L’errore di fatto revocatorio si configura come un abbaglio dei sensi

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 27 marzo 2019, n. 2024.

La massima estrapolata:

L’errore di fatto revocatorio si configura come un abbaglio dei sensi, per effetto del quale si determina un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa; esso deve consistere in un travisamento di fatto che cade su un punto decisivo ma non espressamente controverso della causa.

Sentenza 27 marzo 2019, n. 2024

Data udienza 21 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7678 del 2018, proposto dalla Impresa Ed. La To. Co., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. Pa., con il quale è elettivamente domiciliato presso lo studio del dott. Al. Pl., in Roma, via (…);
contro
il Comune di Taranto, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Va. Ca. Mi., presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, via (…);
nei confronti
la Società Co. It. S.r.l., in persona del legale rappresentante p.r., non costituito in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, Quarta Sezione, n. 2906 del 16 maggio 2018.
Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Taranto;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2019 il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti l’avvocato Lu. Pa. e l’avvocato Ni. Pa., su delega dichiarata dell’avvocato Va. Ca. Mi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il Consiglio di Stato, Quarta Sezione, con la sentenza 16 maggio 2018, n. 2906, ha respinto l’appello proposto dalla impresa Ed. La To. Co. avverso la sentenza 11 marzo 2010, n. 707, con cui il T.a.r. per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, Sezione Terza, ha respinto il ricorso proposto dalla detta impresa edile avverso l’atto n. 14947 del 30 gennaio 2009, con cui il Comune di Taranto ha revocato il permesso di costruire n. 695 rilasciato alla ricorrente il 15 novembre 2005, relativo alla realizzazione di una autorimessa interrata.
L’impresa Ed. La To. Co. ha proposto il presente ricorso per revocazione della sentenza di questa Sezione n. 2906 del 2018, evidenziando che l’appello sarebbe stato respinto sul dichiarato presupposto del carattere provvisorio del provvedimento commissariale di concessione di area pubblica, senza considerare la decisiva circostanza di fatto che tra le parti è stato stipulato un contratto di concessione novantennale, mai attinto da impugnativa da parte del Comune di Taranto o di terzi soggetti.
In sostanza, l’impresa ricorrente per revocazione ritiene che il Consiglio di Stato abbia dato per accertato un fatto – il carattere provvisorio e precario della concessione di area pubblica – incontrastabilmente escluso dall’esistenza di un rogito notarile inter partes avente durata novantennale.
Pertanto, l’impresa La To. Co. ha proposto i seguenti motivi di revocazione:
– il Commissario ad acta, con provvedimento del 12 febbraio 2004, emesso in esecuzione dell’ordinanza del Consiglio di Stato 4 novembre 2003, n. 4697, ha disposto l’assegnazione all’impresa La To. Co. del diritto di superficie sul suolo per cui è causa per la realizzazione di una autorimessa interrata;
– il giudicato formatosi con la sentenza del Consiglio di Stato n. 5952 del 2006, epicentro logico dei motivi di appello esaminati con la sentenza revocanda, attesterebbe in modo inequivocabile che il Comune di Taranto e l’impresa edile La To. stipularono la convenzione di concessione novantennale dell’area in data 13 settembre 2004, a seguito della quale il Comune di Taranto rilasciò il permesso di costruire n. 695 del 15 novembre 2005;
– il capo 12 (rectius: 12 bis) della sentenza impugnata sarebbe illegittimo per errore di fatto, in quanto afferma che: “In secondo luogo, non può non osservarsi che il provvedimento commissariale di assegnazione del 12 febbraio 2004, in quanto adottato in esecuzione di provvedimenti cautelari (Consiglio di Stato ordinanze n. 2126/00, n. 5579/00 e n. 4697/03), presentava inequivocabilmente natura provvisoria; con la conseguenza che il sopravvenire della decisione di merito non può non averne condizionato la sorte. Del resto, il medesimo carattere provvisorio permea il permesso di costruire in seguito adottato (prot. n. 695 del 15 novembre 2005), al punto che, in ragione del vincolo di connessione che astringeva lo stesso al precedente provvedimento commissariale, l’intervento della sentenza di merito, facendo venir meno le ragioni dell’atto di assegnazione, determinava l’insorgere delle medesime conseguenze sul titolo edilizio”;
– il Consiglio di Stato, infatti, sarebbe incorso in un errore di fatto nella parte in cui qualifica come provvisoria una concessione di suolo pubblico disciplinata da una inoppugnata convenzione stipulata tra il Comune di Taranto e l’impresa La To., con cui il primo ha concesso alla seconda il diritto di superficie sul suolo pubblico per cui è causa per la durata di 90 anni;
– il Consiglio di Stato, quindi, avrebbe ritenuto accertato un fatto, la provvisorietà della concessione del diritto di superficie su area pubblica comunale, la cui verità sarebbe esclusa dagli atti di causa, avendo pacificamente le parti stipulato un contratto novantennale di concessione tutt’ora valido ed efficace;
– tale circostanza sarebbe sfuggita all’esame del Collegio sebbene abbia costituito l’epicentro della sentenza del Consiglio di Stato n. 5952 del 2006 passata in giudicato;
– sussiste un preciso rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione del Collegio e la pronuncia stessa che respinge il ricorso dell’impresa La To. avverso il provvedimento di autotutela amministrativa avente ad oggetto il permesso di costruire, rilasciato proprio in esecuzione del detto contratto di concessione;
– il capo 12 della sentenza impugnata sarebbe anch’esso viziato da un errore di fatto decisivo, in quanto la sentenza del Consiglio di Stato, Quinta Sezione, n. 5952 del 2006, ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui la Co. It. s.r.l. aveva impugnato non solo il provvedimento commissariale del 12 febbraio 2004 ed il permesso di costruire n. 695 del 2005, ma anche la convenzione del 13 settembre 2004, di concessione del diritto di superficie per la durata di 90 anni, mentre la sentenza oggetto del presente giudizio di revocazione ometterebbe di considerare la circostanza e tale errore di fatto avrebbe indotto il Collegio a definire “provvisoria” la concessione novantennale disciplinata dall’inoppugnato contratto di diritto pubblico;
– l’errore di fatto, in definitiva, consisterebbe nel non aver considerato l’esistenza tra le parti della convenzione di concessione, pacificamente non attinta dalla decisione del Consiglio di Stato n. 4008 del 2008, che avrebbe ordinato la rinnovazione della procedura amministrativa di assegnazione dell’area nella pacifica vigenza dell’inoppugnato rapporto contrattuale tra il Comune di Taranto e l’impresa La To..
Di talché, l’impresa Ed. La To. Co. ha chiesto, in via rescindente, la revocazione della sentenza di questa Sezione n. 2906 del 16 maggio 2018 per errore di fatto, per non aver considerato l’efficacia tra le parti del contratto di concessione di diritto pubblico, ed, in via rescissoria, l’accoglimento di tutte le domande rassegnate con l’appello R.G. n. 3637 del 2011 per i motivi ivi prospettati.
Il Comune di Taranto ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 40 c.p.a., perché mancherebbe una compiuta esposizione dei motivi di impugnativa, nonché per la carenza dei presupposti previsti dagli artt. 395 e 306 c.p.c.; nel merito ha concluso per l’infondatezza del gravame.
La ricorrente ha prodotto altra memoria a sostegno delle proprie ragioni.
All’udienza pubblica del 21 febbraio 2019, la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. Il ricorso per revocazione, proposto dall’impresa Ed. La To. Co. avverso la sentenza di questa Sezione n. 2906 del 16 maggio 2018, è inammissibile.
2.1. Il Collegio, infatti, ritiene che, nel caso di specie, non sussistono i presupposti di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c., secondo cui la sentenza pronunciata in grado di appello può essere impugnata per revocazione se “è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa”.
La disposizione sancisce che “vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.
La giurisprudenza amministrativa ha già esposto i presupposti perché possa rinvenirsi l’errore di fatto “revocatorio”, distinguendolo dall’errore di diritto che, come tale, non dà luogo ad esito positivo della fase rescindente del giudizio di revocazione (ex multis, tra le pronunce più recenti di questa Sezione: 6 dicembre 2018, n. 6914; 7 novembre 2018, n. 6280; 5 novembre 2018, n. 624; 4 gennaio 2018, n. 35; 2 novembre 2016, n. 4586; 28 giugno 2016, n. 2883, 17 febbraio 2015, n. 961; 8 gennaio 2013, n. 4).
In particolare, occorre considerare che l’istituto della revocazione è un rimedio eccezionale, che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio, per cui, come d’altra parte sancito dalla stessa lettera dell’art. 395, quarto comma, c.p.c., non sussiste il vizio revocatorio se la dedotta erronea percezione degli atti di causa – che si sostanzia nella supposizione dell’esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, ovvero nella supposizione dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è positivamente stabilita – ha costituito un punto controverso e, comunque, ha formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, ossia è il frutto dell’apprezzamento, della valutazione e dell’interpretazione delle risultanze processuali da parte del giudice.
Pertanto, sono vizi logici e quindi errori di diritto quelli consistenti nella dedotta erronea interpretazione e valutazione dei fatti o nel mancato approfondimento di una circostanza risolutiva ai fini della decisione (ex multis: Cons. Stato, III, 24 ottobre 2018, n. 6061; Cons. Stato, IV, 12 settembre 2018, n. 5347; Cons. Stato, IV, 4 gennaio 2018, n. 35; Cons. Stato, V, 21 ottobre 2010, n. 7599).
L’errore di fatto revocatorio, invece, si configura come un abbaglio dei sensi, per effetto del quale si determina un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa.
Insomma, l’errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall’art. 395 n. 4 c.p.c., deve consistere in un travisamento di fatto costitutivo di “quell’abbaglio dei sensi” che cade su un punto decisivo ma non espressamente controverso della causa.
2.2. Nel caso di specie, un “abbaglio dei sensi” non è individuabile.
La sentenza oggetto del presente ricorso ha statuito che:
“12.3. Il Collegio, ritenendo condivisibili le statuizioni rese dal primo giudice sul punto, in primo luogo esclude che il provvedimento oggetto di impugnazione si ponga in qualche modo in contrasto con pronunce passate in giudicato intervenute a disciplinare la più ampia vicenda in esame.
12.3.1. Occorre infatti rammentare che il Tar Puglia, Sezione distaccata di Lecce, come già accennato nella parte in fatto, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità della deliberazione del commissario prefettizio n. 25/1999 di assegnazione dell’area a favore della controinteressata “Co. It. srl”, con sentenza n. 203/2006, in accoglimento parziale del ricorso, precisava che “l’annullamento della delibera di assegnazione impugnata impone al Comune di Taranto (soltanto) di rinnovare ad imis il procedimento di valutazione delle richieste concorrenti”.
12.3.2. In senso conforme, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4008 del 20 agosto 2008, nel respingere l’appello, confermava la pronuncia impugnata, affermando che “nessun’altra conseguenza può avere l’annullamento degli atti impugnati che la rinnovazione del procedimento” per l’assegnazione dell’area.
12.3.3. Da ciò ne consegue che, a differenza di quanto sostenuto da parte appellante, la pronuncia giurisdizionale divenuta definitiva, piuttosto che affermare il diritto della impresa La To. a vedersi assegnata l’area pubblica, tipizzata dal p.r.g. come “verde attrezzato”, per la realizzazione di autorimessa interrata, si limitava ad imporre all’amministrazione la riedizione del procedimento concessorio.
Tant’è che l’adozione del provvedimento di autotutela oggetto di impugnazione, invece di porsi in violazione del giudicato, rappresentava in realtà un atto sostanzialmente necessitato dall’effetto conformativo prodotto dalla ridetta pronuncia del Consiglio di Stato.
Dalla pronuncia, peraltro, non poteva in nessun modo scaturire un obbligo giuridico per il Comune di mantenere in vita il permesso di costruire nelle more della rinnovazione della procedura di assegnazione dell’area.
11.3.4. D’altro canto, non può tanto meno essere ravvisato un contrasto tra il provvedimento impugnato e la sentenza del Consiglio di Stato n. 5952 del 09 ottobre 2006, che, in accoglimento dell’appello avverso la sentenza del TAR Puglia – Lecce n. 204/2006, dichiarava inammissibile il ricorso di primo grado promosso da “Co. It. srl” avverso il provvedimento commissariale del 12 febbraio 2004 ed il conseguente permesso di costruire prot. n. 695 del 15 novembre 2005.
Il giudice d’appello, invero, lungi dal pronunciarsi sulla legittimità dei provvedimenti impugnati, si limitava a ribadire il principio secondo cui ogni contestazione delle parti sull’operato del Commissario ad acta appartiene alla competenza funzionale dello stesso giudice amministrativo che lo ha nominato, che, nel caso di specie, era da individuare nello stesso Consiglio di Stato.
12. In secondo luogo, non può non osservarsi che il provvedimento commissariale di assegnazione del 12 febbraio 2004, in quanto adottato in esecuzione di provvedimenti cautelari (Consiglio di Stato ordinanze n. 2126/00, n. 5579/00 e n. 4697/03), presentava inequivocabilmente natura provvisoria; con la conseguenza che il sopravvenire della decisione di merito non può non averne condizionato la sorte.
Del resto, il medesimo carattere provvisorio permea il permesso di costruire in seguito adottato (prot. n. 695 del 15 novembre 2005), al punto che, in ragione del vincolo di connessione che astringeva lo stesso al precedente provvedimento commissariale, l’intervento della sentenza di merito, facendo venir meno le ragioni dell’atto di assegnazione, determinava l’insorgere delle medesime conseguenze sul titolo edilizio.
13. In conclusione, in tal modo facendo proprie le statuizioni del primo giudice, ben ha fatto il Comune, alla luce, da un lato, dell’ordine di riedizione del procedimento di assegnazione, dall’altro, della natura non vincolante perché provvisoria dei provvedimenti già adottati, ad eliminare in via di autotutela il permesso di costruire n. 695/2005″.
La ricorrente ha sostenuto che l’errore di fatto consisterebbe nell’avere qualificato come provvisoria una concessione di suolo pubblico disciplinata da una inoppugnata convenzione novantennale.
In altri termini, l’errore di fatto si radicherebbe nel non avere considerato l’esistenza tra le parti del detto contratto di concessione, non attinto dalla decisione del Consiglio di Stato n. 4008 del 2008.
Tale assunto non può essere condiviso.
La sentenza di questa Sezione n. 2906 del 2018, oggetto del presente giudizio di revocazione, effettivamente non menziona espressamente la convenzione stipulata in data 13 settembre 2004, con cui il Comune di Taranto ha concesso il diritto di superficie per 90 anni all’impresa La To. Co. sull’area in discorso.
Tuttavia, la sentenza revocanda ha inequivocabilmente affermato, da un lato, che il giudicato con cui è stata annullata la deliberazione del commissario prefettizio 25/1999, di assegnazione dell’area alla Co. It. s.r.l., imponeva al Comune solo di rinnovare il procedimento per l’assegnazione dell’area stessa (con soddisfazione del mero interesse strumentale), dall’altro, il carattere provvisorio degli atti adottati in esecuzione dei provvedimenti cautelari di questo Consiglio di Stato e, in particolare, del provvedimento commissariale di assegnazione del 12 febbraio 2004 e del permesso di costruire del 15 novembre 2005, la cui revoca ha costituito oggetto dell’impugnazione dell’impresa La To. Co., in ragione del vincolo di connessione che astringeva lo stesso al precedente provvedimento.
Tale affermazione di provvisorietà riguarda, implicitamente ma evidentemente, tutti gli atti adottati in esecuzione dei provvedimenti cautelari, tra cui quelli conseguenti all’adozione del provvedimento commissariale del 12 febbraio 2004, a prescindere dal fatto che siano stati o meno espressamente menzionati.
In proposito, occorre porre in rilievo che ogni misura cautelare è caratterizzata dalla strumentalità e dalla interinalità (o provvisorietà ).
L’interinalità, in particolare, è la naturale provvisorietà della misura cautelare, destinata a perdere ogni effetto con la definizione del merito del giudizio, qualunque sia la tipologia di sentenza adottata e cioè sia che si tratti di una sentenza di merito, sia che si tratti di una sentenza di cessazione della materia del contendere o di improcedibilità .
L’efficacia della pronuncia cautelare, quindi, è destinata inevitabilmente a venire meno al momento della pubblicazione della sentenza di merito della controversia, sicché – avendo la decisione di merito della Quinta Sezione del Consiglio di Stato n. 4008 del 20 agosto 2008confermato la sentenza del T.a.r. per la Puglia, Sezione staccata di Lecce n. 203 del 2006, che aveva accolto solo parzialmente il ricorso proposto dall’impresa La To. avverso l’atto con cui, nel 1999, l’area era stata assegnata alla Co. It. s.r.l., indicando che il procedimento avrebbe dovuto essere rinnovato ab imis ed escludendo, in rito, che, a seguito degli intervenuti provvedimenti esecutivi dell’ordinanza cautelare, il giudizio dovesse essere dichiarato improcedibile – tutti gli atti esecutivi dell’ordinanza cautelare della Quinta Sezione del Consiglio di Stato n. 4697 del 2003 devono intendersi venuti meno.
La citata sentenza n. 4008 del 2008, in tal senso, ha evidenziato che gli atti esecutivi dell’ordinanza cautelare hanno carattere ontologicamente provvisorio a causa del loro collegamento accessorio con la decisione di merito, ha specificato che “nessun’altra conseguenza può avere l’annullamento degli atti impugnati che la rinnovazione del provvedimento”.
Pertanto, la sentenza oggetto del presente giudizio ha considerato che la sorte degli atti esecutivi dei provvedimenti cautelari di questo Consiglio di Stato è stata inevitabilmente incisa dalla successiva pronuncia di merito.
Ne consegue che, invocando la persistente validità ed efficacia della convenzione novantennale stipulata con il Comune di Taranto in data 13 settembre 2003, la parte ha dedotto un errore di diritto, consistente nella qualificazione in termini di provvisorietà di tale convenzione, ma non un errore revocatorio, per cui il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Né, in ragione del percorso logico-argomentativo svolto, tale conclusione può essere scalfita dalla considerazione, del tutto irrilevante ai fini in discorso, che la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 5952 del 2006, ha dichiarato inammissibile, per incompetenza funzionale del giudice adito, il ricorso proposto in primo grado alla Sezione staccata di Lecce del T.a.r. per la Puglia, con cui la Co. It. s.r.l. aveva impugnato non solo il provvedimento commissariale del 12 febbraio 2004 ed il permesso di costruire n. 695 del 2005, ma anche la convenzione del 13 settembre 2004, di concessione del diritto di superficie all’impresa La To. per la durata di 90 anni.
3. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e liquidate complessivamente in euro 6.000,00 (seimila/00), oltre accessori di legge, sono posti a carico della impresa Ed. La To. Co. ed a favore del Comune di Taranto.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile il ricorso per revocazione in epigrafe (R.G. n. 7678 del 2018).
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in euro 6.000,00 (seimila/00), oltre accessori di legge, in favore del Comune di Taranto.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2019, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Oberdan Forlenza – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere, Estensore
Giuseppa Carluccio – Consigliere

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