Estinzione della società a seguito di cancellazione dal registro delle imprese

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 novembre 2020| n. 25869.

Qualora l’estinzione della società a seguito di cancellazione dal registro delle imprese intervenga in pendenza di un giudizio che la veda parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. c.p.c., con eventuale prosecuzione o riassunzione ad opera o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 c.p.c.; ove l’evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, purché dei presupposti della “legitimatio ad causam” sia da costoro fornita la prova. (Nella specie, in applicazione di tale principio la S.C. ha confermato la sentenza d’appello, che aveva dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto da un socio, che si era limitato a definirsi accomandatario, senza in alcun modo fare cenno d’essere succeduto alla società estinta).

Ordinanza|16 novembre 2020| n. 25869

Data udienza 14 settembre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Compravendita – Vizi del bene compravenduto – Riduzione del prezzo – Rimborso spese di riparazione – Presupposti – Articoli 182 e 360 cpc – Ricorso per cassazione – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 8077 del 2012 – Legittimazione processuale – Articoli 2312 e 2495 cc – Cancellazione dal registro delle imprese – Estinzione della società – Conseguenze – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 6070 del 2013 – Criteri

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32131/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), e dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona, n. 1803/2018 depositata il 21 agosto 2018;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 settembre 2020 dal Consigliere Dot. Emilio Iannello.

RILEVATO IN FATTO

1. (OMISSIS) convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Fermo, sezione distaccata di S. Elpidio a Mare, la (OMISSIS) s.a.s. per l’accertamento di vizi della macchina operatrice (OMISSIS) dalla stessa vendutagli, con riduzione del prezzo e rimborso dei costi subiti per il funzionamento del mezzo e il suo mancato utilizzo per complessivi Euro 23.072,85 o diversa somma a determinarsi.
Instaurato il contraddittorio, all’esito dell’istruzione compiuta il Tribunale accolse la domanda, compensando le spese.
2. Interpose appello (OMISSIS), quale socio illimitatamente responsabile della (OMISSIS) & c. s.a.s. di (OMISSIS).
In accoglimento di eccezione preliminare opposta dall’appellato la Corte d’appello di Ancona ha dichiarato inammissibile il gravame per difetto di legittimazione ad impugnare.
A giustificazione di tale decisione ha, in sintesi, rilevato che:
– in primo grado si costitui’ soltanto, quale parte attrice, la (OMISSIS) s.a.s., non anche la socia illimitatamente responsabile;
– in appello (OMISSIS) non aveva dichiarato “espressamente… di agire quale legale rappresentante della societa’ ma esclusivamente quale socio illimitatamente responsabile della stessa”;
– il diritto del socio illimitatamente responsabile a partecipare al giudizio instaurato da un creditore sociale nei confronti della sua societa’, ove non esercitato in primo grado attraverso un’autonoma o congiunta costituzione, non puo’ trovare riconoscimento per la prima volta in grado di appello, laddove la societa’ di persone, risultata soccombente in primo grado, non abbia proposto gravame in persona del legale rappresentante pro tempore;
– la circostanza che la (OMISSIS) risulti nominativamente indicata in ditta quale socia accomandataria della societa’ non consente di ricondurre inequivocamente alla rappresentanza della societa’ medesima l’impugnazione proposta in presenza di una mancata spendita della qualita’ di legale rappresentante e della semplice indicazione di socia a responsabilita’ illimitata, che impedisce la riferibilita’ alla stessa degli effetti negativi del rigetto del gravame;
– che l’appellante intendesse impugnare in proprio e non in rappresentanza della s.a.s. si puo’ desumere anche dall’istanza di sospensione dell’esecutivita’ della sentenza laddove ella viene indicata semplicemente con le sue generalita’, addirittura senza neanche menzione della qualita’ di socio illimitatamente responsabile, ed erroneamente si qualifica persona condannata con la sentenza di primo grado, pronunziata invece nei confronti della s.a.s. e con espressa condanna della sola societa’ (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS) senza menzione dei singoli soci accomandatari.
3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione, con due mezzi, (OMISSIS), nella qualita’ di “socio accomandatario illimitatamente responsabile della cessata (OMISSIS) S.a.s. (OMISSIS)”.
L’intimato non svolge difese nella presente sede.
La trattazione e’ stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
La ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti: fatto, in tesi, rappresentato dalla cancellazione della societa’ dal Registro delle Imprese, effettuata in data 24/10/2007, nel corso del giudizio di primo grado.
Rileva che la circostanza che la societa’ fosse non piu’ attiva era stata segnalata gia’ nell’atto di gravame (la’ dove, a pag. 10, essa aveva evidenziato di essere liquidatrice della societa’ e di non svolgere piu’ alcuna attivita’ commerciale) e che, inoltre, nella comparsa conclusionale, per replicare all’eccezione di difetto di legittimazione attiva opposta dall’appellato, aveva evidenziato che la s.a.s. aveva cessato l’attivita’ ed era stata cancellata dal Registro delle Imprese nella predetta data, allegando alla stessa comparsa, a documentazione di cio’, visura camerale.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 182 c.p.c., comma 2.
Sostiene che, essendosi in presenza di “una supposta questione di legittimazione processuale”, la Corte d’appello avrebbe dovuto assegnare un termine alla parte appellante per documentare e/o regolarizzare la propria posizione processuale.
3. Il primo motivo – benche’ erroneamente riconduca il vizio dedotto a quello di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti (configurabile solo con riferimento alla ricognizione del fatto sostanziale e non del fatto processuale quale quello per il quale e’ questione: v. Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077) – denuncia chiaramente, nella sostanza, un error in procedendo (v. Cass. Sez. U. 24/07/2013, n. 17931) ma e’, in tali termini inteso, infondato.
La ricorrente (giova ripetere) assume che:
a) la societa’, convenuta e condannata in primo grado quale pretesa debitrice dell’attore/appellato, era stata cancellata dal Registro delle imprese gia’ nel 2007 (poco piu’ di un anno dopo l’introduzione del giudizio) e si era, pertanto, estinta ex articolo 2495 c.c., comma 2;
b) tale circostanza era desumibile gia’ da quanto affermato incidentalmente a pag. 10 dell’atto d’appello (v. supra) ed era stata specificamente evidenziata nella comparsa conclusionale, corredata da visura camerale, per replicare all’eccezione di controparte di difetto di legittimazione attiva.
Sulla base di tali premesse sostiene che “se la Corte territoriale avesse prestato attenzione a quanto indicato nella comparsa conclusionale… e, specialmente, se avesse consultato la visura camerale ivi allegata, avrebbe certamente ricavato che la sig.ra (OMISSIS) aveva impugnato la sentenza del Tribunale di Fermo in qualita’ di socia accomandataria in quanto la societa’ era stata cancellata nelle more del processo di prime cure”.
A supporto di tale tesi censoria la ricorrente evoca il principio affermato da Cass. Sez. U. n. 6070 del 12/03/2013, secondo il quale “la cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una societa’, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della societa’ medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Se l’estinzione della societa’ cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la societa’ e’ parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dall’articolo 299 c.p.c. e segg., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove, invece, l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe piu’ stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della societa’ deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilita’, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla societa’ estinta”.
Tale principio non puo’, pero’, giovare alla ricorrente, venendo nella specie in rilievo una regola affatto diversa del processo, da esso non incisa, ne’ condizionata.
Cass. n. 6070 del 2013, infatti, risponde al quesito su chi sia legittimato a impugnare (o su chi debba essere il destinatario dell’altrui impugnazione avverso) la sentenza pronunciata nei riguardi della societa’, nel caso in cui questa sia stata cancellata e l’evento estintivo non sia stato fatto (o non sia stato possibile farlo) constare nei modi previsti dall’articolo 299 c.p.c. e ss.. Lo individua, bensi’, nel “socio succeduto alla societa’ estinta” -supponendo che l’estinzione della societa’ (di persone, come quella di capitali) determini “un meccanismo di tipo successorio, che tale e’ anche se si vogliano rifiutare improprie suggestioni antropomorfiche derivanti dal possibile accostamento tra l’estinzione della societa’ e la morte di una persona fisica” – ma non esclude affatto che tale veste legittimante (ad impugnare o ad essere destinatario dell’impugnazione), perche’ possa essere posta a base della decisione, debba essere comunque espressamente allegata e dimostrata in limine litis.
Al riguardo viene piuttosto in rilievo il principio, consolidato nella giurisprudenza della S.C., secondo cui il soggetto che proponga impugnazione ovvero vi resista nell’asserita qualita’ di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado o fase di giudizio, deve allegare la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, e deve altresi’ fornirne la prova – la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase della impugnazione, e’ rilevabile d’ufficio – delle circostanze costituenti i presupposti di legittimazione alla sua successione nel processo ex articolo 110 c.p.c. (Cass., Sez. U, 22/04/2013, n. 9692), discendendone che, in difetto, “il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per mancanza di prova della legittimazione ad impugnare” (Cass. 26/09/2019, n. 24050; 27/01/2011, n. 1943; 13/06/2006, n. 13685).
Ed e’ proprio alla luce di tale principio che si appalesa corretta la decisione della Corte territoriale e, per contro, inconferente il principio evocato in ricorso.
La Corte d’appello, invero, non ha affatto negato che spetti al “socio succeduto a societa’ estinta” la legittimazione ad impugnare, ma ben diversamente, ha deciso sulla base di una prospettazione dell’appello e, segnatamente, della qualita’ che l’appellante in quell’atto dichiarava di rivestire (“socio illimitatamente responsabile della (OMISSIS) s.a.s.”), che di quella successione non faceva alcun cenno, ma anzi sostanzialmente la escludeva o, comunque, non la lasciava punto immaginare.
Non puo’ invero dubitarsi che allegare che si sta proponendo appello nella qualita’ di “socio illimitatamente responsabile di s.a.s.” significa indicare una qualita’, della parte proponente l’appello, ben diversa da quella di “socio succeduto ad una s.a.s. estinta”.
A non diversa conclusione puo’ condurre il riferimento, in seno all’appello (e, segnatamente, a pag. 10, nei motivi posti a sostegno della domanda di sospensione della esecuzione della sentenza appellata), alla qualita’ dell’appellante, oltre che di socia, anche di “liquidatrice” della societa’ e al suo essere “persona che non esercita piu’ alcuna attivita’ commerciale”, trattandosi di circostanze entrambe perfettamente compatibili con la persistenza in vita della societa’ (l’estinzione non conseguendo, trattandosi di societa’ regolare, alla messa in liquidazione, ne’ alla cessazione dell’attivita’, ma alla cancellazione: articoli 2312 e 2495 c.c.).
Ne’ potrebbe obiettarsi che l’indicazione della prima qualita’ (socia di s.a.s.), invece della seconda (socia succeduta a societa’ estinta), ponga (solo) un problema di nullita’, per errore sull’identita’ del soggetto, dell’atto d’impugnazione.
Ed invero, lungi dall’esservi incertezza sull’identita’ della parte, questa e’ ben chiara, solo che corrisponde al profilo di una parte (il socio di una s.a.s. che, non dicendosi il contrario, deve supporsi ancora esistente) diversa da quella (socio succeduto ad una s.a.s. estinta) che, sola, avrebbe potuto legittimare a proporre quel gravame. Non e’, insomma, l’identificazione della parte del processo ad essere in gioco, bensi’ la stessa possibilita’ di assumere la veste di parte per l’autore, in realta’ ben identificato, della chiamata in giudizio.
Si poneva, allora, nella specie, bensi’ un problema di legittimazione ad impugnare, riferita pero’ alla veste – precisamente e univocamente dichiarata nell’atto di gravame – di socio illimitatamente responsabile di s.a.s. tuttora esistente, non a quella, ben diversa e non dedotta, nemmeno per implicito, di socio succeduto a s.a.s. estinta.
E non era un problema di prova di tale veste (e della relativa legittimazione), bensi’ prima ancora di allegazione: o meglio di idoneita’, gia’ in astratto, della qualita’ spesa nell’atto di appello a legittimare l’impugnazione.
Idoneita’ correttamente esclusa nella sentenza impugnata, dal momento che tale veste identificava un soggetto (il socio) distinto da quello (la societa’) che aveva promosso il giudizio e che di questo non era stato parte (v. Cass. 04/01/2013, n. 123, che, in motivazione, ha ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione proposto da socio di societa’ di persone che non aveva partecipato al giudizio svoltosi nei confronti di quest’ultima, in un caso analogo al presente in cui il ricorrente, nell’atto di impugnazione, non aveva dedotto alcun fatto estintivo della societa’ ma, anzi, con la formulazione del ricorso medesimo, aveva indotto a ritenere che non vi fosse stata cancellazione dal registro delle imprese; v. anche Cass. 16/11/2010, n. 23129; Cass. 02/03/2006, n. 4652).
La replica, in comparsa conclusionale, alla eccezione di controparte di difetto di legittimazione ad impugnare (replica, come detto, consistita nella per la prima volta fornita informazione che la societa’ era stata in realta’ gia’ estinta nel corso del giudizio di primo grado) non si colloca, dunque, sul piano della prova (non vale cioe’ a fornire la prova della legittimazione inizialmente dichiarata), ma ben diversamente propone, inammissibilmente, una nuova qualita’ soggettiva a fondamento della impugnazione.
In altre parole essa, in realta’, non tende a fornire la prova della legittimazione inizialmente allegata, bensi’ ne allega una nuova e ben diversa.
E’ appena il caso di soggiungere che, peraltro, ove di cio’ si fosse trattato (di fornire la prova, cioe’, della legittimazione inizialmente e tempestivamente allegata) la stessa non avrebbe comunque potuto trovare ingresso attraverso la comparsa conclusionale, essendo la trattazione orale della causa ormai da considerarsi chiusa.
L’attuata produzione tardiva comporta, infatti, evidente pregiudizio per il diritto di difesa della controparte, conculcato dalla funzione meramente illustrativa dei successivi scritti defensionali, oltre che violazione del principio della ragionevole durata del processo, stante l’altrimenti prospettantesi eventualita’ della riapertura della fase istruttoria (v. Cass. 04/12/2014 n. 25655).
4. E’ altresi’ infondato il secondo motivo.
4.1. Lo e’ anzitutto, ed in via assorbente, perche’ la ricorrente invoca l’applicazione del nuovo testo dell’articolo 182 c.p.c., comma 2, come sostituito dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, articolo 46 che non e’ pero’ applicabile alla fattispecie ratione temporis. Ai sensi della L. n. 69 del 2009, articolo 58 tale disposizione si applica, infatti, ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore (4 luglio 2009), quale non e’ il presente, instaurato nel 2006.
4.2. Mette conto, comunque, aggiungere che si e’ qui in presenza di un rilevato difetto di legittimazione ad impugnare, che e’ ipotesi estranea all’ambito di operativita’ dell’articolo 182 c.p.c., comma 2, testualmente limitato ai soli difetti “di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione” ovvero dei vizi che determinino la nullita’ della procura al difensore.
La giurisprudenza di questa Corte ha, bensi’, ammesso la possibilita’ di interpretazione estensiva ed applicazione analogica della norma, nel caso in cui la parte abbia mancato di fornire la prova della legitimatio ad causam, allorquando la stessa sia stata prospettata in modo coerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio (v. Cass. 17/06/2014, n. 13711). Nella specie tale presupposto non sarebbe pero’ ravvisabile, vertendosi, come detto, in ipotesi non di mancata prova della legittimazione spesa nell’atto di appello, quanto, ben diversamente, della inesistenza di tale legittimazione, per come univocamente prospettata nell’atto di gravame, in se’ e gia’ in astratto considerata.
5. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Non avendo l’intimato svolto difese, non v’e’ luogo a provvedere sulle spese.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso principale, ove dovuto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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