Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 18 dicembre 2018, n. 56971.
La massima estrapolata:
Integra il reato di esercizio abusivo della professione l’attivita’ di colui che curi la gestione dei servizi e degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale, occupandosi, in particolare, della compilazione della busta paga per conto di numerose aziende, in mancanza del titolo di consulente del lavoro e dell’iscrizione al relativo albo professionale.
Integri il reato previsto dall’articolo 348 c.p., l’attivita’ di colui che, non munito di abilitazione professionale, provveda, con autonomia decisionale, alla compilazione dei modelli per l’INPS e alla gestione dei rapporti lavorativi con i dipendenti di una ditta
Sentenza 18 dicembre 2018, n. 56971
Data udienza 8 maggio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VILLONI Orlando – Presidente
Dott. MOGINI Stefano – Consigliere
Dott. COSTANTINI Antonio – Consigliere
Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere
Dott. SILVESTRI Pietro – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Ancona il 14/09/2017;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Pietro Silvestri;
udito il Sostituto Procuratore Generale, dott. Giovanni Di Leo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore delle parti civili, (OMISSIS), (OMISSIS) e Ordine dei Consulenti del lavoro della Provincia di (OMISSIS), avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore dell’imputato, avv. (OMISSIS), che ha concluso insistendo sui motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) per i reati di cui al capo A), commessi fino al 14/03/2009, perche’ estinti per prescrizione ed ha rideterminato la pena per i residui delitti.
(OMISSIS) era stato tratto a giudizio per i reati di:
– truffa ed appropriazione indebita perche’, in qualita’ di consulente del lavoro – con l’incarico di tenere le contabilita’ del personale dipendente di alcune societa’- con artifici e raggiri, consistiti nel presentarsi mensilmente presso le sedi delle imprese, sostenendo di avere la necessita’ di pagare per loro conto le tasse ed i contributi previdenziali per importi da lui stesso indicati di volta in volta – quando in realta’ i debiti verso gli enti previdenziali erano inferiori e comunque a partire dall’aprile del 2007, venivano soddisfatti mediante addebito direttamente sul conto corrente della societa’-, avrebbe indotto in errore gli amministratori in ordine alla esistenza dei debiti predetti ed al loro importo, si sarebbe procurato l’ingiusto profitto consistito nella disponibilita’ degli assegni ricevuti e si sarebbe infine appropriato delle somme incassate, utilizzandole indebitamente per fini personali e comunque omettendo di versarle ai creditori;
– esercizio abusivo della professione per avere svolto la professione di consulente del lavoro durante il periodo di sospensione dall’esercizio della professione, disposto per sei mesi a decorrere dal 23/11/2009, in forza di un provvedimento disciplinare del 30/10/2009 e notificato il 19/11/2009, effettuando numerosi atti propri della professione di consulente.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione.
La sentenza sarebbe viziata per violazione dell’articolo 601 c.p.p., comma 3, non essendo stato rispettato il termine a comparire a seguito della notificazione della citazione per il giudizio di appello.
2.2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine ai reati previsti dagli articoli 640 – 646 c.p..
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge, in relazione all’articolo 348 c.p., ed alla L. 11 gennaio 1979, n. 12, e vizio di motivazione.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della circostanze attenuanti generiche, essendosi la Corte limitata ad affermare che l’imputato, nonostante l’incensuratezza, avrebbe dimostrato una non comune protervia delinquenziale.
3. Il 26/04/2018 e’ pervenuta una comparsa di costituzione del nuovo difensore della costituita parte civile, Ordine dei consulenti del lavoro della provincia di (OMISSIS).
4. Il 07/05/2018 sono pervenute due memorie da parte delle costituite parti civili con le quali si argomenta sui motivi di ricorso proposti dall’imputato, chiedendone la inammissibilita’.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
2. Infondato e’ il primo motivo di ricorso, relativo alla violazione dell’articolo 601 c.p.p., comma 3.
Secondo il ricorrente, all’udienza dell’1/06/2017, celebrata davanti alla Corte di appello, l’imputato non comparve ed il difensore eccepi’ la violazione del termine a comparire; la Corte, sull’accordo delle parti, rinvio’ il processo all’udienza del 14/09/2017 disponendo la rinnovazione della notifica relativa alla fissazione della nuova udienza.
All’udienza del 14/09/2017, l’imputato non comparve e la difesa eccepi’ nuovamente la tardivita’ della notifica, avvenuta solo il 27/07/2017; nell’occasione, tuttavia, la Corte rigetto’ l’eccezione assumendo che l’avviso orale dato alla precedente udienza dovesse considerarsi sufficiente e non vi sarebbe stata dunque la necessita’ di una “nuova” notifica.
Sostiene il ricorrente che la Corte di appello, nel non disporre la nuova rinnovazione della notifica, avrebbe violato l’articolo 601 c.p.p., comma 3, con conseguente nullita’, tempestivamente eccepita, dell’udienza e della sentenza: la Corte, si afferma, non avrebbe potuto dichiarare la contumacia e procedere alla trattazione del processo.
3. L’assunto difensivo e’ infondato per piu’ ragioni.
Dagli atti emerge che all’udienza dell’01/06/2017, al momento in cui la Corte di appello rinvio’ il processo e concesse nuovamente il termine a comparire previsto dall’articolo 601 c.p.p., comma 3, era presente il difensore dell’imputato.
La Corte di cassazione ha piu’ volte affermato che nell’ipotesi in cui all’imputato sia stato regolarmente notificato il decreto di citazione per il giudizio di appello, ma non sia stato osservato il termine dilatorio per comparire di cui all’articolo 601 c.p.p., nessuna nullita’ si verifica ove il giudice, alla presenza del difensore, rinvii preliminarmente il processo ad altra udienza, concedendo per intero un nuovo termine di venti giorni, senza disporre la notificazione dell’ordinanza di rinvio all’imputato assente, in quanto l’avviso orale della successiva udienza rivolto al difensore vale anche come comunicazione all’interessato (Sez. 6, n. 3366 del 20/12/2017, dep. 2018, T., Rv. 272141; Sez. 4, n. 45758 del 15/04/2016, Sbarro, Rvf. 268125; Sez. 2, n. 52599 del 04/12/2014, Chines, Rv, 261630).
Dunque, la Corte di appello, all’udienza dell’01/06/2017, riconcesso il termine a comparire previsto dall’articolo 601 c.p.p., comma 3, non avrebbe dovuto procedere ad una nuova notificazione al fine di fare conoscere all’imputato la data della nuova udienza, in quanto la lettura del provvedimento, compiuta alla presenza del difensore dell’imputato, sostituiva, ai sensi dell’articolo 148 c.p.p., comma 5, la notificazione.
Ne deriva che all’udienza del 14/09/2017 nessuna violazione del termine a comparire era configurabile e la Corte di merito ha correttamente proceduto alla trattazione del processo, in assenza dell’imputato.
Sotto altro profilo, il motivo di ricorso e’ generico non essendo stato indicato, al di la’ del profilo formale, quale concreta lesione o pregiudizio siano stati subiti dal ricorrente.
La Corte di cassazione ha in piu’ occasioni affermato che quando una violazione processuale non determina, in concreto, alcun pregiudizio ai diritti di difesa, deve escludersi che la eventuale nullita’ possa estendersi anche agli atti successivi, ai sensi dell’articolo 185 c.p.p., in quanto tale effetto si produce solo quando sia stato effettivamente condizionato il compimento degli atti che sono conseguenza necessaria ed imprescindibile di quello nullo e non degli atti che si pongono semplicemente in obbligata sequenza temporale con quest’ultimo (Sez. 6, n. 33261 del 03/06/2016, Lombardo, Rv. 267670).
Nel caso di specie, il termine per comparire previsto dall’articolo 601 c.p.p., comma 3, e’ stato concesso e goduto per intero piu’ volte e nessuna lesione o pregiudizio e’ stato anche solo prospettato dal ricorrente.
Ne discende la infondatezza del motivo di ricorso.
3. Inammissibile e’ il secondo motivo di ricorso.
Secondo il ricorrente, la sentenza sarebbe viziata nella parte in cui ha ritenuto provata la responsabilita’ per il capo a) della imputazione; la Corte di appello avrebbe assertivamente affermato l’esistenza dei reati senza argomentare sulla configurabilita’ degli elementi costitutivi; si sostiene, invece, che il reato non sarebbe stato consumato per la grossolanita’ e/o inverosimiglianza degli artifici e dei raggiri, che non avrebbero avuto attitudine decettiva, anche in considerazione della negligenza delle persone offese addette ai controlli ed alla necessarie verifiche.
Diversamente da quanto affermato dal ricorrente, la Corte di appello ha invece spiegato in modo logico e privo di contraddizioni quale fosse il modo seriale con cui l’imputato operasse, quale l’idoneita’ decettiva della condotta, quali gli innumerevoli elementi di riscontro alle dichiarazioni attendibili delle persone offese, le ragioni per le quali la condotta, eventualmente colposa delle persone offese, non avrebbe potuto rendere penalmente irrilevante il comportamento dell’imputato (pagg. 24 e ss. sentenza di appello).
A fronte di tale quadro di riferimento, il ricorrente si e’ limitato a riproporre le stesse argomentazioni sottoposte alla cognizione della Corte di appello, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza.
La Corte di cassazione ha costantemente affermato che la funzione tipica dell’impugnazione e’ quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si esplica attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilita’ (articoli 581 e 591 c.p.p.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione e’ infatti il confronto puntuale (cioe’ con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.
Ne consegue che se il motivo di ricorso si limita, come nel caso di specie, ad affermazioni generiche, esso non e’ conforme alla funzione per la quale e’ previsto e ammesso, cioe’ la critica argomentata al provvedimento, posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento formalmente “attaccato”, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, e’ di fatto del tutto ignorato.
4. Infondato e’ anche il terzo motivo di ricorso, inerente la rilevanza penale dell’attivita’ compiuta dall’imputato e la sua riconducibilita’ alla fattispecie di cui all’articolo 348 c.p..
Si sostiene che gli atti riservati dalla legge al consulente del lavoro sarebbero tipizzati e in essi non vi rientrerebbero quelli ascritti all’imputato; gli atti compiuti da (OMISSIS) non sarebbero riconducibili nemmeno a quelli “liberi” e “caratteristici”, che pur non attribuiti in via esclusiva ad una determinata professione, “siano comunque univocamente individuabili come di competenza specifica di questa” (cosi’ testualmente il ricorso), non ricorrendo nella specie i requisiti di continuita’, di onerosita’ e di organizzazione tali da far apparire come effettivo l’esercizio dell’attivita’ da parte del soggetto agente: sul punto la sentenza sarebbe silente.
Si contesta, sotto altro profilo, la qualificazione del reato contestato al capo b) come reato abituale, mai affermata dal primo giudice e mai oggetto di gravame.
4.1. Quanto alla rilevanza penale dell’attivita’ compiuta dall’imputato, dalla sentenza impugnata emerge che, nonostante la sospensione dall’esercizio della professione-adottata da Consiglio provinciale dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Pesaro e Urbino – l’imputato continuo’ a svolgere la propria attivita’: a) occupandosi della redazione delle buste paga dei dipendenti delle imprese cui forniva assistenza; b) assistendo le imprese in questione per l’attivita’ istruttoria per la Cassa integrazione guadagni; c) utilizzando le proprie credenziali per l’invio di dichiarazioni telematiche all’INPS; d) sottoscrivendo, in qualita’ di consulente del lavoro, il verbale redatto all’esito di una attivita’ ispettiva in una delle imprese assistite; e) occupandosi dei verbali redatti dall’Ispettorato del lavoro.
I giudici di merito hanno fatto, quindi, corretta applicazione del principio secondo cui integra il reato di esercizio abusivo della professione l’attivita’ di colui che curi la gestione dei servizi e degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale, occupandosi, in particolare, della compilazione della busta paga per conto di numerose aziende, in mancanza del titolo di consulente del lavoro e dell’iscrizione al relativo albo professionale (Sez. 6, n. 9725 del 21/02/2013, Trovanelli, Rv. 254591; Sez. 6, n. 14354 del 02/11/1999, Rosini, Rv. 216827).
Si e’ chiarito, in particolare, come integri il reato previsto dall’articolo 348 c.p., l’attivita’ di colui che, non munito di abilitazione professionale, provveda, con autonomia decisionale, alla compilazione dei modelli per l’INPS e alla gestione dei rapporti lavorativi con i dipendenti di una ditta (Sez. 6, n. 6887 del 23/01/2007, Monfanetti, Rv. 235555).
Ne discende, gia’ sotto tale profilo, l’infondatezza del motivo di ricorso.
Il motivo e’ infondato, al limite della inammissibilita’ per carenza di interesse, anche in relazione all’ulteriore profilo in esso contenuto, relativo alla natura del reato contestato, atteso che, prescindendo dalla natura eventualmente abituale o meno del delitto in esame, la Corte di appello, nel rideterminare la pena, ha operato, per il reato di cui al capo b), un unico aumento di pena a titolo di continuazione, peraltro in misura inferiore rispetto a quello determinato dal primo Giudice.
5. Inammissibile per manifesta infondatezza e’ il quarto motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte fatto riferimento, con motivazione ineccepibile, ad una serie di elementi, che, nonostante, l’incensuratezza hanno logicamente indotto a non riconoscere le circostanze attenuanti generiche.
6. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
Al rigetto del ricorso consegue anche la condanna alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudizio in favore delle costituite parte civili, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado dalla parte civile Ordine dei Consulenti del lavoro della Provincia di Pesare ed Urbino, che liquida nella misura di Euro 3.500 oltre a spese generali nella misura del 15% IVA e CPA.
Condanna inoltre il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 4.200, oltre a spese generali nella misura del 15% IVA e CPA.
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