Espropriazione per pubblica utilità e valore venale del bene

Consiglio di Stato, Sentenza|21 maggio 2021| n. 3925.

Espropriazione per pubblica utilità e valore venale del bene

L’articolo 42-bis Dpr n. 327/2001 disciplina principaliter la fattispecie acquisitiva del diritto di proprietà e prevede che l’Autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene; al comma 6, disciplina la fattispecie particolare della acquisizione degli iura in re. La diversa qualificazione giuridica, e il diverso contenuto, dei diritti reali minori non possono giustificare un diverso trattamento giuridico del legittimo possesso ad usucapionem, altrimenti realizzandosi un effetto giuridico sovrapponibile a quello che un tempo, in relazione al diritto di proprietà, veniva denominato accessione invertita.

Sentenza|21 maggio 2021| n. 3925. Espropriazione per pubblica utilità e valore venale del bene

Data udienza 18 marzo 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Espropriazione per pubblica utilità – Privati – Tutela – Diritto di proprietà – Indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale – Valore venale del bene – Dpr 8 giugno 2001, n. 327, articolo 42 bis – Espropriazione per pubblica utilità e valore venale del bene

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 6976 del 2020, proposto dalla S.p.a. E-Di., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ce. Ca. e Gi. De Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. De Ve., in Roma, via (…);
contro
la S.n.c. Im. di Co. Tu. & Fi., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Vi. Di Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
la S.p.a. Te. – Re. El. Na., già S.r.l. Te. Re. It., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
Sul ricorso numero di registro generale 6983 del 2020, proposto dalla
S.p.a. Te. -Re. El. Na., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Pa. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
la S.n.c. Im. di Co. Tu. & Fi., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Vi. Di Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
la S.p.a. En. Di., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, Sezione Terza, n. 3803/2020, resa tra le parti.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della S.n.c. Im. di Co. Tu. & Fi.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 marzo 2021 – svoltasi mediante collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25, del d.l. n. 137 del 2020 – il consigliere Daniela Di Carlo e uditi per le parti gli avvocati Romina Rinaldi (su delega degli avvocati Ce. Ca. e Gi. De Ve.), Vi. Di Ba. e Pa. Be., che partecipano alla discussione orale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

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FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso n. 2520 del 2013 proposto al T.a.r. del Lazio, sede di Roma, la S.n.c. Im. di Co. Tu. & Fi. ha convenuto in giudizio la S.p.a. En. Di. e la S.r.l. Te. Re. It. (ora S.p.a. Te. – Re. El. Na.) per sentirle condannare, ciascuna per quanto di ragione, allo spostamento della linea elettrica che attraversa la proprietà della società ricorrente e all’integrale risarcimento dei danni subiti a causa dell’occupazione; ovvero, in via subordinata, alla regolarizzazione della situazione antigiuridica, fermo in ogni caso il risarcimento dei danni subiti.
2. A sostegno delle proprie pretese, la ricorrente ha rappresentato:
– di essere proprietaria del terreno sito in (omissis), riportato in catasto al foglio (omissis), particelle foglio (omissis);
– che il terreno in questione è attraversato dalla linea elettrica En. “SE (omissis) – CP (omissis) – derivazione CP (omissis)” – direzione nord;
– che l’occupazione è stata posta in essere in assenza di un legittimo provvedimento autorizzativo o di una regolare procedura espropriativa;
– di subire un’illegittima compressione del proprio diritto dominicale, con ricadute negative in ordine alla libera fruibilità dell’area rispetto alla sua effettiva potenzialità edificatoria; nel dettaglio, la ridotta fruibilità consisterebbe nel non potere sfruttare appieno la volumetria autorizzata (circa 1.724 metri quadri) con il permesso di costruire rilasciato in data 10 febbraio 2011, avente ad oggetto la realizzazione di un opificio artigianale, sia per la presenza dei cavi aerei, sia per la necessità di osservare l’adiacente fascia di rispetto.
2.1. La ricorrente ha anche precisato di avere sollecitato la cessazione della perpetrata occupazione, da ultimo, con diffida datata 26 gennaio 2011.
2.2. Allo stato – secondo quanto ancora riferito – il decreto di esproprio non sarebbe stato emanato e l’unico atto formale che risulterebbe essere stato adottato sarebbe il provvedimento della Giunta Regionale della Regione Abruzzo n. DN4/01 datato 22 gennaio 2002, avente ad oggetto l’autorizzazione definitiva in sanatoria ai sensi dell’art. 20, della l.r. Abruzzo n. 83 del 1988, di una serie di elettrodotti già in esercizio, tra cui quello qui di interesse.

 

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3. Il T.a.r., con la sentenza di cui in epigrafe:
4. a) ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla società Te., ravvisando nel provvedimento della Giunta Regionale della Regione Abruzzo n. DN4/01 datato 22 gennaio 2002, avente ad oggetto “autorizzazione definitiva in sanatoria” ai sensi dell’art. 20 della l.r. Abruzzo n. 83/1988, tra gli altri, anche dell’elettrodotto incidente sull’area di proprietà della società ricorrente, all’epoca già in esercizio, un’implicita dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, e con ciò escludendo che si versi in un’ipotesi di occupazione usurpativa non ricollegabile, nemmeno mediatamente, all’esercizio o al mancato esercizio del potere (questo capo di pronuncia non è stato fatto oggetto di appello, ragion per cui può ritenersi oramai passato in giudicato);
5. b) ha respinto anche l’altra eccezione formulata in rito dalla società Te., e cioè l’asserita inammissibilità del ricorso per mancata tempestiva impugnazione del provvedimento della Giunta Regionale del 22 gennaio 2002; ad avviso del T.a.r., la società ricorrente non ha agito al fine di contestare, principaliter, la legittimità di tale atto, bensì per ottenere la declaratoria della mancata regolarizzazione e definizione della procedura (anche questo capo deve ritenersi passato in giudicato in difetto di impugnazione);
6. c) ha pure escluso che possa ritenersi maturato il periodo prescrizionale ventennale utile all’acquisto della servitù di elettrodotto;
7. d) nel merito, ha di poi accolto il ricorso, ritenendo l’assenza di un titolo, valido ed efficace, idoneo al trasferimento del diritto reale corrispondente al possesso esercitato in via di fatto, nonché la permanenza della situazione di illiceità per l’attuale, incontestata occupazione del terreno da parte dei cavi aerei;
8. d) di conseguenza, ha condannato alla restituzione del suolo occupato, detenuto e trasformato in assenza di un titolo legittimante, previa demolizione dei manufatti ivi realizzati, facendo tuttavia salva la facoltà di acquisire il bene ai sensi dell’art. 42-bis del d.p.r. n. 327 del 2001;
9. e) ha condannato, inoltre, le società resistenti, al risarcimento del danno da occupazione illegittima per l’intero periodo, vale a dire dal momento in cui l’occupazione è divenuta tale e fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie, secondo i criteri e le modalità di calcolo indicate in motivazione;

 

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10. f) infine, ha condannato le società resistenti, in solido tra loro, alla refusione in favore della società ricorrente delle spese di lite, liquidate in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato, ove versato.
11. La sentenza è stata appellata separatamente dalla S.p.a. E-Di. (già En. Di.) con l’appello n. 6976/2020, e dalla S.p.a. Te. – Rete elettrica con l’appello n. 6983/2020.
12. Sono stati articolati motivi di censura sostanzialmente analoghi.
Più nel dettaglio, la sentenza è stata censurata:
1. a) nella parte in cui ha respinto l’eccezione di intervenuto acquisto della servitù di elettrodotto per usucapione, trattandosi – si sostiene – di fattispecie non assimilabile a quella dell’acquisto per usucapione del diritto di proprietà e, dunque, assoggettata ad un diverso (e più favorevole, per le società beneficiarie) termine di decorrenza del periodo prescrizionale utile all’usucapione del diritto reale minore;
2. b) inoltre, nella parte in cui ha rimesso all’Amministrazione competente la scelta se acquisire il bene ovvero restituirlo previa riduzione in pristino, perché l’art. 14 della L.R. Abruzzo n. 83 del 1988 prevede che “(…) Le linee elettriche a tensione uguale o superiore a 130.000 volt, autorizzate ai sensi della presente legge, sono inamovibili fatto salvo il disposto del successivo art. 18, primo comma4. Alle opere dichiarate inamovibili non si applicano le disposizioni di cui al 4° comma dell’art. 122 del T.U. 11.12.1933, n. 1775 (…)”;
3. c) ancora, nella parte in cui, da un lato, ha previsto la facoltà di ricorrere allo strumento autoritativo regolato dall’art. 42-bis del DPR n. 327/2001 con le conseguenze patrimoniali in esso indicate; e, dall’altro lato e contestualmente, ha disposto la condanna delle società resistenti anche al risarcimento del danno da occupazione illegittima, con illegittima duplicazione delle poste risarcitorie;
4. d) ad ogni modo, la sentenza sarebbe errata pure nella parte in cui ha riconosciuto il diritto al risarcimento per l’occupazione illegittima dalla scadenza dell’efficacia del decreto di occupazione d’urgenza (e cioè dal 1976), in violazione dell’art. 2497 c.c. che, in materia di fatto illecito, dispone la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento.

 

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Di conseguenza, a tutto voler concedere, il diritto in parola potrebbe tutt’al più decorrere dai cinque anni antecedenti la proposizione della domanda giudiziale (e dunque dal 26.11.2007), in ragione dell’avvenuta notifica del ricorso davanti al T.a.r. Abruzzo in data 26.11.2012;
5. e) infine, nella parte in cui ha condannato le società intimate con il vincolo della solidarietà passiva, senza tenere conto, per un verso, che l’Autorità competente ad emanare l’atto è il Ministero dello sviluppo economico, e, per un altro verso, che si sarebbero dovute ripartire all’interno le singole responsabilità.
6. La S.n.c. Imolai ha resistito ad entrambi i gravami, instando per la loro reiezione.
7. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive, mediante il deposito di documenti, memorie integrative e di replica.
8. Le cause sono state discusse congiuntamente all’udienza pubblica del 18 marzo 2021 mediante collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 25, d.l. n. 137 del 2020.
9. In primo luogo, va disposta la riunione dell’appello n. 6983 del 2020 a quello preventivamente instaurato n. 6976 del 2020, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 96, comma 1, c.p.a.).
10. Di poi, in ordine logico, va esaminata l’eccezione di intervenuta usucapione della servitù di elettrodotto.
10.1. La tesi sostenuta dalle società appellanti si incentra su due argomentazioni, che sono:
1. a) sul piano fattuale, l’asserita maturazione del periodo prescrizionale ventennale utile all’usucapione, perché l’interversione del possesso sarebbe inequivocabilmente iniziata il 30 giugno 1983 con la messa in funzione dell’elettrodotto;
2. b) sul piano giuridico, la ritenuta non applicabilità alla fattispecie acquisitiva degli iura in re aliena del regime prescrizionale previsto dal d.P.R. n. 327 del 2001 per l’acquisizione del diritto di proprietà.

 

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10.2. L’eccezione non è fondata sotto entrambi i profili.
L’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 disciplina principaliter il fenomeno della fattispecie acquisitiva del diritto di proprietà e prevede che l’Autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.
Il medesimo articolo, al successivo comma 6, disciplina invece la fattispecie particolare della acquisizione degli iura in re aliena, prevedendo che “Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche quando è imposta una servitù e il bene continua a essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale; in tal caso l’autorità amministrativa, con oneri a carico dei soggetti beneficiari, può procedere all’eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio dei soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua o energia”.
Ad avviso della Sezione, il regime della decorrenza del termine utile ad usucapire rientra a pieno titolo nella clausola generale e di salvaguardia rappresentata dal limite della compatibilità, perché:
1. a) l’art. 2935 c.c., rubricato “Decorrenza della prescrizione”, fissa il principio generale secondo cui “La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere” e non distingue, a questo fine, la natura del diritto fatto valere, tanto più, nell’ambito del medesimo genus dei diritti reali, tra quello assoluto di proprietà e quelli minori;
2. b) l’illegittimità della condotta tenuta dall’Amministrazione, consistente nella realizzazione di un’opera pubblica o di interesse pubblico su un bene altrui senza avere prima formalmente concluso la relativa procedura amministrativa, non muta a seconda dell’oggetto di essa, ovverossia a seconda che si tratti di acquisto della proprietà del bene ovvero di imposizione coattiva di servitù, dal momento che l’illecito ha natura permanente e rende il possesso del bene di fatto inidoneo a produrre l’acquisto della proprietà, così come quello degli altri diritti reali minori;
3. c) alla luce dell’attuale quadro giuridico, come ricostruito anche in via esegetica dalle Supreme Corti europee e nazionali, la diversa qualificazione giuridica e contenuto dei diritti reali minori non possono giustificare un diverso trattamento giuridico del “legittimo possesso ad usucapionem”, così di fatto realizzando un effetto giuridico sovrapponibile a quella che un tempo, in relazione al diritto di proprietà, veniva denominata accessione invertita (cfr. da ultimo Adunanze plenarie nn. 2, 4 e 5 del 2020);
4. d) l’ultimo comma del menzionato art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 prevede che “8. Le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore (…)”, anche in questo caso senza distinguere sulla base alla natura del diritto reale oggetto di acquisizione, e con ciò sostanzialmente riaffermando l’identità del regime prescrizionale tra le due fattispecie (per l’aspetto relativo alla decorrenza del termine, cfr. la Plenaria n. 2 del 2016).

 

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10.3. Alla luce delle considerazioni appena illustrate, in definitiva, l’eccezione di usucapione va respinta.
11. Va ora esaminato il motivo di appello che censura la sentenza per non avere escluso, in assoluto, la possibilità di ridurre in pristino il bene del privato in ragione della peculiare natura giuridica della linea elettrica realizzata.
Nella sostanza, le società appellanti sostengono che il primo giudice non avrebbe dovuto accogliere il ricorso, perché l’art. 14 della L.R. Abruzzo n. 83 del 1988 prevede che “(…) Le linee elettriche a tensione uguale o superiore a 130.000 volt, autorizzate ai sensi della presente legge, sono inamovibili fatto salvo il disposto del successivo art. 18, primo comma 4. Alle opere dichiarate inamovibili non si applicano le disposizioni di cui al 4° comma dell’art. 122 del T.U. 11.12.1933, n. 1775 (…)”.
11.1. La censura non può essere accolta per le considerazioni di cui appresso.
Va premesso, in linea generale e di principio, che ai sensi dell’art. 1056 c.c. in materia di passaggio di condutture elettriche “Ogni proprietario è tenuto a dare passaggio per i suoi fondi alle condutture elettriche, in conformità delle leggi in materia”.
Le leggi in materia sono l’art. 119 e ss. del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775; la l. 13 dicembre 1964, n. 1341, prima della sua formale abrogazione avvenuta ad opera della successiva l. 28 giugno 1986, n. 339; e, per l’appunto, quest’ultima legge, recante l’attuale disciplina tecnica.
Per quanto qui di interesse, il regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (in Gazz. Uff., 8 gennaio, n. 5) reca il Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici e all’art. 119 prevede che “Ogni proprietario è tenuto a dar passaggio per i suoi fondi alle condutture elettriche aeree o sotterranee che esegua chi ne abbia ottenuto permanentemente o temporaneamente l’autorizzazione dall’autorità competente”.
Nel successivo art. 122 prevede inoltre che:
“1. L’imposizione della servitù di elettrodotto non determina alcuna perdita di proprietà o di possesso del fondo servente.
2. Le imposte prediali e gli altri pesi inerenti al fondo rimangono in tutto a carico del proprietario di esso.
3. Il proprietario non può in alcun modo diminuire l’uso della servitù o renderlo più incomodo. Del pari l’utente non può fare cosa alcuna che aggravi la servitù.
4. Tuttavia, salvo le diverse pattuizioni che si siano stipulate all’atto della costituzione della servitù, il proprietario ha facoltà di eseguire sul suo fondo qualunque innovazione, costruzione o impianto, ancorché essi obblighino l’esercente dell’elettrodotto a rimuovere o collocare diversamente le condutture e gli appoggi, senza che per ciò sia tenuto ad alcun indennizzo o rimborso a favore dell’esercente medesimo.
5. In tali casi il proprietario, deve offrire all’esercente, in quanto sia possibile, altro luogo adatto all’esercizio della servitù.
6. Il cambiamento di luogo per l’esercizio della servitù può essere parimenti richiesto dall’utente, se questo provi che esso riesce per lui di notevole vantaggio e non di danno al fondo”.
11.2. Alla luce delle menzionate disposizioni, e dunque ancor prima che intervenisse il legislatore regionale, poteva dunque affermarsi il principio della inamovibilità dell’opera in questione, o meglio della sua amovibilità a determinate condizioni.
Il principio della inamovibilità, tuttavia, non esclude affatto l’applicazione della disciplina generale concernente la corresponsione dell’indennità di occupazione e l’obbligo per l’Amministrazione di concludere con un formale provvedimento la procedura amministrativa impositiva della servitù coattiva.

 

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In quest’ottica prospettica, l’oggettiva condizione di inamovibilità dell’opera, lungi dall’escludere l’applicabilità della disciplina in questione, costituisce anzi motivo determinante affinché sia applicato l’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001. Trattasi, infatti, di norma voluta dal legislatore statale per rimediare, principaliter, proprio ai casi in cui, come quello all’esame, al fine di adeguare lo stato di fatto allo stato di diritto, l’unica possibile via legale sia quella di acquisire il diritto reale corrispondente al possesso di fatto esercitato (in questo caso, per l’appunto, il diritto reale minore di servitù di elettrodotto).
11.3. Ad avviso della Sezione, pertanto, sulla base della lettura congiunta delle previsioni codicistiche, di quelle contenute nella legge speciale del 1993, dell’art. 42-bis, comma 6, del d.P.R. n. 327 del 2001 e dei principi euro-unitari in materia, va affermato l’obbligo dell’Amministrazione competente di concludere la procedura, di fatto impositiva di un diritto di servitù, mediante formale provvedimento amministrativo, indipendentemente dal contenuto dell’atto che l’Amministrazione competente vorrà adottare, e cioè di restituzione ovvero di acquisizione.
Ai fini dell’effetto conformativo del giudicato, la Sezione statuisce che l’Amministrazione, nel riesercitare il suo potere discrezionale di emanazione dell’uno o dell’altro dei suddetti atti, valuterà l’oggettiva condizione in cui si trova ad operare la linea elettrica, ponendo particolare attenzione alla sua funzione e all’inserimento nella rete elettrica nazionale, traendone le dovute e conseguenti considerazioni circa l’opportunità o necessità della formale acquisizione del diritto reale minore, anche eventualmente quale unica alternativa legale e di fatto possibile rispetto alla restituzione del fondo con riduzione in pristino, come del resto ha già previsto il legislatore (art. 42-bis, d.P.R. n. 327 del 2001, in particolare i commi 1 e 6).
12. I residui motivi di censura possono essere scrutinati congiuntamente.
13. In primo luogo, occorre svolgere talune precisazioni in relazione al pagamento della indennità.
La disciplina originaria era contenuta nell’art. 123 del regio decreto del 1993 ed era stata dichiarata in parte incostituzionale (con sentenza 30 aprile 1973, n. 46, nella parte in cui prevedeva l’aggiunta del “soprappiù del quinto” alla indennità per servitù di elettrodotto), prima di essere definitivamente abrogata ad opera dell’art. 58 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, a decorrere dal 30 giugno 2002, ai sensi dell’articolo 5 del D.L. 23 novembre 2001, n. 411.
Ad oggi, la norma di riferimento è quella contenuta nell’art. 44 del medesimo testo unico:
1. E’ dovuta una indennità al proprietario del fondo che, dalla esecuzione dell’opera pubblica o di pubblica utilità, sia gravato da una servitù o subisca una permanente diminuzione di valore per la perdita o la ridotta possibilità di esercizio del diritto di proprietà.
2. L’indennità è calcolata senza tenere conto del pregiudizio derivante dalla perdita di una utilità economica cui il proprietario non ha diritto.
3. L’indennità è dovuta anche se il trasferimento della proprietà sia avvenuto per effetto dell’accordo di cessione o nei casi previsti dall’articolo 43.
4. Le disposizioni dei commi precedenti non si applicano per le servitù disciplinate da leggi speciali.

 

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5. Non è dovuta alcuna indennità se la servitù può essere conservata o trasferita senza grave incomodo del fondo dominante o di quello servente. In tal caso l’espropriante, se non effettua direttamente le opere, rimborsa le spese necessarie per la loro esecuzione”.
In mancanza di una specifica disciplina di legge speciale, ad oggi espressamente abrogata, le previsioni di cui all’art. 44 cit. trovano applicazione quale principio generale in materia indennitaria, e si coordinano con quanto previsto dall’art. 42-bis del medesimo testo unico (a questo proposito, il richiamo all’art. 43 del testo unico espropri – dichiarato incostituzionale con sentenza 8 ottobre 2010, n. 293 (in Gazz. Uff., 13 ottobre, n. 41) – va logicamente inteso come effettuato al vigente art. 42-bis cit.).
Ai fini dell’effetto conformativo del giudicato, la Sezione stabilisce che l’Amministrazione, nel procedere ai relativi calcoli, tenga conto oltre che dei criteri indicati nella sentenza di primo grado, altresì della concreta utilizzabilità dell’area ex art. 44, comma 2 cit., e cioè del fatto che l’elettrodotto è stato messo in esercizio dal 30 giugno 1983 e che il permesso di costruire è stato rilasciato successivamente, ossia il 10 febbraio 2011, vale a dire nella perdurante attività dell’elettrodotto medesimo.
14. Occorre di poi svolgere qualche considerazione in tema di risarcimento del danno.
La Sezione condivide in parte qua la prospettazione difensiva articolata negli atti di appello, dal momento che il danno da occupazione illegittima è pacificamente assoggettato ai principi generali in tema di prescrizione dei diritti e va limitato, in difetto di idonei atti interruttivi, al quinquennio che precede la notificazione del ricorso di primo grado.
Pertanto, in tale parte, la sentenza di primo grado va certamente riformata, dovendosi fare riferimento, per la liquidazione del danno da occupazione sine titulo per la perdita del godimento, alle singole annualità di ratei relativi al quinquennio precedente l’ultimo atto interruttivo della prescrizione.
Per incidens, va precisato che per “ricorso di primo grado” deve intendersi quello inizialmente proposto dinanzi al T.a.r. Abruzzo (il ricorso risulta essere stato notificato in data 26 novembre 2007) e non quello successivamente riassunto dinanzi al T.a.r. Lazio per il rilevo nazionale della controversia.
15. Infine, occorre prendere in esame il profilo soggettivo.
15.1. Le società appellanti si dolgono, nella sostanza, di due aspetti:
1. a) il primo riguarda la condanna generica pronunciata a carico della “parte resistente” senza ulteriori precisazioni, dal che parrebbe ipotizzarsi una sorta di condanna sotto il vincolo della solidarietà passiva, per vero testualmente disposta dal giudice di primo grado solo in relazione al pagamento delle spese di lite; inoltre, occorrerebbe considerare che la parte ricorrente ha chiesto la condanna delle società intimate “ciascuna per quanto di ragione”;
2. b) il secondo aspetto concerne, invece, l’esercizio del potere di acquisizione del bene gravato da servitù, che dovrebbe appartenere, secondo le appellanti, al Ministero dello sviluppo economico.
15.2. La Sezione ritiene di dovere prendere le mosse dal dato normativo.
L’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 distingue chiaramente, ai fini dell’emanazione dell’atto formale idoneo a regolarizzare la procedura, tra l’acquisizione del bene in proprietà e l’imposizione della servitù.
Più nel dettaglio, la norma prevede (nell’ipotesi di cui al primo comma) che l’autorità competente ad emanare l’atto di acquisizione sia l’autorità che utilizza il bene immobile per scopi di interesse pubblico; nell’ipotesi di cui al sesto comma, invece, si prescinde dall’effettiva utilizzazione del bene, si rinvia alle norme generali sulla competenza e si stabilisce che “l’autorità amministrativa, con oneri a carico dei soggetti beneficiari, può procedere all’eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio dei soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua o energia.”.
Le società appellanti individuano tale Autorità nel Ministero dello sviluppo economico, non evocato però nel presente giudizio.
15.3. Ai fini della corresponsione delle somme dovute, è rilevante nei rapporti esterni con il privato il riparto delle relative responsabilità e l’eventuale diversa quantificazione degli oneri da porre a carico dei diversi soggetti beneficiari, operazione – questa – che rientra nella competenza discrezionale dell’Autorità emanante il provvedimento definitivo, la quale terrà in conto il fattore “tempo” nella utilizzazione della linea elettrica.
15.4. In definitiva, pertanto, la Sezione statuisce che:
1. a) l’Autorità che ha occupato l’area, o altra Autorità alla quale potrebbero negli anni essere state trasferite le relative competenze, ponga fine e regolarizzi la procedura secondo le previsioni di cui all’art. 42-bis, comma 6, del d.P.R. n. 327 del 2001, ponendo i relativi oneri e spese a carico dei soggetti, pubblici o privati, che ne hanno negli anni concretamente beneficiato, avuto riguardo, tra gli altri, al fattore “tempo” nella utilizzazione della linea (dagli atti di causa risulta che l’En. non ha più utilizzato l’elettrodotto dal 1° gennaio 2009);
2. b) En. Di. e Te. si attivino immediatamente presso la competente Autorità amministrativa, per quanto di rispettiva competenza e nella qualità di soggetti che hanno beneficiato (nel caso di En.) o che continuano ancora oggi a beneficiare (nel caso di Te.) dell’utilizzo della linea elettrica, affinché la stessa Autorità si determini nel senso dell’acquisizione dell’area, ovvero della sua restituzione con riduzione in pristino;
3. c) le indennità e i risarcimenti spettanti fino al giorno della comunicazione della presente sentenza all’Autorità competente, saranno ad esclusivo carico di En. Di. e Te. secondo il criterio di riparto che stabilirà l’Amministrazione competente nell’esercizio della sua discrezionalità, avuto riguardo, tra gli altri elementi, al fattore “tempo” nella utilizzazione della linea elettrica, senza vincolo di solidarietà passiva;

 

Espropriazione per pubblica utilità e valore venale del bene

4. d) dal giorno della comunicazione della presente sentenza all’Autorità competente e fino all’emanazione dell’atto definitivo che porrà fine alla permanenza dell’illecito risponderà solidalmente, in aggiunta ad En. Di. e Te., per quanto di loro rispettiva competenza, anche l’Autorità competente qualora la stessa non si attivasse immediatamente per porre fine alla permanenza dell’illecito. La responsabilità di Autorità, infatti, è personale e diretta e si aggiunge a quella dei soggetti finora responsabili in quanto soggetti beneficiari, perché dal giorno della comunicazione l’Autorità competente è resa edotta della necessità, legalmente prevista, di regolarizzare la procedura amministrativa secondo “debita form? (art. 42-bis, d.P.R. n. 327/2001, e soprattutto il comma 6).
5. In conclusione ed in sintesi:
6. a) gli appelli vanno accolti in parte e, di conseguenza, la sentenza impugnata va riformata nella parte in cui ha posto a carico diretto delle società intimate l’emanazione del provvedimento definitivo e il pagamento delle somme dovute, mentre va confermata per il resto;
7. b) ai fini dell’effetto conformativo del giudicato, le Amministrazioni e gli altri soggetti coinvolti sono tenuti ad osservare le modalità illustrate nei capi che precedono;
8. c) le spese del doppio grado sono compensate in considerazione della complessità delle questioni trattate e della parziale reciproca soccombenza;
9. d) ciascuna parte è tenuta a sopportare, in via definitiva, il pagamento del contributo unificato anticipato per l’instaurazione del grado, ciascuna per quanto di rispettiva competenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sugli appelli n. 6976 del 2020 e 6983 del 2020, come in epigrafe proposti:
1. a) riunisce gli appelli di cui in epigrafe;
2. b) accoglie in parte gli appelli e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, statuisce nei sensi di cui in motivazione;
3. c) compensa le spese del doppio grado;
4. d) pone in via definitiva il pagamento del contributo unificato anticipato per l’instaurazione del grado a carico di ciascuna parte per quanto di rispettiva competenza.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 marzo 2021 – svoltasi mediante collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25, del d.l. n. 137 del 2020 – con l’intervento dei magistrati:
Roberto Giovagnoli – Presidente
Daniela Di Carlo – Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Michele Pizzi – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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