Esclusione dal diritto di accesso

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 27 novembre 2019, n. 8106.

La massima estrapolata:

L’esclusione dal diritto di accesso, a norma dell’art. 24 comma 1 lett. a) della l. n. 241 del 1990, è contemplata non solo per i documenti coperti dal segreto di Stato, ma anche in tutti i casi in cui sussista un “divieto di divulgazione” previsto da norme di legge o di regolamento; tra questi vanno pertanto compresi anche i documenti che sono coperti dalla classifica di “riservato”.

Sentenza 27 novembre 2019, n. 8106

Data udienza 10 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10309 del 2018, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, via (…);
contro
il signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ac., Lo. Ac. e Lu. Ga., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. -OMISSIS-.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del sig. -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2019 il cons. Silvia Martino;
Uditi per le parti rispettivamente rappresentate, l’avvocato Lu. Ga. e l’avvocato dello Stato Lu. Ve.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto, ex art. 116 c.p.a., innanzi al TAR per il Lazio, l’odierno appellato evidenziava di essere stato inquadrato nel ruolo unico del -OMISSIS-, con la qualifica “quasi apicale” di Dirigente di seconda fascia, liv. A, e l’incarico di Direttore di Divisione, e di essere stato oggetto, in data 6.10.2015, dopo 22 anni presso tali organismi di sicurezza e a soli due anni dal pensionamento, di provvedimento di rientro nell’amministrazione di provenienza, nella specie la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Tale atto era peraltro stato avversato innanzi allo stesso TAR, che aveva definito l’impugnativa con sentenza di rigetto n. -OMISSIS-, pur essa appellata innanzi a questo Consiglio (R.G. n. -OMISSIS-).
Egli evidenziava anche che, nelle more, ai fini del suddetto “rientro”, era stato inquadrato con decreto del Segretario Generale della P.C.M. del 3.12.2015, nelle cui premesse era richiamato quanto disposto dal d.P.C.M. 23.3.2011, n. 1, in particolare dai relativi artt. 32, comma 4, e 35, comma 2.
Il ricorrente rappresentava altresì che, nel giudizio avanti al Consiglio di Stato, le amministrazioni ivi costituite avevano depositato, tra altra documentazione, copia di alcuni articoli del suddetto d.P.C.M. n. 1/2011, tra cui quella dell’art. 32 ma limitata ai soli commi 1 e 3, nonché copia dell’art. 13 del d.P.C.M. n. 5/2012, modificativo del precedente, limitata ai soli commi 1 e 2 che modificavano rispettivamente i suddetti commi 1 e 3.
Egli evidenziava quindi la necessità di accedere agli artt. 32 e 35 in forma integrale, al fine di verificare la correttezza della ricostruzione della propria carriera come effettuata al suo “rientro”, anche sulla base dei richiamati commi 4 dell’art. 32 e 2 dell’art. 35, riconducibili alla previsione generale di cui all’art. 21, comma 2, lett. m), l. n. 124/2007, secondo il contenuto del decreto del Segretario Generale della P.C.M.
Al riguardo, rappresentava di aver rivolto, ai sensi dell’art. 24 Cost. e degli artt. 22 e 23 l. n. 241/90, specifica istanza motivata di accesso documentale alla P.C.M. e al -OMISSIS- in data 8.5.2018, ma di averne ricevuto riscontro negativo con il provvedimento impugnato, in cui era negato l’accesso ritenendo la documentazione non ostensibile in ragione della classifica di segretezza riportata e alla luce del fatto che l’interessato non risultava più munito del “nulla osta” di sicurezza.
Il ricorrente faceva però osservare che doveva considerarsi preponderante il suo diritto di difesa, ex art. 24 Cost., e comunque il suo interesse giuridico a verificare la corretta ricostruzione della carriera come operata, per la quale era indispensabile conoscere integralmente le norme applicate e richiamate nel suddetto decreto del Segretario Generale della P.C.M., anche solo mediante visione delle norme in questione.
In aggiunta lamentava violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 42 della l. n. 124/2007 e dell’art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, oltre a diverse forme di eccesso di potere, in quanto non poteva essere invocato alcun “segreto di Stato” sulla documentazione richiesta, ai sensi della normativa in questione, dato che essa riguardava la ricostruzione di carriera del dipendente e non certo l’integrità della Repubblica, la difesa delle istituzioni e l’indipendenza dello Stato, unici presupposti validi per negare astrattamente qualsiasi forma di ostensione per “segreto di Stato”, considerando anche che, in altra occasione, gli era stata consentita la visione di documentazione con la classifica di “riservato” anche dopo la revoca del “nulla osta” di sicurezza invece invocata nella presente fattispecie.
Le amministrazioni intimate non si costituivano in giudizio.
2. Il TAR del Lazio accoglieva il ricorso, e ordinava alla Presidenza del Consiglio di consentire al ricorrente l’accesso, sia pure nella sola forma della “visione” degli 32 e 35 del d.P.C.M. del 23 marzo 2011 n. 1, come modificato dal d.P.C.M. n. 5/2002 – con particolare riferimento al comma 4 dell’art. 32 e al comma 2 dell’art. 35 – in forma integrale e nel testo vigente alla data del 16.10.2015.
Al riguardo il primo giudice osservava che, anche nelle ipotesi di esclusione del diritto di accesso, indicate all’art. 24, commi 1, lett. a), 5 e 6, lett. a) e c), della l. n. 241/90, lo stesso art. 24, al successivo comma 7, prevede che comunque l’accesso debba essere garantito per i documenti la cui conoscenza è necessaria per curare o per difendere gli interessi giuridici dei richiedenti.
In tal senso richiamava le decisioni dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, del 18 aprile 2006, n. 6 e n. 7, che hanno qualificato il “diritto di accesso” come una situazione soggettiva che, più che fornire utilità finali (caratteristica da riconoscere non solo ai diritti soggettivi ma anche agli interessi legittimi), risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante, anche al fine di verificare l’incidenza meramente potenziale del documento richiesto in ostensione.
Nel caso di specie, la situazione di “reinquadramento” del ricorrente, disposto dall’amministrazione al momento del suo rientro nell’organico della P.C.M., integrava il prescritto interesse diretto, concreto, attuale alla verifica della correttezza dell’operato della p.a. incidente su situazione giuridica soggettiva dell’interessato.
Sussisteva, inoltre, anche un nesso di stretta dipendenza tra interesse dedotto in giudizio e documenti richiesti idoneo a legittimare la invocata ostensione, risultando tali documenti un mezzo necessario – o perlomeno utile – per la difesa dell’interesse giuridicamente rilevante rappresentato dall’interessato.
Tale esigenze potevano essere soddisfatte solo attraverso la conoscenza degli specifici documenti richiesti poiché il provvedimento adottato dalla P.C.M. nei confronti del ricorrente faceva espressa applicazione delle disposizioni cui era riferita la richiesta di accesso.
Inoltre, attesa la natura di atto a contenuto generale del decreto in questione, era ragionevole ritenere – anche in assenza di specifiche deduzioni contrarie da parte della P.C.M. – che non potesse invocarsi in merito ad esse alcun “segreto di Stato” ai sensi degli artt. 39 e 42 l.n. 124/2007 e dell’art. 24, comma 7, l. n. 241/90;
3. La sentenza è stata appellata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri la quale ha dedotto la: Violazione dell’art. 42, l. n. 124/2017 e dell’art. 24, comma 1, lett. a) l. n. 241/90, nonché del d.P.C.M. n. 7 del 12 giugno 2009 e del combinato disposto degli artt. 1, comma 2, e 4, comma 3, lett. l. della detta legge n. 124/2007 nonché del d.P.C.M. 6 novembre 2015, così come da ultimo integrato e modificato dal d.P.C.M. 2 ottobre 2017, n. 3.
L’amministrazione ha sostenuto che la vicenda in esame potrebbe recare un gravissimo vulnus al sistema approntato dall’ordinamento nazionale per la tutela amministrativa delle informazioni classificate, facente capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Le classifiche di segretezza traggono la loro fonte normativa primaria dall’art. 42 della l. n. 124/2007 il cui comma 1 prevede che esse siano “attribuite per circoscrivere la conoscenza di informazioni, documenti, atti, attività o cose ai soli soggetti che abbiano necessità di accedervi e siano a ciò abilitati in ragione delle proprie funzioni istituzionali”.
In attuazione del combinato disposto degli articoli 1, comma 3, e 4, comma 3, lett. l) della l. n. 124/2007 è stato emanato il d.P.C.M. 6 novembre 2015, n. 5, da ultimo integrato e modificato dal d.P.C.M. 2 ottobre 2017, n. 3.
Alla stregua di tali disposizioni, in particolare, compete all’autorità che detiene l’informazione valutare, nei casi di richiesta di accesso proposta oltre i termini di declassifica automatica previsti dai commi 5 e 6 della l. n. 124/2007, se dichiarare l’avvenuta declassifica o prorogare l’efficacia del vincolo.
L’art. 42, comma 8, della medesima legge ha poi previsto che sia l’autorità giudiziaria ad ordinare l’esibizione di documenti classificati per i quali non sia opposto il segreto di stato.
In tale ipotesi, gli atti sono consegnati all’a.g. richiedente che ne cura la conservazione con modalità che ne tutelino la riservatezza, garantendo il diritto delle parti nel procedimento di prenderne visione senza estrarne copia.
Nello stesso senso dispone peraltro anche l’art 24, comma 1, lett. a) della l. n. 241/90 che esclude il diritto di accesso nei casi di “segreto o divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge”.
La tesi propugnata dall’amministrazione è quindi che l’esercizio dei diritti di difesa e la garanzia di un processo equo, possano essere soddisfatti nell’ambito di un giudizio già instaurato attraverso la conoscenza, in giudizio, delle informazioni stesse, sia pure con le cautele previste per la tutela dei documenti classificati.
L’amministrazione paventa che l’ampiezza che il legislatore ha conferito al diritto di accesso, esporrebbe l’informazione classificata alla potenziale conoscibilità in via amministrativa da parte di chiunque prospetti l’esigenza di tutelare la propria sfera di interessi giuridici, indipendentemente dall’attivazione di uno strumento giurisdizionale.
L’amministrazione conserva quindi piena autonomia nell’accogliere o meno una richiesta di accesso ad atti classificati.
In particolare, il provvedimento di rigetto sarebbe superabile solo dall’ordine del giudice, nell’ambito di un contenzioso già instaurato.
4. Si è costituito, per resistere, il -OMISSIS-, il quale ha dedotto, primo luogo, l’inammissibilità del richiamo contenuto nell’atto di appello ai decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 7/2009, 5/2015 e 3/2017, sia perché tali atti non sono stati richiamati dal provvedimento impugnato, sia perché, in primo grado, l’amministrazione non ha ritenuto di costituirsi in giudizio.
Nel merito ha poi fatto osservare che non è in discussione il rapporto di diretta dipendenza tra gli articoli 32 e 35 del d.P.C.M del 30 marzo 2011, n. 1 e la ricostruzione della carriera dell’appellante, considerato che il provvedimento di reinquadramento opera una espresso riferimento a tali disposizioni.
Ha poi precisato che l’accesso in esame attiene a documenti classificati che, però, non sono soggetti a segreto di Stato.
Si tratta infatti di norme attinenti alla ricostruzione della carriera di un -OMISSIS-, la cui conoscenza non appare idonea a porre in pericolo l’integrità della Repubblica ovvero a recare danno alle Istituzioni e alla indipendenza dello Stato.
Inoltre, ai sensi dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241/90, deve comunque essere garantito l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici (cfr. Cons. Stato, parere n. 2226 del 2014).
Quanto, poi, all’interpretazione dell’art. 42, comma 8, della l. n. 124 del 2007, proposta dall’amministrazione, ha sostenuto che tale disposizione, pur affidando all’autorità giudiziaria la verifica della necessità del documento per fini difensivi, non richieda la previa instaurazione di un giudizio di merito.
In via subordinata, ha poi formulato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, commi 1, 1 – bis e 8, della l. n. 124/2007, per violazione degli articoli 24 e 111 Cost.
Ha infine evidenziato che, se la documentazione di cui si verte è classificata come riservata, allora, ai fini del suo esame, non è necessario il NOS, previsto invece per le informazioni classificate come “segreto”, “segretissimo” e “riservatissimo”.
5. In data 15 aprile 2019, l’appellato ha depositato il provvedimento del 27 marzo 2019, con cui gli è stato rilasciato il NOS di livello “Segreto/Nato – UE”.
Egli ha depositato, altresì, una memoria conclusionale, in vista della camera di consiglio del 10 ottobre 2019, alla quale l’appello è stato trattenuto per la decisione.
6. L’appello è fondato.
Al riguardo, occorre premettere che, come già da tempo statuito da questo Consiglio di Stato, l’esclusione dal diritto di accesso, a norma dell’art. 24 comma 1 lett. a) della l. n. 241 del 1990, è contemplata non solo per i documenti coperti dal segreto di Stato, ma anche in tutti i casi in cui sussista un “divieto di divulgazione” previsto da norme di legge o di regolamento.
Tra questi vanno pertanto compresi anche i documenti che sono coperti dalla classifica di “riservato”.
Ne deriva che, nel caso di specie, è irrilevante che i decreti oggetto di istanza di accesso siano soltanto “riservati” giacché anche tale classifica ne comporta la sussunzione nell’ambito dei casi di esclusione del diritto di accesso previsti dall’art. 24, comma 1, della l. n. 241/90.
7. Relativamente al coordinamento tra l’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990 e l’art. 42, commi 1 e 8, della l. n. 124 del 2007, esaustive indicazioni sono state fornite in sede consultiva con il parere della Sezione I, n. 1226 del 2014 dell’1.7.2014 (richiamato anche dall’odierno appellato), le quali possono essere così sintetizzate.
7.1. L’art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241, pur escludendo dal diritto di accesso i documenti coperti da classifica di segretezza o di vietata divulgazione (comma 1, lettera a), prevede che debba essere comunque garantito l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici (comma 7).
Ulteriori prescrizioni nella specifica materia sono dettate dall’art. 42, comma 8, della legge 3 agosto 2007, n. 124, che disciplina le modalità di esibizione dei documenti classificati, per i quali non sia stato opposto il segreto di Stato
Precisamente, la norma dispone che “Qualora l’autorità giudiziaria ordini l’esibizione di documenti classificati per i quali non sia opposto il segreto di Stato, gli atti sono consegnati all’autorità giudiziaria richiedente, che ne cura la conservazione con modalità che ne tutelino la riservatezza, garantendo il diritto delle parti nel procedimento a prenderne visione senza estrarne copia”.
In particolare, la disposizione da un lato ribadisce il diritto di accesso ai fini della difesa in giudizio, dall’altro ne circoscrive le modalità di esercizio, consentendo la sola visione dei documenti classificati a chi ne abbia interesse per motivi di difesa, senza che sia possibile estrarne copia.
La norma richiede inoltre una specifica valutazione da parte dell’Autorità giurisdizionale in ordine all’essenzialità di tale ostensione ai fini dell’esercizio del diritto di difesa.
La Sezione consultiva ha ricordato anche che, affinché la tutela giurisdizionale sia effettiva e concreta il diritto di azione non è suscettibile di limitazioni, né formali, né sostanziali, a meno che esse non siano volte ad attuare altri principi o interessi di rango costituzionale.
Sotto tale profilo ha ricordato che la Corte costituzionale “ha ritenuto che, quando la legge dispone in materia di interessi, circoscrivendone più o meno ampiamente la sfera, non comprime la garanzia costituzionale di cui all’art. 24 Cost., ma si limita a porre una certa disciplina di un certo rapporto, in ordine al quale la tutela giurisdizionale resta libera e impregiudicata (Corte cost. n. 8/1962)”. La Consulta ha, poi, escluso che vincoli derivanti da valutazioni compiute da organi amministrativi possano condizionare la libertà di apprezzamento del giudice sul punto centrale della controversia e, quindi, compromettere la possibilità per le parti di far valere i propri diritti dinnanzi all’Autorità giudiziaria con i mezzi offerti in generale dall’ordinamento giuridico (Corte cost. n. 70/1961)”.
La Sezione ha poi osservato che “l’Amministrazione, ferma restando l’autonomia decisionale correlata all’esercizio della potestà discrezionale, non può negare in via assoluta l’ostensione della documentazione classificata, prodotta o comunque detenuta per ragioni inerenti le proprie funzioni istituzionali, né tantomeno non ottemperare all’ordine del giudice di rendere disponibile tale documentazione, laddove l’accesso si renda necessario per difendere interessi giuridici di chi ne abbia legittimamente titolo”.
In tale ottica, “l’art. 42, della legge n. 124 del 2007, nel ridisciplinare l’attribuzione delle classifiche di segretezza, che sono volte a circoscrivere la conoscenza di informazioni, documenti, atti, attività o cose ai soli soggetti che abbiano necessità di accedervi in ragione delle proprie funzioni istituzionali, non ha soppresso la disciplina dell’accesso difensivo, dettata dall’art. 24 della legge n. 241 del 1990, semmai l’ha presupposta ed integrata, attribuendo all’Autorità giudiziaria che dispone l’accesso un ruolo attivo, a garanzia del corretto equilibrio tra esigenze di riservatezza e legittime istanze difensive”.
Una lettura coordinata delle richiamate disposizioni induce pertanto a concludere nel senso che il diritto di accesso prevale sulle esigenze di riservatezza soltanto nel caso in cui sia effettivamente indispensabile per l’utilizzo difensivo, costituendo il diritto alla tutela giurisdizionale uno dei principi cardine dell’ordinamento costituzionale.
Il punto di equilibrio individuato dal legislatore tra il diritto di accesso e gli interessi tutelati dalle norme in materia di segreto di Stato, è stato, quindi, quello di affidare direttamente all’Autorità giurisdizionale la valutazione circa la necessità dell’ostensione del documento.
Diversamente opinando, l'”essenzialità ” del documento riservato ai fini dell’esercizio del diritto di difesa, verrebbe rimessa alla sola prospettazione di parte e finirebbe con l’assimilare i casi in cui il diritto di accesso è ordinariamente escluso, a quelli in cui è generalmente consentito.
Se in questi ultimi, infatti, è sufficiente che l’istante sia in grado di dimostrare all’amministrazione di avere un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, collegata al documento al quale è chiesto l’accesso, al contrario, nelle ipotesi di “segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge” l’art. 42, comma 8, della l. n. 124 del 2007, affida al giudice il compito di valutare la necessità di ostensione, mediante la modalità della sola visione. Va, altresì, rilevato che tale ultima disposizione, nel regolare il quomodo dell’accesso ai documenti coperti da segreto o da divieto di divulgazione ed i relativi stringenti limiti, postula una specifica, peculiare e rafforzata considerazione da parte del legislatore dei rilevanti interessi pubblici, anche di rilievo costituzionale, connessi alla protezione di tali atti, considerazione che – nell’ambito di una necessaria esegesi sistematica delle diverse norme dell’ordinamento – non può non essere valorizzata anche ai fini dell’interpretazione dell’art. 24, comma 7. l. n. 241/1990 laddove venga in considerazione l’accesso per ragioni di difesa a tali tipologie di documenti, nel senso che tali esigenze di difesa non devono essere semplicemente prospettate in termini generici, bensì puntualmente individuate e comprovate. Solo tale puntuale indicazione e prova consente, infatti, all’Autorità giudiziaria di valutare con precisione l’effettiva indispensabilità dell’accesso e la misura dell’accesso assentibile rispetto alle esigenze di difesa fatte valere.
Così, nel caso in esame, il -OMISSIS-. ha indubbiamente l’interesse – in quanto destinatario di un provvedimento di ricostruzione di carriera – a conoscere integralmente le disposizioni regolamentari che regolano la fattispecie.
Trattandosi però di documenti classificati per cui vige un espresso divieto di divulgazione, egli avrebbe dovuto quantomeno allegare e comprovare una lesione concreta del proprio status per modo da consentire al giudice di effettuare il “bilanciamento” prescritto e quindi di apprezzare il rapporto di essenzialità tra il documento classificato e l’esercizio del diritto di difesa.
Nella propria istanza di accesso egli si è invece limitato a rappresentare la generica finalità di valutare la necessità di “eventuali azioni legali” e non già quella di difendersi in un giudizio.
In definitiva – a prescindere dalla già avvenuta intrapresa di una iniziativa contenziosa – avrebbe dovuto quantomeno prospettare e comprovare una specifica lesione alla propria carriera, sul piano giuridico e/o economico, per la cui tutela fosse assolutamente indispensabile il documento richiesto.
In assenza di tali puntuali indicazioni e/o della pregressa instaurazione di un giudizio (instaurazione che consente al giudice adito di effettuare direttamente tale apprezzamento in base al petitum, alla causa petendi e agli atti del giudizio principale), l’ordine di esibizione disposto dal TAR si è quindi basato su una valutazione in astratto e non già in concreto del suddetto rapporto di “essenzialità “.
8. Si appalesa manifestamente infondata, infine, la dedotta questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, commi 1 e 8, della l. n. 124 del 2007.
Come già evidenziato, tali disposizioni vanno lette in maniera integrata e coordinata con l’art. 24, comma 7 della l. n. 241/90 e, nell’interpretazione testé evidenziata, esse costituiscono un giusto punto di equilibrio tra contrapposte e rilevanti esigenze aventi pari rilievo costituzionale.
9. In definitiva, l’appello dell’amministrazione deve essere accolto, con la conseguente reiezione, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso instaurativo del giudizio di primo grado.
Appare tuttavia equo, attesa la natura della controversia, compensare integralmente le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 10309 del 2018, di cui in premessa, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso instaurativo del giudizio di primo grado.
Compensa tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellata.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Troiano – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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