Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 7 novembre 2018, n. 50129

La massima estrapolata:

Nell’ambito delle speciali categorie di rifiuti (di cui agli artt. 227 e ss del n. 152/2006), l’art. 230 del dlgs n. 152 del 2006 disciplina quelli derivanti dalla manutenzione delle infrastrutture, non potendosi ritenere tali i rifiuti derivanti della svolgimento della ordinaria attività di manutenzione edilizia ma solo quelli derivante dalla manutenzione delle infrastrutture di rilevanza pubblica. Sicché, la disciplina applicabile ai rifiuti derivanti della svolgimento della normale attività di manutenzione edilizia è quella ordinaria, (contenuta al titolo I – del capo I – disposizioni generali, ad es. artt. 181, 183, 184, 184bis e del 256, comma 1, lettera a), del dlgs n. 152 del 2006), e non quella particolare contenuta negli articoli 227 e ss né quella di cui all’art. 266, comma 4, del medesimo decreto. Diversamente opinando, si giungerebbe all’inaccettabile conseguenza che il produttore di rifiuti potrebbe sia lasciarli sul luogo di produzione indefinitamente, in tal modo impedendo ai medesimi di acquisire la qualifica normativamente significativa di rifiuti, sia, addirittura, trasferirli, senza che gli stessi acquistino la qualifica di rifiuti, dal luogo di loro produzione verso un luogo diverso dalla sua sede o domicilio.

Sentenza 7 novembre 2018, n. 50129

Data udienza 28 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta – Presidente

Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e i ricorsi introduttivi;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. GAETA Pietro, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 11 gennaio 2018, ha dichiarato la penale responsabilita’ di (OMISSIS) e di (OMISSIS) in ordine, quanto al primo, al reato a lui ascritto sub A) della rubrica, riguardante la normativa in tema di gestione dei rifiuti e, quanto al secondo, al reato di cui al capo B) della rubrica, concernente la violazione delle norme in tema di abusivismo edilizio, dal quale era stato, invece, assolto il precedente imputato, per non aver commesso il fatto; il Tribunale li ha, pertanto, condannati il primo alla pena di Euro 10.000,00 di ammenda ed il secondo alla pena di Euro 5.000,00 di ammenda.
In particolare (OMISSIS) e’ stato ritenuto responsabile del reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 1, lettera a), per avere, in qualita’ di legale rappresentante della (OMISSIS) Srl, effettuato un’attivita’ di gestione di rifiuti non autorizzata, consistente nella messa in riserva di rifiuti speciali non pericolosi derivanti dalla attivita’ svolta dalla predetta societa’ di demolizione e simili; il secondo invece era stato ritenuto responsabile della violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera a), per avere realizzato delle opere edili, consistenti in una pesa elettronica con platea impermeabilizzata in cemento armato e relativa recinzione, in assenza di permesso a costruire ed in zona che, per trovarsi entro la fascia di rispetto di 60 m dalla autostrada (OMISSIS), non era suscettibile di essere edificata.
Hanno interposto ricorso per cassazione i due imputati con separati atti.
Il primo ricorrente ha sostenuto che la sentenza impugnata sia viziata in quanto il Tribunale non ha tenuto conto del fatto che in realta’ non si sarebbe trattato altro che di un’attivita’ di deposito, temporaneo penalmente irrilevante, dei residui delle opere di manutenzione eseguite dalla (OMISSIS).
Il secondo ricorrente ha, invece, dedotto che il manufatto realizzato, data la sua natura, non necessitava di permesso a costruire e non vi erano elementi per affermare che lo stesso fosse stato fatto nella zona di rispetto autostradale prevista dal Codice della strada.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I due ricorsi sono entrambi inammissibili.
Quanto al primo, cioe’ quello di (OMISSIS), si rileva che e’ destituita di fondamento la tesi difensiva sostenuta dal ricorrente, secondo la quale i materiali da lui depositati, nella spiegata qualita’ di legale rappresentante della (OMISSIS) Srl, non potevano essere qualificati, alla luce della normativa di’ settore, come rifiuti.
Osserva il Collegio la assoluta estraneita’ alla fattispecie ora in esame della normativa richiamata dal ricorrente, cioe’, rispettivamente, il Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 230, il quale disciplina, nell’ambito delle speciali categorie di rifiuti di cui al cit. D.Lgs., articolo 227 e ss., quelli derivanti dalla manutenzione delle infrastrutture, per tali non potendosi ritenere i rifiuti derivanti della svolgimento della ordinaria attivita’ di manutenzione edilizia svolta dalla (OMISSIS) Srl, ma solo quelli derivante dalla manutenzione delle infrastrutture di rilevanza pubblica (per le quali effettivamente vige un criterio derogatorio in ordine alla individuazione del sito di deposito dei rifiuti in tal modo prodotti laddove gli stessi possano essere destinati al riutilizzo senza la necessita’ di alcun tipo di trattamento: cfr. Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 9 maggio 2018, n. 20410), e il cit. Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 266, comma 4, il quale, secondo la esegesi che ne ha dato il ricorrente, prevederebbe che, in caso di produzione di rifiuti derivanti dallo svolgimento della attivita’ di manutenzione, anche edilizia, la qualifica di rifiuto ai materiali prodotti dalla attivita’ predetta sarebbe predicato di essi solo una volta che gli stessi siano materialmente trasferiti dal luogo di loro produzione alla sede ovvero al domicilio del soggetto che ha svolto l’attivita’ manutentiva; ove si desse credito a tale opzione ermeneutica si giungerebbe alla inaccettabile conseguenza che il produttore di rifiuti del genere in discorso potrebbe sia lasciarli sul luogo di produzione indefinitamente, in tal modo impedendo ai medesimi di acquisire la qualifica normativamente significativa di rifiuti, sia, addirittura, trasferirli, senza che gli stessi acquistino la qualifica di rifiuti, dal luogo di loro produzione verso un luogo diverso dalla sua sede o domicilio.
Ne’ puo’ aderirsi alla tesi che nel caso di specie ci si trovi di fronte, come ipotizzato dal ricorrente, ad un semplice deposito temporaneo.
Al riguardo va rilevato immediatamente come sia circostanza del tutto ininfluente il fatto, enfatizzato, invece da parte del ricorrente, che uno dei testi sentito in dibattimento – ancorche’ si sia trattato di un teste qualificato essendo uno degli agenti che hanno eseguito il sopralluogo da cui e’ scaturita la notizia di reato – abbia qualificato come deposito temporaneo l’accumulo di rifiuti contestato al (OMISSIS); invero, la natura schiettamente normativa e non naturalistica della qualificazione in questione rende la stessa esclusivo monopolio dell’Autorita’ giudiziaria, sicche’ in relazione ad essa i testi non sono abilitati ad esercitare alcun potere definitorio.
Tanto rilevato va considerato che, siffatta figura ricorre, secondo la puntuale definizione che di essa e’ offerta dal dettato del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 183, lettera bb), solo in quanto, si tratti del raggruppamento dei rifiuti e del loro deposito preliminare alla raccolta ai fini del trasporto dei medesimi in un impianto di trattamento, effettuati, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, purche’ ricorrano le condizioni minutamente elencate nella disposizione dianzi citata.
Cio’ posto, ribadito che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, per luogo di produzione del rifiuto va inteso non solo quello ove lo stesso e’ stato materialmente prodotto ma anche quello nella disponibilita’ del produttore che sia funzionalmente collegato al precedente (cfr. Corte di cassazione, Sezione 7 penale, 27 aprile 2016, n. 17333; idem Sezione 3 penale, 20 febbraio 2013, n. 8061), incombendo sulla parte privata l’onere di dimostrare l’esistenza di siffatto collegamento (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 26 agosto 2016, n. 35494), va ricordato che fra le condizioni necessarie per la individuazione del deposito temporaneo vi e’ il divieto incondizionato di permanenza dei rifiuti nel sito di deposito per un periodo superiore all’anno ovvero, nel caso in cui gli stessi superino il volume dei 30 mc, al trimestre.
Nel caso in esame, secondo quanto rilevato in sede di merito (e sostanzialmente confermato dal ricorrente) non solo i rifiuti erano stati trasferiti dai luoghi di loro produzione al terreno ove la loro presenza e’ stata riscontrata dagli agenti operanti, in assenza di qualsivoglia dichiarato vincolo funzionale fra il luogo di deposito e quello di produzione, ma i medesimi erano stati lasciati in situ ben oltre il termine legislativamente previsto affinche’ si possa parlare di solo deposito temporaneo; ne’, in questa sede, e’, infine, eccepibile, trattandosi di circostanza di mero fatto, esclusa peraltro dal Tribunale in assenza di prova in ordine ad una legittima movimentazione di essi, che nel corso dei due accessi nel terreno ove i rifiuti erano stati collocati, avvenuti a distanza di circa sei mesi l’uno dall’altro, i rifiuti rinvenuti non fossero gli stessi rimasti immobili per tutto l’arco di tempo in questione.
Il ricorso del (OMISSIS) e, pertanto, inammissibile.
Passando ora a scrutinare il ricorso di (OMISSIS), rileva la Corte come anche questo sia inammissibile stante la sua manifesta infondatezza.
Infatti la tesi difensiva del ricorrente trova come suo presupposto l’affermazione che la realizzazione della pesa elettronica di cui al capo di imputazione sia manufatto per la cui realizzazione non necessiti il permesso a costruire; tale tesi e’ stata argomentata dal ricorrente sulla base della tipologia del manufatto, definito “pavimentale”, e ritenuta, pertanto, non soggetta a licenza amministrativa.
Il predetto presupposto, tuttavia, e’ privo di fondamento; infatti, come questa Corte ha gia’ in passato rilevato integra gli estremi della nuova costruzione anche la opera di pavimentazione di una area esterna scoperta, rientrando nel novero degli interventi di urbanizzazione secondaria ovvero in quello degli interventi infrastrutturali (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 18 novembri 2008, n. 42896).
Cio’ posto, correttamente il Tribunale ha rilevato la abusivita’ del manufatto in questione posto che lo stesso, oltre ad essere stato edificato sebbene privo del permesso a costruire, era stato realizzato, come in sostanza riconosciuto dalla stesso ricorrente, in violazione delle distanze minime previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, articolo 26, comma 2, recante il regolamento di esecuzione ed attuazione del nuovo codice della strada, per la edificazione dei manufatti latistanti i tratti stradali qualificabili come “Autostrade” ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 285 del 1992, articolo 2, comma 2, lettera A), (Codice della strada).
Anche il ricorso di (OMISSIS), pertanto, va dichiarato inammissibile.
Sulla base dei rilievi che precedono, i ricorsi devono, in definitiva, essere dichiarati ambedue inammissibili e, visto l’articolo 616 c.p.p., i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Avv. Renato D’Isa

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