiscali.
6. Il provvedimento questorile è, poi, illegittimo nella parte in cui pone a fondamento elementi mai rappresentati nel preavviso di rigetto, di cui all’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990 (la mancata dichiarazione del reddito per gli anni 2015 e 2016 o, addirittura, l’esistenza di reddito minimo sufficiente e lecito a decorrere dal 2009).
6.1. Se tali elementi fossero stati debitamente rappresentati allo straniero, infatti, egli avrebbe avuto la possibilità di interloquire in sede procedimentale e di offrire la prova di aver prodotto redditi adeguati negli anni in contestazione e di dimostrare, ove occorresse, lo svolgimento di attività di commercio itinerante nel periodo stagionale nelle spiagge del Comune di (omissis) di Gallura in virtù di regolare titolo.
6.2. Palese è, dunque, la lesione del principio del contraddittorio procedimentale e delle ragioni eventualmente prospettabili dall’interessato alla pubblica amministrazione, che aveva omesso di rappresentare tale presunta insufficienza reddituale nel preavviso di rigetto comunicato allo straniero.
6.3. Erra anche in parte qua, con un evidente travisamento dei fatti e una pure evidente inversione dell’onere probatorio, la sentenza impugnata laddove sostiene che gli elementi prodotti in giudizio dall’odierno appellante non erano stati prodotti nel procedimento, ove appunto si consideri che l’insufficienza reddituale non era stata contestata allo straniero per gli anni 2015 e 2016 in sede procedimentale, con il citato preavviso di rigetto, non essendo quindi onere dell’interessato, a fronte di tale preavviso che mai tale contestazione aveva sollevato, quello di produrre tutti gli elementi documentali utili all’accoglimento della propria istanza, in un’ottica di leale collaborazione reciproca tra le parti.
6.4. A questa leale reciproca collaborazione, infatti, è venuta meno proprio, e anzitutto, l’amministrazione procedente con il preavviso di rigetto, al quale è seguito, per tali aspetti, un provvedimento negativo “a sorpresa”, per quanto ora si dirà .
6.5. Sul punto si deve ricordare, infatti, che la comunicazione disciplinata dall’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990 ha la funzione di sollecitare il leale contraddittorio fra l’amministrazione e il privato istante nella fase predecisionale del procedimento e rappresenta un arricchimento delle garanzie partecipative degli interessati in chiave collaborativa e, per quanto possibile, deflattiva del contenzioso giurisdizionale e giustiziale.
6.6. A corollario di tale principio si è giunti altresì a precisare che, affinché il preavviso di rigetto dell’istanza possa adeguatamente svolgere il ruolo che il legislatore le ha assegnato, non può ammettersi che la motivazione del provvedimento finale negativo si fondi su ragioni estranee a quelle già comunicate con il preavviso di diniego e la possibilità, per l’amministrazione, di riaprire la fase istruttoria a seguito delle osservazioni ricevute ovvero di prendere in esame fatti nuovi sopravvenuti deve pur sempre reputarsi condizionata alla preventiva corretta instaurazione del contraddittorio procedimentale con l’interessato, comportante, se del caso, il rinnovo del preavviso.
6.7. L’istituto del c.d. preavviso di rigetto, di cui al citato art. 10-bis, ha infatti lo scopo di far conoscere all’amministrazione procedente le ragioni fattuali e giuridiche dell’interessato che potrebbero contribuire a far assumere una diversa determinazione finale, derivante dalla ponderazione di tutti gli interessi in gioco (Cons. St., sez. IV, 27 settembre 2018, n. 5562), ma è ovvio che esso verrebbe meno alla sua funzione se la stessa pubblica amministrazione non rappresentasse all’interessato tutti i motivi che potrebbero condurre alla reiezione della sua istanza.
6.8. La sua ratio, come è stato ben chiarito da questo Consiglio di Stato nella sua costante giurisprudenza, è quella di evitare “provvedimenti a sorpresa” e, cioè, che prospettino questioni di fatto o di diritto prima ignote al richiedente o, comunque, da lui non percepibili.
6.9. Il contraddittorio da instaurare consente di valutare già in sede amministrativa le argomentazioni dell’interessato “sul se vi siano effettivamente ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza e agevola la deflazione dei ricorsi giurisdizionali, poiché può avvenire o che la pubblica amministrazione condivida le osservazioni o che l’interessato si convinca della adeguatezza della valutazione della pubblica amministrazione e che non proponga dunque ricorso” (Cons. St., sez. VI, 26 maggio 2017, n. 2643).
7. Ma la ratio dell’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990 è stata invece frustrata nel caso di specie, ove la Questura di Sassari non ha comunicato all’interessato, nel preavviso di diniego, la presunta inesistenza di un reddito minimo derivante da fonte lecita, nell’arco di numerosi anni, in ipotesi ostativa all’accoglimento della sua istanza, ciò che gli avrebbe consentito di interloquire sul punto e di produrre documenti atti a dimostrare l’esistenza del requisito reddituale previsto dalla legislazione in materia.
8. Ne segue che, per tutte tali ragioni da ritenersi assorbenti delle ulteriori censure svolte dall’odierno interessato, l’appello debba essere accolto, con il conseguente annullamento del decreto, impugnato in primo grado e adottato da parte della Questura di Sassari, che dovrà perciò rivalutare la situazione dell’odierno appellante, alla luce della documentazione in questa sede prodotta e dei principî in questa sede affermati, garantendo allo straniero, peraltro, una adeguata partecipazione procedimentale con la rappresentazione, nella comunicazione di cui all’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, di tutti gli elementi in ipotesi ostativi all’accoglimento della sua istanza.
9. Le spese del doppio grado del giudizio, per la complessità del quadro reddituale sin qui esaminato, indubbiamente complesso e poco chiaro e, per questo, bisognoso di attento riesame da parte della Questura di Sassari, possono essere interamente compensate tra le parti.
9.1. Il Ministero dell’Interno, comunque soccombente nel merito, deve essere condannato a rimborsare all’appellante il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo e in secondo grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, proposto da Ma. Di., lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla il provvedimento del Questore della Provincia di Sassari, recante il diniego di rilascio di permesso per soggiornanti di lungo periodo per motivi di lavoro autonomo prot. n. 80/2017 A/12/2017/Imm/2° sez., emesso il15 giugno 2017 nei confronti di Ma. Di..
Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.
Condanna il Ministero dell’Interno a rimborsare il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo e in secondo grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2019, con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri – Consigliere
Giorgio Calderoni – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere

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