Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 10 giugno 2019, n. 3875.

La massima estrapolata:

La presentazione della domanda di condono sospende il procedimento per l’applicazione di sanzioni amministrative. Ne consegue che, nella pendenza della definizione di tali domande, non può essere, tra l’altro, adottato alcun provvedimento di demolizione.

Sentenza 10 giugno 2019, n. 3875

Data udienza 6 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8820 del 2015, proposto da
Parco Nazionale (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
contro
Be. Fr. Fr., Sa. Fr., rappresentati e difesi dall’avvocato En. So., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
nei confronti
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ga. Pe., domiciliato presso la Cons. Di Stato Segreteria in Roma, piazza (…);
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Terza n. 03596/2015, resa tra le parti, concernente rigetto delle domande di condono edilizio
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Be. Fr. Fr. e di Sa. Fr. e di Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 giugno 2019 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati An. Ab. su delega dell’avv. En. So.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con l’appello in esame l’amministrazione odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 3596 del 2015 con cui il Tar Campania, sede di Napoli aveva accolto l’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dalle odierne parti appellate, in qualità di comproprietari dell’area interessata, al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento con cui era stata disposta l’acquisizione al patrimonio del Parco Nazionale (omissis) di due capannoni di proprietà, di circa mq. 439 e mq. 396 (realizzati sul fondo in comproprietà in località (omissis), in catasto al foglio (omissis), p.lle (omissis), (omissis) e (omissis)).
All’esito del giudizio di prime cure il Tar accoglieva il ricorso, con particolare riferimento al vizio concernente la preclusione derivante dalla pendenza delle istanze di condono del 10/12/2004, alla stregua dell’indirizzo giurisprudenziale per cui la presentazione di un’istanza di condono edilizio comporta la paralisi del potere repressivo complessivamente inteso.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello:
– inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di atto lesivo;
– violazione degli artt. 6 commi 3, 13 e 29 l. 394\1991, 32 comma 27 lett d) d.l. 269\2003, 33 e 38 l. 47\1985 e 31 dPR 380\2001, a fronte del vincolo di inedificabilità assoluta sussistente in loco oltre le norme edilizie;
– violazione degli artt. 2909 c.c. e 295 c.p.c.in quanto la sentenza di annullamento dell’ordine di demolizione presupposto non era passata in giudicato.
La parte appellata privata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello. La parte appellata comunale si costituiva in giudizio chiedendo l’accoglimento dell’appello.
Alla pubblica udienza del 6\6\2019 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. La soluzione delle questioni sollevate necessita, anche a fronte del carattere semplificato della sentenza appellata, di una previa ricostruzione della fattispecie controversa.
Gli odierni appellati, in qualità di comproprietari di un fondo sito nel Comune di (omissis), sito in località (omissis), e riportato al N.C.C.E.U. in catasto al foglio (omissis), p.lle (omissis), (omissis) e (omissis), realizzavano – in dichiarata epoca anteriore al 31\3\2003 – sul predetto fondo due capannoni da adibire a deposito merci al servizio della struttura commerciale immediatamente attigua allo stesso (rispettivamente di circa 439 mq e di circa 396 mq).
Al fine di regolarizzare tali opere gli stessi presentavano in data 2\9\2004 al Comune di (omissis) rispettivamente istanze di condono edilizio, formulate ai sensi dell’art. 32 d.l. 269\2003 (c.d. terzo condono).
In data 25\11\2004 con ordinanza n. 168 del 25.11.2004, il Direttore Generale dell’Ente Parco Nazionale (omissis), considerato che “l’abuso ricade nella perimetrazione definitiva del Parco”, ingiungeva agli stessi odierni appellati la demolizione delle opere realizzate ed il ripristino dello stato dei luoghi.
Tale ordinanza veniva impugnata dinanzi al Tar Campania (ricorso r.g. n. 2159\2005); all’esito del giudizio, con sentenza n. 3295/2015 veniva dichiarata l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, a fronte della pendenza delle domande di sanatoria. In particolare, il Tar così statuiva: “In conclusione, la necessità che l’Amministrazione esamini la domanda di condono fa sì che non sussiste l’interesse a contrastare la demolizione ingiunta, destinata a essere privata di effetti ovvero sostituita, in caso di rigetto della domanda di condono, con un nuovo provvedimento che tenga conto della ritenuta insanabilità dell’opera”.
Infatti, nelle more, in data 10\12\2004, gli stessi interessati, poiché le precedenti istanze di condono erano sfornite delle ricevute di pagamento della prima rata di oblazione e dell’anticipazione degli oneri concessori ai sensi dell’art. 32 cit., inoltravano al Comune di (omissis) due nuove istanze di condono, sostitutive di quelle presentate in precedenza, corredate delle relative ricevute di pagamento.
In data 8\4\2005, l’amministrazione comunale con atto n. 37/2005 dichiarava “l’irricevibilità e l’improcedibilità ” delle istanze di condono edilizio presentate in data 2\9\2004, e disponeva contestualmente con i provvedimenti n. 3787 e n. 3791 la demolizione delle relative opere.
Anche detti provvedimenti venivano impugnati dinanzi al Tar (r.g. nn. 4817/05 e 3456/05); all’esito del relativo giudizio, con sentenza n. 3592/2015 il Tar rigettava il ricorso nella parte concernente i dinieghi mentre lo accoglieva nella parte del provvedimento relativa alla demolizione. In particolare, a quest’ultimo proposito il Giudice di prime cure precisava che “assume invece rilievo la circostanza che, in data 10/12/2004, sono state protocollate altre due istanze di condono sulle quali il Comune non si è pronunciato. In tal caso deve farsi applicazione del costante indirizzo giurisprudenziale con cui è stato ritenuto che la presentazione di un’istanza di condono edilizio comporta la “la paralisi del potere repressivo complessivamente inteso”. Di conseguenza, così concludeva il Tar: “Pertanto, alla stregua delle osservazioni che precedono, va parzialmente accolto il ricorso R.G. 4817/2005 e, conseguentemente, l’impugnato provvedimento n. 37 dell’8 aprile 2005 va annullato per la parte relativa alla demolizione ingiunta”.
Peraltro, con ordinanza 5664 del 27\3\2015 l’amministrazione dichiarava l’acquisizione al patrimonio del Parco Nazionale (omissis) dei due capannoni in questione e dell’intera superficie delle particelle interessate” per inottemperanza all’ordine di demolizione 37/2005.
Tale provvedimento veniva parimenti impugnato dinanzi al Tar; all’esito del relativo giudizio veniva pubblicata la sentenza oggetto del presente appello, con cui il Giudice di prime cure annullava il provvedimento di acquisizione predetto, sulla scorta delle motivazioni già riassunte nella narrativa in fatto.
2. Passando all’analisi dei vizi dedotti avverso la sentenza predetta, alla luce della ricostruita narrativa della controversia, l’appello è destituito di fondamento.
2.1 In relazione al primo ordine di motivi, concernenti la presunta natura dell’atto impugnato, il provvedimento nel caso in esame, oltre a risultare lesivo, in quanto autonomo sia soggettivamente che oggettivamente, è del tutto privo del necessario presupposto, cioè dell’inottemperanza ad un efficace provvedimento sanzionatorio.
In linea generale va ricordato che il provvedimento di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e quello successivo d’acquisizione gratuita delle opere abusive e dell’area di sedime si giustappongono nel procedimento sanzionatorio in rapporto di consequenzialità all’ingiunzione di demolizione: essendo soggetti a caducazione automatica in caso di annullamento del provvedimento presupposto, non necessitano d’autonoma impugnazione se non per vizi propri (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 10/9/2018, n. 5308).
Nel caso di specie, a fronte del venir meno del presupposto ordine di demolizione, appare corretta sia l’impugnativa del conseguente provvedimento, in quanto appunto privo del necessario supporto sanzionatorio pregresso, sia l’esito statuito dal Tar, a fronte della accertata necessità della previa definizione delle domande di condono pendenti.
In particolare, la demolizione invocata dall’amministrazione era stata dichiarata inefficace all’esito del relativo giudizio, in quanto destinata ad essere privata di effetti ovvero sostituita, in caso di rigetto della domanda di condono, con un nuovo provvedimento che tenga conto della ritenuta insanabilità dell’opera.
In materia va altresì ricordato il principio di cui all’art. 38 l. 28 febbraio 1985 n. 47 secondo cui che la presentazione della domanda di condono sospende il procedimento per l’applicazione di sanzioni amministrative. Ne consegue che, nella pendenza della definizione di tali domande, non può essere, tra l’altro, adottato alcun provvedimento di demolizione. Tale disposizione si applica anche ai condoni presentati ai sensi dell’art. 32 d.l. 269\203 cit. (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 29/11/2016, n. 5028).
2.2 Parimenti infondato è il secondo ordine di rilievi, relativo al carattere vincolato delle aree interessate.
In linea generale, in quanto i principi predetti trovano applicazione anche in merito ai beni situati in area soggette a vincolo (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 2/11/2018, n. 6222).
In particolare, nel caso di specie, a fronte delle statuizioni contenute nelle sentenze, sopra richiamate, esecutive e fonte di doverosa attuazione da parte delle amministrazioni interessate.
2.3 Infine, irrilevante nel caso di specie è l’invocazione delle norme e dei principi sui limiti del giudicato e sull’invocata sospensione: sia a fronte degli evidenziati effetti delle sentenze richiamate, in quanto decisioni giurisdizionali pienamente esecutive; sia in quanto avverso le medesime pronunce (in specie 3295 e 3592\2015) non risulta proposto alcun appello, con il conseguente passaggio in giudicato.
3. Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere, Estensore

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *