Divisione ereditaria i frutti naturali della cosa comune già separati al momento della divisione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|6 marzo 2024| n. 5978.

Divisione ereditaria i frutti naturali della cosa comune già separati al momento della divisione

In tema di divisione ereditaria i frutti naturali della cosa comune già separati al momento della divisione sono di proprietà di tutti i partecipanti, in conformità del disposto degli artt. 820, 821 c.c. e non possono quindi, salva diversa volontà delle parti, diventare di proprietà esclusiva del condividente cui sia stato assegnato il bene che li ha prodotti. Invece, nell’ipotesi in cui i frutti stessi non siano stati ancora separati al momento della divisione, è operante l’efficacia retroattiva dall’art. 757 c.c., con la conseguenza che il condividente assegnatario ha il diritto di percepire per l’intero i frutti stessi anche se riferibili al periodo in cui il bene che li ha prodotti era comune.

 

Ordinanza|6 marzo 2024| n. 5978. Divisione ereditaria i frutti naturali della cosa comune già separati al momento della divisione

Data udienza 27 febbraio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Successione – Legittimario pretermesso – Azioni di riduzione e di divisione – Cumulo nello stesso processo – Azione di divisione in subordine all’accoglimento della riduzione – Azione di riduzione – Individuazione della quota di legittima spettante all’attore legittimario da parte del giudice – Riunione fittizia dei beni e determinare l’asse ereditario – Valutazione al momento dell’apertura della successione – Qualità dei dei beni fruttiferi o non fruttiferi – Rilevanza – Diritto del legittimario alla quota in natura – Eccezionale la quota in denaro – Credito del legittimario in valore – Scioglimento della comunione – Ex art. 560 comma 2 – Deroga a quelli dell’art. 720 cc – Inefficacia della donazione lesiva per accoglimento dell’azione di riduzione – Subentro del legittimario nella comunione dei singoli beni oggetto della donazione – Reintegra in natura – Cass. n. 39368/2021

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARRATO Aldo – Presidente
Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere-Rel.

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28674/2018 R.G. proposto da:

Pe.Ro., domiciliato ex lege presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato PA.CI. (Omissis) per procura in calce al ricorso, con indicazione dell’indirizzo pec: …@pec.giuffre.it;

– ricorrente –

Contro

Sa.Ro., Sa.Lu., Po.An. e Po.Do., quali eredi di Pe.Ma., domiciliati ex lege presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione, rappresentanti e difesi dall’avvocato AL.ME. (Omissis), per procure in calce al controricorso, con indicazione dell’indirizzo pec: …@cert.ordineavvocatipotenza.it;

– controricorrenti –

nonché contro

Pe.Ma. e Pe.Ro. quali eredi di Pe.Do., Ca.Ad. in Pe. e Pe.An. quali eredi di Pe.Do.;

– intimati –

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di POTENZA n. 113/2018, depositata il 2.3.2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27.2.2024 dal Consigliere VINCENZO PICARO.

Divisione ereditaria i frutti naturali della cosa comune già separati al momento della divisione

FATTI DI CAUSA

1) Con atto di citazione notificato il 17.5.1983 Pe.Ma. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Potenza, i fratelli Pe.Ro., Pe.Do. e Pe.Do., esponendo che il padre, Pe.An., deceduto a T il (Omissis), aveva disposto in vita per donazione di tutti i suoi beni, in tal modo ledendo la quota di legittima a lei riservata, esercitando, quindi, azione di riduzione delle donazioni paterne per lesione di legittima, con la richiesta di accertare, con riferimento al valore dei beni donati ai fratelli all’apertura della successione, in assenza di altri beni relitti, il valore della quota a lei riservata e della disponibile, ed una volta verificata la lesione della quota a lei spettante, di procedere alla riduzione secondo legge delle donazioni paterne a favore dei fratelli ai fini della reintegrazione della sua quota, facendo salve le quote di legittima dei fratelli, provvedendo, quindi, previa redazione di progetto globale di riparto ed attribuzione, allo scioglimento della comunione che sarebbe risultata dall’accoglimento della sua azione di riduzione.

Si costituiva nel giudizio di primo grado Pe.Ro., che non si opponeva all’espletamento di una CTU per la determinazione del valore dei beni donati dal de cuius ai figli all’apertura della successione, con determinazione della quota di legittima della sorella e della disponibile, e chiedeva di procedersi alla reintegrazione nel rispetto delle disposizioni degli articoli da 553 a 564 cod. civ.; in seguito si costituiva anche Pe.Do., aderendo alle conclusioni del fratello, mentre Pe.Do. restava contumace.

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Espletata CTU per la determinazione del valore dei beni donati costituenti l’asse ereditario all’apertura della successione e quindi della quota riservata a Pe.Ma. e a seguito dell’esito negativo di ripetuti tentativi di conciliazione tra i coeredi, Pe.Ro. chiedeva la riconvocazione del CTU per la predisposizione di un piano di riparto che prevedesse la reintegrazione della quota di legittima lesa mediante attribuzione alla sorella dei terreni agricoli donati, che risultavano agevolmente divisibili, mentre Pe.Ma. all’udienza del 18.11.2008 dichiarava la propria disponibilità ad accettare, ai fini della reintegrazione della legittima, un conguaglio in denaro.

2) Proseguito il giudizio nonostante il decesso in data 16.7.2009 di Pe.Do., risultante dal certificato di morte inserito nel fascicolo d’ufficio dal legale con procura di una delle sue eredi, Ca.Ad. in Pe., non costituitasi, ma non dichiarato dal procuratore costituito per il defunto, il Tribunale di Potenza, con la sentenza n. 514/2015 del 20.4/14.5.2015, accoglieva l’azione di riduzione di Pe.Ma., individuando nell’ultima donazione compiuta dal de cuius, quella effettuata a favore del figlio Pe.Ro. il 9.5.1980 per atto del notaio Alifano, l’atto lesivo della quota riservata a Pe.Ma., dichiarandolo inefficace nei confronti di quest’ultima ex art. 559 cod. civ. nei limiti in cui ledeva la quota riservatale; ai fini della reintegrazione, condannava Pe.Ro. al pagamento della somma di Euro 7.742,72 (pari al valore della quota di riserva) con interessi e rivalutazione, ritenendo che Pe.Ma. avesse rinunciato alla reintegrazione della sua quota in natura chiedendo di essere soddisfatta con una somma di denaro; compensava le spese processuali e delle CTU espletate.

3) Tale sentenza veniva appellata da Pe.Ro. nei confronti degli eredi di Pe.Ma. (Sa.Ro., Sa.Lu., Po.An. e Po.Do.), degli eredi di Pe.Do. (Pe.Ma. e Pe.Ro.), e degli eredi di Pe.Do. (Ca.Ad. in Pe. e Pe.An.), deducendo, oltre alla mancata interruzione ed estinzione del giudizio di primo grado per morte in corso di causa di Pe.Do., l’erroneità dell’interpretazione della volontà asseritamente espressa da Pe.Ma. nel verbale di udienza del 18.11.2008, ma in realtà manifestata dal legale di un’altra parte processuale, di una semplice disponibilità ad ottenere un conguaglio in denaro come rinuncia alla reintegrazione in natura della quota legittima a lei spettante, da sostituire con una somma in denaro.

Denunciava, perciò, l’illegittimità dell’applicazione d’ufficio dell’art. 728 cod. civ. che prevedeva il conguaglio in denaro per l’ipotesi di ineguaglianza delle porzioni in natura attribuite ai coeredi, l’erronea sua condanna al pagamento in favore di Pe.Ma. della somma di Euro 7.742,72 oltre rivalutazione monetaria ed interessi in luogo dell’attribuzione alla stessa di beni in natura ricompresi tra quelli donati dal de cuius il 9.5.1980 per atto del notaio Alifano, da individuarsi nei terreni agricoli comodamente divisibili, con eventuale conguaglio in denaro, e l’erronea mancata riconvocazione del CTU per la predisposizione di un piano di riparto, che prevedesse la reintegrazione della quota legittima di Pe.Ma. innanzitutto con l’attribuzione di beni in natura ex art. 718 cod. civ.

Si costituivano in secondo grado gli eredi di Pe.Ma., che, per quanto ancora rileva, contestavano l’avversa richiesta di accertamento dell’intervenuta interruzione ed estinzione del giudizio di primo grado per morte di Pe.Do. e chiedevano il rigetto dell’appello, dichiarando di voler confermare la loro volontà di ottenere la reintegrazione della quota legittima di Pe.Ma. in denaro e non in natura, mentre restavano contumaci gli eredi di Pe.Do. e di Pe.Do.

4) La Corte d’Appello di Potenza, con la sentenza n. 113/2018 del 13.2/2.3.2018, riteneva che correttamente non fosse stata dichiarata l’interruzione del giudizio in primo grado a seguito della morte di Pe.Do., in quanto al momento del decesso, lo stesso era già costituito in giudizio con un procuratore, che non aveva dichiarato, né notificato, la morte del suo cliente alle altre parti del giudizio.

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Nel merito l’impugnata sentenza rigettava l’appello e condannava Pe.Ro. al pagamento delle spese processuali di secondo grado a favore degli eredi di Pe.Ma., ritenendo:

a) che ove il legittimario non potesse ottenere la reintegrazione della quota riservatagli in natura, fosse necessario liquidare in suo favore una somma di denaro sostitutiva del valore del bene non assegnato, da determinare non all’apertura della successione, ma alla data della pronuncia giudiziale, senza che a tal fine occorresse una specifica domanda del legittimario, discendendo tale tipo di liquidazione direttamente dal disposto dell’art. 560 cod. civ.;

b) Che, anche se di regola, la reintegrazione della quota riservata al legittimario si attuava in natura, cioè mediante assegnazione di un bene ricompreso tra quelli oggetto della donazione lesiva, nulla escludeva che il legittimario potesse optare ai fini della reintegra, anziché per l’assegnazione di un bene in natura, per una somma di denaro equivalente al valore della quota riservatagli, senza che occorresse in tal senso una vera e propria domanda, essendo sufficiente che dalle difese del legittimario emergesse la sua disponibilità a vedere soddisfatto il proprio diritto mediante un conguaglio in denaro, come avvenuto nella specie da parte di Pe.Ma. nel verbale di udienza del 18.11.2008 (circostanza asseritamente ammessa nell’atto di appello di Pe.Ro.), e confermato dalla comparsa di costituzione degli eredi di Pe.Ma. in secondo grado, nella quale era stata ribadita la rinuncia alla reintegrazione della quota riservata in natura;

c) che trattandosi di azione di riduzione per lesione di legittima e non di divisione ereditaria, aventi petitum e causa petendi diversi, per reintegrare la quota di riserva doveva essere applicato l’art. 560, comma 2°, cod. civ., secondo il quale, se il donatario aveva nell’immobile un’eccedenza maggiore del quarto della porzione disponibile, l’immobile si doveva lasciare per intero nell’eredità, salvo il diritto di conseguire il valore della porzione disponibile, e se l’eccedenza non superava il quarto della porzione disponibile, il donatario poteva ritenere tutto l’immobile, compensando in denaro i legittimari, per cui non poteva assegnarsi spazio operativo agli articoli 720 e 728 cod. civ., che invece nella divisione delle comunioni ereditarie consentivano il conguaglio in denaro in luogo dell’assegnazione di porzioni dei beni in natura a tutti i coeredi rispettivamente nel caso di immobili non divisibili, o di quote diseguali dei coeredi;

d) che neppure vi era necessità di predisporre un piano di riparto quale quello previsto dagli articoli 726 e 727 cod. civ. per lo scioglimento della comunione ereditaria.

5) Avverso la citata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione – notificato agli eredi di Pe.Ma., Sa.Ro., Sa.Lu., Po.An. e Po.Do., agli eredi di Pe.Do., Pe.Ma. e Pe.Ro. ex art. 14 del regolamento CEE n. 1393/2007, agli eredi di Pe.Do., Ca.Ad. in Pe. e Pe.An. – Pe.Ro., affidandosi a sette motivi.

Hanno resistito con controricorso, notificato il 2.11.2018, gli indicati eredi di Pe.Ma., mentre sono rimasti intimati gli eredi di Pe.Do. e di Pe.Do.

Hanno depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. Ma.Te., Pe.An., Pe.Ro. e Pe.Vi., quali eredi del defunto Pe.Ro., deceduto nelle more del giudizio di legittimità sulla base di procura autenticata dal legale, avv. Pa.Ci..

La causa é stata trattenuta in decisione nell’adunanza camerale del 27.2.2024.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Preliminarmente occorre dare atto che non è valida la procura autenticata dall’avv. Pasquale Ciola allegata alla memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., conferita da Ma.Te., Pe.An., Pe.Ro. e Pe.Vi. quali eredi del defunto Pe.Ro., in quanto sarebbe stato necessario il conferimento della procura speciale per atto pubblico, o per scrittura autenticata da notaio, trattandosi di giudizio introdotto in primo grado in data anteriore al 4.7.2009, al quale non si applica la normativa che ha introdotto la possibilità di depositare memoria di nomina di nuovo difensore tra gli atti in calce o a margine dei quali la procura può essere autenticata dallo stesso difensore (vedi l’art. 83 comma 3°

c.p.c. come modificato dall’art. 45, comma 9, lettera a), della L.

18.6.2009 n. 69 e la disposizione transitoria inserita nell’art. 58 comma 1 della stessa legge). Poiché dal momento che la morte della parte nel giudizio di legittimità non determina l’interruzione del giudizio e che gli eredi di Pe.Ro. sono certamente venuti a conoscenza del di lui decesso, non occorre la concessione di un termine a difesa agli eredi di Pe.Ro. e va ancora riportato nell’intestazione della sentenza Pe.Ro., difeso dall’avv. Pasquale Ciola per procura in calce all’originario ricorso.

2) Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 300, 303 e 305 c.p.c. sull’interruzione del processo, la mancata riassunzione nei termini con conseguente estinzione e la nullità della sentenza impugnata, nonché la violazione per omessa applicazione dell’art. 451 cod. civ., che stabilisce che gli atti dello stato civile (tra i quali rientra il certificato di morte) fanno prova fino a querela di falso di quanto attestato dal pubblico ufficiale.

Deduce il ricorrente che, benché fosse stato prodotto nel fascicolo processuale del giudizio di primo grado il certificato di morte del costituito Pe.Do. dal legale con procura di Ca.Ad. in Pe., una delle eredi di Pe.Do. non costituitasi, la causa non é stata interrotta, come sarebbe dovuto avvenire, e non é stata riassunta nel termine, con conseguente estinzione e nullità della sentenza.

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La sentenza impugnata ha escluso che la produzione del certificato di morte di Pe.Do. nel giudizio di primo grado, non accompagnata dalla dichiarazione o notificazione alle altre parti dell’evento ad opera del procuratore costituito in primo grado per Pe.Do., in base alla previsione dei primi due commi dell’art. 300 c.p.c., possa avere determinato il verificarsi dell’interruzione, applicando il principio di ultrattività del mandato, in virtù del quale in assenza di una condotta del suddetto procuratore volta a fare constare l’evento nei modi previsti dalle citate disposizioni, il predetto ha continuato a rappresentare in giudizio il defunto Pe.Do., anche ai fini dell’impugnazione e della ricezione dell’eventuale impugnazione delle altre parti processuali.

Contro tale interpretazione il ricorrente invoca l’art. 1722 cod. civ., il quale stabilisce che il mandato si estingue per morte del mandante, nonché l’art. 1729 cod. civ., che fa salvi in via derogatoria gli atti compiuti dal mandatario dal momento della morte del mandante, fatto estintivo del mandato, fino all’effettiva evidentemente sussistente nel caso di produzione da parte del legale delegato da uno degli eredi del defunto (l’avv. Pa.Pe. con nota depositata il 17.6.2010 per Ca.Ad. in Pe.) del certificato di morte, che avrebbe imposto al giudice, acquisita la conoscenza della morte di Pe.Do., di dichiarare l’interruzione del giudizio di primo grado, l’art. 300, comma 4°, c.p.c., che prevede l’interruzione del giudizio nel caso in cui l’evento morte si riferisca alla parte contumace e la documentazione del fatto interruttivo sia prodotta da un’altra parte processuale, e l’art. 451 cod. civ., il quale stabilisce che gli atti di stato civile (tra i quali il certificato di morte) hanno efficacia di prova legale dell’evento attestato fino a querela di falso.

Il primo motivo di ricorso è inammissibile ex art. 360-bis n. 1) c.p.c., in quanto l’impugnata sentenza sulla questione della mancata interruzione del giudizio di primo grado per morte di Pe.Do., nonostante la produzione da parte del legale di una delle eredi dello stesso (peraltro neppure costituitasi) del relativo certificato, si è conformata alla giurisprudenza consolidata di questa Corte e non offre argomenti che siano in grado di ribaltare tale consolidato orientamento.

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Secondo la sentenza delle Sezioni unite n. 7443 del 20.3.2008, confermata poi da numerose pronunce successive (vedi, ex multis, Cass. 26.4.2023 n. 10970; Cass. 5.12.2022 n.35708; Cass. sez. un. 4.7.2014 n. 15295), “nell’ipotesi di eventi interruttivi che colpiscano la parte costituita in giudizio mediante procuratore che subordinava, e continua a subordinare, l’effetto interruttivo alla coesistenza di due elementi essenziali, costituiti dal verificarsi dell’evento previsto come causa di interruzione del processo e dalla relativa dichiarazione formale in giudizio o dalla sua notificazione ad opera del procuratore della parte colpita da detto evento, mancando la quale l’evento interruttivo non produce alcun effetto processuale e il processo continua sino all’esaurimento del grado di giudizio in cui esso si è verificato giacché la morte o la perdita della capacità della parte costituita non estinguono il mandato conferito al difensore in quanto, per effetto dell’eccezionale previsione dell’art. 300 cod. proc. civ., è stato sancito il principio dell’ultrattività della rappresentanza processuale, fondato sul rilievo che l’obbligo del mandatario di eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia gli impone di portare a conoscenza del mandante (e dei suoi eredi che succedono nel processo ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ.) le circostanze sopravvenute che possano comportare la revoca o la modifica del mandato, sicché il procuratore costituito non provocherà l’interruzione del processo prima di averla concordata con i successori e di averla ritenuta utile per la migliore tutela dei loro interessi”.

Il richiamo del ricorrente agli articoli 1722 e 1729 cod. civ., sopra menzionati, è ininfluente, in quanto i primi due commi dell’art. 300 c.p.c. per le parti costituite, come lo era Pe.Do. nel giudizio di primo grado, introducono una deroga all’applicazione della disciplina generale del mandato, che non ricollega più l’effetto estintivo alla morte del mandante, occorrendo che oltre alla stessa la fattispecie si completi con la dichiarazione, o notificazione alle altre parti processuali, da parte del procuratore costituito del defunto, dell’evento morte del mandante e facendo salvi gli effetti degli atti compiuti dal procuratore costituito per il mandante fino al compimento di quegli atti, anziché fino al momento della conoscenza da parte del procuratore della morte del cliente.

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L’art. 300, comma 4°, c.p.c. prevede – nei casi in cui l’evento morte riguardi la parte contumace, e quindi priva di un procuratore che possa rappresentarla in giudizio anche dopo la morte in virtù dell’ultrattività del mandato, diversamente da quanto stabilito per il caso di morte della parte costituita dai primi due commi dello stesso articolo a garanzia della tendenziale continuità dei processi e della loro ragionevole durata – che l’interruzione possa derivare anche dalla documentazione ad opera delle altre parti dell’evento interruttivo, ma è evidente che la relativa disciplina non può essere applicata al diverso caso della morte in corso di giudizio della parte regolarmente costituita, come nella specie Pe.Do. nel giudizio di primo grado, il cui procuratore non ha mai inteso determinare l’effetto interruttivo rimesso alla sua valutazione discrezionale attraverso la dichiarazione negoziale della morte del cliente, o attraverso la notificazione dell’evento alle altre parti processuali (vedi sul fatto che la dichiarazione dell’evento interruttivo non sia un atto dovuto, ma negoziale e discrezionale, Cass. sez. un. 4.7.2014 n. 15295), i quali solo avrebbero potuto determinare l’effetto interruttivo (rimanendo irrilevante la eventuale conoscenza aliunde del fatto idoneo a generare l’evento interruttivo del giudizio).

Quanto all’asserita violazione dell’art. 451 cod. civ., il quale stabilisce che gli atti di stato civile (tra i quali il certificato di morte) hanno efficacia di prova legale dell’evento attestato fino a querela di falso, l’impugnata sentenza non ha affatto negato l’efficacia di prova legale del certificato di morte di Pe.Do. che è stato prodotto nel corso del giudizio di primo grado, ma ha preso atto che processualmente nel giudizio di primo grado Pe.Do., in virtù della previsione dei primi due commi dell’art. 300 c.p.c., doveva considerarsi ancora in vita ed utilmente rappresentato dal procuratore col quale si era costituito in virtù del principio di ultrattività del mandato, posto che – come già evidenziato – quel procuratore, in base alla valutazione discrezionale che gli competeva, non aveva ritenuto di rendere la dichiarazione, o effettuare la notificazione alle altre parti processuali dell’evento morte del suo cliente, le quali sole avrebbero determinato in via automatica e senza bisogno di un accertamento da parte del giudice, l’effetto interruttivo.

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3) Col secondo articolato motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 560 e 720 cod. civ., che limitano la liquidazione in denaro anziché in natura della quota alle ipotesi di beni non comodamente divisibili, non ravvisabile nella specie quanto ai beni donati al ricorrente con l’atto del notaio Al. del 9.5.1980 (comprendente la nuda proprietà di quattro distinti terreni e di un fabbricato in Tolve, vico III Vignali delle Corti), nonché la violazione e falsa applicazione degli articoli 820 e 821 cod. civ., che regolano la sorte dei frutti naturali dei beni assegnati per reintegrare la quota riservata al legittimario a seguito dell’accoglimento dell’azione di riduzione, non sostituibile dall’attribuzione d’ufficio dei frutti civili della somma di denaro equivalente al valore della quota riservata rivalutata dalla data dell’apertura della successione fino alla conclusione delle operazioni divisionali, e nel contempo la nullità della sentenza per motivazione apparente.

Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello di Potenza abbia apoditticamente affermato che “nulla esclude che il legittimario possa optare, in luogo del bene, a favore di una somma in danaro equivalente al valore della quota medesima” senza spiegare realmente la fonte di tale suo convincimento attraverso il richiamo all’art. 560 cod. civ.

Deduce, infatti, il ricorrente, che l’impugnata sentenza abbia affermato che il legittimario possa optare liberamente per la reintegrazione della quota a lui riservata tramite una somma di denaro equivalente al valore della quota medesima, anziché in natura con l’assegnazione di uno o più beni oggetto della donazione inefficace nei confronti del legittimario per lesione della quota a lui riservata, richiamando la normativa dell’art. 560 cod. civ., che in realtà per la riduzione delle donazioni lesive della quota di legittima prevede tutt’altro, e stabilisce che il legittimario debba essere soddisfatto in natura con la separazione di una parte dell’immobile donato che sia comodamente divisibile e che, solo in caso di immobile non comodamente divisibile, distingue circa la sorte dell’immobile donato, a seconda che il donatario abbia nell’immobile un’eccedenza maggiore del quarto della porzione disponibile, o inferiore, poiché nel primo caso l’immobile si deve lasciare per intero nell’eredità (ossia assegnare per intero al legittimario pretermesso) salvo il diritto del donatario di conseguire il valore della porzione disponibile, mentre nel secondo caso il donatario può trattenere per intero l’immobile compensando in denaro il legittimario che abbia subito la lesione della quota riservatagli.

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Prospetta ulteriormente il ricorrente che l’impugnata sentenza abbia erroneamente attribuito al legittimario il potere di stabilire, a sua scelta, le modalità di reintegrazione della quota riservatagli dalla legge, che invece non gli spetta essendo regolata dagli artt. 559 cod. civ. (per mero errore indicato come art. 599 cod. civ.) e seguenti (in tal senso Cass. n. 4024/1981), sostituendo, peraltro di propria iniziativa, l’attribuzione della rivalutazione monetaria del valore pecuniario della quota riservata stabilito al momento dell’apertura della successione fino alla conclusione delle operazioni divisionali, e dei frutti civili maturati sotto forma di interessi sulla somma rivalutata, al valore dei beni in natura calcolato al momento della divisione ed ai frutti naturali dei beni donati ed attribuiti al legittimario a seguito dell’accoglimento dell’azione di riduzione, regolati dagli articoli 820 e 821 cod. civ.

Il secondo motivo è fondato e merita accoglimento.

Anzitutto va evidenziato che l’impugnata sentenza ha affermato il principio che il legittimario vittorioso ai fini della reintegrazione della quota riservatagli dalla legge possa optare – in luogo dell’assegnazione del bene, o dei beni in natura, che sono stati oggetto della donazione lesiva della legittima inefficace nei suoi confronti a seguito dell’accoglimento dell’azione di riduzione – per la corresponsione di una somma in danaro equivalente al valore della quota medesima, richiamando a giustificazione del principio l’art. 560 cod. civ. con una motivazione meramente apparente, inidonea a spiegare le ragioni effettive del principio.

Tale norma, infatti, intitolata “Riduzione del legato o della donazione d’immobili”, al primo comma prevede all’opposto, per l’ipotesi in cui oggetto della donazione da ridurre sia un immobile comodamente divisibile, che la riduzione avvenga mediante la separazione in natura e la conseguente assegnazione al legittimario nella misura occorrente alla reintegrazione della quota legittima, separazione a maggior ragione attuabile sempre in natura quando, come nella specie, oggetto della donazione da ridurre erano più beni immobili distinti (nel caso in esame quattro distinti terreni ed un fabbricato in Tolve vico III Vignali delle Corti), che almeno in parte avrebbero potuto essere trasferiti in proprietà al legittimario pretermesso, allo scopo di reintegrare la quota di legittima lesa, mentre al secondo comma si riferisce all’ipotesi, non verificatasi, in cui l’immobile oggetto di donazione da ridurre non sia comodamente divisibile, ed al terzo comma attribuisce al donatario, e non certo al legittimario pretermesso, la facoltà di ritenere l’immobile oggetto della donazione da ridurre compensando in denaro quest’ultimo, sempre che il valore dell’immobile donatogli non superi l’importo della porzione disponibile e della quota che gli spetta come legittimario. Neppure può ritenersi idonea a giustificare il riportato principio la sottolineatura fatta dall’impugnata sentenza in ordine alle indiscusse diversità di petitum e di causa petendi dell’azione di riduzione per lesione di legittima e per l’azione di divisione, che non possono fare trascurare però che in caso di accoglimento dell’azione di riduzione per lesione di legittima delle donazioni compiute dal defunto, che non abbia lasciato beni alla sua morte a favore del legittimario pretermesso, si determina solo tra quest’ultimo ed il donatario una comunione relativamente ai beni oggetto della donazione da ridurre, che – ove richiesto (come nel caso di specie) – può essere anche oggetto di divisione nell’ambito dello stesso giudizio e che deve essere sciolta nel rispetto dei criteri dettati dagli articoli 560 e 561 cod. civ.

Divisione ereditaria i frutti naturali della cosa comune già separati al momento della divisione

Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, infatti, in caso di legittimario pretermesso, le azioni di riduzione e di divisione possono essere proposte cumulativamente nello stesso processo, con la seconda avanzata in subordine all’accoglimento della prima, la quale ha carattere pregiudiziale (Cass. n. 2367/1970; Cass. n. 1077/1964; Cass. n. 1206/1962).

Il principio è stato ribadito anche di recente, essendosi confermato che l’azione di riduzione e quella di divisione, pur presentando una netta differenza sostanziale, possono essere fatte valere nel medesimo processo, in quanto – per evidenti ragioni di economia processuale – è consentito al legittimario di chiedere, anzitutto, la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che assume lesive della legittima e, successivamente, nell’eventualità che la domanda di riduzione sia accolta, l’azione di divisione, estesa anche a quei beni che, a seguito dell’accoglimento dell’azione di riduzione, rientrano a far parte del patrimonio ereditario divisibile (Cass. n. 31125/2023; Cass. n. 19284/2019).

Venendo all’esame delle lamentate violazioni di legge per error in iudicando, questa Corte già in passato ha affermato che (Cass.

n. 1079/1970) nel caso di azione tendente alla riduzione di disposizioni testamentarie (e lo stesso principio vale per le donazioni) che si assumano lesive della legittima, il giudice deve anzi tutto accertare quale sia la quota di legittima spettante all’attore legittimario (nel caso in esame in relazione al solo donatum in assenza di beni relitti dal de cuius), e deve, a tal fine, riunire fittiziamente i beni e determinare l’asse ereditario, procedendo poi alla sua valutazione secondo i valori del tempo dell’apertura della successione e tenendo conto anche della qualità dei beni, se fruttiferi o meno. Accertata così la quota di legittima, nel procedere alla sua liquidazione, deve tenersi presente che il legittimario ha diritto di conseguirla in natura e solo eccezionalmente in denaro, e che, in questo ultimo caso, il credito del legittimario non è di valuta, ma di valore, per cui, operando l’aestimatio rei, per il soddisfacimento del suo diritto, deve aversi riguardo alla quantità di denaro occorrente per attribuirgli il valore che aveva diritto a conseguire, di modo che detta aestimatio deve riferirsi alla data in cui l’integrazione e la liquidazione si determina, cioè al momento della pronuncia giudiziale che la effettua.

Più recentemente è stato sottolineato come (Cass. n. 39368/2021; Cass. n. 22097/2015) una delle differenze più significative tra la collazione e l’azione di riduzione consista proprio nel fatto che quest’ultima obbliga alla restituzione in natura dell’immobile donato, mentre l’altra ne consente l’imputazione di valore, sicché (vedi Cass. n. 28196/2020) se la collazione, nei rapporti indicati nell’art. 737 c.c., pone il bene donato, in proporzione della quota ereditaria di ciascuno, in comunione fra i coeredi che siano il coniuge o discendenti del de cuius, donatario compreso, senza alcun riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile, e può comportare di fatto l’eliminazione di eventuali lesioni di legittima, consentendo agli eredi legittimi di conseguire nella divisione porzioni uguali, ciò non esclude che il legittimario possa contestualmente esercitare l’azione di riduzione verso il coerede donatario, atteso che solo l’accoglimento di tale domanda assicura al legittimario leso la reintegrazione della sua quota di riserva con l’assegnazione di beni in natura, privando i coeredi della facoltà di optare per l’imputazione del relativo valore.

Trattasi di una conseguenza derivante dalla stessa natura della pronuncia che accolga l’azione di riduzione (vedi in tal senso Cass. n. 39368/2021, cit.), che determina l’inefficacia per il legittimario della disposizione lesiva e che comporta, ove la disposizione abbia ad oggetto determinati beni, l’instaurarsi di una comunione tra beneficiario della disposizione lesiva e legittimario, nella quale la quota di compartecipazione del secondo è determinata in misura corrispondente al valore proporzionale della lesione da recuperare sul bene in rapporto al valore del bene stesso.

Tale conclusione trova poi il conforto dell’art. 560 cod. civ., che regola proprio la disciplina della comunione così determinatasi, prevedendo che preferibilmente la quota di legittima debba essere reintegrata mediante la separazione della parte del bene necessaria per soddisfare il legittimario, aggiungendo però che, laddove la separazione in natura non sia possibile, ed il bene quindi sia non comodamente divisibile, lo scioglimento della comunione avverrà sulla base di criteri preferenziali specificamente individuati dal comma 2° ed in deroga a quelli di carattere generale posti dall’art. 720 cod. civ.

Divisione ereditaria i frutti naturali della cosa comune già separati al momento della divisione

E’ pur vero che la giurisprudenza si è occupata anche dell’ipotesi di reintegra della quota del legittimario in denaro, ritenendo che in tal caso l’obbligazione abbia natura di debito di valore, necessitante di adeguamento, mediante rivalutazione monetaria, al mutato valore dei beni in natura esistenti nell’asse, ma ciò presuppone che la reintegra in denaro o sia frutto di una concorde volontà delle parti, nella specie insussistente per la contraria volontà espressa da Pe.Ro., o che scaturisca dallo scioglimento della comunione secondo le modalità specificamente dettate dall’art. 560 cod. civ.

Ma ove non ricorrano tali condizioni, resta fermo che l’inefficacia della donazione lesiva, quale effetto dell’accoglimento dell’azione di riduzione, determina il subentro del legittimario nella comunione dei singoli beni oggetto della donazione, e quindi la reintegra in natura (vedi Cass. n. 39368/2021, cit.).

Ritiene il Collegio di dover quindi assicurare continuità a quanto di recente affermato con le pronunce di questa Corte n. 39368/2021 (cit.) e n. 16515/2020, le quali hanno ribadito che la reintegrazione, in linea di principio, va fatta in natura, mediante attribuzione, in tutto o in parte secondo che la riduzione sia pronunciata per intero o per una quota, dei beni oggetto delle disposizioni ridotte. E’ pur vero che tale affermazione viene di norma compiuta a tutela del diritto del legittimario, che non è in linea di principio suscettibile di essere convertito in un diritto di credito, ma ciò non toglie che l’osservanza della regola possa essere pretesa anche dal soggetto che subisce la riduzione, nella specie il donatario Pe.Ro., che non può essere costretto, contro la sua volontà, a liquidare in denaro la lesione che il legittimario ha diritto di recuperare in natura, e ciò soprattutto nel caso in cui, per effetto dell’andamento del mercato immobiliare e del lungo tempo trascorso tra l’apertura della successione e la conclusione delle operazioni divisionali, il mercato immobiliare abbia subito una fluttuazione in negativo, che renda quindi la reintegra in denaro svantaggiosa rispetto all’ipotesi in cui la reintegra sia realizzata in natura.

La Corte d’Appello di Potenza, che peraltro ha interpretato la disponibilità espressa da Pe.Ma. ad ottenere un conguaglio in denaro (non la compensazione in denaro della quale parla l’art. 560, comma 2°, ultima parte cod. civ.) come volontà di ottenere la reintegrazione della quota riservatale in denaro anziché in natura, traendone inammissibilmente conferma da quanto richiesto dagli eredi di Pe.Ma. solo nella comparsa di costituzione del giudizio di secondo grado, non si è attenuta a tali principi, in quanto, una volta determinata la misura della lesione, avrebbe dovuto verificare in via prioritaria se sussistevano le condizioni per la reintegrazione della legittima in natura, determinando la quantità di beni oggetto della donazione ridotta secondo il valore degli stessi alla conclusione delle operazioni divisionali occorrenti a questo fine (Cass. n. 2006/1967) e l’importo dell’eventuale conguaglio, non potendo procedere direttamente alla reintegra dell’intera quota riservata in denaro.

Il modo di procedere nella reintegrazione della quota riservata a Pe.Ma. seguito dalla sentenza impugnata, confermativa di quella di primo grado, ha avuto, inoltre, come effetto quello di attribuire agli eredi del legittimario pretermesso la rivalutazione monetaria sul valore della quota riservata dalla data dell’apertura della successione alla sentenza conclusiva delle operazioni divisionali ed i frutti civili sotto forma di interessi su di essa, anziché i frutti naturali dei beni assegnati per la reintegrazione della quota a partire dalla domanda giudiziale ex art. 561, ultimo comma, cod. civ., con applicazione degli articoli 820 e 821 cod. civ.

Dovrà farsi applicazione per i beni assegnati a seguito dell’accoglimento dell’azione di riduzione al legittimario pretermesso Pe.Ma., alla quale sono subentrati gli eredi Sa.Ro., Sa.Lu., Po.An. e Po.Do., del principio, di recente ribadito dalla sentenza n. 31125 dell’8.11.2023 di questa Corte, per cui in tema di divisione i frutti naturali della cosa comune già separati al momento della divisione sono di proprietà di tutti i partecipanti, in conformità del disposto degli articoli 820 e 821 cod. civ. e non possono quindi, salva diversa volontà delle parti, diventare di proprietà esclusiva del condividente cui sia stato assegnato il bene che li ha prodotti. Invece, nell’ipotesi in cui i frutti stessi non siano stati ancora separati al momento della divisione, è operante l’efficacia retroattiva prevista dall’art. 757 cod. civ., con la conseguenza che il condividente assegnatario ha il diritto di percepire per l’intero i frutti stessi anche se riferibili al periodo in cui il bene che li ha prodotti era comune (Cass. n. 2975 del 20/03/1991, richiamata in n. 25021/2019).

Divisione ereditaria i frutti naturali della cosa comune già separati al momento della divisione

4) Col terzo motivo il ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli articoli 12 (rectius 112), 113, 115 e 116 c.p.c.

Si duole il ricorrente che sia stata travisata la volontà manifestata da Pe.Ma. nel verbale di udienza del 18.11.2008, attribuendole la volontà di essere compensata in denaro ai fini della reintegrazione della quota riservatale, mentre un riferimento alla compensazione in denaro era stato fatto in quel verbale solo dall’avv. Venezia per un’altra parte processuale, e non dall’avv. Ma., procuratore costituito di Pe.Ma., che si era riportato alle conclusioni dell’atto di citazione, limitandosi a chiedere la riduzione delle donazioni compiute da Pe.An. a favore degli altri coeredi secondo legge con salvaguardia della quota legittima di ciascuno di essi, ed ove necessario, lo scioglimento della comunione ereditaria, e che sia stato quindi violato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato dell’art. 112 c.p.c.

Questo motivo deve ritenersi assorbito per effetto della già motivata fondatezza del secondo, il che consente di evitare l’attesa della pubblicazione della sentenza delle sezioni unite della Corte sui limiti e le forme di sindacabilità e contestazione del travisamento del fatto in rapporto all’avvenuta riforma dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. ed al giudizio di revocazione ex art. 395 n. 4) c.p.c.

5) Col quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma primo, n. 4), e degli articoli 113 e 115 c.p.c., in quanto l’impugnata sentenza ha tratto conferma dell’asserita volontà manifestata in primo grado da Pe.Ma. di vedere realizzata la reintegrazione della quota riservatale mediante compensazione in denaro, dalla rinuncia alla reintegrazione in natura espressa dai suoi eredi nella comparsa di costituzione del giudizio di appello, dimenticando che – in base agli articoli 112, 113, 115 e 116 c.p.c. – il giudice di secondo grado non può pronunciarsi se non su domande avanzate nel giudizio di primo grado e nei limiti di esse, e quindi non su domande nuove proposte per la prima volta in appello, né poteva ritenere giustificata la sua interpretazione delle domande di Pe.Ma. nel giudizio di primo grado sulla base dell’adesione ad essa in secondo grado degli eredi della predetta.

Anche questo motivo é assorbito dall’accoglimento del secondo motivo.

6) Col quinto motivo il ricorrente lamenta un ulteriore travisamento operato dalla Corte d’Appello di Potenza in violazione dell’art. 115 c.p.c., compiuto nella parte in cui ha attribuito a Pe.Ro. l’ammissione col suo atto di appello del fatto che Pe.Ma. nel giudizio di primo grado avrebbe chiesto la reintegrazione della quota riservatale mediante corresponsione in denaro, mentre in realtà il difensore di Pe.Ro. a pagina 4 dell’atto di appello aveva evidenziato che Pe.Ma. si era dichiarata disponibile solo ad accettare anche un conguaglio in denaro (evidentemente rispetto al valore dell’assegnazione di parte dei beni oggetto della donazione da ridurre), come peraltro consentitole dalla normativa vigente, ed a pagina 8 aveva invece riportato quanto ritenuto dalla sentenza di primo grado, ossia che Pe.Ma. avesse manifestato disinteresse ad ottenere la reintegrazione della quota di legittima in natura, chiedendo invece la corresponsione di una somma di denaro (testualmente “con eventuale compensazione in denaro”).

Divisione ereditaria i frutti naturali della cosa comune già separati al momento della divisione

Anche il quinto motivo deve ritenersi assorbito per l’accoglimento del secondo motivo, ed anche per esso va richiamato quanto esposto in ordine al terzo motivo sulla questione del travisamento del fatto.

7) Col sesto motivo il ricorrente lamenta che non sia stata disposta dalla Corte d’Appello di Potenza l’integrazione istruttoria che era stata richiesta da Pe.Ro. ai fini dell’individuazione dei beni immobili oggetto della donazione da ridurre, che dovevano essere assegnati a Pe.Ma., per la reintegrazione della sua quota legittima, della loro stima al momento della conclusione delle operazioni divisionali con determinazione dell’eventuale conguaglio in denaro e per i conteggi relativi ai frutti naturali degli immobili oggetto della donazione per la parte travolta dall’azione di riduzione.

Tale motivo deve considerarsi assorbito per effetto dell’accoglimento del secondo motivo, che imporrà alla Corte d’Appello di Potenza di rivalutare la richiesta istruttoria alla luce della corretta individuazione della normativa applicabile alla reintegrazione della quota legittima, ai frutti naturali degli immobili donati, ed al conseguente giudizio di divisione tra il legittimario vittorioso ed il beneficiario della donazione lesiva in ipotesi di beni donati comodamente divisibili.

8) Col settimo ed ultimo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 91, comma 1°, e dell’art. 92, comma 2°, c.p.c., dolendosi di essere stato condannato al pagamento delle spese processuali del giudizio di secondo grado, ancorché l’appello fosse stato reso necessario dal travisamento delle richieste di Pe.Ma. compiuto dal Tribunale di Potenza e dall’erronea individuazione da parte dello stesso della disciplina normativa applicabile, nonostante fosse stata respinta l’eccezione d’inammissibilità dell’appello sollevata dagli eredi di Pe.Ma., che avevano altresì avanzato un’inammissibile domanda nuova volta ad ottenere la reintegrazione della quota riservata a Pe.Ma. mediante compensazione in denaro, anziché in natura.

Anche l’ultimo motivo deve ritenersi assorbito per effetto dell’accoglimento del secondo motivo, in quanto il governo delle spese processuali, anche del giudizio di secondo grado, dovrà avvenire da parte della Corte d’Appello di Potenza in diversa composizione quale giudice di rinvio, che provvederà poi a liquidare anche le spese del giudizio di legittimità, sulla base dell’esito finale della lite.

Divisione ereditaria i frutti naturali della cosa comune già separati al momento della divisione

9) In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, previo rigetto del primo motivo, va accolto il secondo, con il conseguente assorbimento dei rimanenti. Da ciò deriva la cassazione dell’impugnata sentenza in relazione al motivo ritenuto fondato, con rinvio della causa alla Corte di appello lucana (in diversa composizione), la quale – oltre ad uniformarsi ai principi di diritto esposti con l’esame della seconda censura – provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respinge il primo e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Potenza, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte di cassazione, in data 27 febbraio 2024.

Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2024.

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