L’errore di fatto che può dare luogo a revocazione

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza|2 aprile 2020| n. 2229.

La massima estrapolata:

L’errore di fatto che può dare luogo a revocazione consiste in una falsa percezione, da parte del giudice, della realtà risultante dagli atti di causa, in una svista materiale che abbia indotto ad affermare l’esistenza di un fatto che obiettivamente non esiste, oppure a considerare inesistente un fatto che, viceversa, risulti positivamente accertato; l’errore di fatto che può dare luogo a revocazione, la svista o l’abbaglio dei sensi idoneo a fondare la domanda di revocazione, dev’essere stato tra l’altro decisivo ai fini della pronuncia della cui revocazione si tratta.

Sentenza|2 aprile 2020| n. 2229

Data udienza 23 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Revocazione – Variante a Piano Regolatore Generale – Impugnazione – Rigetto – Ricorso per revocazione – Inammissibilità – Censura che coinvolge l’attività di interpretazione e di valutazione

________________________________________
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9994 del 2016, proposto dai signori Ma. Ve. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati En. Ma. e Ma. Gr. Pi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Gr. Pi. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Vi. Co., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Cl. Pa. in Roma, via (…);
nei confronti
Regione Molise, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via (…);
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato – Sez. IV n. 2221 del 2016, resa tra le parti, concernente variante a piano regolatore generale
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della Regione Molise;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2020, il Cons. Giuseppa Carluccio e uditi per le parti gli avvocati Ma. Gr. Pi., Ma. Di Ne. su delega di Vi. Co. e l’avvocato dello Stato Vi. Ce..

FATTO e DIRITTO

1. La presente controversia ha per oggetto il ricorso per revocazione – proposto dai signori Ma. Ve. ed altri, quali eredi della signora Ma. Is. Ve., avverso la sentenza di questo Consiglio n. 2221 del 2016.
1.1. La sentenza revocanda – all’esito della verificazione disposta – ha rigettato l’appello proposto dagli stessi ricorrenti nei confronti della sentenza del T.a.r. n. 270 del 2006, la quale aveva rigettato l’originario ricorso proposto dinanzi al T.a.r. Con il ricorso al T.a.r. è stato chiesto l’annullamento degli atti con i quali il Consiglio Comunale di Isernia ha adottato la variante generale al Piano Regolatore Generale, includendo i terreni dei ricorrenti in “zona di rispetto sino all’attuazione dei vincoli imposti dallo studio in corso per la captazione delle sorgenti” (cd. sorgenti (omissis)) ed ha respinto l’osservazione dei ricorrenti volta a far inserire i predetti terreni in “zona F3 – attrezzature per il gioco e lo sport”.
2. Il ricorso per revocazione è affidato ad un unico motivo, ex art. 395 n. 4 c.p.c., che si articola in due profili strettamente connessi, esplicati anche da memorie.
2.1. Il Comune si è costituito, instando per l’inammissibilità e per il rigetto, ed ha depositando memorie.
2.2. La Regione Molise si è costituita con mero atto formale.
2.3. All’udienza pubblica del 20 febbraio 2020 la causa è stata discussa e trattenuta dal Collegio in decisione.
3. Con il profilo centrale del ricorso per revocazione, si deduce un errore di fatto che sarebbe desumibile dall’omessa pronuncia su un profilo della controversia devoluto in appello con specifica censura.
In particolare, si assume che il giudice della sentenza revocanda non si sarebbe pronunciato su quanto fatto valere dai ricorrenti nella memoria del 28 gennaio 2016 (successiva alla verificazione, che riprende le osservazioni già formulate dal consulente tecnico di parte al verificatore); cioè il giudice non si sarebbe pronunciato sulla circostanza che la distanza minima accertata dal verificatore di 185 ml dalla sorgente riguardava solo una minima parte dei terreni di proprietà di uno dei ricorrenti (Ca.); tanto, sulla base dell’erroneo presupposto che tutti i terreni – peraltro corrispondenti ad appezzamenti diversi non in regime di comunione tra tutti i ricorrenti – si trovassero alla distanza accertata dal verificatore, inferiore ai 200 ml richiesti dalla disciplina specifica posta a tutela delle acque; in tal modo, la sentenza revocanda avrebbe ravvisato l’integrazione del presupposto di fatto della vicinanza alla base del vincolo di rispetto posto dal Comune e, poi, avrebbe “laconicamente” ripreso la verificazione, a proposito del canale torrentizio, che divide la zona di captazione dell’acqua dalle proprietà, senza dare rilievo a tale canale rispetto alla capacità di interrompere il reticolo delle acque superficiali.
3.1. Con un altro profilo strettamente collegato, si deduce l’erroneo presupposto assunto dal giudicante circa il reale contenuto degli atti di causa; secondo la prospettazione dei ricorrenti, la sentenza revocanda fonderebbe il potere di pianificazione del Comune in riferimento alla prevista zona di rispetto sulla valenza ambientale dell’area, non avvedendosi che la delibera comunale aveva previsto tale fascia unicamente facendo riferimento allo studio in corso per la captazione delle sorgenti e che aveva subordinato la modifica della perimetrazione dell’area agli esiti di tale studio.
4. Entrambi i profili di errore revocatorio prospettati sono inammissibili.
4.1. In termini generali va rammentato che, in base a quanto dispone l’art. 395, n. 4), c.p.c., l’impugnazione per revocazione è consentita se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa; questo errore vi è quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.
Sulla base di una elaborazione giurisprudenziale ormai sedimentata (Cons. Stato, Ad. plen., n. 5 del 2014, n. 1 del 2013):
– l’errore di fatto che può dare luogo a revocazione consiste in una falsa percezione, da parte del giudice, della realtà risultante dagli atti di causa, in una svista materiale che abbia indotto ad affermare l’esistenza di un fatto che obiettivamente non esiste, oppure a considerare inesistente un fatto che, viceversa, risulti positivamente accertato;
– l’errore di fatto che può dare luogo a revocazione, la svista o l’abbaglio dei sensi idoneo a fondare la domanda di revocazione, dev’essere stato tra l’altro decisivo ai fini della pronuncia della cui revocazione si tratta.
4.2. Nella fattispecie, nell’ambito dei principi richiamati ed applicabili, in specie quello che esclude l’errore revocatorio sui punti controversi sui quali la sentenza si è pronunciata, assumono ulteriore rilievo due ulteriori principi, pure consolidati nella giurisprudenza di questo Consiglio.
4.2.1. Il primo viene in questione perché i ricorrenti lamentano l’omesso espresso esame di argomentazioni poste dalla parte a sostegno della esplicazione delle proprie ragioni nell’appello mediante memorie.
E’ pacifico nella giurisprudenza il principio secondo cui occorre distinguere il motivo di ricorso dall’argomentazione posta a sostegno di ciascuno dei motivi (Cons. Stato, Sez. IV, n. 3256 del 2018). Con la conseguenza, che non costituisce motivo di revocazione per omessa pronuncia il fatto che il giudice, nell’esaminare la domanda di parte, non si sia espressamente pronunciato su tutte le argomentazioni poste dalla parte medesima a sostegno delle proprie conclusioni (Cons. Stato, Sez. IV, n. 406 del 2018).
4.2.2. Il secondo rileva perché i ricorrenti assumono che il giudice si sarebbe pronunciato sulla base di un erroneo presupposto circa il reale contenuto degli atti di causa rispetto alla distanza di tutti i terreni dalla sorgente di captazione dell’acqua e circa la valenza ambientale dell’area.
4.2.2.1. Secondo la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio, l’errore di fatto revocatorio non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita; quando la dedotta erronea percezione dei fatti di causa abbia formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, e, quindi, sia il frutto dell’apprezzamento, della valutazione e dell’interpretazione delle risultanze processuali da parte del Giudice; tutte ipotesi che danno luogo, se mai, ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento (da ultimo, Cons. Stato sez. III, n. 1567 del 2018; sez. IV n. 35 del 2018).
5. Nella fattispecie, è evidente l’assenza di qualunque omissione ed erronea lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ed, invece, emerge una censura che coinvolge l’attività di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento del giudice (da ultimo, cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 3055 del 2018).
6. Queste conclusioni si fondano sul percorso argomentativo seguito dalla sentenza revocanda.
6.1. Al fine di rendere evidenti le ragioni dell’inammissibilità del ricorso per revocazione è opportuno dare sinteticamente conto, dapprima del ricorso in appello, poi delle argomentazioni della sentenza revocanda.
7. Nel ricorso in appello, la censura centrale in diritto è fondata sulla mancanza del potere del Comune di stabilire norme di salvaguardia a protezione di sorgenti di captazione di acqua e si snoda attraverso tutti i motivi dell’appello, deducendo (in estrema sintesi): – l’esercizio di un potere non contemplato da alcuna norma ed ingiustificatamente incidente sul diritto di proprietà (primo motivo); – la non riconducibilità dell’esercizio di tale potere da parte del Comune alla normativa urbanistica, venendo in rilievo la disciplina di settore relativa alla tutela delle acque (terzo motivo); – l’assenza di specifica motivazione nel rigetto delle osservazioni presentate, posto che l’area di proprietà ricompresa nella salvaguardi confina con terreni “zona F3 – attrezzature per il gioco e lo sport” (quarto motivo).
5.2. Collegata è un’altra censura – che investe i presupposti di fatto delle determinazioni comunali – attraverso la deduzione, da parte degli appellanti, della negazione di una captazione delle acque destinate concretamente ed attualmente al consumo, in prossimità dei terreni di proprietà, essendo grande e distante la località (omissis) (secondo motivo).
8. La sentenza revocanda ha ampiamente argomentato sulle questioni in diritto poste dal primo, terzo e quarto motivo, fondando il rigetto su ampi richiami di principi consolidati nella giurisprudenza di questo Consiglio, rispetto all’ampiezza dei poteri di intervento del Comune nelle scelte urbanistiche e di gestione del territorio (cfr. 3), poi specificandoli in riferimento alla fattispecie (cfr. § 4).
In definitiva, ha ritenuto la sussistenza del potere del Comune di dettare norme di salvaguardia del territorio in presenza di fonti di captazione di acqua, non potendosi intendere tale potere limitato alle possibilità ed ai limiti edificatori delle zone, ma dovendosi intendere, invece, nel senso che per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree esso tende a perseguire anche finalità economico-sociali della comunità locale nel quadro del rispetto e della positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati (§ 3).
Quindi, in riferimento alla fattispecie, ha precisato:
a) che la destinazione impressa dall’amministrazione ai suoli degli appellanti, in sede di adozione di una variante generale, risulta sufficientemente motivata – quanto alla sussistenza e corretto esercizio del potere di pianificazione urbanistica – proprio dalla considerazione di impedire forme di edificazione, per effetto della “valenza ambientale” dell’area stessa;
b) che la destinazione impressa è espressione del potere conformativo il quale – in presenza dei presupposti di fatto – non comporta né espropriazione né intollerabile compressione del diritto di proprietà corrispondente ad ablazione del medesimo;
c) che tale potere di pianificazione urbanistica non viene a “sovrapporsi” e/o a “sostituirsi” a diversi poteri in materia specifica di tutela delle acque, posto che sono evidenti le diverse finalità : – la prima consistente nella realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti; – la seconda consistente nella specifica individuazione di forme di tutela delle acque, mediante adozione di puntuali provvedimenti, come quelli di imposizione di vincolo;
d) che il Comune non era tenuto ad una motivazione puntuale in risposta alle osservazioni presentate dagli appellanti, non vantando essi una aspettativa qualificata derivante da preesistente e più favorevole destinazione.
8.1. La sentenza revocanda ha rigettato la censura relativa all’assenza dei presupposti di fatto (secondo motivo) ritenendoli esistenti e coerenti con le determinazioni di interesse pubblico perseguite con la cd. zonizzazione (cfr § 5), sulla base delle essenziali argomentazioni che seguono:
a) gli appellanti assumono che in prossimità dei terreni di loro proprietà non vi è una captazione delle acque destinate concretamente ed attualmente al consumo e che l’attuale captazione avviene in zona distante rispetto ai terreni di proprietà, atteso che la località (omissis) ha una estensione consistente;
b) la verificazione ha accertato che “in prossimità delle unità immobiliari degli appellanti si trova l’opera di presa di una sorgente che costituisce significativa parte della dotazione idrica del Comune di (omissis)”; dunque “la sorgente esiste, è in uso attualmente” (pag. 4 rel.). Inoltre la verificazione ha accertato sia che “la distanza minima tra opera di presa e proprietà dei ricorrenti (è di) m. 185 circa” (pag. 5), sia che “tra l’opera di presa e le proprietà tutte dei ricorrenti passa un corso d’acqua a carattere torrentizio” (pag. 6)”.
9. Le argomentazioni del paragrafo § 5 e, parte, del § 4, della sentenza revocanda sono investite dai motivi di revocazione ex 395 n. 4, che sono stati prima sintetizzati (cfr. § § 3 e 3.1.).
9.1. E’ vero che la sentenza revocanda non risponde in modo esplicito e specifico al profilo posto con la memoria, la quale sviluppa – in esito alla verificazione – la tesi invocata dagli appellanti, nel senso della rilevanza della distanza effettiva della loro proprietà – considerata nell’intero perimetro e partitamente rispetto ai diversi fondi in capo a ciascuno – dalla fonte di captazione delle acque.
Ma, la motivazione specifica su questo profilo sarebbe stata astrattamente rilevante solo se a fondamento della decisione fosse stata assunta l’applicabilità della disciplina speciale a tutela delle acque invocata dagli appellanti, per la quale la distanza minima di 200 ml., in mancanza di diversa legislazione regionale, avrebbe costituito necessario presupposto.
E’ vero che la sentenza revocanda attribuisce all’area in argomento “valenza ambientale”, ma non per questo può inferirsi che ha omesso di considerare che la delibera comunale aveva fatto solo riferimento ad uno studio in corso.
9.2. Le argomentazioni della sentenza sono coerenti con i principi di diritto posti a fondamento della decisione di rigetto.
Infatti, la zonizzazione dell’area, posta a salvaguardia e rispetto della fonte di captazione, è stata ritenuta legittima perché rientrante nell’ambito dei poteri di conformazione urbanistica del Comune, intesi in senso ampio, ed interpretati alla luce dei valori a tutela costituzionale.
Da questa premessa, si possono trarre numerose ed evidenti conseguenze:
a) in generale, la finalizzazione del potere della pianificazione urbanistica al governo del territorio in senso ampio e comprensivo della tutela dei valori costituzionali, spiega il riferimento alla “valenza ambientale” dell’area dove si trova una fonte di captazione di acqua che, sulla base della verificazione, è stata accertata come costituente una parte significativa della dotazione idrica del Comune di (omissis);
b) per la legittimità della delibera di variante generale che individua un’ampia zona di rispetto in relazione alla sorgente di captazione:
– rilevano le caratteristiche dell’intera area dove è posiziona la sorgente, essendo le norme di salvaguardia dell’area funzionali alla preservazione della fonte di captazione;
– è sufficiente la presenza della sorgente, delle opere per la captazione dell’acqua e l’utilizzo pubblico della stessa, per rendere rilevante la sola prossimità – e non la concreta distanza in metri lineari dai singoli fondi – della sorgente e del canale a carattere torrentizio (che caratterizza la zona come imbrifera) ai fondi di proprietà dei ricorrenti rientranti nella zona di rispetto;
c) d’altra parte, questo è stato il presupposto di fatto chiarito con la verificazione e non la distanza in metri lineari rispetto a ciascun fondo, alla quale hanno dato rilievo i ricorrenti in revocazione e, prima il loro, consulente di parte nelle osservazioni al verificatore.
9.3. In definitiva, con i motivi revocatori si chiede un nuovo giudizio di legittimità – su punti controversi in diritto e sui quali la sentenza si è pronunciata, volto ad affermare che il Comune non avrebbe potuto considerare zone di rispetto quelle a distanza maggiore di 200 metri dalla fonte di captazione, nel rispetto della legislazione di settore a tutela delle acque.
10. In conclusione, il ricorso per revocazione è inammissibile.
11. Le spese processuali seguono la soccombenza a favore del Comune.
11.1. In ragione della costituzione solo formale della Regione, si ravvisano giuste ragione per la integrale compensazione delle spese nei confronti della stessa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna gli appellanti, in solido, al pagamento, in favore del Comune, degli onorari e spese, che liquida in complessivi euro 5.000,00, oltre accessori come per legge.
Compensa integralmente le spese del grado nei confronti della Regione Molise.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2020, con l’intervento dei magistrati:
Roberto Giovagnoli – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere, Estensore

 

 

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