E’ inammissibile il rimedio revocatorio in relazione ad errori non rilevabili con assoluta immediatezza

Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 4 giugno 2020, n. 3520.

La massima estrapolata:

E’ inammissibile il rimedio revocatorio in relazione ad errori non rilevabili con assoluta immediatezza, ma che richiedano, per essere apprezzati, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche, ovvero errori che non consistano in un vizio di assunzione del fatto (tale da comportare che il giudice non statuisca su quello effettivamente controverso), ma si riducano ad errori di criterio nella valutazione del fatto.

Sentenza 4 giugno 2020, n. 3520

Data udienza 21 maggio 2020

Tag – parola chiave: Gara pubblica – Aggiudicazione definitiva – Impugnazione – Rigetto – Ricorso per revocazione – Per contrasto di giudicato – Errore di fatto – Inammissibilità

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7875 del 2019, proposto da
Cu. Mi., rappresentato e difeso dall’avvocato Fe. Eu. Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso (…);
contro
Regione Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Ba., Ro. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Pr. Sa. Pr. Sa. S.r.l. ed altri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato Er. St. Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
St. Va. pr., in proprio e quale mandataria di Rti ed altri, non costituiti in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato – sez. V, n. 3491 del 2019, resa tra le parti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Puglia ed altri;
Viste le memorie delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del 21 maggio 2020, tenuta con le modalità di cui all’art. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020 come da verbale, il Cons. Elena Quadri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

L’ing. Cu., nella qualità di quarto classificato alla gara per la progettazione preliminare della nuova sede del Consiglio regionale pugliese, impugnava innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia l’aggiudicazione in favore del Rti controinteressato, censurando le valutazioni della commissione sotto molteplici profili. Il ricorso veniva respinto sia in primo grado che in appello.
Parallelamente, nel maggio del 2008, veniva promossa da parte della Procura della Repubblica di Bari l’azione penale nei confronti dei membri della commissione aggiudicatrice e di alcuni componenti del Rti risultato aggiudicatario. La Corte di Cassazione, sez. V penale, con la sentenza n. 6240 del 16 marzo 2013, prendeva atto dell’intervenuta prescrizione dei reati, ma ai sensi dell’art 578 c.p.p., scrutinava, ai soli fini civili, il reato di falsità ideologica in atto pubblico, ritenendolo insussistente laddove si era attestato, nei documenti ufficiali della commissione, l’avvenuto confronto a coppie delle offerte.
L’ing. Cu. inoltrava, quindi, due istanze alla regione Puglia al fine di ottenere un provvedimento in autotutela sull’aggiudicazione disposta, ed in seguito al silenzio serbato dalla Regione, adiva nuovamente il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia perché accertasse e dichiarasse l’obbligo della Regione a provvedere sulle istanze in autotutela, e la condannasse ad adottare i medesimi atti. Il ricorso veniva respinto, ma su appello dell’ing. Cu. la sezione lo accoglieva con la sentenza n. 2237 del 2015, dichiarando l’obbligo della regione Puglia di pronunciarsi sulle istanze di autotutela.
Con la sentenza n. 51 del 2017, resa in accoglimento del ricorso in ottemperanza nel frattempo proposto dall’ing. Cu., la sezione ha dichiarato nulla per elusione del giudicato la deliberazione di Giunta n. 147 del 23 febbraio 2016, con cui la Regione aveva “accertato l’insussistenza dei presupposti e delle condizioni per provvedere in autotutela sulle istanze”, statuendo che: “la citata delibera regionale n. 147 del 23 febbraio 2016 è fondata esclusivamente su considerazioni di natura economico – finanziaria, che omettono del tutto di considerare i rilievi penalistici della vicenda su cui si è soffermata la sentenza ottemperanda, chiedendone la adeguata valutazione” e dichiarando il conseguente obbligo dell’Amministrazione regionale di pronunciarsi nuovamente sulle istanze di autotutela.
Con ricorso per incidente di esecuzione l’ing. Cu. ha, poi, domandato la declaratoria di nullità delle successive deliberazioni della Giunta nn. 365 e 143 del 2017, con le quali la regione Puglia aveva inteso ottemperare alle sentenze n. 2237 del 2015 e n. 51 del 2017, per elusione/violazione del giudicato, nonché, in subordine, la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno derivante dall’impossibilità totale o parziale di attuazione del giudicato.
Con sentenza non definitiva n. 3378 del 2018 la sezione ha respinto la domanda di accertamento della violazione/elusione del giudicato, ritenendo che fosse stata valutata la gravità dei fatti penali relativi alla gara per la progettazione del palazzo della Regione e che gli interessi pubblici interessati fossero stati comparati, valutando opportuno disporre verificazione sul progressivo avanzamento dei lavori di realizzazione dell’opera pubblica, al fine di decidere in merito all’an ed eventualmente al quantum della domanda di risarcimento.
Con sentenza definitiva n. 3491 del 2019 la sezione ha respinto il ricorso e la richiesta risarcitoria.
Avverso tale pronuncia l’ing. Cu. propone ricorso per revocazione per contrasto tra giudicati ed errore di fatto ex artt. 106 c.p.a. e 395, nn. 5) e 4), c.p.c.
Si sono costituiti in giudizio la regione Puglia ed altri, che hanno eccepito in via preliminare l’inammissibilità del ricorso, chiedendone, in ogni caso, il rigetto.
Successivamente le parti hanno prodotto memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.
Alla camera di consiglio del 21 maggio 2020, tenuta con le modalità di cui all’art. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020 come da verbale, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso per revocazione è affidato a due motivi.
Con la prima censura il ricorrente deduce la contrarietà della sentenza revocanda ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata ai sensi dell’art. 395, n. 5), c.p.c., nonché errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa ex art. 395, n. 4), c.p.c.
L’assunto contrasto tra giudicati si fonderebbe sulla circostanza che il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 51/2017, avrebbe ritenuto elusiva del giudicato -formatosi con la sentenza del Consiglio di Stato n. 2237/2015- la delibera di Giunta regionale n. 147/2016, nella parte in cui aveva concluso negativamente il procedimento di autotutela avviato su istanza dell’ing. Cu., sul presupposto che la Regione non aveva evidenziato, in quella delibera, l’esistenza di interessi oggettivamente ed indiscutibilmente pubblici, ma si era limitata a dare atto della mera circostanza che, alla data di pubblicazione della sentenza n. 2237/2015 (4 maggio 2015) l’avvenuto avanzamento dei lavori era pari al 38,4 % dell’intero.
A fronte di tanto, la sentenza revocanda, invece, dopo aver accertato, alla stregua della disposta verificazione, che alla data del 4 maggio 2015 la percentuale realizzata dei lavori fosse pari al 31,62%, avrebbe, in contrasto con la sentenza n. 51/2017, ritenuto che la suddetta percentuale fosse da configurarsi come punto di non ritorno e che, pertanto, alcun risarcimento spettava all’Ing. Cu..
Più in generale, dunque, la sentenza n. 3491/2019 si porrebbe in contrasto con la sentenza della medesima sezione n. 51/2017 nella parte in cui ha assunto “lo stadio dei lavori di realizzazione dell’opera” come “fatto logicamente imprescindibile per il corretto bilanciamento degli interessi pubblici coinvolti”, ponendosi così in violazione delle statuizioni contenute nella precedente sentenza n. 51/2017, secondo cui il provvedimento regionale (delibera n. 147/2016) risultava “elusivo” proprio per aver considerato “la mera circostanza dell’avvenuto avanzamento dei lavori”.
Con la seconda censura il ricorrente deduce il contrasto tra giudicati ed errori di fatto risultanti dagli atti della causa, ai sensi dell’art. 395, n. 4), c.p.c. La sentenza n. 3491/2019 ha considerato “dato di fatto logicamente imprescindibile” la percentuale di avanzamento lavori del 31,62%, tale da aver “indotto” la Regione a ritenere “preminente” l’interesse pubblico alla conservazione degli atti di gara, quando invece la sentenza n. 51/2017 aveva dichiarato “elusiva” la delibera n. 147/2016, per il fatto che “finisce per prendere atto della mera circostanza dell’avvenuto avanzamento dei lavori”, in presenza di un avanzamento lavori al 38,4%, ben superiore del 31,62%. La revocanda sentenza sarebbe errata in quanto dalla stessa emergerebbe la ritenuta “inesistenza” di un fatto la cui verità è stabilita dal giudicato di cui alla sentenza n. 51/2017. Si tratterebbe dunque di un evidente errore di fatto, risultante da atti della causa: un vero e proprio abbaglio dei sensi, soggetto a revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4 c.p.c.
Inoltre, la sentenza 3378/2018 (non definitiva), pur dinanzi ad una tale percentuale, al 2015, del 33,9% (così dichiarata in atti dallo stesso ricorrente) e nonostante la sentenza n. 51/2017 avesse dichiarato la nullità della delibera G.R. n. 147/2016, dopo aver preso atto e considerato uno “stadio dei lavori”, al 2015, del 38,4%, aveva disposto la nomina di un verificatore, evidentemente perché non considerava “determinante” e “punto di non ritorno” la percentuale del 38,4% (e tanto meno la percentuale del 33,9% dichiarata in atti dal medesimo ricorrente). Se così non fosse stato, la sentenza n. 3378/2018 avrebbe già assunto la decisione “definitiva”, senza avvertire la necessità di disporre la nomina di un verificatore. La revocanda sentenza n. 3491/2019, invece, supponendo “l’inesistenza” di un fatto la cui verità riviene dai citati atti della causa, e cioè che la percentuale di avanzamento lavori, alla data del 4 maggio 2015, era del 33,9%, così dichiarata in atti, addirittura dallo stesso ricorrente ing. Cu. e “l’inesistenza” dell’ulteriore fatto che la sentenza n. 51/2017 aveva preso atto e considerato che la percentuale dei lavori, al 2015, era del 38,4% (così come dichiarato in “atti” della Sezione Lavori Pubblici della stessa Regione), avrebbe stabilito (erroneamente) che la percentuale del 31,62% (benchè inferiore delle suddette percentuali del 33,9% e del 38,4%) costituisce elemento “determinante” e “punto di non ritorno”.
Per il ricorrente, quindi, la sentenza n. 3491/2019 sarebbe errata, laddove ritiene che la percentuale del 31,62% costituisce “elemento determinante” e “punto di non ritorno”, quando invece la sentenza n. 3378/2018, nonostante addirittura lo stesso ricorrente ing. Cu. avesse dichiarato una percentuale del 33,9% e nonostante la sentenza n. 51/2017 avesse preso atto e considerato una percentuale del 38,4% (così dichiarata in “atti” dalla stessa Regione), aveva deciso di disporre una verificazione, al fine di stabilire l’an e il quantum del risarcimento a favore del ricorrente. E ciò, perché, aveva ritenuto che dette percentuali del 33,9% e del 38,4% (nonostante entrambe superiori al 31,62%) non costituissero “elemento determinante” e “punto di non ritorno”.
Il ricorrente ripropone, poi, le censure che dimostrerebbero la necessità di procedere – in via rescissoria – all’esame ed accoglimento della domanda risarcitoria così come proposta con il ricorso ex artt. 112 e 113 c.p.a.
Il ricorso deve ritenersi inammissibile.
Riguardo all’assunto contrasto tra giudicati tra la sentenza n. 51/2017 e la sentenza di cui si chiede la revocazione n. 3491/2019, per consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, affinchè possa configurarsi un contrasto tra giudicati è necessario “che le decisioni a confronto risultino fra loro incompatibili in quanto dirette a tutelare beni ed interessi di identico contenuto, nei confronti delle stesse parti, con riferimento ad identici elementi di identificazione della domanda (petitum e causa petendi) confluiti nel decisum” (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 6 aprile 2017, n. 1), cosa che non ricorre nel caso di specie, atteso che, non c’è identità di oggetto tra la sentenza ottemperanda e quella emessa in sede di ottemperanza, e quindi non può esservi contrasto tra i due giudicati per la proposizione della revocazione (cfr. sempre Cons. Stato, Ad. Plen., 6 aprile 2017, n. 1).
Riguardo, invece, all’assunto errore di fatto, per la costante giurisprudenza (cfr., fra le tante, Cons. Stato, V, 30 ottobre 2015, n. 4975; IV, 21 aprile 2017, n. 1869; Ad. plen., 27 luglio 2016, n. 21), l’errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall’art. 395, n. 4), Cod. proc. civ., deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente e immediatamente rilevabile e tale da aver indotto il giudice a supporre l’esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo.
L’errore di fatto revocatorio consiste, insomma, nel cosiddetto abbaglio dei sensi, e cioè nel travisamento delle risultanze processuali dovuto a mera svista del giudice, che conduca a ritenere come inesistenti circostanze pacificamente esistenti o viceversa: la falsa percezione da parte del giudice della realtà processuale, che giustifica l’applicazione dell’art. 395 Cod. proc. civ., deve consistere in una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che abbia portato ad affermare l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti e documenti medesimi risulti invece positivamente accertato.
E’ inammissibile, quindi, il rimedio revocatorio in relazione ad errori non rilevabili con assoluta immediatezza, ma che richiedano, per essere apprezzati, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche, ovvero errori che non consistano in un vizio di assunzione del fatto (tale da comportare che il giudice non statuisca su quello effettivamente controverso), ma si riducano ad errori di criterio nella valutazione del fatto, di modo che la decisione non derivi dall’ignoranza di atti e documenti di causa, ma dall’erronea interpretazione di essi.
Non sussiste vizio revocatorio quando si lamenta un’asserita erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio (in quanto ciò si risolve in un errore di giudizio), nonché quando una questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 2018, n. 7189).
Nella fattispecie all’esame del Collegio non si rinvengono i ricordati elementi che connaturano gli estremi dell’errore revocatorio di fatto, atteso che, al fine di giustificare la revocazione, l’errore ex art. 395, numero 4, c.p.c., deve essere stato un elemento decisivo della pronuncia da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa (cfr. Cons. Stato, IV, 14 maggio 2015, n. 2431); rapporto di causalità, questo, insussistente nel caso di specie.
Invero, per le statuizioni della sentenza n. 51/2017: “la citata delibera regionale n. 147 del 23 febbraio 2016 è fondata esclusivamente su considerazioni di natura economico – finanziaria, che omettono del tutto di considerare i rilievi penalistici della vicenda su cui si è soffermata la sentenza ottemperanda, chiedendone la adeguata valutazione: in sostanza è da ritenersi elusivo il provvedimento di esecuzione che pone a suo esclusivo fondamento mere considerazioni economiche in un’ipotesi, come quella di specie, in cui l’aggiudicazione è avvenuta per effetto di una condotta delittuosa accertata definitivamente con sentenza del giudice penale”.
La sentenza n. 51/2017, dunque, ha ritenuto elusivo del giudicato l’operato della Regione perché non aveva ponderato, in fase di autotutela, gli effetti del giudizio penale che si era concluso con un accertamento dell’illegittimità dell’operato della commissione di gara, stigmatizzando il fatto che le considerazioni della Regione si fossero limitate a valorizzare il solo dato economico-finanziario, senza declinare l’interesse pubblico in senso oggettivo. La sentenza n. 51/2017 si è limitata, dunque, a contrastare l’operato elusivo della Regione in relazione ai contenuti della sentenza n. 2237/2015, che non ha integrato, ribadendo che l’Amministrazione manteneva comunque il proprio potere discrezionale di valutazione dell’intera vicenda.
I presunti errori individuati da controparte non sono, dunque, configurabili quali errores in iudicando ovvero in procedendo neppure con riferimento alla sentenza n. 3378/2018, ove si consideri che la sentenza di cognizione non aveva attribuito all’Ing. Cu. il bene della vita oggetto della sua pretesa sostanziale, bensì un mero e generico obbligo di provvedere sull’istanza di autotutela tenendo in considerazione i risvolti penalistici della questione, e tanto risulta confermato in relazione ai contenuti delle varie pronunce di ottemperanza susseguitesi nel tempo.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti della regione Puglia e dei controinteressati, in via solidale e per la quota di un mezzo ciascuno, che si liquidano nella complessiva somma pari ad euro 8.000, oltre ad oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Elena Quadri – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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