Consiglio di Stato, Sentenza|19 maggio 2021| n. 3886.
Espulsione adottata per motivi di prevenzione del terrorismo
Il provvedimento di espulsione sia stato adottato per motivi di prevenzione del terrorismo o, più in generale, a causa della pericolosità dello straniero per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato, la posizione giuridica dell’interessato è di interesse legittimo e la giurisdizione nella relativa controversia spetta al giudice amministrativo (cfr. art. 3, comma 4, del già citato d.l. n. 144 del 2005), essendo rimessa all’amministrazione, non una mera discrezionalità tecnica e ricognitiva al cospetto di ipotesi già individuate e definite dal legislatore nel loro perimetro applicativo, ma una ponderazione valutativa degli interessi in gioco.
Sentenza|19 maggio 2021| n. 3886
Data udienza 6 maggio 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Pubblica sicurezza – Straniero – Espulsione – Vicinanza estremismo islamico – Natura preventiva della misura – Prova della responsabilità penale o del compimento del reato – Non necessita – Rapporti familiari – Non prevalgono – Ex art. 2 CEDU
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9684 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avvocato Fa. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso il suo studio in Padova, via (…);
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via (…);
nei confronti
Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via (…);
Presidenza del Consiglio dei Ministri, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza n. -OMISSIS-del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. I, resa tra le parti, concernente di decreto di espulsione per ragioni di sicurezza dello Stato e del divieto di reingresso per quindici anni sul territorio nazionale
visto l’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, conv. con mod. in l. n. 176 del 2020;
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e di Ministero dell’Interno;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 maggio 2021 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi in modalità da remoto, ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, conv. con mod. in l. n. 176 del 2020, per l’odierno appellante, -OMISSIS-, l’Avvocato Fa. Co. e per l’odierno appellato, il Ministero dell’Interno, l’Avvocato dello Stato Il. Ma.;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Espulsione adottata per motivi di prevenzione del terrorismo
FATTO e DIRITTO
1. L’odierno appellante, cittadino tunisino residente in Italia con permesso di soggiorno per motivi di famiglia, coniugato con una cittadina italiana e padre di minore residente in Italia, è stato attinto dal provvedimento di espulsione, con il quale il Ministero dell’Interno lo ha ritenuto inserito in un circuito di connazionali noti per aver assunto posizioni religiose radicali in favore della -OMISSIS-, rappresentando che il ricorrente aveva consultato e condiviso in diverse occasioni contenuti web inerenti al teatro di guerra siriano ed iracheno – dai quali era emersa la sua vicinanza alla causa –OMISSIS-ed all’autoproclamato Stato islamico – e che lo stesso aveva manifestato profondi sentimenti di avversione nei confronti di coloro che praticano il cristianesimo.
1.1. Dichiaratosi estraneo a tali fatti, l’interessato ha impugnato il provvedimento, avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma (di qui in avanti, per brevità, il Tribunale), chiedendone l’annullamento previa sospensione, deducendo le seguenti censure:
1) l’eccesso di potere per il travisamento dei fatti;
2) l’eccesso di potere per il difetto di istruttoria e per la contraddittorietà dell’azione amministrativa;
3) la violazione di legge e, in particolare, dell’art. 3 del d.l. n. 144 del 2005, conv. in l. 155 del 2005, nonché dell’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 30 del 2007;
4) la violazione di legge e, in particolare, dell’art. 20, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 30 del 2007 e dell’art. 1 della l. n. 241 del 1990, per lesione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, la violazione degli articoli 9 e 10 della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, ratificata con l. n 176 del 1991, l’eccesso di potere per manifesta ingiustizia;
5) violazione di legge e, in particolare dell’art. 20, comma 10, del d.lgs. n. 30 del 2007;
6) illegittimità derivata.
1.2. In via istruttoria, il ricorrente ha chiesto al Tribunale di ordinare all’amministrazione il deposito in giudizio della documentazione posta a fondamento del provvedimento impugnato.
1.3. Si è costituita nel primo grado del giudizio l’amministrazione resistente, chiedendo la reiezione del ricorso.
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1.4. Il Ministero dell’Interno ha rilevato che il ricorrente, nel corso del suo soggiorno in Italia, aveva in più occasioni fornito false generalità ed aveva riportato diverse condanne penali e che inoltre, a seguito dell’ottenimento del permesso di soggiorno per motivi familiari ed alla nascita del figlio, lo stesso si era separato dal coniuge, ottenendo dal Tribunale civile di Padova, il 4 marzo 2015, l’omologazione della separazione, le cui condizioni avevano previsto che il figlio fosse collocato presso la nonna materna, senza alcun obbligo di mantenimento del padre, in ragione del suo stato di difficoltà economica.
1.5. Ancora il Ministero ha poi confermato che dagli accertamenti effettuati era emerso che il ricorrente aveva assunto posizioni religiose radicali, manifestando un chiaro orientamento di matrice –OMISSIS-, intrattenendo rapporti di comunicazione via web con forum e canali utilizzati da connazionali, consultando e condividendo contenuti inerenti la guerra siro-irachena, dai quali era lecito desumere una vicinanza alla causa dell’autoproclamato Stato Islamico.
1.6. Peraltro, il Ministero resistente ha evidenziato che il ricorrente, sebbene titolare di permesso di soggiorno dal 2010, era risultato regolarmente occupato per sole cinque settimane, dichiarando, solamente per quell’anno, un reddito di Euro 1.185,00.
1.7. Infine, l’amministrazione ha precisato che il ricorrente era stato già rimpatriato, avendo il giudice presso il Tribunale di Padova convalidato il provvedimento questorile di accompagnamento immediato alla frontiera.
1.8. In punto di diritto, la difesa dell’amministrazione intimata ha dedotto che il provvedimento di allontanamento è stato emanato ai sensi dell’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 30 del 2007, in combinato disposto con gli artt. 2, 3 e 23 del medesimo e con l’art. 3 del d.l. n. 144 del 2005, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, convertito, con modificazioni, nella l. 155 del 2005.
1.9. Conseguentemente, a fondamento del provvedimento erano stati posti atti di natura riservata, non conoscibili da parte del ricorrente, dai quali era emerso un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, da ritenere prevalente anche rispetto alle esigenze di stabilità familiare del ricorrente.
Espulsione adottata per motivi di prevenzione del terrorismo
2. Con l’ordinanza cautelare n. -OMISSIS-, confermata in grado d’appello cautelare da questo Consiglio di Stato con l’ordinanza n. -OMISSIS-, è stata respinta l’istanza di misure cautelari formulata dal ricorrente.
2.1. Con le successive memorie depositate in vista dell’udienza di merito il ricorrente ha dedotto di svolgere regolare attività lavorativa in Tunisia, dove si era stabilito a seguito dell’espulsione ed ha precisato di aver impugnato avanti al Tribunale civile di Padova il decreto prefettizio di revoca del permesso di soggiorno per motivi familiari di cui godeva in quanto coniuge – sia pure separato – di cittadina italiana e padre di cittadino italiano, allegando l’ordinanza del Tribunale di Padova del 13 gennaio 2017, con la quale il giudizio civile era stato sospeso in attesa della decisione del presente giudizio, evidenziandosi una pericolosità sociale “ordinaria” del ricorrente.
2.2. Quest’ultimo ha poi insistito nei motivi di ricorso, chiedendo la produzione in giudizio dei documenti su cui l’amministrazione ha fondato il giudizio di pericolosità sociale a suo carico.
2.3. All’udienza del 14 gennaio 2020 il Collegio di prime cure ha disposto l’acquisizione della documentazione posta a fondamento del provvedimento gravato, unitamente ad una aggiornata relazione sui fatti di causa.
2.4. Il 19 giugno 2020 l’amministrazione ha ottemperato all’ordinanza, depositando la documentazione in proprio possesso, visionata anche dalla difesa del ricorrente e ritenuta da questa inidonea a fondare la valutazione di pericolosità dello straniero, oltre che smentita dall’ulteriore materiale documentale depositato in giudizio ed inerente al lecito utilizzo dei social media da parte del ricorrente.
2.5. All’udienza del 29 settembre 2020, infine, il Tribunale ha infine trattenuto la causa in decisione.
3. Il Tribunale, con la sentenza n. 11351 del 3 novembre 2020, ha respinto il ricorso e ha condannato l’interessato a rifondere le spese di lite in favore del Ministero.
4. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’interessato, articolando sei motivi di ricorso che di seguito saranno esaminati, e ne ha chiesto la riforma, con il conseguente annullamento degli atti impugnati.
4.1. Si è costituito il Ministero dell’Interno per chiedere la reiezione dell’appello.
4.2. Nell’udienza pubblica del 6 maggio 2021 il Collegio, sentiti i difensori delle parti in modalità da remoto ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, conv. con mod. in l. n. 176 del 2020, ha trattenuto la causa in decisione.
5. L’appello è infondato.
6. Con il primo motivo (pp. 22-29 del ricorso), anzitutto, l’odierno appellante denuncia l’erroneità della sentenza impugnata per avere disatteso i primi tre motivi di ricorso poiché egli nega, in sintesi, che sussistano i fondati motivi, di cui all’art. 20, comma 4, del d.lgs. n. 30 del 2007, consistenti in “comportamenti individuali dell’interessato che rappresentino una minaccia concreta, effettiva e sufficientemente grave all’ordine pubblico o alla pubblica sicurezza”.
Espulsione adottata per motivi di prevenzione del terrorismo
6.1. Ad avviso dell’appellante, insomma, la sentenza impugnata avrebbe errato:
a) nell’escludere l’eccesso di potere per travisamento del fatto, essendo invece evidente non solo l’insussistenza dei fatti descritti nella motivazione del provvedimento di espulsione impugnato, ma anche l’insussistenza di ogni condotta sintomatica addebitabile al ricorrente;
b) nell’escludere il vizio di difetto di istruttoria, posto che in assenza di condotte significative e in presenza di una relazione riservatissima che ipotizzava l’espulsione ma anche, in alternativa, una diversa misura, il Ministero non avrebbe compiuto alcun ulteriore accertamento istruttorio, anche solo mediante l’ulteriore monitoraggio del sito Facebook dell’odierno appellante;
c) nel ritenere sussistente, sulla base della tipologia delle condotte tenute e degli ulteriori elementi emersi in relazione ai precedenti sia penali che amministrativi, quei fondati motivi di supporre che la presenza dello straniero sul territorio nazionale possa agevolare le organizzazioni terroristiche, ipotesi richiesta per l’espulsione ministeriale sia dall’art. 3 del d.l. n. 155 del 2005 sia dall’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 30 del 2007.
d) nel violare l’art. 31, par. 3, della direttiva n. 2004/38/CE che, nel caso di espulsione di familiare di cittadino dell’Unione, indica, tra le garanzie procedurali, che il mezzo di impugnazione comprenda l’esame della legittimità del provvedimento nonché dei fatti e delle circostanze, che ne giustificano l’adozione, mentre il primo giudice si sarebbe limitato ad un sindacato massimamente deferente verso il provvedimento amministrativo, senza esaminare funditus, a fronte delle prove offerte dal ricorrente, i fatti posti a suo fondamento.
6.2. Il motivo è destituito di fondamento.
6.3. Il Tribunale ha anzitutto, e opportunamente, ricordato che, ai fini dell’emanazione del provvedimento ministeriale di espulsione, non è necessario che sia stata appurata con assoluta certezza la sussistenza del suindicato pericolo, essendo sufficiente che vi siano fondati motivi di ritenerlo esistente.
6.4. Nel caso di specie, il provvedimento ministeriale fa riferimento agli atti d’ufficio dai quali è emerso che l’odierno appellante è risultato inserito in un circuito relazionale con altri connazionali noti per aver assunto posizioni religiose radicali in favore della -OMISSIS- e che lo stesso ha consultato e condiviso assiduamente contenuti web inerenti al teatro di guerra siriano ed iracheno.
6.5. Da tali elementi è stata desunta la sua vicinanza alla causa –OMISSIS-ed all’autoproclamato Stato islamico, avendo peraltro il ricorrente manifestato sentimenti anticristiani.
6.6. L’amministrazione ha depositato nel primo grado del giudizio la documentazione con classifica di “riservato” e “riservatissimo”, dalla quale è risultato confermato il portato motivazionale del provvedimento impugnato.
6.7. Emerge infatti dalla documentazione depositata in giudizio che il ricorrente è stato trovato in possesso, durante un controllo, di un coltello a serramanico e di uno smartphone sul quale erano visualizzabili contenuti riconducibili al fondamentalismo islamico, inseriti da un soggetto che proclamava la propria fede –OMISSIS-e condivisi da un altro soggetto (tale -OMISSIS-), comparso nella sezione “amici” del ricorrente e risultato autore di contenuti inneggianti alla pratica di compiere attentati suicidi.
6.8. Peraltro lo stesso -OMISSIS-, durante un controllo effettuato nel 2008 dai Carabinieri di Padova, è stato trovato fisicamente in compagnia dell’odierno appellante, che ha ammesso di aver intrattenuto rapporti con lui fino al 2008.
6.9. Ancora, ha osservato la sentenza impugnata, dalla medesima documentazione è emerso che il ricorrente ha anche consultato ed acquisito contenuti di altro utente del web (tale -OMISSIS-) inerenti al teatro di guerra siro-iracheno, dai quali era desumibile una vicinanza alla causa –OMISSIS-ed all’autoproclamato Stato Islamico.
7. Tali circostanze, vertendosi – ne ha concluso il primo giudice – in materia di misure preventive per l’adozione delle quali è sufficiente la sussistenza di “fondati motivi” per ritenere che la permanenza dello straniero possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche e non la prova che detta agevolazione si sia in concreto verificata, costituirebbero una adeguata esplicazione dei presupposti che hanno indotto l’amministrazione all’espulsione.
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7.1. Il giudizio di pericolosità formulato dal Ministro è apparso al primo giudice pertanto, considerati la tipologia delle condotte tenute e gli ulteriori elementi emersi in relazione ai precedenti sia penali sia amministrativi, scevro da profili di manifesta irragionevolezza o travisamento o difetto di istruttoria, che rappresentano gli unici vizi sindacabili in questa sede per quanto osservato in ordine alle caratteristiche e finalità della misura gravata.
7.2. Sulla base di tali valutazioni il Tribunale ha ritenuto, conclusivamente, corretta e non censurabile in questa sede la determinazione in ordine alla preminenza dell’interesse alla sicurezza interna ed esterna dello Stato, interesse essenziale ed insopprimibile della collettività, rispetto all’interesse del ricorrente a permanere sul territorio dello Stato, e a mantenere ivi i suoi legami familiari, che hanno ad ogni modo costituito oggetto di valutazione da parte dell’amministrazione.
8. Il giudizio espresso dal Tribunale va esente da censura perché i contrari rilievi dell’appellante, che asserisce di non avere condiviso sul proprio profilo Facebook contenuti che inneggiano alla guerra santa islamica, non scalfiscono la gravità del quadro indiziario sul quale si è fondato il giudizio di pericolosità per l’ordine pubblico nei confronti dello straniero.
8.1. Basti qui ricordare che nemmeno l’appellante ha saputo smentire l’episodio del controllo, menzionato dal Tribunale, nel corso del quale l’appellante è stato trovato in possesso di un coltello a serramanico e di uno smartphone sul quale erano visualizzabili contenuti riconducibili al fondamentalismo islamico, inseriti da un soggetto che proclamava la propria fede –OMISSIS-e condivisi da un altro soggetto (tale -OMISSIS-), comparso nella sezione “amici” del ricorrente e risultato autore di contenuti inneggianti alla pratica di compiere attentati suicidi.
8.2. Peraltro lo stesso -OMISSIS-, durante un controllo effettuato nel 2008 dai Carabinieri di Padova, è stato trovato fisicamente in compagnia dell’odierno appellante, che ha ammesso di aver intrattenuto rapporti con lui fino al 2008, anche se afferma, invero poco credibilmente (p. 24 del ricorso), che tale conoscenza dall’infanzia sarebbe limitata alle “forme di cortesia”.
8.3. Non ha perciò errato il primo giudice nel valutare la gravità di simili fatti, ai fini che qui rilevano, né certo si è limitato ad un sindacato meramente estrinseco ed epidermico di questi stessi fatti, ritenendo non decisivi gli elementi di prova offerti dall’appellante in ordine al preteso corretto utilizzo della pagina Facebook o in ordine agli ottimi rapporti intrattenuti, ad esempio, con i compagni della squadra di calcetto.
8.4. Bene ha osservato del resto la sentenza impugnata che il provvedimento di espulsione è stato emesso ai sensi dell’art. 3, comma 1, del d.l. n. 144 del 2005, conv. in l. n. 155 del 2005, secondo il quale “il Ministro dell’interno […] può disporre l’espulsione dello straniero […] nei cui confronti vi sono fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali”.
8.5. Trattandosi di atto rimesso all’organo di vertice del Ministero dell’Interno e che investe la responsabilità del Capo del Governo, nonché l’organo di vertice dell’amministrazione maggiormente interessata alla materia dei rapporti con i cittadini stranieri, esso costituisce senza dubbio, come ha osservato il primo giudice, espressione di esercizio di alta discrezionalità amministrativa.
8.6. Ciò si evince anche dal carattere ampio ed elastico dei requisiti prescritti dal citato art. 3 del d.l. n. 144 del 2005, che richiede, ai fini dell’adozione del provvedimento de quo, la ritenuta possibilità che la permanenza dello straniero in Italia possa agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali.
9. Secondo quanto questa Sezione ha già chiarito (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 23 settembre 2015, n. 4471 ma anche, da ultimo, Cons. St., sez. III, 27 febbraio 2021, n. 1687) con riferimento all’espulsione ex art. 3, comma 1, d.l. n. 144 del 2005 – ma con argomentazioni ben estendibili a tale misura adottata ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 – si tratta di una disposizione che prevede procedure pienamente assimilabili alle misure di sicurezza che si adottano con finalità di prevenzione e che, avendo come finalità quella di prevenire il compimento di reati, non richiede che sia comprovata la responsabilità penale e neppure che il reato sia stato già compiuto.
9.1. Infatti il presupposto per l’espulsione è costituito solo dai fondati motivi per ritenere che la presenza dello straniero possa agevolare in vario modo organizzazioni o attività terroristiche e, comunque, mettere in pericolo, con azioni anche proselitistiche, la sicurezza dello Stato.
Espulsione adottata per motivi di prevenzione del terrorismo
9.2. Ed è dunque solo questo il parametro da adottare per valutare la legittimità del provvedimento e, cioè, se esso sia in grado di prevenire la concreta possibilità di comportamenti atti a mettere in pericolo l’ordinamento e i suoi cittadini.
9.3. Nella specie, il provvedimento del Prefetto enuncia elementi di fatto più che sufficienti a fornire fondati motivi per ritenere che la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali e quindi minacciare la sicurezza del Paese
9.4. Come è stato ben messo in rilievo dalle Sezioni Unite, infatti, nel caso in cui il provvedimento di espulsione sia stato adottato per motivi di prevenzione del terrorismo o, più in generale, a causa della pericolosità dello straniero per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato, la posizione giuridica dell’interessato è di interesse legittimo e la giurisdizione nella relativa controversia spetta al giudice amministrativo (cfr. art. 3, comma 4, del già citato d.l. n. 144 del 2005), “essendo rimessa all’amministrazione, non una mera discrezionalità tecnica e ricognitiva al cospetto di ipotesi già individuate e definite dal legislatore nel loro perimetro applicativo, ma una ponderazione valutativa degli interessi in gioco” (Cass., Sez. Un., 27 luglio 2015, n. 15693).
9.5. E tale ponderazione comparativa ha correttamente svolto, nel caso di specie, il Ministero dell’Interno, avuto riguardo a tutti i gravi elementi a carico dell’odierno appellante, che dimostrano una pericolosissima vicinanza al fondamentalismo islamico.
10. Con il secondo motivo (pp. 30-35 del ricorso), ancora, l’odierno appellante deduce l’erroneità della sentenza impugnata per avere ritenuto legittima l’espulsione, con il troncamento della sua vita familiare in Italia e del suo rapporto con il figlio minore, quando i fatti addebitati, anche ammesso che fossero veri, non sarebbero tali da giustificare il suo allontanamento, peraltro per quindici anni, dall’Italia, con la conseguente violazione non solo degli artt. 29 e 30 Cost., ma anche dell’art. 8 della CEDU.
10.1. Il motivo è anche esso infondato.
10.2. Il primo giudice ha premesso che, nella materia in esame, la tutela della vita privata e familiare, sancita anche dall’art. 8 della CEDU, non è incondizionata, posto che l’ingerenza dell’autorità pubblica nella vita privata e familiare è consentita, ai sensi dell’art. 2 della CEDU, se prevista dalla legge quale misura necessaria ai fini della sicurezza nazionale, del benessere economico del Paese, della difesa dell’ordine e della prevenzione dei reati, della protezione della salute e della morale e della protezione dei diritti e delle libertà altrui.
10.3. Venendo al caso di specie, il Tribunale ha rilevato che l’amministrazione risulta aver tenuto conto della durata del soggiorno in Italia, della situazione familiare ed economica e dell’integrazione sociale e culturale nel territorio nazionale del ricorrente.
10.4. Come si evince dal Rapporto informativo della Questura di Padova del 5 febbraio 2016, infatti, l’odierno appellante, presente sul territorio nazionale fin dal 2005, ha ripetutamente fornito false generalità fino al 2010, anno in cui ha chiesto il permesso di soggiorno per motivi familiari, in quanto coniugato con cittadina italiana.
10.5. Lo stesso è peraltro risultato gravato da precedenti penali, anche in materia di stupefacenti, ed a suo carico risulta infine emanato un provvedimento di espulsione dal Prefetto di Padova emesso il 28 marzo 2008, poi decaduto a seguito del matrimonio contratto con cittadina italiana.
10.6. L’odierno appellante risulta inoltre separato dalla ex moglie dal 2015 ed il figlio risulta affidato alla nonna materna, senza obblighi di contribuzione e mantenimento da parte del padre, che peraltro non pare aver dimostrato il possesso di una residenza o di un domicilio certi, in quanto la dichiarazione di ospitalità presentata a suo favore da altro cittadino italiano è risultata in fase di accertamento dopo una iniziale irreperibilità .
10.7. Alla luce di tali elementi, secondo la sentenza impugnata, l’amministrazione risulta aver fatto corretto uso del potere discrezionale attribuitogli dal legislatore, dovendosi evincere dal vissuto del ricorrente una scarsa integrazione sociale e culturale nel territorio nazionale.
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10.8. Quanto alla situazione familiare, ha ancora osservato la sentenza impugnata, rilevano la separazione dalla ex moglie e l’affidamento del figlio alla nonna materna, senza obblighi di contribuzione a carico del padre, che sono stati adeguatamente considerati dall’amministrazione ai fini dell’emanazione del provvedimento impugnato, non essendo il minore risultato residente con padre (né a carico di questi) e non potendo rappresentare la presenza di minori sul territorio nazionale uno scudo contro l’espulsione per motivi inerenti alla sicurezza dello Stato.
10.9. Del resto, ha concluso il primo giudice, il già richiamato art. 8 CEDU, relativo al “Diritto al rispetto della vita privata e familiare”, espressamente fa salvo il potere dell’Amministrazione nel caso in cui “sia previsto dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
11. Ne deriverebbe che, nel contemperamento degli interessi in gioco, quello alla stessa sopravvivenza dello Stato e dell’incolumità delle persone presenti sul suo territorio deve prevalere su quello dell’individuo sospettato di attentarvi, in quanto i primi costituiscono interessi e diritti fondamentali che attengono all’esistenza e sopravvivenza delle istituzioni e soprattutto al diritto insopprimibile dei comuni cittadini alla vita e all’integrità fisica.
11.1. Pertanto non appare affatto irragionevole l’inserimento, nel tessuto normativo, di una disposizione che limiti la permanenza sul territorio nazionale degli stranieri in relazione alla tutela del preminente interesse della sicurezza dello Stato, fermo restando, ovviamente, il pieno rispetto del canone della ragionevolezza.
11.2. Sarebbe stata poi la stessa Corte EDU, nell’interpretare l’art. 8 CEDU, a ritenere che l’ingerenza della pubblica amministrazione nella vita familiare dello straniero possa ritenersi proporzionata allorquando sia coerente rispetto allo scopo perseguito, sicché il provvedimento di espulsione e interdizione del soggiorno non costituirebbe una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, in quanto risulterebbe giustificato dall’esigenza di prevenire la commissione di reati e mantenere la sicurezza e l’ordine pubblico nazionale.
12. Le motivazioni del primo giudice vanno anche esse esenti da censura.
13. A fronte dei gravi fatti verificati, che dimostrano una pericolosa vicinanza dell’odierno appellante ad ambienti dell’estremismo islamico costituenti una sicura minaccia per la sicurezza nazionale, nel caso di specie è senza dubbio recessivo, nel bilanciamento degli interessi che si è detto caratterizzare il provvedimento ministeriale oggetto di giudizio, l’interesse dell’appellante a mantenere il rapporto con il figlio minorenne italiano, nato dal primo matrimonio e residente sul territorio nazionale.
13.1. Come ha infatti ben rilevato la Corte europea dei diritti dell’uomo, nella sua giurisprudenza, la commissione di gravi reati, come quelli di natura terroristica, ben può legittimare l’espulsione dello straniero senza che ciò implichi una illegittima ingerenza nella vita familiare e al conseguente violazione dell’art. 8 CEDU (v., tra le tante, le sentenze 7 agosto 1996, C. c. Belgio, ric. n. 21794/93; 24 aprile 1996, Boughanemi c. Francia, ric. n. 22070/93; 22 giugno 2004, Ndangoya c. Svezia, ric. n. 17868/03; 13 dicembre 2005, Pello-Sode c. Svezia, ric. n. 34391/05).
13.2. La Corte ha invero enunciato precisi criterî ai quali si deve ispirare il giudice nazionale (v. le sentenze, Boultif c. Suisse, ric. n. 54273/00, § 40, Ü ner c. Pays-Bas, ric. n. 46410/99, § § 57-58) per appurare “se una misura d’espulsione è necessaria in una società democratica e proporzionata rispetto al fine legittimo perseguito” e, alla luce di tali criterî e avuto riguardo agli elementi analizzati nel caso di specie e sin qui ricordati, ritiene questo Collegio che l’ingerenza nella vita familiare dell’odierno appellante non sia illegittima, considerate, da un lato, la sua vicinanza ad ambienti del radicalismo islamico che propugna la -OMISSIS- e, addirittura, il possesso di un coltello a serramanico rinvenuto nel corso di un controllo, oltre ai precedenti penali di cui si è detto, e dall’altro l’affidamento del figlio minore alla nonna materna, senza che il padre contribuisca, peraltro, al suo mantenimento.
13.3. In una società democratica la tutela dell’ordine pubblico contro la minaccia del terrorismo può giustificare il sacrificio dei rapporti familiari se l’allontanamento dello straniero è, come nel caso di specie è, misura necessaria e proporzionata a tale legittimo scopo, non potendo essere scongiurata altrimenti la minaccia reale di un attentato alla sicurezza pubblica e all’ordine costituito (v., circa la legittimità di analoga misura adottata dall’Italia contro un cittadino tunisino, anche la sentenza della Corte nel caso Cherif. et. a. c. Italie, ric. 1860/07).
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14. Ne discende il rigetto del motivo in esame.
15. Con il terzo motivo (pp. 35-37 del ricorso), ancora, l’appellante censura la sentenza impugnata per la dedotta violazione dell’art. 20, comma 10, del d.lgs. n. 30 del 2007, sull’assunto che dovrebbe trovare applicazione all’odierno appellante, in quanto familiare di persona italiana, detta disposizione, la quale prevede che il provvedimento che dispone l’allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato non può avere durata superiore a dieci anni, mentre nel caso di specie l’espulsione avrebbe durata di quindici anni.
15.1. Secondo il primo giudice, l’indicazione del termine di quindici anni per il rientro in Italia non appare manifestamente irragionevole, considerata la pericolosità evidenziata dalle condotte contestate al ricorrente e rilevata, peraltro, l’assenza del limite massimo di durata della misura, che risulta disciplinata dalla normativa speciale prevista in materia di espulsioni degli stranieri nello specifico settore delle misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale (art. 13, comma 14, del d.lgs. n. 286 del 1998 ed art. 3 del d.l. n. 144 del 2005, conv. in l. n. 155 del 2005, richiamato dallo stesso art. 13).
15.2. L’appellante contesta, tuttavia, questa statuizione perché osserva che si dovrebbe applicare l’art. 20, comma 10, del d.lgs. n. 30 del 2007 e che comunque, al di là della disposizione applicabile, la durata di quindici anni sarebbe contraria ad ogni canone di proporzionalità .
15.3. Anche questa censura è priva di pregio, seppure per le ragion che si vengono ad esporre, perché, in materia di espulsioni per motivi di terrorismo, la normativa speciale dell’art. 13, comma 14, del d.lgs. n. 286 del 1998 che, per espressa previsione, si applica anche alle ipotesi dell’art. 3, comma 1, del d.l. n. 144 del 2005, può trovare applicazione, quanto alla durata massima, anche in deroga rispetto a quanto prevede l’art. 20, comma 10, del d.lgs. n. 30 del 2007 se e nella misura in cui, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto (art. 13, comma 14), il periodo massimo di dieci anni stabilito dallo stesso art. 20 del d.lgs. n. 30 del 2007, non appaia sufficiente a tutelare la sicurezza dello Statto dalla minaccia terroristica.
15.4. Sul punto, integrando e precisando meglio quanto il primo giudice ha osservato, la normativa italiana – e, in particolar modo, l’art. 20 del d.lgs. n. 30 del 2007 – deve essere interpretata in modo conforme a quanto prevede l’art. 11, par. 2, della Direttiva n. 2008/115/CE, secondo cui la durata del divieto di ingresso può comunque superare i cinque anni se il cittadino di un Paese terzo costituisce una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, come in questo caso.
Espulsione adottata per motivi di prevenzione del terrorismo
15.5. La disposizione della Direttiva espressamente prevede, infatti, che “la durata del divieto d’ingresso è determinata tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera di norma i cinque anni”, ma “può comunque superare i cinque anni se il cittadino di un paese terzo costituisce una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale” e deve essere letta alla luce del Considerando n. 14, secondo cui la durata del divieto d’ingresso dovrebbe essere determinata alla luce di tutte le circostanze pertinenti per ciascun caso e, di norma, non dovrebbe superare i cinque anni e, in tale contesto, si dovrebbe tenere conto in modo particolare del fatto che il cittadino di un paese terzo interessato sia già stato destinatario di più di una decisione di rimpatrio o provvedimento di allontanamento o sia entrato nel territorio di uno Stato membro quando era soggetto a un divieto d’ingresso.
15.6. L’art. 11 della Direttiva n. 115/2008/CE non pone vincoli alla durata massima della misura, indicata solo orientativamente e non tassativamente nel tempo di cinque anni, superabile ove il cittadino costituisca una grave minaccia per la sicurezza nazionale, e l’art. 20, comma 10, del d.lgs. n. 20 del 2017 deve dunque essere interpretato conformemente a tale previsione, con la conseguenza che esso deve essere disapplicato, ove i dieci anni previsti da tale disposizione non assicurino le esigenze di cui all’art. 11, par. 2, della Direttiva, in analogia con quanto prevede, invece, l’art. 13, comma 14, del d.lgs. n. 286 del 1998 – che nel richiamare espressamente l’art. 3 del d.l. n. 144 del 2005 – non pone un limite massimo al tempo di espulsione dello straniero per motivi di terrorismo.
15.7. E ciò, si aggiunga, non appare irragionevole né contrario al principio di proporzionalità, diversamente da quanto assume l’appellante, perché il termine di quindici anni costituisce un periodo congruo, atto a scongiurare qualsivoglia rischio di azioni violente o terroristiche da parte del soggetto allontanato, che ha manifestato nel caso di specie una pericolosa vicinanza ad associazioni islamiche pronte all’uso della violenza ed è stato egli stesso trovato in possesso di un coltello a serramanico durante un controllo e peraltro, come ha osservato il Ministero, era stato già colpito da un provvedimento di espulsione dal Prefetto di Padova emesso il 28 marzo 2008, poi decaduto a seguito del matrimonio contratto con cittadina italiana, elemento, questo, che deve sicuramente essere valutato alla luce del già menzionato Considerando n. 14 della Direttiva n. 115/2008/CE.
15.8. Di qui la reiezione anche del motivo in esame.
16. Da quanto esposto discende anche la reiezione degli ultimi tre motivi di appello, in quanto:
1) con riferimento al quarto motivo (pp. 37-38 del ricorso), la reiezione di tutte le censure sin qui esaminate assorbe ogni contestazione consequenziale e derivata mossa all’ordine questorile di accompagnamento coattivo alla frontiera;
2) con riferimento al quinto motivo (pp. 38-39 del ricorso), la liquidazione delle spese a carico del ricorrente in prime cure, per tutte le ragioni esposte, segue correttamente il principio della soccombenza;
3) con riferimento al sesto motivo (p. 39 del ricorso), la richiesta istruttoria inerente al profilo Facebook dell’appellante appare superflua ai fini del decidere, per via dei gravi fatti di cui si è detto, nemmeno contestati dall’appellante e ampiamente sufficienti a giustificarne l’espulsione.
Espulsione adottata per motivi di prevenzione del terrorismo
17. In conclusione, anche per tutte le ragioni esposte, l’appello è infondato e la sentenza impugnata merita conferma.
18. Le spese del presente grado del giudizio seguono la soccombenza dell’appellante e sono liquidate in dispositivo.
18.1. Rimane a suo definitivo carico anche il contributo richiesto per la proposizione dell’appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, proposto da -OMISSIS-, lo respinge e per l’effetto conferma, anche ai sensi di cui in parte motiva, la sentenza impugnata.
Condanna -OMISSIS- a rifondere in favore del Ministero dell’Interno le spese del presente grado del giudizio, che liquida nell’importo di Euro 2.000,00, oltre gli accessori come per legge.
Pone definitivamente a carico di -OMISSIS- il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 196 del 2003 (e degli artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità delle parti interessate, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità di -OMISSIS- e di -OMISSIS-.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2021, con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere, Estensore
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
Espulsione adottata per motivi di prevenzione del terrorismo
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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