Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 18 giugno 2020, n. 18521.
Massima estrapolata:
È configurabile il delitto di falso ideologico nella valutazione tecnica del consulente del pubblico ministero, formulata in un contesto implicante l’accettazione di parametri normativamente predeterminati o tecnicamente indiscussi, qualora il giudizio contraddica tali parametri ovvero si fondi su premesse contenenti false attestazioni; il giudice ha, però, l’onere di rendere adeguata motivazione in ordine ai criteri utilizzati per ritenere che, alla luce delle specifiche emergenze fattuali, il soggetto chiamato ad esprimere una valutazione, pur connotata da un margine elastico di discrezionalità, abbia formulato consapevolmente una valutazione falsa. (Fattispecie in cui il giudizio tecnico – valutativo del consulente che aveva escluso la compatibilità delle polveri emesse da un impianto di sinterizzazione dell’acciaio con i campioni d’aria e le sostanze rinvenute nei reperti alimentari è stato ritenuto falso in quanto contraddetto dalla rilevata presenza di “congeneri” in porzioni scientificamente riconosciute come caratterizzanti il suddetto processo di lavorazione).
Sentenza 18 giugno 2020, n. 18521
Data udienza 13 gennaio 2020
Tag – parola chiave: Reati di falso – Art. 479 cp – Atti pubblici fidefacienti ex art. 476, comma 2, cod. pen. – Requisiti – False consulenze redatte dal CTU del PM – questione di legittimità costituzionale – Infondatezza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUNO Paolo Antonio – Presidente
Dott. MICCOLI Grazia – rel. Consigliere
Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere
Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere
Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 30/11/2017 della CORTE ASSISE APPELLO di TARANTO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Grazia Miccoli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. LORI PERLA, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso;
uditi i difensori delle persone offese – parti civili (come da verbale), avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso;
uditi i difensori dell’imputato, avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 30 novembre 2017 la Corte di Assise di Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Taranto, ha – per quanto qui di interesse – dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) in ordine al reato di cui all’articolo 479 c.p. ascrittogli al capo R), limitatamente alla condotta commessa in data (OMISSIS), perche’ estinto per intervenuta prescrizione e, riconosciute in suo favore le circostanze attenuanti generiche, ha rideterminato la pena con riferimento alla residua imputazione di falso sub capo R).
La sentenza di primo grado e’ stata emessa a carico di alcuni imputati che avevano richiesto di definire la loro posizione con il rito abbreviato, mentre numerosi altri soggetti sono stati rinviati a giudizio dinanzi alla Corte di assise di Taranto (il giudizio e’ ancora pendente in primo grado) per una serie di reati nell’ambito delle indagini afferenti l’inquinamento ambientale che – secondo l’ipotesi accusatoria – e’ riferibile allo stabilimento siderurgico (OMISSIS) s.p.a..
1.1. L’imputazione di falso e’ stata ascritta al (OMISSIS) (in qualita’ di consulente della Procura di (OMISSIS)) per avere, in concorso con (OMISSIS) (altro consulente), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (per i quali – come si e’ gia’ accennato – si e’ proceduto in separato giudizio con il rito ordinario), al fine di eseguire il reato di corruzione in atti giudiziari di cui ai capi P) e Q) e, comunque, per assicurare al (OMISSIS) il profitto di tale reato e agli altri correi l’impunita’ dei reati di cui ai capi A), B), C), H), I), L), M), falsificato il contenuto della consulenza tecnica avente ad oggetto le emissioni di diossina e PBC dell'(OMISSIS); “in particolare, il (OMISSIS) e il (OMISSIS) confezionavano, in accordo con gli altri, la predetta consulenza ivi asserendo falsamente che la diossina rinvenuta nelle matrici alimentari analizzate (che, tra l’altro, portava all’abbattimento di circa 2170 capi di bestiame contaminati da diossina) non era compatibile con l’attivita’ dello stabilimento siderurgico di cui sopra, con l’ulteriore aggravante del numero delle persone concorrenti nel reato”. Fatti commessi in (OMISSIS).
1.2. La vicenda aveva preso avvio da una denuncia sporta da un’associazione ambientalista, che faceva riferimento al ritrovamento di tracce di diossina in un formaggio prodotto nei pressi della zona industriale di (OMISSIS). Erano quindi stati effettuati prelievi di matrici alimentari – latte e carni – in diverse aziende zootecniche site in terreni prospicienti l’area dello stabilimento siderurgico (OMISSIS). Il risultato era stato, da un lato, l’apposizione di un vincolo sanitario ed un divieto assoluto di pascolo in un’area estesa ricadente nei comuni di (OMISSIS); dall’altro, l’abbattimento di 2271 capi di bestiame, ovini e caprini, contaminati da diossina e PCB, appartenenti a 11 aziende zootecniche, site nel territorio di (OMISSIS).
Di conseguenza, la Procura di Taranto aveva iniziato le indagini a carico di ignoti per i reati di avvelenamento di sostanze alimentari (articoli 439 e 452 c.p.) e, per le necessarie indagini di carattere tecnico, aveva nominato i propri consulenti, tra cui il (OMISSIS) e il (OMISSIS).
1.3. Sempre per quanto qui rileva e per meglio inquadrare la vicenda, va evidenziato che al (OMISSIS) era stato contestato (al capo S) pure il delitto di cui agli articoli 40 cpv. e 110, articolo 434, commi 1 e 2 (disastro ambientale) e articolo 439 c.p. (avvelenamento sostanze alimentari) perche’, in concorso con il (OMISSIS), pur avendone l’obbligo giuridico, non impediva gli eventi di cui ai capi B) e H), mediante la condotta di falso ideologico contestata al capo R), e quindi “non consentendo al P.M. di richiedere e/o adottare i provvedimenti cautelari, utili ad impedire la prosecuzione dell’attivita’ criminosa”.
Con la sentenza di primo grado il (OMISSIS) era stato assolto da tale reato e la pronunzia e’ stata confermata dalla Corte territoriale, adita dal Pubblico Ministero con l’appello e dalle parti civili con appello incidentale.
1.4. Quanto invece ai fatti in relazione ai quali e’ stata affermata la penale responsabilita’, va detto che i giudici di merito hanno ritenuto che i reati di corruzione in atti giudiziari di cui ai capi P) e Q) costituiscano il presupposto fattuale e logico dei delitti di falso ascritti a (OMISSIS). In particolare, sulla base degli esiti di intercettazioni telefoniche e di captazioni ambientali, si e’ ritenuto dimostrato il reato di corruzione in atti giudiziari, ricostruendo la vicenda relativa alla consegna al (OMISSIS) di una tangente (10.000 Euro) da parte di (OMISSIS), che ha agito nell’interesse dell'(OMISSIS).
Come si e’ detto, la Procura di Taranto, nell’ambito dell’indagine scaturita dal ritrovamento di diossina in capi di bestiame allevati in area del comune di Taranto, prospiciente la zona industriale, aveva demandato un accertamento, allo scopo di individuare l’origine della diffusione di tale sostanza inquinante, ad un collegio di consulenti tecnici composto dal predetto (OMISSIS) (professore universitario), da un medico (il Dott. (OMISSIS)) e dall’ingegnere (OMISSIS). Detti consulenti avevano redatto due relazioni, la prima nell’agosto del 2009 e la seconda, integrativa della precedente, nel luglio del 2010 (quest’ultima risulta in effetti depositata in data 22 settembre 2010).
2. Avverso la citata pronunzia di appello propongono ricorso per Cassazione i difensori dell’imputato, con due distinti atti, nei quali sono stati articolati i motivi qui di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. Il primo atto di ricorso e’ sottoscritto dall’avv. (OMISSIS) ed e’ articolato in quattro motivi.
2.1.1. Con il primo si deduce violazione di legge in relazione agli articoli 476 e 479 c.p..
Si contesta l’argomentazione della Corte territoriale secondo la quale il (OMISSIS) avrebbe dolosamente disapplicato una legge scientifica avente carattere universale, che fissa un “criterio indiscusso e indiscutibile” in virtu’ del quale determinate concentrazioni di furani non possono che derivare dalla sinterizzazione dell’acciaio. Il ricorrente sostiene che si tratti di “statuizione giuridicamente, logicamente e scientificamente irricevibile”.
Dopo aver richiamato i principi affermati da questa Corte in tema di falso ideologico in presenza di valutazioni, il ricorrente ha sottolineato come una legge scientifica non ha quasi mai – se non mai – carattere di universalita’ ed e’ sempre “falsificabile”, nel senso indicato da (OMISSIS): la falsificazione di una teoria scientifica non e’ altro che la via per la sua validazione, mediante la progressiva riduzione degli errori.
Ha quindi evidenziato come al consulente di parte non sia applicabile il reato di cui all’articolo 373 c.p. e che il consulente non e’ equiparabile al perito, richiamando i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la ordinanza n. 51824 del 25/09/2014, Guidi e altro, che aveva ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 322 c.p., comma 2, (istigazione alla corruzione propria) in riferimento all’articolo 3 Cost., sotto il duplice profilo della disparita’ di trattamento di situazioni analoghe e della irragionevolezza, nella parte in cui prevede che l’offerta o la promessa di denaro o di altra utilita’ al consulente tecnico del pubblico ministero, per il compimento di una falsa consulenza, e’ punita con una pena superiore a quella del reato di intralcio alla giustizia di cui all’articolo 377 c.p., comma 1, in relazione all’articolo 373 c.p., per il caso di analoga condotta nei confronti del perito.
Ha allora sottolineato come sarebbe illogico e irragionevole che, non potendo rispondere del reato proprio del perito, il consulente di parte risponda invece di falso ideologico. E’ stato quindi censurato il passaggio motivazionale della sentenza impugnata che, nel rispondere all’analoga censura proposta con l’atto di appello, ha richiamato l’unico precedente noto di questa Corte, reso nella fase cautelare dello stesso procedimento.
Aggiunge, poi, il ricorrente che, affinche’ possa configurarsi il c.d. “falso ideologico valutativo”, e’ necessario che siano stati alterati o violati principi predeterminati indiscussi e indiscutibili, alla luce di una legge scientifica universale, e che vi sia stato un convincimento dell’agente diverso rispetto al risultato cui porterebbe l’applicazione della predetta legge.
Nel caso di specie, invece, la fonte della regola scientifica indicata dai giudici di merito e’ costituita esclusivamente dal parere espresso dai periti nominati con l’incidente probatorio, i quali, peraltro, si sono espressi non in termini di certezza suscettibile solo di “negazione dell’evidenza”, ma in termini di “cautela”, “buona approssimazione” e “correlazione preferenziale”.
Il ricorrente, in particolare, non esclude la sussistenza di una regola scientifica, ma si tratta di una “legge scientifica di copertura”, costituita dalla alterazione del fingerprint nei tessuti animali per effetto della diversa assimilazione dei singoli congeneri. Tale regola – conclude il ricorrente – di per se’ esclude in radice la possibilita’ di ritenere vincolata e indiscutibile la comparazione dei profili delle diossine tra le sorgenti industriali e le matrici animali.
2.1.2. Con il secondo motivo si denunziano violazione di legge e vizi motivazionali con riferimento al capo della sentenza che ha dichiarato l’estinzione per prescrizione del reato di falso afferente la consulenza del (OMISSIS).
In particolare il ricorrente rileva come da tale consulenza emergevano profili di responsabilita’ a carico dell'(OMISSIS) e che non era mai stata esclusa l’incompatibilita’ tra i profili delle diossine rinvenute nelle matrici alimentari e l’attivita’ di sinterizzazione dell’acciaio.
2.1.3. Con il terzo motivo si denunciano violazione di legge e vizi motivazionali con riferimento alla relazione di consulenza del 23 luglio 2010 (ovvero a quella depositata in data 22 settembre 2010).
Dopo aver riportato le conclusioni di tale consulenza, il ricorrente censura i passaggi motivazionali che hanno portato alla conferma dell’affermazione di responsabilita’, sottolineando come la legge scientifica di copertura, indiscussa perche’ enunciata tanto dai consulenti della Procura quanto dai periti, e’ quella secondo cui “per complessi fenomeni metabolici e di bioamplificazione negli organismi viventi, l’accumulo e’ radicalmente diverso per ogni singolo congenere” (in tal senso si e’ espresso il consulente di parte, Dott. (OMISSIS), la cui relazione e’ stata allegata al ricorso e gia’ depositata in primo grado), di tal che il profilo nelle matrici animali puo’ risultare alterato, posto che il fingerprint altro non e’ se non il diagramma delle quantita’ rilevate di alcuni congeneri, ritenuti, con ulteriore approssimazione, caratteristici.
La Corte territoriale, quindi, non ha motivato la propria decisione in maniera logica rispetto agli elementi probatori acquisiti, in quanto ha ingiustificatamente omesso di considerare sia gli specifici motivi di appello (che avevano pure fatto riferimento a numerosi grafici estratti dalla relazione di consulenza e dall’elaborato peritale) che la diversita’ di tesi scientifiche, fondando tutto l’impianto argomentativo su presupposti inesistenti e, in particolare, su quello che gli stessi gruppi di congeneri, nelle medesime proporzioni, si sviluppano anche da processi termici diversi dalla sinterizzazione dell’acciaio, cosi’ smentendo in radice la sussistenza della regola scientifica universale applicata dai giudici di merito.
Peraltro, la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare gli elementi relativi ad una contaminazione “a macchia di leopardo” del bestiame abbattuto, che metterebbero in evidenza come le fonti di inquinamento fossero molteplici.
Infine, il ricorrente si duole della mancata considerazione delle censure proposte quanto alla rilevata “discrasia logica” derivante dall’assenza di similitudine tra la diossina presente negli animali e quella depositata sui terreni agricoli su cui si erano posate le polveri dell’impianto di agglomerazione del siderurgico.
2.1.4. Con il quarto motivo si denunciano violazione di legge e vizi motivazionali, in relazione agli articoli 42, 476 e 479 c.p..
Sostiene il ricorrente che manca la prova dell’elemento psicologico del reato di falso.
Invero, positivamente dimostrata l’assenza della legge scientifica universale invocata quale presupposto del falso ideologico e la ragionevolezza, se non l’insuperabilita’, delle argomentazioni poste a fondamento delle conclusioni dei consulenti del Pubblico Ministero, ogni speculazione sulla corruzione altrui, sulle ragioni del convincimento del (OMISSIS) e sul contenuto delle conversazioni e’ superflua.
2.2. Il secondo atto di ricorso e’ sottoscritto dall’avv. (OMISSIS) ed e’ articolato in otto motivi (la numerazione da uno a nove ricomprende pure – al n. 1 – la sintesi dei fatti).
2.2.1. Con i primi tre motivi si denunziano violazione di legge e vizi motivazionali, anche mediante travisamento della prova.
Le articolate argomentazioni (con richiami specifici a risultanze processuali) attengono alla contestazione dell’esistenza di una “indiscutibile legge scientifica” e nel complesso si sovrappongono alle censure proposte nel primo, nel secondo e nel terzo motivo dell’atto di ricorso a firma dell’avv. (OMISSIS).
La Corte territoriale in particolare avrebbe travisato le prove, giacche’ non esiste una regola scientifica in base alla quale si possa essere certi che, se nei profili dei reperti animali ci sono furani e se tra questi gli esa-furani sono prevalenti, allora la sorgente e’ la sinterizzazione dei minerali fini.
Si sostiene, altresi’, che la motivazione sia illogica e contraddittoria laddove considera i due gruppi di congeneri di diossina ritrovati nel terreno tarantino derivanti dal processo di sinterizzazione dell’acciaio e laddove sostiene la configurabilita’ del reato sulla base della negazione, da parte del ricorrente, della sussistenza di una presunta regola scientifica universale, secondo la quale, la presenza di dette sostanze sia tipica del processo di sinterizzazione dell’acciaio.
Le consulenze tecniche effettuate dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS), infatti, non negano che le diossine rilevate derivino dal processo di sinterizzazione dell’acciaio, ma affermano che – ai fini dell’imputabilita’ ad (OMISSIS) delle emissioni di diossina rinvenuta nei prodotti alimentari – e’ necessario concentrarsi sulla contaminazione e verificare se essa sia la conseguenza di quel processo. Una simile verifica sarebbe stata omessa dal giudice di appello, il quale avrebbe – sulla base della presunta regola scientifica – affermato indiscutibilmente il nesso causale tra le emissioni e la contaminazione, travisando il significato della documentazione prodotta dalle parti. Il ricorrente, peraltro, ribadisce argomentazioni gia’ proposte con l’atto di appello e sulle quali la Corte territoriale non ha adeguatamente motivato. Tra esse evidenzia che nella consulenza del (OMISSIS) non vi sarebbe alcuna traccia di una sottovalutazione delle responsabilita’ dell'(OMISSIS), sebbene sia stato rilevato che la zona interessata dall’inquinamento sia storicamente contaminata e sede di plurimi stabilimenti industriali.
2.2.2. Con il quarto motivo si deducono vizi motivazionali in relazione al falso ideologico afferente la relazione integrativa del 23 luglio 2010.
Il ricorrente si duole del fatto che, sempre sulla base dell’esistenza di una legge scientifica universale, la Corte di Assise di Appello abbia ritenuto sussistente e confermata la falsita’ ideologica della prima relazione e della relazione integrativa, omettendo di considerare che la conclusione che si poteva trarre dalla valutazione unitaria del lavoro dei consulenti era legata al fatto che, mentre per un verso i tecnici avevano identificato delle corrispondenze certe, tali da individuare gli impianti (OMISSIS) quali principali responsabili della contaminazione rilevata nei campioni del 2008, per altro verso, dall’analisi dei sette campioni prelevati in data 23 febbraio 2010 risultava che l'(OMISSIS) continuava a contaminare l’ambiente, senza che l’ispezione giudiziale avesse restituito elementi utili per collegare le sorgenti “attive” alle matrici alimentari risultate contaminate nel 2008.
2.2.3. Con il quinto motivo si deducono violazione di legge e vizi motivazionali in riferimento alla relazione chimica dei periti del giudice delle indagini preliminari.
In particolare, si rileva come la relazione peritale riprenda sostanzialmente le analisi svolte dal (OMISSIS) e dai suoi colleghi, avvalorandone cosi’ la veridicita’, ma le disattenda in sede di conclusioni, sostenendo il legame tra la contaminazione e le diossine.
La Corte territoriale avrebbe travisato il contenuto della relazione peritale, non considerando che l’intero ragionamento accusatorio e’ basato su di una legge scientifica inesistente e che nella specie non risulta esserci stato alcun confronto tecnico scientifico dei contenuti dei lavori dei due collegi di tecnici che potesse dimostrare che le relazioni dei consulenti del Pubblico Ministero avessero attestato fatti capaci di escludere le responsabilita’ dell'(OMISSIS).
2.2.4. Con il sesto motivo si deducono violazione di legge e mancanza di motivazione con riferimento alla documentazione prodotta dalla difesa per sostenere la veridicita’ delle conclusioni dei consulenti tecnici.
Sostiene il ricorrente che la motivazione sarebbe solo apparente, in quanto la Corte di Assise di Appello avrebbe omesso di valutare anche la documentazione dalla quale emerge che la fonte dell’inquinamento da PCB e’ prevalente e che la contaminazione di diossine e di PCB avesse la propria fonte anche in altri stabilimenti industriali.
2.2.5. Con il settimo motivo si deducono vizi motivazionali con riferimento alle intercettazioni telefoniche e ambientali.
Il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale avrebbe considerato alcune intercettazioni telefoniche una prova della collusione dei consulenti tecnici del pubblico ministero, nonche’ del falso ideologico compiuto per tutelare i vertici della societa’ (OMISSIS), sulla base di semplici illazioni e sospetti.
Nel ricorso si analizzano specificamente i contenuti delle singole intercettazioni e si mettono gli stessi a confronto con altre risultanze processuali.
2.2.6. Con l’ultimo motivo di ricorso si deducono violazione di legge e vizi motivazionali in relazione alla configurabilita’ del reato di falso ideologico nel caso di un parere scientifico espresso da consulenti di parte. Le argomentazioni sono sovrapponibili a quelle gia’ esposte con riferimento al secondo motivo proposto dall’avv. (OMISSIS).
3. In data 28 dicembre 2019 e’ stata depositata una memoria a firma dell’avv. (OMISSIS), con la quale, dopo aver dato atto che e’ decorso il termine prescrizionale, e’ stato manifestato l’interesse ad una pronunzia assolutoria.
3.1. Dopo aver richiamato anche una recente pronunzia di questa Sezione in tema di falso valutativo (la n. 13807 del 11 febbraio 2019), il ricorrente sostiene che nella specie non sussistono ne’ il requisito della falsita’ dei “dati di fatto” (posto che i consulenti si sono limitati a valutare i risultati di accertamenti e analisi svolti da altri) ne’ quello della contraddizione con “parametri normativamente determinati o tecnicamente indiscussi” (atteso che l’individuazione dell’origine della contaminazione dei reperti animali non risponde ad alcuna regola scientifica di carattere universale).
Contesta quindi l’esistenza della “letteratura scientifica” universale alla quale ha fatto riferimento la Corte territoriale, tanto che ne’ quest’ultima ne’ la perizia ne hanno fatto specifica menzione. In effetti v’e’ solo contrasto di valutazioni con quelle dei periti, che tuttavia sono tuttora oggetto di contrasti nel processo di primo grado per il disastro ambientale dell'(OMISSIS), ancora nella fase dell’istruttoria dibattimentale.
3.2. Aggiunge il ricorrente che la possibilita’ di individuare una interferenza tra le caratteristiche di un alimento contaminato e un processo industriale richiede un’indagine scientifica molto complessa, che impone una analisi comparativa di una enorme quantita’ di dati, peraltro soggetti a modificazione nel tempo. Ne deriva che e’ solo possibile ipotizzare una contaminazione di origine industriale, come del resto hanno fatto gli stessi periti nel caso di specie.
A supporto di tale argomentazione sono stati riportati nella memoria alcuni stralci della relazione peritale, alla stregua dei quali il ricorrente afferma che non e’ affatto vero che la distribuzione di furani ed esa-furani nei reperti animali sia senz’altro indicativa della provenienza della contaminazione dall’attivita’ di sinterizzazione dell’acciaio.
3.3. Ribadisce ancora il ricorrente che i giudici di merito hanno omesso “graficamente” di pronunciarsi su tre aspetti decisivi della valutazione espressa dai consulenti del Pubblico Ministero: a) la distribuzione degli animali abbattuti “a macchia di leopardo”; b) gli analoghi profili delle diossine provenienti da altre fonti emissive e il rinvenimento di almeno un fingerprint sovrapponibile a quello indicato dai periti e proveniente da uno stabilimento industriale in cui non vi sono processi di sinterizzazione dell’acciaio; c) l’incompatibilita’ tra le emissioni dell’impianto (OMISSIS) e la contaminazione delle matrici alimentari esaminate come ineluttabile conseguenza dell’analisi comparata dei rapporti di tossicita’ tra diossine e PCBdI, risultati inversi nelle polveri dell’impianto di agglomerazione del siderurgico e negli animali abbattuti.
3.4 Infine il ricorrente sottolinea ancora una volta che le conclusioni rassegnate dai consulenti del Pubblico Ministero erano tutt’altro che assolutorie nei confronti dell'(OMISSIS), atteso che la contaminazione da PCB diossina simili derivava dallo stesso stabilimento siderurgico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Non puo’ essere dichiarata l’inammissibilita’ del ricorso per le ragioni che qui di seguito si indicheranno, sicche’ la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio essendo il reato estinto per prescrizione. Invero, il termine prescrizionale, calcolati i periodi di sospensione ex articoli 157 e ss. c.p., e’ decorso in data 30 ottobre 2018 e, quindi, prima del deposito della sentenza impugnata.
Peraltro, sempre in ragione dei motivi che si specificheranno in seguito, non vi sono i presupposti per una pronunzia assolutoria, come richiesto dalla difesa nella memoria depositata in data 28 dicembre 2019.
In proposito va ribadito che, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice e’ legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi’ che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga piu’ al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di “apprezzamento”, non dovendo ricorrere alcuna necessita’ di accertamento o di approfondimento e, quindi, di ulteriore supporto argomentativo sull’insussistenza degli elementi costitutivi del reato (ex multis, Sez. 2, n. 13448 del 16/12/2015, Zummo e altri, Rv. 26643901). Da tempo le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 35490 del 28 maggio 2009, Tettamanti, Rv. 244273) hanno avuto modo di esaminare il problema dell’ambito del sindacato, in sede di legittimita’, sui vizi della motivazione in presenza di cause di estinzione del reato, del quale si erano gia’ occupate in passato; infatti, era stato in precedenza affermato che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimita’ i vizi di motivazione della sentenza impugnata, in quanto l’inevitabile rinvio della causa al giudice di merito dopo la pronunzia di annullamento risulterebbe comunque incompatibile con l’obbligo della immediata declaratoria di proscioglimento per intervenuta estinzione del reato (Sez. un., sentenza n. 1653 del 21 ottobre 1992, Marino ed altri, Rv. n. 192471).
In linea con l’orientamento prevalente nella giurisprudenza intervenuta successivamente sulla questione (ex multis, Sez. 5, sentenza n. 7718 del 24 giugno 1996, rv 205548; Sez. 2, sentenza n. 15470 del 6 marzo 2003, rv 224290; Sez. I, sentenza n. 4177 del 27 ottobre 2003, rv 227098; Sez. 3, sentenza n. 24327 del 4 maggio 2004, rv n. 228973; Sez. 4, sentenza n. 40570 del 29 maggio 2008, rv n. 241317; Sez. 4, sentenza n. 14450 del 19 marzo 2009, rv n. 244001), il principio e’ stato ribadito anche dalla citata sentenza Tettamanti, secondo la quale la Corte di cassazione, ove accerti la sussistenza di una causa di estinzione del reato, non puo’ ritenere eventuali vizi di legittimita’ della motivazione della decisione impugnata, poiche’ nel corso del successivo giudizio di rinvio il giudice sarebbe comunque obbligato a rilevare immediatamente la sussistenza della predetta causa di estinzione del reato.
A conclusioni diverse puo’ giungersi nel solo caso in cui l’operativita’ della causa di estinzione del reato presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito; caso che non ricorre pacificamente nella specie.
2. Prima di passare all’esame dei motivi di ricorso e al fine di meglio chiarire quanto si dira’ piu’ avanti in relazione alle questioni di diritto prospettate dalla difesa, e’ opportuno sintetizzare quanto rilevato nella decisione impugnata in relazione all’affermazione di responsabilita’ del (OMISSIS) per il reato di falso ideologico.
2.1. La Corte territoriale, rispondendo ai motivi di appello proposti dalla difesa, ha evidenziato che “e’ pur vero, come rilevato dalle difese, che la consulenza ha, in qualche modo, ricondotto la contaminazione (maggiore) da PCBdl delle matrici animali anche all’impianto (OMISSIS) ma i tecnici hanno altresi’ rimarcato la diffusa contaminazione dei suoli industriali, soprattutto
dei terreni incolti in prossimita’ dell’area dello stabilimento dismesso (OMISSIS); e’ altresi’ vero che, come rilevato dalle Difese, la consulenza (OMISSIS) ha individuato nell’impianto (OMISSIS) la fonte delle principali e maggiori emissioni delle diossine piu’ tossiche (PCDD-PCDF) in ambiente (top soil industriale: pag. 47), ma e’ anche vero che non ha mai collegato – contrariamente a quanto affermato dagli appellanti – la contaminazione delle matrici animali alle emissioni di diossina riconducibili all'(OMISSIS)….” (pagg. 93 – 94 della sentenza di appello).
Si e’, quindi, sottolineato come le conclusioni della prima relazione di consulenza siano state confermate, con maggiore forza, dalla relazione integrativa del 23 luglio 2010, nella quale si e’ sostenuto come non sia possibile, neppure in modo probabilistico, risalire alla sorgente dell’avvelenamento da diossina del bestiame in quanto “nessuna similitudine immediata puo’ riscontrarsi tra il profilo di diossine nelle polveri dell’impianto (OMISSIS) e quello dei reperti animali (contaminati in gran parte anche da PCB dl)”.
Tali conclusioni, pero’, risultano – secondo i giudici di merito – disattese dagli accertamenti effettuati dai periti nominati in sede di incidente probatorio. Questi ultimi hanno infatti individuato nelle matrici alimentari un congenere tracciante (HxCDF, gia’ evidenziato dai consulenti), spiegando che la detta complessiva “… distribuzione richiama i profili caratteristici di (OMISSIS) spa e i profili di sinterizzazione per la produzione dell’acciaio in genere”, non ritrovandosi, in altre realta’ industriali presenti sul territorio, gli stessi congeneri in quelle stesse proporzioni. La Corte territoriale ha sottolineato come sia incontrovertibile che le conclusioni dei periti divergano totalmente da quelle dei consulenti su di un punto nevralgico: quello della individuabilita’ della sorgente inquinante da diossine – le sostanze piu’ tossiche – delle matrici alimentari. Ha quindi evidenziato che cio’ che e’ falso non e’ la valutazione della prevalenza dei PCBdI – incontestabile – e neppure la presenza (minore rispetto ai primi, ma talvolta superiore ai limiti di legge) delle diossine, anche nelle matrici alimentari; e’ falso, invece, che i livelli di PCDD/PCDF riscontrati non potessero essere ricondotti in modo univoco, sulla scorta dell’esame dei profili (fingerprints) degli specifici congeneri significativi del processo di sinterizzazione dell’acciaio, proprio all’attivita’ dell’area agglomerazione dell'(OMISSIS), non essendo, detti gruppi di congeneri, rilevabili nelle stesse proporzioni nelle altre sorgenti industriali prese in esame (pag. 104 della sentenza di appello).
Secondo la Corte territoriale i consulenti hanno falsificato il “presupposto fattuale” che doveva essere alla base del giudizio tecnico valutativo, in quanto la consulenza “non si limita a sostenere, prudenzialmente, che la comparabilita’ tra il profilo di diossine nelle polveri dell’impianto (OMISSIS) e quello dei reperti animali offre risultati non attendibili in ragione dei diversi processi di bio-accumulabilita’, ma esclude detta comparabilita’ e una similitudine immediata tra il profilo di diossine delle polveri dell’impianto (OMISSIS) e quello dei reperti alimentari, omettendo di citare (o confutare) la letteratura scientifica che invece individua, allorche’ vi sia una prevalenza di PCDF (e di HxCDF) e una distribuzione dei congeneri come quella rintracciata nelle polveri dell’impianto di (OMISSIS), la fonte di emissione di diossina nei processi di sinterizzazione dell’acciaio. La conclusione in parola nega, dunque, un criterio predeterminato, una regola scientifica che vede i due specifici congeneri (gruppi di congeneri: HxCDF (piu’ del 40% del totale) e 1,2,4,6,7,8-HpCDF….(10%))” come caratteristici del processo di sinterizzazione dell’acciaio (e non di qualunque processo termico)” (pag. 107 della sentenza).
2.2. Ha aggiunto la Corte territoriale che tale “negazione non puo’ essere stata il frutto di incompetenza dell’imputato, il quale non ha mai neppure ipotizzato tale eventualita’ e, anzi,
ha versato in atti, tramite la Difesa, il proprio curriculum dal quale si ricava un profilo professionale di notevole esperienza in materia ambientale.
Neppure puo’ ipotizzarsi che il ricorso alla legge scientifica di copertura – secondo la quale il diverso grado di bio-assorbimento delle diossine negli esseri viventi deforma il fingerprint e impedisce un’affidabile comparazione dei congeneri riscontrati – sia stato dettato da un eccesso di prudenza.
A riprova della mala fede del (OMISSIS) (e del (OMISSIS)) milita non soltanto la considerazione che e’ stato negato un criterio predeterminato legato al fingerprint della diossina derivante dal processo di sinterizzazione, ma anche il contenuto delle conversazioni intercettate, che depongono per una palese collusione tra il consulente (OMISSIS) e la dirigenza dell'(OMISSIS) e per la consapevolezza dell’odierno imputato di assecondare i desiderata del cattedratico e dei vertici della societa’” (pag. 107 della sentenza di appello).
La Corte territoriale ha quindi dato atto delle risultanze delle suddette intercettazioni, utilizzate come “riscontro” alla condotta di falso ideologico (pagg. 107 e ss. della sentenza di appello); e, con specifico riferimento alla posizione del (OMISSIS), ha evidenziato che da alcune conversazioni si evince come egli avesse avuto precisa contezza, a seguito della comunicazione degli ultimi dati di analisi dell’ARPA sulle polveri, della situazione effettiva dell’inquinamento da diossina e della presenza della sostanza tossica nelle polveri dell'(OMISSIS), a maggior ragione dopo il sopralluogo del febbraio 2010.
2.3. La Corte territoriale, poi, ha argomentato che il (OMISSIS), pur disponendo di tutti i dati necessari, oltre che delle competenze professionali in materia ambientale, per fornire risposte corrette, perfettamente aderenti all’effettiva situazione di inquinamento e alle sue cause, nel corso della riunione conclusiva dei lavori – fissata nel 2 luglio 2010 proprio per completare l’analisi di “valori e profili” – ha finito per rappresentare al collega (OMISSIS) una situazione ben diversa da quella reale, pilotando la discussione prevalentemente sulla questione sanitaria, non senza rimarcare quanto ingiustificato fosse l’allarmismo sino a quel momento sollevato dagli organi istituzionali e quanto opportuno fosse, invece, rassicurare l’opinione pubblica.
Sono stati quindi evidenziati i comportamenti successivi del (OMISSIS), che in altre conversazioni aveva manifestato timori sulla “attaccabilita’” di talune affermazioni, da lui ritenute poco convincenti, contenute nel testo definitivo dell’elaborato.
2.4. Quanto al “movente”, la Corte territoriale, dopo aver riportato i dati curriculari del (OMISSIS), ha osservato che egli non poteva certamente scontentare il (OMISSIS), professore 11
universitario che era stato relatore delle sue tesi di laurea e di dottorato, che lo aveva coinvolto in pubblicazioni scientifiche prestigiose, che gli aveva affidato le sue prime consulenze importanti e che lo aveva chiamato al proprio fianco nello svolgimento di incarichi professionali di grande visibilita’.
3. Sintetizzate le argomentazioni articolate dalla sentenza impugnata in ordine alla penale responsabilita’ del (OMISSIS), va in primo luogo evidenziata l’infondatezza del motivo di ricorso relativo alla qualificazione giuridica del fatto ed all’applicabilita’ della norma di cui all’articolo 479 c.p. alla figura del consulente tecnico del pubblico ministero.
3.1. La difesa ha sostenuto che quest’ultimo non puo’ rispondere di falso ideologico e che una diversa interpretazione renderebbe la citata norma incostituzionale per disparita’ di trattamento dei consulenti tecnici rispetto ai periti, i quali rispondono del reato di cui all’articolo 373 c.p., punito meno gravemente rispetto all’ipotesi di cui all’articolo 476 c.p., comma 2.
Rispondendo all’analoga obiezione difensiva, la Corte territoriale in primo luogo ha richiamato la pronunzia adottata da altra Sezione di questa Corte proprio nell’ambito della fase cautelare del procedimento in esame; tale pronunzia, infatti, ha ritenuto applicabile al consulente il reato di cui all’articolo 479 c.p., affermando che “e’ configurabile il delitto di falso ideologico nella valutazione tecnica, formulata in un contesto implicante l’accettazione di parametri normativamente predeterminati o tecnicamente indiscussi, qualora il soggetto agente esprima il proprio giudizio contraddicendo tali parametri, ovvero basandosi su premesse contenenti false attestazioni” (Sez. 1, n. 45373 del 10/06/2013, (OMISSIS) e altro, Rv. 25789501).
La Corte territoriale ha poi evidenziato che nessuna disparita’ di trattamento sia ravvisabile tra le due situazioni prospettate (falsa perizia, punita ai sensi dell’articolo 373 c.p., e falsa consulenza, punita ai sensi dell’articolo 479 c.p.), “sia perche’ il trattamento sanzionatorio e’ perfettamente rispondente, nella fattispecie non aggravata, alla diversa gravita’ della due ipotesi, sia perche’ la fattispecie aggravata del reato comune non e’ ontologicamente applicabile al consulente tecnico che, in quanto ausiliario chiamato ad esprimere un parere di scienza, non potrebbe essere chiamato a redigere atti aventi fede privilegiata” (pag. 123 della sentenza impugnata).
3.2. Sul primo profilo si dira’ meglio in seguito (si veda in particolare infra § 4), mentre va qui evidenziata la correttezza dell’assunto relativo alla natura di atto non avente fede privilegiata della relazione di consulenza tecnica.
Invero, affinche’ sia configurabile la circostanza aggravante prevista dall’articolo 476 c.p., comma 2, la falsita’ ideologica deve riguardare documenti dotati di fede privilegiata ovvero quelli emessi dal pubblico ufficiale investito di una speciale potesta’ documentatrice, attribuita da una legge o da norme regolamentari, anche interne, ovvero desumibili dal sistema, in forza della quale l’atto assume una presunzione di verita’ assoluta, ossia di massima certezza eliminabile solo con l’accoglimento della querela di falso o con sentenza penale (ex multis, Sez. 5, n. 47241 del 02/07/2019, Cassarino Emanuele, Rv. 27764802; Sez. 6, n. 35219 del 28/04/2017, Re e altri, Rv. 27085501; Sez. 5, n. 39682 del 04/05/2016, Franchi, Rv. 26779001; Sez. 6, n. 24768 del 31/03/2016, P.G. e altri in proc. Caruso e altri, Rv. 26731601; Sez. 6, n. 25258 del 12/03/2015, Guidi e altro, Rv. 26380601).
Questa Corte da tempo ha avuto modo di puntualizzare che cio’ che caratterizza l’atto pubblico fidefacente, alla stregua delle disposizioni di cui all’articolo 2699 c.c. (secondo il quale l’atto pubblico “e’ il documento redatto, con le richieste formalita’, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto e’ formato”) e articolo 2700 c.c. (secondo il quale l’atto pubblico “fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonche’ delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”), e’, da una parte, l’attestazione di fatti appartenenti all’attivita’ del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione (ex pluribus, Sez. 3, sentenza n. 15764 del 13/12/2017, Adinolfi ed altro, Rv. 272589; Sez. 5, sentenza n. 39682 del 04/05/2016, Franchi, Rv. 267790; Sez. 6, sentenza n. 24768 del 31/03/2016, P.G. ed altri in proc. Caruso ed altri, RV. 267316; Sez. 6, sentenza n. 25258 del 12/03/2015, Guidi, Rv. 263806; Sez. 5, sentenza n. 15951 del 16/01/2015, Bandettini, Rv. 263265; Sez. 5, sentenza n. 48738 del 14/10/2014, Moramarco, Rv. 261298; Sez. 1, sentenza n. 49086 del 24/05/2012, Acanfora, Rv. 253959) e, dall’altra, la circostanza che esso sia destinato ab initio alla prova ovvero sia precostituito a garanzia della pubblica fede, in quanto redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice (ex multis, Sez. 5, n. 12213 del 13/02/2014, Rv. 260208; Sez. 5, n. 7921 del 16/01/2007, Rv. 236518).
Non senza rilievo e’ quanto evidenziato sul punto nella Relazione al codice civile, secondo la quale un notevole ritocco, nel determinare l’efficacia dell’atto pubblico, ha apportato l’articolo 2700 c.c. “all’articolo 1317, comma 1 del Codice precedente, il quale stabiliva far l’atto pubblico piena fede della convenzione, mentre e’ ovvio che l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, non propriamente della convenzione, ma delle dichiarazioni delle parti: lo speciale grado di efficacia probatoria non si estende alla sincerita’ di tali dichiarazioni, le quali possono anche essere simulate. L’articolo 2700 menziona anche la prova della provenienza, di cui non c’era cenno nei codice del 1865. Essendo per altro intuitivo, e pertanto sottinteso, in relazione alla nozione di documento, enunciata nell’articolo 2699, che altri sono gli elementi da cui risulta la provenienza, altri quelli da cui risulta la prova delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti dei quali l’articolo parla”.
Questa Corte ha quindi affermato che “dal collegamento tra la veste di pubblico ufficiale del rogante e la fede privilegiata dell’atto discende direttamente (…..) che la natura di documenti dotati di fede privilegiata puo’ riconoscersi soltanto a quei documenti, o meglio a quei contenuti documentati, che – in quanto emessi da pubblico ufficiale autorizzato dalla legge, da regolamenti oppure dall’ordinamento interno della pubblica amministrazione ad attribuire all’atto medesimo pubblica fede – presentino “i requisiti dell’attestazione da parte del pubblico ufficiale, de visu o de auditu, di fatti giuridicamente rilevanti e della formazione dell’atto nell’esercizio del potere di pubblica certificazione”” (cosi’, in motivazione, la citata Sez. 6, n. 25258 del 12/03/2015, Guidi e altro, Rv. 26380601).
E, di recente, si e’ sottolineato come possa individuarsi, “nell’ambito degli atti pubblici aventi fede privilegiata, un primo livello – per cosi’ dire fisiologico – di forza probante privilegiata, circoscritto alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato e relativo unicamente a quei fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ed un secondo livello, riguardante, invece, la valutazione di tali fatti, che non gode invece della forza probante privilegiata, a meno che la legge non attribuisca al pubblico ufficiale il potere di valutare i fatti stessi con valore legale (Sez. 5, n. 4339 del 10/02/1984, Manarin, Rv. 164130; Sez. 2, sentenza n. 1417 del 11/10/2012, dep. 11/01/2013, Platamone, Rv. 254305; Sez. 5, sentenza n. 49025 del 12/11/2004, Margarino, Rv. 231284). Cio’ in quanto, nel caso in cui il pubblico ufficiale, chiamato ad esprimere un giudizio, sia libero anche nella scelta dei criteri di valutazione, la sua attivita’ e’ assolutamente discrezionale e, come tale, il documento che contiene il giudizio non puo’ essere destinato a provare la verita’ di alcun fatto.
Diversamente, se l’atto da compiere fa riferimento anche implicito a previsioni normative che dettano criteri di valutazione, si e’ in presenza di un esercizio di discrezionalita’ tecnica, che vincola la valutazione ad una verifica di conformita’ della situazione fattuale a parametri predeterminati, sicche’ l’atto potra’ risultare falso se detto giudizio di conformita’ non sara’ rispondente ai parametri cui esso e’ implicitamente vincolato” (cosi’, in motivazione, la gia’ citata Sez. 5, n. 47241 del 02/07/2019, Cassarino Emanuele, Rv. 27764802).
3.3. Per sostenere l’assunto della incostituzionalita’ dell’interpretazione che ritiene applicabile il reato di cui all’articolo 479 c.p., alla condotta di falso valutativo commessa dal consulente del pubblico ministero, la difesa ha richiamato l’ordinanza delle Sezioni Unite con la quale era stata ritenuta non manifestamente infondata “la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 322 c.p., comma 2, (istigazione alla corruzione propria) in riferimento all’articolo 3 Cost. sotto il duplice profilo della disparita’ di trattamento di situazioni analoghe e della irragionevolezza, nella parte in cui prevede che l’offerta o la promessa di denaro o di altra utilita’ al consulente tecnico del pubblico ministero, per il compimento di una falsa consulenza, e’ punita con una pena superiore a quella del reato di intralcio alla giustizia di cui all’articolo 377 c.p., comma 1, in relazione all’articolo 373 c.p., per il caso di analoga condotta nei confronti del perito” (Sez. U, n. 43384 del 27/06/2013, Guidi e altro, Rv. 25640801).
Nel caso trattato dalle Sezioni Unite si ipotizzava un tentativo di corruzione del consulente tecnico del Pubblico Ministero e si era prospettata la questione relativa alla configurabilita’ della fattispecie di intralcio alla giustizia ex articolo 377 c.p..
E’ stata quindi sollevata la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 322 c.p., comma 2, con riferimento alla pena edittale massima piu’ elevata prevista per l’istigazione alla corruzione del consulente tecnico rispetto a quella prevista per il perito di cui all’articolo 377, comma 1, in relazione all’articolo 373 c.p..
3.4. Nella citata decisione si e’ sottolineato come la figura del consulente tecnico del pubblico ministero sia diversa da quella del consulente della difesa delle parti private. Si e’ affermato, infatti, che, mentre il consulente tecnico chiamato a collaborare con una parte privata e’ tradizionalmente concepito come un ruolo di ausilio alla difesa, donde la sua equiparazione, quanto a funzione e garanzie, al difensore, quello nominato dal pubblico ministero, sia pure prestando un’attivita’ di ausilio a una “parte” del processo, ripete dalla funzione pubblica dell’organo che coadiuva i relativi connotati, tanto e’ vero che acquista natura di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio nel momento in cui compie le attivita’ affidategli dal pubblico ministero, con la conseguenza che su di lui grava il dovere, connaturato a ogni parte pubblica, di obiettivita’ e imparzialita’, nel senso che la sua funzione e’ tesa all’accertamento della verita’, posto che il pubblico ministero deve svolgere indagini su fatti e circostanze anche a favore della persona sottoposta alle indagini (articolo 358 c.p.p.).
3.5. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 163 del 2014, ha dichiarato inammissibile la questione sollevata con la decisione delle Sezioni Unite Guidi e, per quel che rileva nel caso in esame, ha sottolineato come certamente “la falsa consulenza redatta dall’ausiliario dell’organo dell’accusa non integra il delitto di falsa perizia (articolo 373 c.p.), per la dirimente ragione che detto soggetto non e’ equiparabile, nell’attuale sistema processuale, al perito nominato dal giudice (come invece lo era il perito nominato dal pubblico ministero nel corso dell’istruzione sommaria, ai sensi dell’articolo 391 c.p.p., comma 2, del 1930). In questo caso, tuttavia, il legislatore non si e’ premurato di introdurre una nuova norma incriminatrice ad hoc che colmasse la lacuna”.
Nella stessa decisione, tuttavia, la Corte Costituzionale, dopo aver sottolineato che il problema traeva origine dal difetto di coordinamento tra le norme incriminatrici dei reati contro l’amministrazione della giustizia ed il nuovo codice di procedura penale, ha riconosciuto che l’indagine affidata al consulente del pubblico ministero puo’ implicare sia il riscontro di dati oggettivi, sia l’espressione di valutazioni; e, se anche generalmente i due momenti coesistono, essi possono essere astrattamente distinti.
In ragione di cio’, si e’ affermato che con riferimento al momento “descrittivo” potrebbe configurarsi il reato di false informazioni al pubblico ministero e, quindi, non sono state condivise le conclusioni dell’ordinanza di rimessione nella parte in cui aveva escluso l’applicabilita’ al caso esaminato dell’articolo 377 c.p. sul presupposto della sola “natura valutativa” degli accertamenti affidati al consulente tecnico, rilevando come gli stessi non potessero prescindere da un’analisi di natura oggettiva.
3.6. A seguito della pronunzia della Corte Costituzionale, nel senso della inammissibilita’ della questione di legittimita’ costituzionale cosi’ come sollevata dalle Sezioni Unite, queste ultime sono giunte a ritenere meritevoli di un ripensamento le conclusioni tratteggiate con l’ordinanza di rimessione, evidenziando come “in base ad un orientamento giurisprudenziale significativamente esteso, “quando intervengano in contesti che implicano l’accettazione di parametri di valutazione normativamente determinati o tecnicamente indiscussi, gli enunciati valutativi assolvono certamente una funzione informativa e possono dirsi veri o falsi” (cosi’ Sez. 5, n. 3552 del 09/02/1999, Andronico, Rv. 213366; per l’affermazione dello stesso principio, cfr in special modo: Sez. 6, n. 8588 del 06/12/2000, dep. 2001, Ciarletta, Rv. 219039; Sez. 5, n. 15773 del 24/01/2007, Marigliano, Rv. 236550; Sez. 1, n. 45373 del 10/06/2013, Capogrosso, Rv. 257895)” (cosi’ in motivazione Sez. U, n. 51824 del 25/09/2014, Guidi e altro, Rv. 26118701).
In applicazione di tale principio, si e’ ritenuto che anche in relazione ai giudizi di natura squisitamente tecnico-scientifica puo’ essere svolta una valutazione in termini di verita’-falsita’. Le Sezioni Unite hanno quindi affermato che integra il delitto di intralcio alla giustizia previsto dall’articolo 377 c.p., in relazione alle ipotesi di cui agli articolo 371-bis o 372 c.p. – secondo la fase procedimentale o processuale in cui viene posta in essere – la condotta di chi offre o promette denaro o altra utilita’ al consulente tecnico del pubblico ministero al fine di influire sul contenuto della consulenza, anche quando l’incarico a questi affidato implica la formulazione di giudizi di natura tecnico-scientifica.
E’ evidente, allora, come parallelamente possa sostenersi che e’ configurabile il reato di falso ideologico in capo al consulente del pubblico ministero nel caso in cui la falsita’ non verta esclusivamente sul momento “valutativo” della sua attivita’, ancorato a parametri “opinabili”, ma sia frutto di consapevole rappresentazione falsa del processo descrittivo dei presupposti fattuali a cui consegue la valutazione (in proposito, si rinvia a quanto in maniera piu’ specifica si dira’ in seguito nel § 4); con l’ovvia precisazione che “falso” non puo’ mai essere un “fatto” (perche’ il fatto o esiste o non esiste nella realta’), ma solo la rappresentazione che di esso e’ data (si veda in tal senso, in motivazione, Sez. 5, n. 890 del 12/11/2015, Giovagnoli, Rv. 26569101).
In proposito meglio si dira’ in seguito (si veda § 4), mentre qui e’ bene richiamare i principi affermati dalla citata sentenza n. 163 del 2014 della Corte Costituzionale: la falsa consulenza redatta dall’ausiliario dell’organo dell’accusa non integra il delitto di falsa perizia (articolo 373 c.p.), perche’ detto soggetto non e’ equiparabile, nell’attuale sistema processuale, al perito nominato dal giudice, come invece lo era il perito nominato dal pubblico ministero nel corso dell’istruzione sommaria, ai sensi dell’articolo 391 c.p.p., comma 2, del 1930.
Si deve pertanto escludere la possibilita’ di estendere in via interpretativa il concetto di “perizia” alla “consulenza tecnica”, in quanto cio’ comporterebbe una violazione del principio di tassativita’ del precetto penale.
Il problema trae indubbiamente origine dal difetto di coordinamento tra le norme incriminatrici dei reati contro l’amministrazione della giustizia ed il nuovo codice di procedura penale e, tuttavia, non vi sono ragioni ostative all’applicazione della previsione di cui all’articolo 479 c.p., comma 1 nei casi di elaborati falsi redatti dai consulenti del pubblico ministero, ove si consideri pure che la pena edittale massima ivi prevista e’ la stessa di quella contemplata dall’articolo 373 c.p. per i periti.
E’ dunque manifestamente infondata, nei termini proposti dalla difesa del ricorrente, la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 479 c.p., applicabile alle false consulenze redatte dal consulente tecnico del pubblico ministero.
3.7. Alle precedenti osservazioni in merito alla figura del consulente tecnico del pubblico ministero deve aggiungersi, ai fini della valutazione circa la configurabilita’ del reato di falso ideologico in capo a quest’ultimo, che nessun dubbio puo’ nutrirsi sulla peculiarita’ di tale soggetto e sull’esercizio da parte sua di una “funzione pubblica”, che ripete i “connotati” da quella dell’organo che coadiuva.
Con la gia’ citata sentenza Guidi, le Sezioni Unite hanno infatti ribadito che il consulente tecnico acquista “natura di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio nel momento in cui compie le sue attivita’ incaricate dal pubblico ministero, secondo la distinzione funzionale di cui agli articoli 357 e 358 c.p. (Sez. 6, n. 2675 del 05/12/1995, Tauzilli, Rv. 204516; Sez. 6, n. 4062 del 07/01/1999, Pizzicaroli, Rv. 214142; e, argomentando a contrario, Sez. 6, n. 5901 dei 22/01/2013, Anello, Rv. 254308), concorre oggettivamente all’esercizio della funzione giudiziaria e ha il dovere, connaturato a ogni parte pubblica, di obiettivita’ e “imparzialita’”, nel senso che la sua funzione e’ tesa al raggiungimento di interessi pubblici, quale, in primis, l’accertamento della verita’, posto che il pubblico ministero deve svolgere indagini su fatti e circostanze anche a favore della persona sottoposta alle indagini (articolo 358 c.p.p.). Il ruolo e la funzione rivestiti gli impongono dunque il dovere di verita’”.
E questa Sezione anche di recente ha avuto modo di sottolineare che il consulente tecnico del pubblico ministero, sia per l’investitura ricevuta dal magistrato, sia per lo svolgimento di un incarico ausiliario all’esercizio della funzione giurisdizionale, assume la qualifica di pubblico ufficiale, concorrendo oggettivamente all’esercizio della funzione giudiziaria (Sez. 5, n. 4729 del 10/12/2019, Moriani Stefano, Rv. 27855803; nello stesso senso, in epoca risalente, Sez. 6, n. 4062 del 07/01/1999, Pizzicaroli G, Rv. 21414201).
Ne discende che la relazione redatta dal consulente tecnico del pubblico ministero e’ idonea a rientrare nella nozione di atto pubblico oggetto del delitto di falso ideologico ex articolo 479 c.p., comma 1, la quale ricomprende ogni atto redatto dal pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni (Sez. 5, n. 44383 del 29/05/2015, Centaro e altro, Rv. 26640101; Sez. 5, n. 9702 del 05/12/2008, Paolino, Rv. 24277001; Sez. 5, n. 3552 del 09/02/1999, Andronico ed altri, Rv. 21336601).
Deve dunque rilevarsi che la falsa consulenza resa dall’esperto nominato dalla pubblica accusa assume rilievo penale nell’ordinamento; oltre al dato normativo, milita in tal senso la considerazione del rilevantissimo ruolo ricoperto da queste figure nell’ambito di processi caratterizzati da elevato tecnicismo, che impongono ai magistrati di affidarsi al sapere di esperti per orientare le proprie valutazioni.
3.8. Ne’ in proposito puo’ trascurarsi che, nei processi ove si rende necessario il ricorso alla prova scientifica, l’adozione di provvedimenti cautelari utili ad impedire la prosecuzione dell’attivita’ criminosa, oltre che – in definitiva – la soluzione del caso posto all’attenzione del giudicante, dipende in maniera preponderante dall’affidabilita’ delle informazioni che, attraverso l’indagine di periti e consulenti, penetrano nel processo.
La stessa dottrina ha da tempo segnalato le criticita’ derivanti dall’ingresso della scienza nel processo, con particolare riguardo al tema delle consulenze false e del loro carattere sviante anche per il giudice piu’ scrupoloso e attento.
Tra le forme di falsita’ ritenute piu’ insidiose sono state annoverate, ad esempio, la presentazione di pareri fuorvianti perche’ basati su forzature dei dati disponibili; o ancora, le consulenze tecniche dalle quali vengano deliberatamente espunti i riferimenti a dati contrari agli interessi della parte assistita, o nelle quali si forniscano letture parziali dei lavori scientifici citati; da ultimo, la falsita’ puo’ altresi’ risiedere nella presentazione di una determinata tesi come maggioritaria o nell’omissione del riferimento all’alto tasso di errore presentato da una metodologia.
Tutto cio’ influisce, evidentemente, sulla formazione del convincimento del giudice, ma puo’ esercitare pesanti riflessi anche sull’attivita’ del pubblico ministero che decida di avvalersi di un esperto proprio al fine di meglio orientarsi nella fase delle indagini, anche nella prospettiva dell’individuazione di elementi a favore dell’indagato e, quindi, per la scelta se promuovere o meno l’azione penale.
4. Passando all’esame dei motivi di ricorso aventi ad oggetto la sussistenza del reato contestato al (OMISSIS), va detto che la difesa censura, in via principale, la decisione nella parte in cui ha affermato che l’imputato aveva dolosamente disapplicato una legge scientifica avente carattere universale, che fissa un “criterio indiscusso e indiscutibile” in virtu’ del quale determinate concentrazioni di furani non possono che derivare dalla sinterizzazione dell’acciaio.
4.1. Preliminarmente, va dato atto della correttezza dei richiami fatti dalla difesa alla giurisprudenza in materia di c.d. falso valutativo.
Le criticita’ di cui si e’ occupata la suddetta giurisprudenza si incentrano essenzialmente sui limiti di tipicita’ della fattispecie del falso ideologico e sulla correlata esigenza di rispetto del principio di stretta legalita’. In tale ottica, infatti, non si e’ potuto trascurare che i “fatti” esprimono un concetto ontologicamente diverso dalle “valutazioni”, per cui e’ necessariamente conseguenziale il quesito se le dichiarazioni “valutative”, al pari di quelle “dispositive”, siano punibili soltanto in relazione alle premesse fattuali (eventualmente false) oggetto di valutazione o la rilevanza penale possa correlarsi alla violazione dei criteri che disciplinano la discrezionalita’ tecnica.
Questa Corte ha da tempo affermato che anche i “giudizi di valore” possono non essere veritieri cosi’ come gli “enunciati di fatto”, pur sempre, pero’, in contesti che implichino l’accettazione di parametri valutativi normativamente determinati o tecnicamente indiscussi. Si e’ infatti evidenziato che in tali contesti gli enunciati valutativi assolvono una funzione informativa e possono pertanto dirsi veri o falsi: “…la valutazione e’ un modo di rappresentare la realta’ analogo alla descrizione o alla constatazione, sebbene l’ambito di una sua possibile qualificazione in termini di verita’ o di falsita’ sia variabile e risulti, di regola, meno ampio, dipendendo dal grado di specificita’ e di elasticita’ dei criteri di riferimento” (Sez. 5, n. 3552 del 09/02/1999, Andronico ed altri, in motivazione).
La valutazione assume dunque rilievo penale, ai sensi dell’articolo 479 c.p., laddove sia riferibile ad elementi fattuali integranti il presupposto dell’atto, esercitando in tal modo quella funzione informativa in forza della quale l’enunciato puo’ essere predicato di falsita’ (Sez. 5, n. 7879 del 16/01/2018, Daversa e altri, in motivazione); ino ltre, e’ necessario che il giudizio faccia riferimento a criteri predeterminati, in modo da rappresentare la realta’ al pari di una descrizione o di una constatazione, per cui risulta ideologicamente falsa la valutazione che contraddica criteri indiscussi o indiscutibili e sia fondata su premesse contenenti false attestazioni (Sez. 5, sentenza n. 35104 del 22/06/2013, Baldini, Rv. 25712)
Si e’ dunque equiparato il concetto di “parametri valutativi normativamente determinati” categoria, in se’, facilmente identificabile, in quanto riferibile a fonti normative di volta in volta specificamente individuate e, come tali, costituenti un parametro diretto di valutazione – al concetto di “parametri tecnicamente indiscussi”, riferibile solo a parametri che, nell’ambito di una specifica disciplina tecnico-scientifica, costituiscono criteri ermeneutici consensualmente accettati come unica ed indiscussa griglia interpretativa di riferimento.
E cosi’, per esempio, si e’ sottolineato, con riferimento alle diagnosi ed alle valutazioni compiute dal medico, come anche tali giudizi di valore, al pari degli enunciati in fatto, possono essere non veritieri, giacche’, nell’ambito di contesti che implichino l’accettazione di parametri valutativi normativamente determinati o tecnicamente indiscussi, le valutazioni formulate da soggetti cui la legge riconosce una determinata “perizia” possono non solo configurarsi come errate, ma possono rientrare altresi’ nella categoria della falsita’ ideologica quando il giudizio faccia riferimento a criteri predeterminati, in modo da rappresentare la realta’ in termini di descrizione o di constatazione. Ne consegue che e’ ideologicamente falsa la valutazione che contraddica criteri indiscussi o indiscutibili e sia fondata su premesse contenenti false attestazioni (Sez. 5, n. 15773 del 24/01/2007, Marigliano e altri, Rv. 236550).
Si e’ ulteriormente precisato che la rappresentazione di un fatto – talora anche quando meramente descrittiva od enunciativa – reca in se’ un indefettibile coefficiente di soggettivita’ e, dunque, di opinabilita’, quantomeno in ordine alla selezione degli elementi effettivamente rilevanti. Sicche’, quando la rappresentazione valutativa debba parametrarsi a criteri predeterminati, dalla legge ovvero da prassi universalmente accettate, l’elusione di quei criteri – od anche l’applicazione di metodiche diverse da quelle espressamente dichiarate – costituisce falsita’ nel senso di discordanza dal vero legale, ossia dal modello di verita’ “convenzionale” conseguibile solo con l’osservanza di quei criteri, validi per tutti e da tutti generalmente accettati, il cui rispetto e’ garanzia di uniformita’ e di coerenza, oltreche’ di certezza e trasparenza (cosi’, in motivazione, la gia’ citata Sez. 5, n. 890 del 12/11/2015, Giovagnoli, Rv. 26569101).
Sulla scia di tale orientamento ermeneutico, occupandosi di bancarotta impropria da falso in bilancio (e componendo il contrasto interpretativo creatosi dopo la riforma introdotta con la L. n. 69 del 2015), le Sezioni Unite, con la sentenza n. 22474 del 31/03/2016 (Passarelli ed altro, Rv. 266802), hanno ribadito che e’ configurabile il falso valutativo “quando l’attestazione sia resa in un contesto implicante la necessaria accettazione di parametri di valutazione normativamente determinati o tecnicamente indiscussi”, precisando che, dato il ridotto margine di opinabilita’ delle scienze contabilistiche, “la valutazione dei fatti oggetto di falso investe la loro materialita’”.
In applicazione degli stessi principi, questa Corte ha ulteriormente precisato che e’ configurabile la condotta di falso di enunciati valutativi solo se l’agente, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, se ne discosti consapevolmente e senza fornire adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni (Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, P.G. e altro in proc. Coatti e altri, Rv. 26867201).
Quindi si e’ definitivamente affermato un importante limite al giudizio di rilevanza del falso valutativo ovvero quello dei “criteri normativamente fissati o dei criteri tecnici generalmente accettati”.
E’ evidente, pero’, che tali principi possono essere messi in crisi nei casi in cui le “griglie interpretative” risultano essere opinabili e, come tali, discutibili; cio’ si verifica in tutti i casi in cui il settore tecnico o scientifico coinvolto non abbia ancora elaborato criteri ricognitivo interpretativi consensualmente ed univocamente accettati all’interno della comunita’ di riferimento.
E’, invero, inevitabile in tali casi l’ampliamento dei parametri di discrezionalita’ della valutazione tecnico-scientifica da parte del soggetto che la effettua in qualita’ di portatore di uno specifico sapere tecnico o scientifico (si vedano tra le tante: la citata Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, P.G. e altro in proc. Coatti e altri, Rv. 26867201, in tema di bancarotta impropria da falso in bilancio, che ha evidenziato le criticita’ di applicazione di parametri oggettivi in materia alla luce di contrasti interpretativi relativi alla normativa contabile prevista dall’Organismo Italiano di Contabilita’; Sez. 6, sentenza n. 48915 del 11/1172015, P.C. in proc. Rossetti, Rv. 265243, in tema di falsa perizia avente ad oggetto l’accertamento del danno da inadempimento contrattuale; Sez. 5, sentenza n. 7067 del 12/01/2011, Sabolo ed altri, Rv. 249836, in tema di valutazione di ramo aziendale oggetto di falsa perizia).
E, di recente, questa Sezione ha affermato che anche il curatore fallimentare, nel redigere la relazione ex articolo 33 L. Fall., puo’ incorrere nel reato di falso ideologico sia nel caso in cui esprima una valutazione sulla base di un’attivita’ falsamente compiuta o sulla base della falsa attestazione di elementi di fatto, sia quando, partendo da premesse vere, pervenga a conclusioni totalmente eccentriche e illogiche in relazione ai fatti che ne costituiscono la premessa allo scopo di inscenare o dissimulare artificiosamente la falsita’ della valutazione (Sez. 5, n. 97 del 21/11/2019, Muneghina Massimiliano, Rv. 27855301, che in motivazione ha evidenziato come fra “i criteri interpretativi consensualmente accettati”, utilizzabili per verificare la falsita’ delle valutazioni effettuate dal curatore, debbano essere considerati anche gli orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimita’).
4.2. Fatte queste premesse, si rende tuttavia necessario precisare che e’ privo di pregio l’assunto del ricorrente secondo cui, affinche’ possa configurarsi il c.d. “falso ideologico valutativo”, e’ necessario che sia stato alterato o violato un parametro di valutazione coincidente con una legge scientifica universale.
Deve infatti osservarsi che le leggi scientifiche universali, le quali individuano “regolarita’ senza eccezioni” nella successione di determinati eventi, oltre ad essere di per se’ rare, vengono difficilmente in considerazione nell’ambito del processo.
In proposito le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di evidenziare come un modello di indagine fondato solo su strumenti di tipo deterministico e nomologico-deduttivo, cioe’ affidato esclusivamente alla forza esplicativa di leggi universali, risulti utopistico, in quanto nella generalita’ dei casi e’ necessario formulare giudizi sulla base di generalizzazioni causali, congiunte con l’analisi di contingenze fattuali (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, in motivazione; nonche’ successivamente Sez. 4, n. 36280 del 21/06/2012, Forlani e altri, in motivazione).
Assai piu’ di frequente si rende in effetti necessario il ricorso a leggi statistiche, le quali “si limitano ad affermare che il verificarsi di un evento e’ accompagnato dal verificarsi di un altro evento in una certa percentuale di casi e con una frequenza relativa, con la conseguenza che quest’ultime (ampiamente diffuse nei settori delle scienze naturali, quali la biologia, la medicina e la chimica) sono tanto piu’ dotate di “alto grado di credibilita’ razionale” o “probabilita’ logica”, quanto piu’ trovano applicazione in un numero sufficientemente elevato di casi e ricevono conferma mediante il ricorso a metodi di prova razionali ed empiricamente controllabili” (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, in motivazione).
Ed e’, invero, proprio rispetto a tale tipologia di leggi scientifiche che assume massimo rilievo la nozione di “valutazione”: l’esperto e’ infatti chiamato a trasferire nel processo conoscenze tecniche e saperi esperienziali, compiendo valutazioni di ordine extragiuridico che il giudice possa porre a fondamento della propria decisione.
In questo senso deve essere inteso il ruolo di peritus peritorum che l’ordinamento tradizionalmente assegna al giudice: questi, con l’ausilio degli esperti, deve individuare il sapere accreditato in grado di fornire una spiegazione plausibile agli eventi e di orientare il giudizio; se ne ricava, d’altro canto, che l’esperto ha il compito di esporre al giudice “il quadro del sapere scientifico nell’ambito cui il giudizio si interessa, spiegando quale sia lo stato del dibattito nel caso in cui vi sia incertezza sull’affidabilita’ degli enunciati della scienza o della tecnologia” (Sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013, Cantore, in motivazione).
In considerazione della oramai diffusa consapevolezza circa la relativita’ e mutabilita’ delle conoscenze scientifiche, questa Corte ha avuto modo di precisare che le acquisizioni scientifiche cui e’ possibile attingere nel giudizio penale non sono soltanto quelle unanimemente riconosciute, essendo sufficiente il ricorso alle acquisizioni maggiormente accolte o generalmente condivise (cosi’ la gia’ citata Sez. 4, n. 36280 del 21/06/2012, Forlani e altri, Rv. 25356501; si veda anche, in motivazione, Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005, Raso, Rv. 23031701).
Si e’ inoltre provveduto a individuare una serie di criteri che consentano al giudice di risolvere il problema della selezione del sapere scientifico “attendibile”, avendo riguardo tanto al profilo relativo alla stessa attendibilita’ dei soggetti esperti che conducono le ricerche e che intervengono nei processi, quanto a quello dell’attendibilita’ degli studi portati a sostegno di ciascuna teoria, da valutare sulla base di molteplici indicatori, quali: le basi fattuali sui quali gli studi sono condotti; l’ampiezza, la rigorosita’, l’oggettivita’ della ricerca; il grado di sostegno che i fatti accordano alla tesi; la discussione critica che ha accompagnato l’elaborazione dello studio, anche con riferimento ai tentativi di falsificazione della stessa; l’attitudine esplicativa dell’elaborazione teorica; il grado di consenso che la tesi raccoglie nella comunita’ scientifica di riferimento (Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini e altri, in motivazione).
Cio’ che maggiormente preme evidenziare in questa sede e’ che i profili appena evidenziati attengono alla fisiologia dell’approccio alla scienza nell’ambito del processo, in considerazione della acclarata relativita’ e mutabilita’ del sapere scientifico e della difficolta’ di determinare in maniera certa le possibili cause di un evento; attiene invece al momento patologico la dolosa contraddizione di parametri tecnicamente indiscussi, che ben possono essere integrati anche da leggi statistiche.
4.3. Ne’ in materia si possono trascurare i principi interpretativi elaborati in riferimento al reato di falsa perizia di cui all’articolo 373 c.p., che – per vero – spostano in maniera evidente il focus della rilevanza penale sull’elemento soggettivo; invero, mentre, da una parte, si fa riferimento a enunciati mendaci riconducibili, sotto il profilo oggettivo, a “canoni di certezza”, dall’altra parte, sotto il profilo soggettivo, si richiede una “divergenza intenzionale, voluta e cosciente” tra il convincimento reale e quello manifestato nell’elaborato tecnico di risposta ai quesiti posti dal giudice (Sez. 6, sentenza n. 12654 del 26/02/2016, Forcillo, Rv. 266869; Sez. 6, sentenza n. 38307 del 11/06/2015, Pmt in proc. Panciera, Rv. 264723; Sez. 6, sentenza n. 36654 del 04/06/2015, Tonnarelli, Rv. 264581).
Si e’ infatti sottolineato come il reato di falsa perizia previsto dall’articolo 373 c.p. possa consistere nel dare pareri o interpretazioni mendaci ovvero nell’affermare fatti non conformi al vero; “quest’ultima ipotesi non da’ luogo a particolari problemi, mentre la prima pone una serie di difficolta’ interpretative e di accertamento, in quanto il perito non si limita a riferire quanto e’ caduto sotto i suoi sensi, ma formula un giudizio che puo’ dirsi mendace solo in presenza di una divergenza tra il convincimento reale e quello manifestato” (cosi’, in motivazione, la gia’ citata Sez. 6, sentenza n. 36654 del 04/06/2015, Tonnarelli, Rv. 264581).
E si e’ ulteriormente precisato che, nel contesto di accertamenti valutativi, la presenza di difformi autorevoli pareri nonche’ l’adesione del giudice ad una stima diversa da quella prospettata dal consulente d’ufficio sono elementi atti a dimostrare che l’oggetto della perizia debba considerarsi obiettivamente controvertibile e difficilmente rapportabile alla certezza dello schema dettato dall’articolo 373 c.p., salva una giustificazione attenta a raccordare la delicatezza del quesito offerto al perito e la certa infedelta’ del risultato da questi reso (Sez. 6, n. 48915 del 11/11/2015, P.C. in proc. Rossetti, Rv. 26524301; Sez. 5, n. 7067 del 12/01/2011, Sabolo e altro, Rv. 24983601).
Anche ai fini della configurabilita’ dell’elemento soggettivo del reato di falsita’ ideologica commessa dal consulente del pubblico ministero, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che il giudice di merito deve attentamente vagliare se la condotta di infedelta’ sia determinata dalla consapevole intenzione di rendere una falsa rappresentazione della realta’ oppure sia il risultato di imperizia e di colposa incapacita’ professionale, con la conseguenza che, a tal fine, occorre acquisire il dato certo su cio’ che puo’ essere considerato il movente del comportamento ascritto come mendace al soggetto agente (Sez. 5, n. 32856 del 12/07/2011, Moriani, Rv. 25058101, in tema di svolgimento di attivita’ di autopsia e inutilita’ della rinnovazione della consulenza).
4.4. Consegue a tutto quanto sopra esposto che, nell’analisi del caso concreto, sia imprescindibile un apparato argomentativo esaustivo e logico su tutti i criteri utilizzati dal giudice per ritenere che, alla luce delle specifiche emergenze fattuali, il soggetto chiamato ad esprimere una valutazione, connotata da un margine elastico di discrezionalita’, abbia formulato consapevolmente una valutazione falsa.
Ne’, a tal fine, si deve prescindere dalla circostanza che le “valutazioni” rappresentano il momento conclusivo di un percorso logico, basato sull’esposizione dei criteri di riferimento, dei fatti che vengono esaminati e degli elementi che corroborano la stessa valutazione.
D’altronde, la falsita’ della valutazione, anche di tipo previsionale, puo’ discendere dalla falsita’ delle premesse, come nei casi in cui il tecnico esprima una valutazione sulla base di un’attivita’ falsamente compiuta o sulla base della falsa attestazione di elementi di fatto.
La falsita’, pero’, puo’ rilevarsi anche nei casi in cui, sulla base di premesse vere, si pervenga a conclusioni errate in base ad un argomento invalido; in tali casi, tuttavia, e’ necessario accertare che la conclusione errata sia correlata al la totale eccentricita’ ed illogicita’ dell’argomento utilizzato in riferimento ai fatti che ne costituiscono la premessa e nella sua utilizzazione allo scopo di inscenare o di dissimulare artificiosamente la falsita’ della valutazione.
E’ del tutto ovvio che tale analisi da parte del giudice deve essere tanto piu’ articolata e complessa quanto piu’ elastici si presentano i margini della discrezionalita’ valutativa (si veda ancora una volta in tal senso in motivazione la citata Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, P.G. e altro in proc. Coatti e altri, Rv. 26867201).
4.5. Esposte queste precisazioni in diritto, va detto che nella specie la Corte territoriale si e’ attenuta ai principi elaborati in materia di falso valutativo, sottolineando, pero’, come nel caso in esame sia stato negato il “presupposto fattuale” dell’accertamento valutativo; la falsita’ non si rinviene tanto nella contraddizione rispetto a “criteri indiscussi o indiscutibili”, quanto nel carattere netto dell’affermazione circa la non compatibilita’ delle polveri emesse dall’impianto di sinterizzazione dell’acciaio e le sostanze rinvenute nei reperti alimentari, senza che si sia dato conto dell’applicazione di uno soltanto dei possibili criteri elaborati dalla comunita’ scientifica di riferimento (pag. 122 della sentenza di appello).
Indubbiamente sul piano motivazionale alcune criticita’ sono rilevabili; invero, la sentenza avrebbe dovuto affrontare in maniera piu’ specifica alcune delle doglianze difensive (reiterate anche con gli atti di ricorso in esame) su aspetti della valutazione espressa dai consulenti del Pubblico Ministero nelle relazioni oggetto dei capi di imputazione: a) la circostanza della distribuzione sul territorio degli animali abbattuti “a macchia di leopardo”; b) gli analoghi profili delle diossine provenienti da altre fonti emissive e il rinvenimento di almeno un fingerprint sovrapponibile a quello indicato dai periti e proveniente da uno stabilimento industriale in cui non vi sono processi di sinterizzazione dell’acciaio; c) l’incompatibilita’ tra le emissioni dell’impianto (OMISSIS) e la contaminazione delle matrici alimentari esaminate come ineluttabile conseguenza dell’analisi comparata dei rapporti di tossicita’ tra diossine e PCBdI, risultati inversi nelle polveri dell’impianto di agglomerazione del siderurgico e negli animali abbattuti.
Si tratta, tuttavia, di vizi motivazionali, che richiederebbero un nuovo esame da parte della Corte territoriale, reso inutile – come si e’ gia’ detto – dallo spirare del termine prescrizionale e, quindi, dall’estinzione del reato.
4.6. Peraltro, non si puo’ trascurare che nella sentenza impugnata la falsita’ della valutazione e’ giustificata non solo dal raffronto tra i risultati dell’accertamento tecnico effettuato dal (OMISSIS) (e, ovviamente, dal (OMISSIS)) e quelli della perizia svolta in sede di incidente probatorio, ma anche da una pluralita’ di elementi significativi tratti dalle conversazioni captate, che hanno finito per incidere sulla lettura della condotta dell’imputato.
Invero, da una parte la sentenza ha sottolineato che i consulenti del pubblico ministero, oltre a pervenire a conclusioni diverse da quelle dei periti, avevano escluso (affrontando proprio il tema che piu’ preoccupava la famiglia (OMISSIS), ovvero quello dell’avvelenamento degli animali) una circostanza che non poteva essere esclusa: la compatibilita’ delle polveri dell’impianto con i campioni d’aria e le matrici alimentari. Ha quindi evidenziato – come si e’ gia’ detto- che su tale “presupposto fattuale” falsificato, scaturito non da una “valutazione” ma dall’applicazione di una regola scientifica (la presenza dei congeneri HxCDF e HpCDF, nelle proporzioni rilevate, e’ caratteristica del processo di sinterizzazione dell’acciaio) si e’ poi innestato il giudizio tecnico valutativo.
E’ anche vero, pero’, che tale analisi dei giudici di merito ha trovato supporto logico-argomentativo nella valutazione dell’elemento soggettivo delineato in capo al (OMISSIS), basata – come pure si e’ gia’ visto sopra – sulle risultanze delle intercettazioni (si vedano pagg. 108 e ss. della sentenza).
La Corte territoriale ha ripercorso le argomentazioni che sul punto erano gia’ state rese nella sentenza di primo grado, con una lettura unitaria e complessiva delle conversazioni intercettate e intercorse tra il deposito della prima consulenza ((OMISSIS)) ed il deposito della richiesta dei pubblici ministeri di incidente probatorio (28 giugno 2010), nonche’ tra quest’ultimo momento ed il deposito della relazione integrativa (22 settembre 2010).
Si tratta di valutazioni di merito, supportate da motivazione congrua e logica e, quindi, non censurabili in sede di legittimita’. Ne’ si apprezzano profili di travisamento della prova; in proposito e’ bene ribadire che la disposizione di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) fa riferimento alla contraddittorieta’ della motivazione che risulti non dal testo del provvedimento impugnato, ma “da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”.
Quest’ultima condizione, direttamente prescrittiva dell’onere di specifica indicazione degli atti dei quali si deduce il travisamento, non si riduce tuttavia a tale aspetto procedurale, ma presuppone altresi’ che la contraddittorieta’ intercorra fra le conclusioni del provvedimento e gli atti indicati. Ne segue logicamente che l’errore deducibile in questa prospettiva, in quanto apprezzabile attraverso l’indicazione di atti singoli e determinati, deve cadere sul dato significante, costituito dalla circostanza di fatto riportata quale contenuto dell’elemento di prova, per la cui rilevabilita’ e’ necessaria la specifica indicazione dell’atto da cui l’elemento risulta, e non sul significato attribuibile allo stesso (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168).
L’errore deducibile, peraltro, ricorre solo nei casi in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su un determinato elemento che si riveli insussistente o, per come esposto nel provvedimento impugnato, incontestabilmente diverso da quello reale, ovvero abbia trascurato un elemento esistente e decisivo, in modo da sollecitare un intervento del giudice di legittimita’ nel senso non di una reinterpretazione degli elementi valutati dal giudice di merito, ma della verifica sulla sussistenza e sul contenuto di detti elementi (Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).
Pertanto, ove le censure difensive consistano – come nel caso in esame – solo nell’esposizione di valutazioni sul significato probatorio degli elementi di prova considerati, la situazione denunciata non puo’ essere ricondotta nel vizio di travisamento lamentato (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, Maggio, Rv. 255087; Sez. 3, n. 46451 del 07/10/2009, Carella, Rv. 245611).
4.7. Nella sentenza si e’ sottolineato come le suddette intercettazioni abbiano fatto emergere una serie di contatti tra (OMISSIS) (definito da (OMISSIS) “il maestro degli insabbiamenti”) e (OMISSIS), organizzati con modalita’ talmente inusuali da essere prive di una plausibile spiegazione lecita, intervenuti proprio nel periodo in cui il (OMISSIS) (insieme al (OMISSIS) ed all’altro consulente, (OMISSIS)) aveva ricevuto incarico dai pubblici ministeri di indagare su emissioni nocive che inevitabilmente vedevano coinvolta la piu’ grande industria operante sul territorio.
E, a fronte di un quadro giudicato dai giudici di merito di “univoca valenza probatoria quanto all’accordo corruttivo che ha interessato direttamente il (OMISSIS)”, si e’ evidenziato come anche il contributo del (OMISSIS) nell’operazione di formazione di una falsa consulenza deve ritenersi volontario e consapevole, sebbene non fosse emersa alcuna prova del fatto che egli avesse preso parte all’accordo corruttivo, tant’e’ che non gli e’ stato contestato il delitto di cui all’articolo 319 ter c.p..
In proposito, la Corte territoriale ha indicato specificamente le conversazioni intercettate dalle quali e’ emerso che il (OMISSIS) ha acquisito “conoscenza, a seguito della comunicazione degli ultimi dati di analisi dell’ARPA sulle polveri, della situazione effettiva dell’inquinamento da diossina e della presenza della sostanza tossica nelle polveri dell'(OMISSIS), a maggior ragione dopo il sopralluogo del febbraio 2010” (pag. 113 della sentenza; si vedano poi in dettaglio le valutazioni delle conversazioni nelle pagg. 113 e ss).
Ha poi risposto in maniera analitica a tutte le censure proposte dalla difesa sul significato da attribuirsi alle risultanze di quelle intercettazioni, vagliando anche in maniera critica alcuni passaggi della sentenza di primo grado sul punto ed evidenziando che il (OMISSIS), “palesando al (OMISSIS) il timore circa la sostenibilita’ di alcune asserzioni, ritenute “facilmente attaccabili” e, cio’ nonostante, mantenendole ferme – ancora una volta assecondando il suo mentore – ha dimostrato di essere consapevole del fatto che le conclusioni dell’elaborato sono state artatamente falsate per favorire l'(OMISSIS)” (pagg. 116 e ss.).
Conclusivamente va detto che i passaggi motivazionali cui si e’ fatto riferimento sono congrui ed esenti da vizi logici e di metodo, sicche’ tutte le censure sul punto proposte dalla difesa si rivelano infondate.
5. Non possono essere accolte le richieste, formulate dalle difese di alcune delle parti civili, di condanna dell’imputato alla rifusione delle spese sostenute nel grado.
5.1. Va qui ricordato che al (OMISSIS) era stato pure contestato, al capo S), il delitto di cui agli articoli 40 cpv. e 110 c.p., articolo 434 c.p., commi 1 e 2 (disastro ambientale) e articolo 439 c.p. (avvelenamento sostanze alimentari) perche’, in concorso con il (OMISSIS), pur avendone l’obbligo giuridico, non impediva gli eventi di cui ai capi B) e H), mediante la condotta di falso ideologico contestata al capo R).
Con la sentenza di primo grado il (OMISSIS) e’ stato assolto dall’imputazione ascrittagli al capo S) e tale pronunzia e’ stata confermata dalla Corte territoriale, adita dal Pubblico Ministero con l’appello e dalle parti civili solo con appello incidentale.
Va pure ricordato che l’appello incidentale delle parti civili e’ stato dichiarato inammissibile nella parte relativa alle censure sull’omissione, da parte del giudice di primo grado, della pronuncia risarcitoria afferente il delitto di falso ideologico ascritto al (OMISSIS).
E’ stato infatti correttamente rilevato dalla Corte territoriale che l’appello incidentale e’ inammissibile quando abbia ad oggetto non solo capi ma anche soltanto punti della decisione impugnata diversi da quelli investiti dall’appello principale, considerato che, secondo la previsione dell’articolo 595 c.p.p., esso e’ proponibile dalla parte non appellante in relazione all’impugnazione delle altre parti e ha natura accessoria rispetto all’impugnazione principale.
Conseguentemente, esso non puo’ avere ad oggetto capi diversi da quelli investiti dall’appello principale in quanto, in caso contrario, sarebbe vanificato il sistema dei termini per proporre impugnazione, tassativamente stabiliti a pena di decadenza dal codice di rito (ex multis, Sez. 3, n. 48389 del 13/09/2018, B, Rv. 27471001; Sez. 1, n. 3409 del 05/12/2017, Ndiaye, Rv. 27240501; Sez. 4, n. 40275 del 28/09/2006, Pozzoli e altri, Rv. 23539401).
5.2. Da tutto cio’ consegue che le parti civili, le quali – come si e’ detto- non hanno provveduto a impugnare in via principale l’omessa pronunzia sulle statuizioni risarcitorie relative al reato di falso oggetto della presente decisione, non possono formulare, ai sensi dell’articolo 541 c.p.p., la richiesta di condanna alla rifusione delle spese sostenute per partecipare al giudizio svoltosi dinanzi a questa Corte.
Infatti, tale partecipazione, pur se consentita in ragione del potenziale riflesso della decisione sulle pretese risarcitorie, non era necessaria per far valere queste ultime in questa sede, non essendo stato assolto in grado di appello l’onere di proporre impugnazione principale sul capo della sentenza di primo grado afferente le domande di risarcimento dei danni.
Ne’ si puo’ dubitare che costituisca capo della sentenza, passibile di passare in giudicato in conseguenza di omessa impugnazione, anche la mancata statuizione del giudice in ordine alle restituzioni e al risarcimento del danno derivante dal reato.
5.3. Conclusivamente puo’ dunque affermarsi che le parti civili comparse nel presente giudizio, essendo loro preclusa la possibilita’ di formulare conclusioni correlate alla tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, non possono invocare l’applicazione dell’articolo 541 c.p.p.; infatti, solo con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno il giudice puo’ condannare l’imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche’ il reato e’ estinto per prescrizione.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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