È connaturato all’espletamento della funzione dell’avvocato dell’ente pubblico l’esigenza di correlazione con le strutture amministrative alle quali presta ausilio

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 3 aprile 2019, n. 2196.

La massima estrapolata:

È connaturato all’espletamento della funzione dell’avvocato dell’ente pubblico l’esigenza di correlazione con le strutture amministrative alle quali presta ausilio. È conciliabile, dunque, l’inserimento delle funzioni proprie dell’avvocato dell’ente pubblico nel contesto di modelli di coordinamento giustificati da ineludibili e razionali esigenze organizzative dell’ente. Se, da un lato, dunque è da escludere che la funzione dell’avvocato dell’ente pubblico possa tollerare forme di valutazione dell’attività in termini di risultato, dall’altro lato lo svolgimento di tale funzione può essere assoggettata alle disposizioni del Piano della Performance, ove riferite a quelle incombenze che, per lo stesso avvocato, costituiscono precipua espressione della predetta esigenza di coordinamento.

Sentenza 3 aprile 2019, n. 2196

Data udienza 20 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 4417 del 2018, proposto da:
An. Ac. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati An. Br., Lo. Le., Or. Ca., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via (…);
contro
Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Al. Er., con domicilio eletto presso l’Ufficio di rappresentanza dell’Ente in Roma, via (…);
nei confronti
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Alessandro Biamonte, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
Ma. D’E., Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Salerno, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE III n. 00454/2018, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Visto l’appello incidentale della Regione Campania;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 20 dicembre 2018 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Lo. Le., Se. Ma. su delega dell’avv. Er., Al. Bi.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

1. Gli avvocati dell’Ufficio speciale Avvocatura della Regione Campania indicati in epigrafe impugnavano innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania la delibera giuntale della Regione Campania n. 286 del 2017, approvativa del Piano dellaperformance 2017-2019 della Giunta per l’Ufficio speciale Avvocatura, la scheda individuale di valutazione degli avvocati funzionari, nonché, occorrendo, le delibere giuntali nn. 145 e 247 del 2017, la nota del Presidente della Regione Campania n. 8691 del 2017, gli artt. 3 e 4 del regolamento n. 12 del 2011.
Lamentavano di essere stati assoggettati individualmente per effetto di tali atti – vieppiù senza il riconoscimento di voci retributive legate al risultato, previste per i dirigenti e il restante personale della Giunta regionale – alle forme di valutazione e verifica dei risultati delle loro prestazioni ai sensi del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni’, che non si applicherebbero agli avvocati dell’Ente, perché in possesso di uno status separato, svolgenti attività di patrocinio legale e consulenza soggetto al controllo dell’Ordine professionale e all’osservanza delle norme di deontologia, e tenuti alla formazione professionale obbligatoria per conservare il diritto all’iscrizione all’Albo speciale.
Domandavano pertanto l’annullamento dei provvedimenti gravati, di cui affermavano l’illegittimità sotto vari profili; in via subordinata, sollevavano questioni di legittimità costituzionale delle richiamate norme del d.lgs. n. 150 del 2009, degli artt. 3 e 4 del Regolamento regionale n. 12 del 2011, del sotteso art. 2 della l.r. n. 8 del 2010.
Nel predetto giudizio, la Regione Campania si costituiva in resistenza, mentre il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli e il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Salerno spiegavano atti di intervento ad adiuvandum.
2. L’adito Tribunale, con sentenza n. 454 del 2018, respingeva il ricorso.
La sentenza, in sintesi:
– riteneva infondate le due eccezioni preliminari formulate dalla resistente Regione (quella di carenza di giurisdizione del giudice amministrativo a favore del giudice ordinario, rilevando trattarsi non di misure inerenti la gestione del rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, bensì di un atto di c.d. macro-organizzazione; quella di tardività del ricorso per intempestiva impugnazione dell’atto presupposto, costituito dalla delibera giuntale n. 145/2017 che aveva individuato gli uffici speciali esclusi, senza comprendervi l’Avvocatura, rilevando che l’esclusione dall’applicazione della disciplina normativa in parola, in tesi, era conseguenza di legge, e che la lesione dell’interesse azionato in giudizio si era concretata solo con l’adozione del Piano della performance, contenente l’espressa previsione degli avvocati regionali quali figure professionali assoggettate alla valutazione della performance individuale);
– nel merito, rilevava l’indiscutibile appartenenza dell’attività professionale forense alla categoria dell’obbligazione di mezzi e non di risultato, nonché l’autonomia e l’indipendenza impressa all’attività dall’ordinamento forense (legge 31 dicembre 2012, n. 247), anche ove svolta dagli avvocati dipendenti da enti pubblici, iscritti negli elenchi speciali;
– osservava tuttavia come lo stesso Tribunale avesse già rilevato, nella precedente sentenza n. 3945 del 2015, che “l’assoggettamento a modelli organizzativi e gerarchici non appare di per sé incompatibile con la funzione di avvocato dipendente di un ente pubblico e non in contraddizione con i principi dell’ordinamento professionale forense”, stante la connaturalità all’espletamento della funzione dell’avvocato dell’Ente pubblico dell’esigenza di correlazione con le strutture amministrative ausiliate, con conseguente conciliabilità dell’inserimento delle funzioni proprie dell’avvocato regionale “nel contesto di modelli di coordinamento” che riteneva giustificato “da ineludibili e razionali esigenze organizzative dell’ente”;
– in applicazione di tali coordinate, distingueva tra funzioni prettamente attinenti all’esercizio della professione forense e altri compiti riconnessi allo svolgimento dell’attività da parte dell’avvocato dipendente della Regione, nell’ambito della struttura organizzativa di cui fa parte e in favore della quale presta la propria opera con vincolo di esclusività, concludendo che “per le prime resta esclusa la legittimità di provvedimenti che prevedano forme di valutazione dell’attività in termini di risultato, nel secondo caso è ammissibile l’assoggettamento dell’attività allo strumento delineato dal d.lgs. n. 150 del 2009”;
– esaminava indi le previsioni del contestato Piano dellaperformance per la parte riguardante gli avvocati regionali, escludendo che esse contenessero un vincolo di risultato all’attività professionale propriamente intesa. In particolare, rilevava come l’enunciazione dei relativi obiettivi palesasse, piuttosto che la lesione alle prerogative professionali degli avvocati regionali o la compromissione dell’indipendenza di giudizio e dell’autonomia delle scelte, un rafforzamento, per taluni aspetti, del loro ruolo di centro suggeritore delle azioni dell’Ente, mentre l’introduzione delle modalità di espletamento dell’attività (quali la predisposizione di fascicoli informatici) fosse ineludibile allo stato attuale dell’innovazione tecnologica;
– escludeva che gli elementi posti a base della valutazione della performance individuale, peraltro non fatti oggetto di specifiche censure, fossero censurabili;
– escludeva la rilevanza ai fini perseguiti dai ricorrenti del Piano relativo all’Avvocatura, pubblicato il 31 maggio 2017, in quanto sia gli indicatori di risultato in termini di quantità ivi contenuti, che l’individuazione degli obiettivi operativi mediante l’individuazione nominativa dei professionisti addetti e il peso percentuale assegnato al concorso nell’attività non potevano dirsi misuratori dell’attività avulsi dalla realtà, costituendo piuttosto gli indicatori per il miglioramento dell’efficacia ed efficienza amministrativa nelle condizioni date, ferma, naturalmente, l’inesigibilità di prestazioni lavorative illegittime o impossibili secondo il principio ad impossibilia nemo tenetur;
– non rinveniva né elementi da cui desumere lo snaturamento dell’attività professionale e la sua riconduzione a un’attività burocratica, trattandosi di funzioni connesse all’esercizio della professione legale nella sua particolare configurazione nell’ambito dell’Ente, né un loro ingiustificato maggior peso rispetto all’attività professionale;
– affermava, in particolare, che delibera impugnata non apportava compiti nuovi o estranei alla funzione tipica dell’avvocato, tali non essendo, a esempio, le previste riunioni con gli uffici, e ciò ancorchè tali compiti potessero comportare un certo peso percentuale rispetto all’attività professionale, sia in relazione al Dirigente avvocato che in assoluto (come la disamina delle istanze di accesso attribuita a uno degli avvocati ricorrenti), ferma restando, comunque, la possibilità di adire la tutela innanzi al G.O. per le questioni attinenti alle concrete modalità di espletamento dell’attività lavorativa e per quelle di natura patrimoniale connesse alla remuneratività della prestazione;
– riteneva irrilevante che l’adozione del Piano della performance non fosse avvenuta nel termine, non perentorio, di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 150 del 2009;
– escludeva infine la rinvenibilità nella fattispecie di lesioni alle prerogative professionali forensi e, indi, la proponibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai ricorrenti.
3. Avverso tale sentenza gli interessati proponevano l’odierno appello, deducendo:
1) Error in iudicando, violazione degli artt. 3, 24, 33 e 111 Cost., del d.lgs. 150/2009, della l. 247/2012, del d.-l. 90/2014, della l.r. 4/2011, del C.C.N.L., del regolamento n. 12/2011, della D.G.R. 731/2012 e del d.d. n. 506/2014, violazione della sentenza n. 3945/2015 del Tar Campania, illogicità della motivazione, travisamento dei presupposti: la sentenza sarebbe erronea laddove, posti condivisibili principi di massima, distingue tra funzioni prettamente riconnesse alla funzione di avvocato e altri compiti riconnessi allo svolgimento dell’attività da parte dell’avvocato dipendente dalla Regione, per cui ritiene legittimo l’assoggettamento alla performance. Tale conclusione sarebbe illogica in quanto gli avvocati non svolgono né possono svolgere attività lavorativa diversa da quella strettamente professionale, pena l’incompatibilità con l’iscrizione all’Albo forense, con conseguente inapplicabilità agli avvocati pubblici del d.lgs. n. 150 del 2009, concepito per l’amministrazione attiva. Non rileverebbe la circostanza che la performance è imposta all’Avvocatura nel suo insieme (avvocati e personale amministrativo), in quanto essa comunque obbliga ciascun avvocato a conseguire obiettivi individuali annuali e triennali, pena una serie di conseguenze negative (licenziamento disciplinare; divieto di progressione in carriera; divieto di attribuzione di incarichi), e ciò mediante l’espletamento di compiti burocratici, incompatibili con il dettato della legge professionale forense e vieppiù sottoposti alla valutazione di dirigenti di strutture amministrative in cui l’Avvocatura non è incardinata, come già riconosciuto dal giudicato dello stesso Tribunale n. 3495/2011. La sentenza appellata si porrebbe inoltre in contrasto con il parere del Consiglio di Stato, I, n. 2933 del 2011, che ha escluso l’Avvocatura dello Stato dall’applicabilità del d.lgs. 150/2009, oltre che con il parere reso dalla Commissione Speciale n. 917 del 2017. Diversamente, gli avvocati dell’Ente, che hanno una mission interna e non dispongono di denaro pubblico, non erogano servizi al pubblico né hanno incarichi di responsabilità amministrativa, al pari degli uffici amministrativi per cui il modello manageriale della performance è stato istituito, sarebbero sottoposti anche al controllo relativo alla trasparenza e alla corruzione, cui sono deputati organismi esterni all’Avvocatura e all’Ente (O.I.V. e ANAC);
1.2) Error in iudicando, violazione degli artt. 3, 24, 33 e 111 Cost., del d.lgs. 150/2009, della l. 247/2012, del d.-l. 90/2014, della l.r. 4/2011, del C.C.N.L., del regolamento n. 12/2011, della D.G.R. 731/2012 e del d.d. n. 506/2014, violazione della sentenza n. 3945/2015 del Tar Campania, illogicità della motivazione, travisamento dei presupposti: la sentenza sarebbe altresì erronea e contraddittoria laddove ha rilevato che gli obiettivi assegnati agli avvocati non sarebbero in concreto eversivi dell’autonomia e dell’indipendenza dei medesimi, tenuto conto del fatto che gli obblighi di raggiungere il risultato individuale, e attraverso di esso quello collettivo, implica l’assoggettamento dell’avvocato a un giudizio esterno o interno, dal quale dipende la conservazione del posto di lavoro, con conseguente coercizione della volontà e violazione delle prerogative di autonomia e indipendenza del professionista, il quale non potrebbe essere obbligato a compiere una serie di attività (atti giudiziari; transazioni; pareri; notifiche telematiche; riunioni con uffici) che non sono nella sua disponibilità, essendo rimessi a fattori esterni imprevedibili nell’an, nel quando e nel quomodo;
2) Error in iudicando, violazione degli artt. 3, 24, 33, 36, 39, 97, 111 e 117 Cost., del d.lgs. 150/2009, della l. 247/2012, del d.-l. 90/2014, della l.r. 4/2011, del C.C.N.L., del regolamento n. 12/2011, della D.G.R. 731/2012 e del d.d. n. 506/2014, violazione della sentenza n. 3945/2015 del Tar Campania, illogicità e perplessità della motivazione: l’erroneità della sentenza appellata si apprezzerebbe specialmente laddove ammette che il Piano della performance impone agli appellanti un risultato quantitativo individuale, in contrasto con il carattere della prestazione professionale, imperniata sull’obbligo di diligenza nell’esercizio della professione. Né sarebbe sostenibile che tale risultato non è lesivo, come ha fatto la stessa sentenza, richiamando l’inesigibilità di prestazioni lavorative indebite o impossibili, ciò che deporrebbe, invece, per l’evidente irragionevolezza della previsione;
2.1) Error in iudicando, violazione degli artt. 3, 24, 33, 36, 39, 97, 111 e 117 Cost., del d.lgs. 150/2009, della l. 247/2012, del d.-l. 90/2014, della l.r. 4/2011, del C.C.N.L., del regolamento n. 12/2011, della D.G.R. 731/2012 e del d.d. n. 506/2014, violazione della sentenza n. 3945/2015 del Tar Campania, illogicità e perplessità della motivazione: l’illogicità della sentenza appellata si apprezzerebbe ancor più laddove, elencati gli obiettivi prefissati, esclude che gli stessi configurino un’attività di carattere burocratico, trattandosi, invece, di compiti nuovi, non rientranti nell’attività professionale, e talvolta trasbordanti, in linea percentuale, il peso dell’attività professionale, come sarebbe testimoniato proprio dagli esempi, citati in sentenza, delle riunioni con gli uffici e dall’esame delle istanze di accesso;
2.2) Error in iudicando, violazione degli artt. 3, 24, 33, 36, 39, 97, 111 e 117 Cost., del d.lgs. 150/2009, della l. 247/2012, del d.-l. 90/2014, della l.r. 4/2011, del C.C.N.L., del regolamento n. 12/2011, della D.G.R. 731/2012 e del d.d. n. 506/2014, violazione della sentenza n. 3945/2015 del Tar Campania, illogicità e perplessità della motivazione: laddove possa ritenersi che le attività previste dal Piano della performance a carico degli avvocati appellanti siano dequotabili a compiti paraprofessionali supplementari, in aggiunta a quelli propri, dovrebbe comunque concludersi per la loro illegittimità, per violazione della “riserva di contratto” prevista nel vigente ordinamento del lavoro privatizzato alle dipendenze della pubblica amministrazione, anche tenuto conto che per gli stessi non è previsto alcun trattamento retributivo aggiuntivo. In difetto, dovrebbe concludersi per la fondatezza delle prospettate questioni di legittimità costituzionale, anche alla luce della giurisprudenza della CEDU in materia di patrocinio obbligatorio gratuito dei praticanti avvocati belgi a favore dei soggetti indigenti (sentenza 23 novembre 1983, n. 70, avv. Van der Mussele c/Belgio) e della Convenzione dell’O.N.U. di New York del 16/19 dicembre 1966 ratificata con legge n. 881 del 1099, art. 6, primo comma;
3) Error in iudicando, violazione degli artt. 3, 24, 33, 97 e 111 Cost., del d.lgs. 150/2009, della l. 247/2012, del d.-l. 90/2014, della l.r. 4/2011, del C.C.N.L., del regolamento n. 12/2011, della D.G.R. 731/2012 e del d.d. n. 506/2014, illogicità e insufficienza della motivazione, violazione dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, del giusto procedimento: la perentorietà del termine per l’adozione dell’atto, destinato a regolare un triennio, emergerebbe, contrariamente a quanto rilevato dalla sentenza appellata, dalla ratio della relativa previsione. Il provvedimento avrebbe pertanto dovuto essere annullato perché adottato fuori dal termine essenziale di legge, trattandosi vieppiù di atto cui è stata impressa efficacia retroattiva, in violazione del principio di certezza e di ragionevolezza degli atti amministrativi. La sentenza appellata si tradurrebbe pertanto in una inammissibile sanatoria del provvedimento.
Gli appellanti concludevano indi in via principale per la riforma della sentenza gravata e l’annullamento degli atti impugnati in primo grado, in via subordinata per la sottoposizione alla Corte Costituzionale delle spiegate questioni di legittimità costituzionale.
4. La Regione Campania, a sua volta, proponeva appello incidentale avverso i capi della sentenza di primo grado recanti la reiezione delle eccezioni svolte dall’Ente in primo grado di carenza di giurisdizione e di tardività del ricorso originario, deducendo, rispettivamente: error in iudicando in ordine al difetto di giurisdizione del giudice amministrativo; error in iudicando in ordine alla tardività dell’impugnativa della delibera 145 del 2017e della conseguente inammissibilità del gravame avverso l’atto 286 del 2017.
Nel prosieguo, la Regione, rappresentato di aver provveduto, mediante atti sopravvenuti rimasti inoppugnati (delibera n. 14 del 2018; D.G.R. n. 235 del 2018; delibera n. 311 del 2018), ad aggiornare il sistema di misurazione e valutazione della performance, ad approvare il Piano della performance 2018-2020 della Giunta regionale della Campania, a certificare il raggiungimento da parte dell’Ufficio speciale Avvocatura del 100% dei relativi obiettivi strategici, confutava i motivi di appello.
La Regione concludeva pertanto per la declaratoria di inammissibilità e improcedibilità dell’appello principale, e in ogni caso per la sua infondatezza.
5. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli si costituiva ad adiuvandum, esponendo i profili per i quali le ragioni degli avvocati funzionari della Regione Campania involvono la tutela ordinistica di cui esso è portatore, in ossequio ai principi che la legge professionale forense pone a garanzia dell’autonomia, del decoro e della dignità della professione. Sosteneva indi l’infondatezza dell’appello incidentale e la fondatezza dell’appello principale, in quanto gli avvocati pubblici, quali iscritti all’Albo speciale e per le mansioni ricoperte, non potrebbero ritenersi soggetti all’obbligo della performance.
6. Gli appellanti e la Regione Campania affidavano al deposito di memorie lo sviluppo delle proprie tesi difensive.
In particolare, la Regione Campania eccepiva la sopravvenuta carenza di interesse degli appellanti alla coltivazione dell’appello, per effetto dei predetti provvedimenti sopravvenuti e in particolare dell’approvazione della precitata relazione finale sulla performance 2017, certificante il raggiungimento al 100% degli obiettivi assegnati all’Ufficio speciale Avvocatura.
Gli appellanti illustravano a loro volta le ragioni del proprio perdurante interesse alla decisione della causa, evidenziando anche, a sostegno dell’irrealizzabilità degli obiettivi del Piano della performance, come la predetta relazione finale sulla performance collettiva 2017 fosse stata approvata senza la previa acquisizione della relazione degli avvocati e senza che essi ponessero in essere le attività ivi previste, e in carenza di approvazione della performance individuale. Davano atto di aver proposto ricorso pendente innanzi al Tar Campania (N.R.G. 3171/18) avverso gli atti sopravvenuti e connessi, nei limiti della loro lesività .
7. La causa veniva trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 20 dicembre 2018.

DIRITTO

1. L’appello incidentale proposto dalla Regione Campania va esaminato in via prioritaria attenendo sia alla individuazione del giudice competente a decidere la controversia che alla ritualità del ricorso proposto in primo grado.
2. Con il primo motivo la Regione Campania afferma che le questioni in esame involvono atti di gestione del rapporto di lavoro, soggetti alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
2.1. Come di recente rilevato da questo Consiglio di Stato (IV, 5 gennaio 2018, n. 63), il vigente riparto di giurisdizione sulle controversie in materia di pubblico impiego origina dalla scelta di privatizzare, salvo alcune eccezioni, il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (art. 2 l. 23 ottobre 1992 n. 421).
Allo stato, ai sensi dell’art. 5 comma 2 del d.lgs. n. 165 del 2001, le regole di diritto privato si applicano alle “determinazioni per l’organizzazione degli uffici” e alle “misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro”, le quali “sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro”. La norma richiama anche “la direzione e l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici”.
Di contro, per l’art. 2 comma 1 del d.lgs. 165/2001, le regole di diritto pubblico attengono alla fase amministrativa che precede la stipula del contratto di lavoro, nonché alle regole di macro-organizzazione che si collocano a monte del rapporto di lavoro, e che “definiscono… le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive”.
Nel predetto contesto, l’art. 63 comma 1 del d.lgs. n. 165 del 2001 stabilisce che sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni “ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti”; laddove questi ultimi siano “rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi”.
Restano invece attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, quelle relative ai rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico (art. 63 comma 4 d.lgs. 165/2001).
La Corte regolatrice della giurisdizione ha poi chiarito che spetta alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo la controversia nella quale la contestazione investa direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti organizzativi attraverso i quali le amministrazioni pubbliche definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici e i modi di conferimento della titolarità degli stessi. Ciò segnatamente per le ipotesi in cui la contestazione in giudizio della legittimità degli atti espressione di poteri pubblicistici, di cui all’art. 2 comma 1 del d.lgs. n. 165 del 2001, implichi la deduzione di una posizione di interesse legittimo, nella quale il rapporto di lavoro non costituisce l’effettivo oggetto del giudizio, venendo in rilievo, piuttosto, lo sfondo rilevante ai fini di qualificare la prospettata posizione soggettiva del ricorrente, in quanto gli effetti pregiudizievoli derivano direttamente dall’atto presupposto (ex plurimis, Cass. civ., Sez. Un., 23 marzo 2017, n. 7483).
Spettano pertanto alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie nelle quali la contestazione investe direttamente un atto organizzativo, la cui asserita illegittimità sia posta a base della pretesa di accertamento dell’invalidità dell’atto di gestione del rapporto di lavoro.
In tal caso, non trova applicazione il potere del giudice ordinario di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi rilevanti per la decisione della controversia, trattandosi di potere che presuppone che sia dedotto in causa un diritto soggettivo su cui incide il provvedimento amministrativo non conforme a legge (Cass. civ., Sez. Un., 27 febbraio 2017, n. 4881, 9 febbraio 2009, n. 3052): nell’ipotesi, si verte invece in tema di interesse legittimo, e la disapplicazione da parte del giudice ordinario si risolverebbe nella cognizione diretta della legittimità dell’atto amministrativo.
Esulano poi dalla giurisdizione del giudice amministrativo, per essere sottoposte alla giurisdizione ordinaria, ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, le questioni che, pur palesando risvolti organizzativi, si esauriscono nell’ambito della c.d. “micro-organizzazione” di cui è menzione all’articolo 2 comma 2 dello stesso decreto legislativo (di recente, Cons. Stato, V, 6 ottobre 2018, n. 5751).
Con l’avvertenza che, in ogni caso, la giurisdizione si determina in base al criterio del c.d. petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio e individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati e al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (ex plurimis, Cass. civ., Sez. Un., 15 settembre 2017, n. 21522).
2.2. Ad avviso dell’appellante incidentale, le gravate delibere, che, ferma la dotazione organica dell’Ufficio speciale Avvocatura, l’inquadramento degli avvocati e il generale assetto organizzativo dell’Ufficio, si sarebbero limitate ad adottare misure inerenti la minuta gestione del rapporto di lavoro degli avvocati (assegnazione di obiettivi operativi; implementazione delle notifiche telematiche; individuazione del peso percentuale dell’attività lavorativa richiesta ai fini dell’erogazione di premi), si collocherebbero sotto la soglia di configurazione strutturale degli uffici, per riguardare il mero funzionamento degli apparati (nei sensi precisati da Cons. Stato, V, 25 ottobre 2011, n. 6705), restando, pertanto, attribuite al giudice ordinario.
La tesi non merita adesione.
2.3. La Regione Campania evidenzia limitati aspetti della contestata regolazione, afferenti esclusivamente ad alcune delle sue ricadute, che, pertanto, non rilevano quanto alla corretta individuazione del potere esercitato né esauriscono la portata delle relative determinazioni.
Tali elementi vanno invece apprezzati alla luce del quadro generale delineato dal d.lgs. 27 ottobre 2009 n. 150, Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, di cui gli atti impugnati costituiscono attuazione.
Il predetto d.lgs. n. 150 del 2009, realizzando la “riforma organica della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche” privatizzati, enunciata all’art. 1 comma 1, è volto ad assicurare, come espressamente stabilito dal successivo comma 2, “una migliore organizzazione del lavoro, il rispetto degli ambiti riservati rispettivamente alla legge e alla contrattazione collettiva, elevati standard qualitativi ed economici delle funzioni e dei servizi, l’incentivazione della qualità della prestazione lavorativa, la selettività e la concorsualità nelle progressioni di carriera, il riconoscimento di meriti e demeriti, la selettività e la valorizzazione delle capacità e dei risultati ai fini degli incarichi dirigenziali, il rafforzamento dell’autonomia, dei poteri e della responsabilità della dirigenza, l’incremento dell’efficienza del lavoro pubblico ed il contrasto alla scarsa produttività e all’assenteismo, nonché la trasparenza dell’operato delle amministrazioni pubbliche anche a garanzia della legalità “.
Si tratta di obiettivi rimessi, tra altro, al sistema di valutazione delle strutture e dei dipendenti privatizzati delle amministrazioni pubbliche tramite la valorizzazione dei risultati e della performance organizzativa e individuale cui si riferisce l’art. 2, che viene poi regolato secondo i principi generali contenuti nell’art. 3 e attuato medianti gli strumenti stabiliti dalle successive disposizioni, tra cui quello inerente la fissazione degli “obiettivi specifici di ogni pubblica amministrazione”, previsto dall’art. 5 comma 1 lett. b), rimesso al Piano della performance di cui all’art. 10 comma 1 lett. a), la cui adozione rientra nella competenza dell’organo di indirizzo politico-amministrativo, in collaborazione con i vertici dell’amministrazione (art. 15).
Il Piano della performance di cui all’art. 10 comma 1 del d.lgs. n. 150/2009, è, quindi, sotto il profilo strettamente contenutistico, un “documento programmatico triennale”, come tale espressamente definito dalla disposizione; sotto il profilo della funzione, è poi un atto di macro-organizzazione, essendo rivolto a dettare per le singole pubbliche amministrazioni tenute alla sua adozione le linee fondamentali di organizzazione degli uffici secondo principi e regole pubblicistiche predeterminate per legge.
Il rilievo – opposto dalla Regione Campania – che esso investa anche le modalità di funzionamento di specifici apparati (e segnatamente dell’Avvocatura regionale) e, indi, il rapporto di lavoro intercorrente con i dipendenti di tali apparati, è una necessaria conseguenza delle determinazioni adottate, che non lo rende, per ciò solo, né un atto di micro-organizzazione né un atto di gestione del rapporto con il singolo dipendente.
Rileva, a monte, l’assenza dell’esercizio delle capacità e dei poteri del privato datore di lavoro, e la presenza, invece, del generale potere pubblico di organizzazione degli uffici amministrativi che connota gli atti di macro-organizzazione, e che fa escludere la centralità di ogni questione implicante i diritti soggettivi del dipendente pubblico.
Nella vicenda in esame, relativa all’impugnazione del Piano della performance della Regione Campania per il triennio 2017-2019, si realizza, pertanto, l’ipotesi, tipizzata dalla giurisprudenza, in cui l’effettivo oggetto del giudizio non è il rapporto di lavoro, che è solo lo sfondo rilevante ai fini di qualificare la posizione soggettiva vantata dalla parte ricorrente, bensì l’atto autoritativo presupposto, espressione di poteri pubblicistici, da cui derivano direttamente i lamentati effetti pregiudizievoli (Cass. civ., Sez. Un., n. 11712 del 2016; n. 25210 del 2015; n. 22733 del 2011; n. 22779 del 2010; nn. 3052 e 25254 del 2009; n. 23605 del 2006; n. 21592 del 2005; Cons. Stato, V, 30 ottobre 2017, n. 4988).
Ben ha fatto, pertanto, il giudice di primo grado ad affermare nella controversia in esame la giurisdizione del giudice amministrativo.
2.4. Il primo motivo del ricorso incidentale va pertanto respinto.
3. Con il secondo e ultimo motivo di appello incidentale la Regione Campania si duole che il giudice di primo grado non abbia rilevato, come da conforme eccezione spiegata dall’Amministrazione nel relativo giudizio, l’inammissibilità dell’impugnazione della delibera n. 286 del 1017, che ha approvato il Piano della performance 2017-2019 per l’Avvocatura regionale, non essendo stato tempestivamente gravato dagli interessati l’atto presupposto, costituito dalla delibera n. 145 del 2017, impugnata (tardivamente) solo in uno alla stessa delibera n. 286 del 2017.
Anche questa censura è da respingere, e ciò pur volendo aderire alla prospettazione del deducente in ordine al rapporto esistente tra le due considerate delibere.
3.1. Nel processo amministrativo, ove sussista un rapporto di presupposizione tra atti, l’omessa o tardiva impugnazione dell’atto presupposto rende inammissibile il ricorso giurisdizionale proposto contro l’atto consequenziale, ove non emerga la deduzione di vizi propri che possano connotare un’autonoma illegittimità della singola fase procedimentale di attuazione (ex multis, Cons. Stato, V, 5 dicembre 2014, n. 6012; 23 gennaio 2001, n. 203).
L’operatività della preclusione richiede indi un rapporto tra provvedimenti, nell’ambito del quale il secondo atto ha una mera funzione meramente attuativa del primo, la cui lesività determina, già ex se, l’onere d’impugnazione, in quanto fonte dell’insorgenza dell’interesse diretto, attuale e concreto alla sua caducazione.
Nessuna preclusione sussiste, invece, laddove la lesività si manifesti in un momento successivo all’emanazione del primo atto, segnatamente rivelandosi la sua attitudine pregiudizievole della sfera giuridica del destinatario solo contestualmente all’atto applicativo.
Applicando le predette coordinate al caso di specie, deve concludersi che gli odierni appellanti non avevano un onere di immediata impugnazione della delibera n. 145 del 2017, la quale, pertanto, ben poteva essere gravata in uno alla successiva delibera n. 286 del 2017, che, recando l’approvazione del contestato Piano della performance anche per l’Avvocatura regionale, ha fatto insorgere il loro interesse all’impugnativa.
Una diversa conclusione, per non ridondare nella lesione del diritto di difesa in giudizio, imporrebbe la possibilità di rinvenire nella delibera n. 145 del 2017 elementi che permettano di concludere che, con la sua adozione, la Regione avesse già esternato la determinazione, espressa e dotata di caratteri di concretezza, compiutezza ed esaustività, di applicare il d.lgs. n. 150 del 2009 all’Ufficio speciale Avvocatura (come ha fatto poi la delibera n. 286 del 2017).
Ma, a tal fine, non rileva la circostanza, evidenziata dalla Regione, che la delibera n. 145, nell’elencare le figure professionali escluse dal Piano della performance (art. 23 comma 6), non vi abbia ricompreso gli avvocati regionali.
Si tratta, infatti, di una omissione, che, proprio in quanto tale, non può essere indicativa, nei sensi sopra precisati, della espressione del predetto intendimento.
Né l’Avvocatura dell’Ente risulta nominativamente ricompresa negli artt. 1 e 5 della delibera n. 145, pure invocati dalla Regione, che richiamano il complessivo apparato burocratico e le relative unità organizzative (art. 1) nonché gli “Uffici speciali” costituenti le unità organizzative (art. 5): sicchè, pur ammettendo che l’Avvocatura costituisca un ufficio speciale, il riferimento a essa non poteva dirsi compiuto, come, invece, quello recato dalla delibera n. 286 del 2017, che, come correttamente rilevato dal primo giudice, “contenendo l’espressa previsione degli avvocati regionali quali figure assoggettate alla valutazione della performance individuale, reca una precisa e ben determinata lesione all’interesse vantato”.
3.2. Conseguentemente, non può trovare favorevole considerazione neanche il rilievo, pure contenuto nel motivo in esame, con cui la Regione, dolendosi del suo mancato esame da parte del giudice di primo grado, ribadisce che l’originaria impugnazione della delibera n. 145 del 2017 sarebbe inammissibile, in quanto gli odierni appellanti non hanno formulato nei confronti della stessa alcuna specifica censura.
La legittimità della delibera n. 145 in parola è infatti questione di merito che, alla luce di quanto sopra, per quanto di interesse degli appellanti, non può che essere valutata, se e per quanto occorra, in uno alla legittimità della successiva delibera n. 286 del 2017
4. L’appello incidentale risulta pertanto complessivamente infondato.
5. Passando alla disamina dell’appello principale, esso non si rivela meritevole di accoglimento. Possono pertanto essere assorbite le eccezioni preliminari al riguardo spiegate dalla resistente Regione Campania.
6. Gli appellanti si dolgono con il primo mezzo che la sentenza appellata abbia distinto tra funzioni prettamente riconnesse alla funzione di avvocato e altri compiti collegati specificamente allo svolgimento dell’attività da parte dell’avvocato dipendente dalla Regione, ritenendo legittimo, per questi ultimi, l’assoggettamento alla performance.
6.1. Il presupposto da cui partono i deducenti è che essi non svolgono né possono svolgere attività lavorativa diversa da quella strettamente professionale, pena l’incompatibilità con l’iscrizione all’Albo forense.
Esso non può essere qui confermato nei sensi voluti dalla censura.
La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già più volte osservato che i professionisti iscritti nell’albo speciale sopportano specifiche limitazioni delle facoltà proprie del libero professionista, per la sussistenza, rispetto a quest’ultimo, degli obblighi giuridici che scaturiscono dal rapporto di lavoro, “con la conseguente compatibilità della professione così esercitata con la qualifica di impiegato rivestita dall’avvocato, nonché con l’osservanza dell’orario di lavoro e con l’inserimento in un rapporto strutturato gerarchicamente (cfr. Sez. IV, 30 aprile 1998, n. 703; cfr. anche SS.UU., 24 aprile 1990, n. 3455)” (V, 15 ottobre 2009, n. 6336; nello stesso senso, V, 16 settembre 2004, n. 6023).
Tali arresti sono stati richiamati anche nella sentenza della Sezione 27 agosto 2014, n. 4366, che, in un diverso contesto censorio, definendo una controversia promossa proprio da alcuni avvocati dell’Avvocatura regionale campana avverso disciplina dell’Ufficio, comportante, tra altro, l’introduzione degli uffici legali in tutti i dipartimenti, ha rammentato come anche la sentenza 29 marzo 2007, n. 7731 della Cassazione civile, Sezione lavoro, abbia riconosciuto la legittimità dell’inserimento dell’avvocato in una struttura con caratteristiche proprie della subordinazione.
Anche la sentenza del Tar Campania n. 3945 del 2015, invocata in più parti dagli stessi appellanti, e richiamata anche dalla sentenza qui appellata, in un contenzioso vertente sull’organizzazione delle strutture relative al servizio di consulenza legale interna presso la Regione Campania, ha affermato che “l’assoggettamento a modelli organizzativi e gerarchici non appare di per sé incompatibile con la funzione di avvocato dipendente di un ente pubblico e non in contraddizione con i principi dell’ordinamento professionale forense”.
Sicchè appare innanzitutto coerente con la giurisprudenza formatasi nella materia – oltre che condivisibile sul piano logico – l’impostazione della sentenza appellata, che ha dapprima rilevato come “l’attività professionale forense non possa risentire dell’obbligo di perseguire un obiettivo anticipatamente stabilito, per la conclamata ragione che essa si concreta in un’obbligazione di mezzi, essendo richiesto al legale di prestare la propria opera osservando il dovere di diligenza, senza poter essere influenzata dal dovere di raggiungimento di un risultato sperato”, per poi osservare, anche in correlazione con il proprio precedente n. 3945 del 2015, “che è connaturato all’espletamento della funzione dell’avvocato dell’Ente pubblico l’esigenza di correlazione con le strutture amministrative alle quali presta ausilio, trattandosi di un aspetto peculiare anch’esso evidenziato nella suddetta sentenza, in cui si è rimarcata la conciliabilità dell’inserimento delle funzioni proprie dell’avvocato regionale ‘nel contesto di modelli di coordinamento, aspetti fondamentalmente giustificati da ineludibili e razionali esigenze organizzative dell’ente’.
E’ poi pienamente condivisibile l’approdo cui, sui predetti presupposti, è pervenuto il giudice di prime cure, escludendo che la funzione dell’avvocato dell’Ente pubblico possa tollerare forme di valutazione dell’attività in termini di risultato, che ha ritenuto invece, compatibili, nelle modalità previste dal Piano della performance, ove riferite a quelle incombenze che, per lo stesso avvocato, costituiscono precipua espressione della predetta esigenza di coordinamento.
6.2. Anche gli ulteriori elementi di valutazione offerti dagli appellanti con lo stesso primo mezzo in esame non sono decisivi.
In particolare:
– non è condivisibile l’affermazione che il Piano della performance sarebbe ontologicamente concepito per la sola amministrazione attiva. Il d.lgs. n. 150 del 2009 si propone l’obiettivo di raggiungere più elevati standard qualitativi ed economici “delle funzioni e dei servizi” (art. 1 comma 2) e in vista di tale finalità reca una disciplina generale del “sistema di valutazione delle strutture e dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche il cui rapporto di lavoro è disciplinato dall’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” (art. 2). Tali disposizioni non prevedono alcuna differenziazione sotto il profilo dello specifico ruolo assolto dalle strutture amministrative, che viene richiamato nella sua accezione più vasta (funzioni e servizi), così come è omnicomprensivo il riferimento ai dipendenti pubblici il cui rapporto di lavoro ha natura privatistica, mediante il richiamo all’art. 2 comma 2 del d.lgs. 165 del 2001. La limitazione pretesa dagli appellanti non trova pertanto alcun conforto normativo;
– le conseguenze pregiudizievoli (art. 3, commi 5 e 5-bis del d.lgs. 150 del 2009) derivanti per il singolo avvocato dell’Ente dall’eventuale mancato conseguimento degli obiettivi (licenziamento disciplinare; divieto di progressione in carriera; divieto di attribuzione di incarichi), non sono altro, per gli avvocati medesimi, così come per tutti i dipendenti pubblici assoggettati alla disciplina normativa in parola, che il riflesso della cogenza del modello di buona amministrazione individuato dalla legge per il tramite del Piano della performance, e, pertanto, nulla dicono in ordine alla individuazione dei soggetti tenuti alla sua osservanza, siccome delineato dalle altre norme sopra citate;
– la circostanza che gli avvocati regionali siano sottoposti alla valutazione di dirigenti di strutture amministrative non appare estranea all’ordinamento del considerato Ufficio speciale. Gli avvocati regionali sono infatti stati assegnati alle unità operative dirigenziali (d.d. n. 617/2014), e questa Sezione del Consiglio di Stato ha concluso per la legittimità dell’articolazione dell’Ufficio speciale in U.O.D. e dell’incardinamento degli avvocati regionali in dette unità (n. 4366 del 2014, cit.). La possibile sottoposizione ai controlli esterni previsti dal d.lgs. n. 150 del 2009 è una mera conseguenza dell’applicazione del Piano della performance all’ufficio dell’Avvocatura regionale, né è dato apprezzarne la valenza lesiva qui lamentata in relazione alle prerogative professionali forensi, atteso che, come la valutazione interna, essa è relativa ad attività estranee all’attività professionale strettamente intesa, non ricompresa nella performance, come accertato dal giudice di primo grado;
– il richiamo all’Avvocatura dello Stato risulta in questa sede improprio, atteso che, come visto, e come rilevato dalla sentenza appellata, si tratta di misure applicabili ai dipendenti il cui rapporto di lavoro ha natura privatistica (art. 2 comma 2 del d.lgs. n. 150 del 2009), mentre per il personale professionale dell’Avvocatura dello Stato permane il regime di diritto pubblico (art. 3 comma 1 d.lgs. n. 165 del 2001). Quanto poi al parere espresso da questo Consiglio di Stato, Sezione I, nell’Adunanza 15 dicembre 2010 (affare n. 2933/2010; parere n. 937 del 2011), esso, tenuto conto di quanto appena sopra, ha concluso per la non applicabilità agli avvocati dello Stato del d.lgs. n. 150 del 2009, rilevando ulteriormente l’estraneità di “risultati finali” al mandato istituzionale dell’Avvocatura dello Stato. Ma tale ultima osservazione, qui fortemente evidenziata dagli appellanti, non può giovare alle loro tesi, in quanto, essendo evidentemente correlata alla particolare conformazione impressa all’Istituto dal r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, Approvazione del T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato, non è suscettibile di essere trasposta a favore dell’Ufficio speciale dell’Avvocatura regionale campana, che presenta un ordinamento molto diverso, per essere, tra altro, incardinata in articolazioni amministrative;
– non appaiono utilmente invocabili neanche le parti del parere n. 917 del 2017 reso dalla Commissione speciale di questo Consiglio di Stato sullo schema di decreto legislativo recanteModifiche al decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, in attuazione dell’articolo 17 comma 1, lettera r), della legge 7 agosto 2015, n. 124, richiamate dagli appellanti ai fini di dimostrare che il sistema della performance perde ogni valenza laddove applicato a uffici i cui effetti si esauriscono all’intero del plesso organizzativo di appartenenza. Al riguardo, deve innanzitutto rilevarsi che il predetto richiamo è stato effettuato mediante l’estrapolazione di osservazioni disomogenee, in quanto riferite a distinte tematiche (relative agli artt. 1, 4 e 5 dello schema in parola), che, pertanto, ai fini qui di rilievo, risultano neutre sia isolatamente che complessivamente considerate. Inoltre, esse osservazioni non sono suscettibili della lettura che ne propongono gli appellanti, sia in quanto il parere non espone né esplicitamente né implicitamente la tesi che gli appellanti vi ascrivono, sia perché, nel descrivere la modifica in corso di adozione, di cui all’art. 1 dello schema, relativa all’art. 3 del d.lgs. n. 150 del 2009 (“prevede che ogni amministrazione pubblica sia tenuta a misurare e a valutare la performance, con riferimento: – sia all’amministrazione nel suo complesso, nonché alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola; – sia ai singoli dipendenti o gruppi di dipendenti…” il parere si mostra ben consapevole della valenza generale del sistema di valutazione in parola.
6.3. Il primo mezzo va pertanto respinto.
7. Stessa sorte segue il secondo mezzo, con cui gli appellanti sostengono che la sentenza sarebbe erronea e contraddittoria laddove ha rilevato che gli obiettivi assegnati agli avvocati non sarebbero in concreto eversivi della loro autonomia e indipendenza, tenuto conto del fatto che gli obblighi di consentire il risultato individuale, e attraverso di esso quello collettivo, implica l’assoggettamento dell’avvocato a un giudizio esterno o interno, dal quale dipende la conservazione del posto di lavoro, con conseguente coercizione della volontà e violazione delle prerogative di autonomia e indipendenza del professionista, il quale non potrebbe essere obbligato a compiere una serie di attività (atti giudiziari; transazioni; pareri; notifiche telematiche; riunioni con uffici) che non sono nella sua disponibilità, essendo rimessi a fattori esterni imprevedibili nell’an, nel quando e nel quomodo.
7.1. Per escludere la fondatezza di tali doglianze, oltre a richiamare tutto quanto già sopra osservato, basti rammentare che la sentenza appellata ha ritenuto indiscutibile, ai sensi dell’ordinamento forense di cui alla l. 31 dicembre 2012, n. 247, che l’attività professionale svolta dagli appellanti non possa risentire dell’obbligo di perseguire un obiettivo anticipatamente stabilito.
Ha poi rilevato come il contestato Piano della performance, per la parte riguardante gli avvocati regionali, resti confinato all’attività di predisposizione di mezzi efficienti per l’Ufficio speciale, in relazione anche all’attività di collaborazione con gli altri uffici, e non ridondi in un vincolo di risultato all’attività professionale propriamente intesa.
Tanto anche rilevando quali fossero, in concreto, i relativi obiettivi strategici, che conviene qui richiamare:
– “favorire l’interscambio con gli uffici di amministrazione attiva di informazioni sulle pronunce giurisprudenziali di ogni ordine e grado di giudizio (corte costituzionale, cassazione, giudici di merito, giurisdizioni superiori) in relazione alle materie di competenza delle singole uu.oo.dd.”;
– “diffondere e condividere gli orientamenti giurisprudenziali per migliorare la qualità dell’azione amministrativa e per ottimizzare le strategie operative dell’Ente”;
– “ridurre le spese di giudizio e dei costi accessori mediante la risoluzione transattiva di vertenze”;
– “supportare gli uffici di amministrazione attiva al fine di favorire la conclusione di atti transattivi”;
– “implementare l’utilizzo delle procedure telematiche nell’ambito dell’attività giudiziale e stragiudiziale”;
– “avviare le attività volte alla creazione di un fascicolo informatico per ogni controversia, mediante l’adozione di un atto di indirizzo dell’avvocato capo da diramare a tutti gli avvocati nelle more della riorganizzazione del sistema informatico”.
Le conclusioni del primo giudice vanno pienamente confermate.
Anche in questa sede, infatti, non è dato ravvisare in qual modo l’enunciazione di tali obiettivi palesi una lesione alle prerogative professionali degli avvocati regionali, trattandosi di prestazioni che non comportano alcuna ingerenza nella trattazione degli affari giuridico-legali, che resta di esclusiva pertinenza del singolo avvocato incaricato, e ulteriormente osservandosi, in uno con la resistente Regione, come le elencate attività trovino corrispondenza, fatti i debiti mutamenti, nei doveri propri dell’avvocato del libero foro nei confronti dell’assistito, e, per quanto attiene al fascicolo informatico, in oneri ormai imposti dalla legge e dall’evoluzione tecnologica.
Nulla muta considerando l’imprevedibilità dei fattori esterni su cui si appuntano molte delle considerazioni censorie svolte nel mezzo.
Tale condizione, infatti, non vale a supportare la tesi della sua traduzione, per la sola performance richiesta agli avvocati regionali campani – ricondotta come sopra a obiettivi coerenti e ragionevoli rispetto alla mission dell’Ufficio speciale all’interno dell’Ente di appartenenza – in una “coercizione dell’attività del professionista”, conclusione che appare schiettamente abnorme, tenuto conto della presenza della stessa condizione in ogni attività umana, sia essa professionale che amministrativa o materiale, che, tuttavia, laddove previsto, resta comunque sempre suscettibile di valutazione e di efficientamento.
8. Con il terzo mezzo gli appellanti sostengono che l’erroneità della sentenza appellata si apprezzerebbe specialmente laddove riconosce che il Piano della performance impone agli avvocati regionali un risultato quantitativo individuale, che è in contrasto con il carattere della prestazione professionale, imperniata sull’obbligo di diligenza nell’esercizio della professione, e ne rileva peraltro la non lesività, richiamando l’inesigibilità di prestazioni lavorative indebite o impossibili (sulla base del principio ad impossibilia nemo tenetur), ciò che deporrebbe, invece, per l’irragionevolezza della previsione.
8.1. Si tratta della parte della sentenza che, esaminato l’allegato riguardante gli avvocati regionali, ha rilevato come esso contenga il riferimento ai seguenti indicatori di risultato in termini di quantità :
a) un maggior numero di pronunce giurisprudenziali offerte nell’interscambio di informazioni con le strutture amministrative (dalle attuali 50 a 200 nel triennio 2017-2019);
b) l’incremento delle proposte di risoluzione transattiva (da 10 a 50);
c) la previsione nel 2017 di n. 10 incontri con le strutture di amministrazione attiva;
d) l’aumento percentuale delle notifiche telematiche;
e) l’individuazione degli “obiettivi operativi” con l’indicazione nominativa dei professionisti addetti e il peso percentuale assegnato al concorso nell’attività (tra cui il caso di uno degli appellanti, incaricata di procedere all’istruttoria e alla verifica dei requisiti delle domande di accesso agli atti, per l’80% dell’attività ).
8.2. Al riguardo si osserva che le previsioni di cui ai punti a), c) e d), ovvero la maggior veicolazione agli uffici di amministrazione attiva degli orientamenti giurisprudenziali, l’aumento delle riunioni con gli uffici e l’aumento percentuale delle notifiche telematiche, non risultano in alcun modo porsi in contrasto con il carattere della prestazione professionale e il connesso obbligo di diligenza.
Si è in presenza, infatti, per le prime due, di attività di carattere corrente, consone all’assoggettamento dell’Ufficio speciale al prescelto modello organizzativo e ulteriormente riconducibili alla varietà che possono assumere gli adempimenti relativi al rapporto intercorrente tra il professionista e il soggetto che egli è incaricato di difendere in giudizio, secondo modelli rinvenibili, in diversa forma, anche nel rapporto tra l’avvocato del libero foro e il suo assistito, e, per la terza, di un onere, come detto, ormai discendente dalla legge e dall’evoluzione dell’innovazione tecnologica.
Ciò posto, il richiamo all’inesigibilità della prestazione effettuato dal primo giudice si rivela del tutto logico – e, di converso, non contrastante con la già ritenuta compatibilità delle attività in esame con la prestazione professionale – in quanto riferito non agli adempimenti in sé considerati, come ritengono i ricorrenti, bensì piuttosto alla eventuale carenza degli imprescindibili presupposti di tali adempimenti (quali, a esempio, la presenza nel 2017 di almeno 100 sentenze di pronunzie giurisdizionali in cui è parte la Regione e il possesso delle dotazioni informatiche).
Alla stessa conclusione deve pervenirsi quanto alle altre attività di cui ai punti b) ed e).
Per le transazioni, va escluso, come sostenuto dagli appellanti, che la previsione in esame obblighi l’avvocato regionale alla realizzazione di un risultato, tenuto conto che la lett. b) in esame è espressamente riferita alle “proposte” transattive, senza, peraltro, che tale attività complementare, che fa leva sulle competenze del medesimo, ridondi dallo scopo, che è proprio dell’ambito, qui in rilievo, dell’efficientamento sia del considerato apparato amministrativo che del suo ufficio difensivo, di evitare che l’Amministrazione sia impegnata in contenziosi defatiganti e prevedibilmente per lei sfavorevoli, laddove, beninteso, ne sussistano i presupposti.
In tal senso, il richiamo all’esigibilità della prestazione da parte del primo giudice appare logico e coerente con le premesse assunte, anche tenuto conto che esso appare volto a corrispondere a quanto opposto, nel relativo giudizio, dagli odierni appellanti, che avevano segnalato, sul punto, l’impossibilità di transigere le cause con vincoli di legge derivanti dalle norme di contabilità pubblica ovvero quelle implicanti diritti indisponibili.
Le stesse considerazioni possono infine essere svolte quanto all’istruttoria e alla verifica dei requisiti delle domande di accesso agli atti, per la quale il primo giudice ha rilevato, condivisibilmente, come la percentuale del peso ponderale dell’attività complementare non fosse in sé rimarchevole.
Del resto, la stessa sentenza appellata ha rilevato in più punti come il Piano della performance in esame fosse uno strumento flessibile e adattabile al contesto lavorativo considerato, in quanto basato non su una misura matematica del risultato, ma piuttosto sulla considerazione della performance in termini di efficienza dei mezzi e di efficacia nel perseguimento dei fini (capi 2.1.3. e 2.2.1.).
8.2. Anche il terzo mezzo va quindi respinto.
9. Per le stesse argomentazioni sin qui esposte, va respinto il quarto mezzo, con cui gli appellanti affermano l’illogicità della sentenza appellata laddove, elencati gli obiettivi prefissati, esclude che gli stessi configurino un’attività di carattere burocratico, trattandosi, invece, di compiti nuovi, non rientranti nell’attività professionale, e talvolta trasbordanti, in linea percentuale, il peso dell’attività professionale, come ritengono testimoniato proprio dagli esempi, citati in sentenza, delle riunioni con gli uffici e dall’esame delle istanze di accesso.
10. Con il quinto mezzo gli appellanti affermano che, laddove possa ritenersi che le attività previste a loro carico dal Piano della performance siano dequotabili a compiti paraprofessionali supplementari, dovrebbe comunque concludersi per la loro illegittimità, per violazione della “riserva di contratto” prevista nel vigente ordinamento del lavoro privatizzato alle dipendenze della pubblica amministrazione, tenuto conto che per esse gli appellanti non beneficiano del correlato trattamento retributivo aggiuntivo. In difetto, dovrebbe concludersi per la fondatezza delle prospettate questioni di legittimità costituzionale, anche alla luce della giurisprudenza della CEDU in materia di patrocinio obbligatorio gratuito dei praticanti avvocati belgi a favore dei soggetti indigenti (sentenza 23 novembre 1983, n. 70, avv. Van der Mussele c/Belgio) e della Convenzione dell’O.N.U. di New York del 16/19 dicembre 1966 ratificata con legge n. 881 del 1099, art. 6, primo comma.
Il motivo è completamente destituito di fondamento.
10.1. Come osservato dalla Regione resistente, agli avvocati della Regione Campania competono, ai sensi del contratto collettivo decentrato integrativo del 9 ottobre 2001, ancora vigente, i compensi professionali di cui all’art. 30 (Compensi professionali all’Avvocatura Regionale), comma 1, i quali assorbono gli altri trattamenti accessori, nei limiti recati dallo stesso art. 30 [comma 2: “al personale di cui al comma 1 incaricato di posizione organizzativa, se il compenso percepito ai sensi del comma 1 è superiore al valore della retribuzione di risultato della posizione organizzativa assegnatagli, non verrà corrisposta la retribuzione di risultato. In caso contrario, e comunque in presenza di una valutazione positiva, verrà corrisposta la differenza tra i due valori”; comma 3: “Al restante personale di cui al comma 1, se il compenso percepito supera il valore degli incentivi corrisposti per il valore di riferimento della produttività individuale (che è uguale a 100), non verrà corrisposto il compenso per la produttività individuale. In caso contrario, e comunque in presenza della necessaria valutazione positiva, verrà corrisposta la differenza tra i due valori, fermo restando che la produttività individuale non dovrà essere superiore al valore di riferimento (100)]”.
La carenza del compenso incentivante di cui gli appellanti lamentano qui la carenza dipende, pertanto, dall’eventuale percezione di un maggior introito al diverso titolo sopra considerato.
Inoltre, la valutazione della performance è finalizzata non solo al fine del riconoscimento di accessori stipendiali, ma anche agli altri fini di cui all’art. 3 comma 5 del d.lgs. n. 150 del 2009 (“il rispetto delle disposizioni del presente Titolo è condizione necessaria per l’erogazione di premi e componenti del trattamento retributivo legati alla performance e rileva ai fini del riconoscimento delle progressioni economiche, dell’attribuzione di incarichi di responsabilità al personale, nonché del conferimento degli incarichi dirigenziali”.
11. Con l’ultimo mezzo gli appellanti affermano l’erroneità della sentenza appellata laddove non ha censurato la mancata adozione del Piano della performance entro il termine del 31 gennaio, fissato dall’art. 10 del d.lgs. n. 150 del 2009, ritenuto perentorio in virtù della sua ratio, rilevando che la previsione non è assistita da sanzioni, quali la decadenza delle sue previsioni o l’esercizio di poteri sostitutivi.
Anche tale censura va respinta.
Il primo giudice ha infatti correttamente applicato il costante orientamento di questo Consiglio di Stato, in forza del quale in assenza di una specifica disposizione che espressamente preveda il termine come perentorio, comminando la perdita della possibilità di azione da parte dell’Amministrazione al suo spirare o la specifica sanzione della decadenza, il termine stesso deve intendersi come meramente sollecitatorio o ordinatorio e il suo superamento non determina l’illegittimità dell’atto, ma una semplice irregolarità non viziante (tra tante, Cons. Stato, III, 22 dicembre 2017, n. 6044; VI, 27 febbraio 2012, n. 1084).
E siffatte previsioni sanzionatorie non sono contenute nel d.lgs. n. 150 del 2009, che “in caso di ritardo nell’adozione del Piano o della relazione sulla performance” prevede esclusivamente che l’Amministrazione comunichi tempestivamente le ragioni del mancato rispetto dei termini al Dipartimento della funzione pubblica (art. 10 comma 5 ultimo alinea).
Gli appellanti sostengono ancora che il provvedimento avrebbe dovuto essere comunque annullato in quanto adottato fuori dal termine essenziale e con efficacia retroattiva, in violazione del principio di certezza e di ragionevolezza degli atti amministrativi.
Anche tale rilievo non convince.
In linea generale, non sembra, infatti, che il ritardo maturato nell’adozione del Piano in esame (23 maggio 2017 anziché 31 gennaio 2017), tenuto conto della sua valenza triennale, possa produrre gli effetti deteriori esposti dagli appellanti, i quali, del resto, non li illustrano se non in linea astratta.
12. L’appello principale risulta, per tutto quanto sopra, infondato.
Per le stesse ragioni, risultano manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dagli appellanti.
13. Alle rassegnate conclusioni consegue la reiezione dell’appello incidentale e dell’appello principale.
Sussistono giusti motivi, rilevata la novità delle questioni in esame, per disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese di giudizio del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, respinge l’appello incidentale e l’appello principale.
Compensa tra le parti le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 dicembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Claudio Contessa – Consigliere
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere, Estensore

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