Corte di Cassazione, civile,
Ordinanza|19 ottobre 2022| n. 30732.

È illegittima la ritenzione da parte dell’avvocato dell’assegno ricevuto presso il suo studio in favore di un suo cliente

È illegittima la ritenzione da parte dell’avvocato dell’assegno ricevuto presso il suo studio in favore di un suo cliente e non includente le spese processuali ed a tale condotta può essere riconnessa quale conseguenza la necessità del cliente di far ricorso ad un finanziamento al fine di affrontare delle spese familiari, non potendo far affidamento sulle somme dell’assegno trattenuto.

Ordinanza|19 ottobre 2022| n. 30732. È illegittima la ritenzione da parte dell’avvocato dell’assegno ricevuto presso il suo studio in favore di un suo cliente

Data udienza 24 giugno 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Professioni – Responsabilità avvocato – Assegno ricevuto nell’interesse del cliente – Consegna al cliente stesso – Non subordinazione della consegna al pagamento dei compensi professionali

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RUBINO Lina – Presidente

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 19941/2019 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte suprema di Cassazione;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catania n. 2708/2018, pubblicata in data 17 dicembre 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 giugno 2022 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina A. P. Condello.

È illegittima la ritenzione da parte dell’avvocato dell’assegno ricevuto presso il suo studio in favore di un suo cliente

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale il Giudice di Pace di Siracusa gli aveva ingiunto di pagare all’avv. (OMISSIS) la somma di Euro 3.824,59 a titolo di compensi professionali maturati per l’attivita’ prestata in suo favore nella causa di lavoro promossa nei confronti dell’Azienda Siciliana Trasporti, definita con sentenza dell’11 gennaio 2007.
L’opponente, oltre a contestare il credito vantato dal professionista, spiego’ domanda riconvenzionale chiedendo la condanna dell’avv. (OMISSIS) al risarcimento dei danni, in proprio favore, quantificati in Euro 5.307,89, adducendo che quest’ultimo aveva illegittimamente trattenuto l’assegno circolare dell’importo di Euro 11.680,97 che, all’esito della causa di lavoro, l’Azienda Siciliana Trasporti, parte soccombente, aveva trasmesso al professionista a tacitazione della pretesa azionata.
Il Giudice di Pace separo’ le domande e, a seguito di riassunzione del giudizio avente ad oggetto la domanda riconvenzionale, il Tribunale di Siracusa la rigetto’.
La sentenza, impugnata dal (OMISSIS), e’ stata riformata dalla Corte d’appello di Catania che ha condannato l’avv. (OMISSIS) al pagamento, in favore del (OMISSIS), al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, della somma di Euro 2.388,97, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, nonche’ al rimborso delle spese dell’intero giudizio.
In particolare, la Corte territoriale, ha osservato che il danno da quest’ultimo lamentato spiegava effetti al di fuori del mandato professionale e comportava la lesione di un diritto di credito che il (OMISSIS) aveva verso terzi, il cui soddisfacimento era stato impedito dal comportamento ostruzionistico dell’avv. (OMISSIS), il quale aveva opposto un proprio credito professionale che avrebbe potuto essere soddisfatto senza impedire al (OMISSIS) di rientrare nella materiale disponibilita’ dell’assegno. Ha, quindi, sottolineato che l’avere trattenuto l’assegno costituiva illecito civile, oltre che condotta posta in essere in aperta violazione del principio generale di cui all’articolo 1175 c.c.
3. (OMISSIS) ricorre per la cassazione della suddetta decisione, con due motivi.
(OMISSIS) non ha svolto attivita’ difensiva in questa sede.
4. La trattazione del ricorso e’ stata fissata ai sensi dell’articolo 380-bis.1. c.p.c.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero presso la Corte.

È illegittima la ritenzione da parte dell’avvocato dell’assegno ricevuto presso il suo studio in favore di un suo cliente

RAGIONI DELLA DECISIONE

 

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articolo 2235 c.c. e R.Decreto Legge n. 1578 del 1933 articolo 66, nonche’ degli articoli 1771, 2043 e 1175 c.c.
Lamenta che la Corte territoriale, in contrasto con quanto ritenuto dal Consiglio dell’Ordine in sede disciplinare e dal Giudice per le indagini preliminari in sede penale, che avevano valutato la medesima condotta, aveva concluso che la stessa violasse la previsione delle disposizioni normative richiamate in rubrica. Evidenzia, al riguardo, il ricorrente che le citate previsioni normative disciplinano fattispecie del tutto diverse da quella dedotta in giudizio, riguardando l’articolo 2335 c.c. l’ipotesi della ritenzione, ad opera del professionista, di cose e documenti, ovvero di atti di causa e scritture (articolo 66 citato) consegnati dal cliente. Fa, inoltre, rilevare che, nel caso di specie, l’assegno non era stato trattenuto, essendo piuttosto accaduto che il (OMISSIS) non si era presentato in studio per ritirarlo, pur essendo stato piu’ volte a cio’ invitato, e che in ogni caso tra i doveri del difensore rientrava quello di custodire i documenti e i titoli fino al momento del ritiro da parte del beneficiario presso il proprio studio, ma non l’obbligo di spedire atti e titoli al domicilio del cliente. Peraltro, sottolinea il ricorrente, perdurando il mancato ritiro dell’assegno presso lo studio, aveva provveduto a depositarlo presso il Consiglio dell’Ordine degli avvocati, in linea con quanto previsto dal richiamato articolo 66 del codice deontologico; a fronte del maggior onere di spedizione preteso dal cliente, aveva richiesto, con nota del 4 giugno 2007, di avere preliminarmente pagati i propri compensi, senza comunque negare la possibilita’ dello stesso di venire a ritirare l’assegno presso il proprio studio.
Escludendo che possa ravvisarsi una violazione del principio di buona fede sancito dall’articolo 1175 c.c., il ricorrente afferma pure che la sentenza sarebbe errata laddove ha concluso per la sussistenza di responsabilita’ ex articolo 2043 c.c., stante il difetto di prova, non offerto dalla controparte, del rifiuto di consegnare l’assegno.
2. Con il secondo motivo, censurando la decisione gravata nella parte in cui ha ritenuto sussistente il nesso eziologico fra la condotta del ricorrente ed il danno patrimoniale lamentato e deducendo la violazione dell’articolo 2043 c.c., il ricorrente evidenzia l’assoluta carenza di correlazione tra il pregiudizio patrimoniale oggetto della richiesta di risarcimento dei danni e la fattispecie dedotta in giudizio. Ribadisce che il (OMISSIS) avrebbe potuto in qualsiasi momento recarsi a ritirare il titolo presso lo studio professionale e che mancava la prova dello stato di necessita’ per il (OMISSIS) di contrarre il mutuo per far fronte alle spese del matrimonio della figlia ed alle spese legali per recuperare l’assegno, nonche’ della dipendenza di tali circostanze dalla supposta mancata consegna del titolo da parte del professionista.
3. Il primo motivo e’ inammissibile.
3.1. E’ opportuno premettere che la intervenuta archiviazione del procedimento disciplinare e di quello penale non precludeva al giudice del merito di procedere ad autonoma valutazione della condotta contestata al professionista, atteso che l’illiceita’ disciplinare del comportamento posto in essere dal professionista deve essere valutata solo in relazione alla sua idoneita’ a ledere la dignita’ e il decoro professionale, indipendentemente dal rilievo che tale comportamento assuma sul piano civile o penale.
3.2. In linea generale, l’avvocato, se non espressamente autorizzato dal cliente, non e’ legittimato alla riscossione delle somme in nome e per conto del cliente e, qualora vi provveda, pur in mancanza di autorizzazione, deve immediatamente rimettergli le somme a disposizione. Cio’ emerge sia dal dettato dell’articolo 30 del codice deontologico forense, sia, ancora piu’ specificamente, dall’articolo 31 dello stesso codice deontologico, che sancisce che “l’avvocato deve mettere immediatamente a disposizione della parte assistita le somme riscosse per conto della stessa”, precisando altresi’ che “l’avvocato ha diritto di trattenere le somme da chiunque ricevute imputandole a titolo di compenso a) quando vi sia il consenso del cliente e della parte assistita; b) quando si tratti di somme liquidate giudizialmente a titolo di compenso a carico della controparte e l’avvocato non le abbia gia’ ricevute dal cliente o dalla parte assistita; c) quando abbia gia’ formulato una richiesta di pagamento del proprio compenso espressamente accettata dal cliente”.
3.3. La Corte d’appello, in punto di fatto, ha accertato che:
a) in data 12 aprile 2007 il (OMISSIS) aveva appreso che l’Azienda Siciliana Trasporti aveva effettuato il pagamento delle spettanze a lui dovute all’esito della causa di lavoro e che aveva inviato l’assegno all’avv. (OMISSIS);
b) con missiva del 4 maggio 2007 il (OMISSIS) aveva invitato il (OMISSIS) a trasmettergli l’assegno dell’importo di Euro 11.680,97, rassicurandolo che avrebbe provveduto a corrispondergli i compensi professionali;
c) con missiva del 4 giugno 2007 l’avv. (OMISSIS) aveva trasmesso al cliente la propria parcella, evidenziandogli che piu’ volte gli aveva chiesto di recarsi presso lo studio legale per pagare i compensi ed invitandolo ad effettuare il bonifico bancario entro sette giorni, alle coordinate bancarie indicate e subordinando la consegna dell’assegno al previo pagamento delle competenze professionali;
d) con altra missiva del 4 giugno 2007 il (OMISSIS), assistito da nuovo difensore, aveva sollecitato la consegna dell’assegno, assicurando all’avv. (OMISSIS) che avrebbe provveduto al pagamento dei compensi e con successiva missiva del 31 luglio 2007 aveva intimato l’avvocato di depositare l’assegno, entro sette giorni, presso l’Ordine degli Avvocati di Siracusa, evidenziando la necessita’ di disporre di liquidita’;
e) soltanto in data 3 dicembre 2008 il (OMISSIS) aveva potuto ritirare l’assegno depositato dal professionista presso l’Ordine di appartenenza.
La ricostruzione della vicenda fattuale evidenzia che i giudici di appello hanno chiaramente acclarato che l’odierno ricorrente, dopo avere ricevuto l’assegno per conto e nell’interesse del cliente, non ha provveduto, come era suo onere, a metterlo tempestivamente a disposizione del cliente, ma ha piuttosto subordinato la consegna del titolo al pagamento, da parte del (OMISSIS), dei compensi professionali, tanto che soltanto in data 3 dicembre 2008, il (OMISSIS) e’ potuto rientrare nella disponibilita’ della somma versata dall’Azienda Siciliana Trasporti, risultata soccombente nell’ambito della causa di lavoro.
3.4. Nell’illustrare il primo motivo l’avv. (OMISSIS) critica le conclusioni a cui e’ pervenuta la Corte territoriale e contrappone alla ricostruzione esposta nella sentenza impugnata una diversa ricostruzione del fatto, negando di avere trattenuto l’assegno ed adducendo che aveva piu’ volte invitato il (OMISSIS) a ritirarlo presso il proprio studio legale e che il cliente non si sarebbe mai presentato in studio per tale incombente, avendo anzi avanzato la richiesta di ricevere il titolo presso il proprio domicilio. Il professionista sostiene, pure, che a causa del perdurante mancato ritiro dell’assegno presso il proprio studio da parte del (OMISSIS) e in conseguenza dell’esposto da quest’ultimo presentato, si sarebbe determinato a depositare il titolo presso il Consiglio dell’Ordine degli avvocati, in linea con quanto previsto dall’articolo 66 del Regio Decreto n. 1578 del 1933.
Cosi’ argomentando, sotto l’apparente deduzione di vizi di violazione di legge evocati nella rubrica del mezzo in esame, il ricorrente – men che lamentare specifiche violazioni delle norme succitate da parte della decisione impugnata – sollecita, nella sostanza, una rivisitazione dell’accertamento dei fatti e delle risultanze istruttorie, motivatamente effettuata dalla Corte territoriale e non censurabile in questa sede, se non sotto il profilo motivazionale, neppure dedotto, ed entro i ristretti limiti di cui al riformulato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5
Le censure rivolte alla sentenza degradano, dunque, verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui e’ originata la domanda di risarcimento dei danni (Cass., sez. U, 17/12/2019, n. 33373) e la complessiva censura traligna dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti, senza neppure confrontarsi con la ratio decidendi della pronuncia.
Deve qui ribadirsi che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – e’ segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass., sez. 6 – 2, 12/10/2017, n. 24054).
4. Il secondo motivo di ricorso e’ inammissibile.
I giudici di appello, acclarata la ritenzione ingiustificata, da parte del professionista, dell’assegno del cliente, pacificamente non comprensivo di spese processuali, ha ritenuto provato il nesso causale tra la mancata consegna del titolo ed il ricorso al finanziamento fatto dal (OMISSIS) per fare fronte alle spese del matrimonio della figlia, valorizzando a tal fine sia la circostanza che il (OMISSIS), con la missiva del 31 luglio 2007, aveva rappresentato all’avv. (OMISSIS) l’urgenza di conseguire la disponibilita’ della somma portata dall’assegno, sollecitandolo a depositare il titolo presso il Consiglio dell’Ordine, sia la ulteriore circostanza che, essendo le nozze fissate per la data dell’8 settembre 2007, il (OMISSIS) si era visto costretto ad avanzare richiesta di finanziamento nel mese di luglio 2007.
Le critiche che, anche sotto tale profilo, vengono rivolte alla decisione gravata sono parimenti incentrate su una diversa ricostruzione fattuale rispetto a quella ritenuta dalla Corte d’appello e si sostanziano in una generica contestazione della carenza di prova della necessita’, per il (OMISSIS), di contrarre il mutuo per far fronte alle spese del matrimonio, nonche’ al pagamento delle spese legali. Cosi’ come formulate esse ripropongono questioni di merito gia’ affrontate e risolte, con congrua motivazione, dai giudici di merito che hanno escluso che il ricorso al credito fosse fittizio o solamente dettato dall’intento di nuocere al professionista e hanno correttamente concluso per la fondatezza della domanda svolta dal (OMISSIS) sul rilievo che la necessita’ di ricorrere al finanziamento sia scaturita proprio dalla mancata disponibilita’ della somma portata dall’assegno non tempestivamente messo a sua disposizione da parte del professionista.
5. Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nulla deve disporsi in merito alle spese di lite, essendo il (OMISSIS) rimasto intimato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

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