Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|6 settembre 2021| n. 24049.

Determinazione della misura dell’assegno di mantenimento.

L’attitudine al lavoro proficuo dei coniugi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attivita’ lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche. Deve quindi escludersi che il giudice del merito, investito della relativa questione, possa accogliere la domanda di contribuzione del coniuge cui non è addebitabile la separazione dando semplicemente atto del mancato svolgimento, da parte dello stesso, di un’attività lavorativa: tanto più che in materia vige il principio per cui l’onere della prova del diritto al mantenimento, in seguito a separazione personale incombe su chi il mantenimento richieda.

Ordinanza|6 settembre 2021| n. 24049. Determinazione della misura dell’assegno di mantenimento

Data udienza 13 aprile 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Separazione e divorzio – Assegno di mantenimento – Mancato svolgimento di attività lavorativa da parte del coniuge – Accertamento giudiziale – Limite – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 15644/2017 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4407/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, pubblicata il 14/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/04/2021 dal cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

Determinazione della misura dell’assegno di mantenimento

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza del (OMISSIS) il Tribunale di Nola pronunciava la separazione dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS); dichiarava che detta separazione era addebitata a quest’ultimo; disponeva l’affido condiviso della minore (OMISSIS), con collocazione presso la madre; determinava, a carico del marito, il contributo dallo stesso dovuto per il mantenimento della minore, determinandolo in Euro 600,00, mentre quantificava l’assegno a beneficio della moglie in Euro 200,00; assegnava infine la casa coniugale alla stessa (OMISSIS), quale genitore collocatario della figlia minore.
2. – La sentenza era impugnata da entrambi i coniugi.
La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 14 dicembre 2016, rigettava l’appello principale di (OMISSIS) e, in accoglimento di quello incidentale di (OMISSIS), ordinava a (OMISSIS) s.r.l., quale datore di lavoro di (OMISSIS), di corrispondere direttamente alla moglie separata di quest’ultimo gli assegni mensili di Euro 600,00 di Euro 200,00, di cui sopra si e’ detto.
In sintesi, la Corte di appello riteneva che la decisione di (OMISSIS) di separarsi dalla moglie nasceva dalla nuova relazione intrapresa dallo stesso con altra donna e rilevava che l’inosservanza dell’obbligo di fedelta’ coniugale costituiva una violazione particolarmente grave la quale, determinando, di regola, l’intollerabilita’ della prosecuzione della convivenza, doveva ritenersi sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge che se ne era reso responsabile. Osservava, inoltre, che dalla dichiarazione del terzo pignorato (OMISSIS), datore di lavoro di (OMISSIS), risultava che lo stesso percepiva una retribuzione netta di Euro 1.222,80, a cui andavano aggiunti Euro 254,25, pari alla rata di rimborso di alcuni prestiti, di cui il medesimo aveva usufruito; aggiungeva che lo stesso aveva sottratto somme ricevute in prestito dall’azienda datrice di lavoro al menage familiare, avendo corrisposto solo in parte gli assegni provvisori gia’ determinati nella complessiva somma di Euro 800,00 mensili, cosi’ cumulando un debito complessivo di oltre Euro 25.000,00. La stessa Corte poneva inoltre in evidenza che (OMISSIS) svolgeva altre attivita’, conferendo rilievo, a tal fine: a un’iniziativa imprenditoriale cessata, comunque sintomatica della capacita’ di impiego del predetto in ulteriori attivita’ lavorative; alla documentazione, acquisita al processo, che faceva supporre lo svolgimento, da parte dello stesso, delle mansioni di cameriere in occasione di grandi eventi o di cerimonie; al possesso, in capo a (OMISSIS), di due autovetture. Quanto alla posizione della moglie, il giudice distrettuale rilevava che il conseguimento, da parte della stessa, del diploma di estetista e lo svolgimento, in passato, di qualche prestazione a domicilio poteva al piu’ lasciar presumere una generica attitudine al lavoro, nulla provando sul concreto svolgimento di una qualche attivita’ da parte di (OMISSIS), la quale aveva comunque dimostrato di aver profuso un impegno quotidiano ed esclusivo nell’accudimento della figlia, portatrice di handicap. Da ultimo, la Corte di appello spiegava le ragioni di opportunita’ che la inducevano ad impartire a (OMISSIS) l’ordine previsto dall’articolo 156 c.c., comma 6: evidenziava, in proposito, l’inadempienza di (OMISSIS) all’obbligo di contribuire al mantenimento della moglie e della figlia per l’importo di Euro 25.000,00 e le ulteriori circostanze consistenti nell’aver (OMISSIS) fatto ricorso al credito aziendale per scopi estranei a quelli familiari e nell’aver lo stesso mancato di onorare le rate del mutuo ipotecario contratto per l’acquisto dell’abitazione, esponendo con cio’ i familiari al rischio di perdita della casa coniugale.
3. – La sentenza e’ impugnata per cassazione da (OMISSIS) con un ricorso articolato in sei motivi. Resiste con controricorso (OMISSIS).

 

Determinazione della misura dell’assegno di mantenimento

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo e’ denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti. Viene lamentato che la Corte di appello avrebbe mancato di considerare che la situazione economica del ricorrente era deteriore rispetto a quella da essa accertata: e cio’ in ragione del regime di solidarieta’ che interessava la posizione lavorativa dello stesso istante.
Col secondo motivo e’ dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, nonche’ la violazione e falsa applicazione cli norme di diritto, con riferimento all’articolo 111 Cost., comma 6. Si sostiene che il giudice distrettuale avrebbe mancato di prendere in considerazione, tra le circostanze rilevanti ai fini dell’individuazione delle obbligazioni economiche poste a carico del ricorrente, la nascita del figlio che lo stesso (OMISSIS) aveva generato con la nuova compagna.
Il terzo mezzo oppone la violazione di legge con riferimento all’articolo 156 c.c., commi 1 e 2, articolo 2697 c.c. e articolo 111 Cost., comma 6, nonche’ l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti. Si deduce che la Corte di merito avrebbe violato i principi che regolano la distribuzione dell’onere della prova, ponendosi in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte; si rileva, altresi’, che il giudice di appello avrebbe contrapposto alle censure mosse avverso la sentenza di primo grado una motivazione meramente apparente, senza prendere in considerazione le circostanze relative ai redditi del ricorrente e alla capacita’ di guadagno della moglie, oltre che per aver mancato di porre a fondamento della decisione relativa all’assegno le evenienze fatte valere con i primi due motivi di ricorso.
Col quarto motivo la sentenza e’ impugnata per violazione di legge con riferimento all’articolo 111 Cost., comma 5, agli articoli 147 e 148 c.c., come integrato dall’articolo 316 bis c.c., comma 1 e articolo 155 c.c., come integrato dall’articolo 337 ter, comma 4, nonche’ per omesso esame di un fatto decisivo che e’ stato oggetto di discussione tra le parti. Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe totalmente riversato l’obbligazione relativa al mantenimento della figlia minore su di esso istante, omettendo di porre a fondamento della decisione le circostanze di cui ai primi due motivi di ricorso. Si duole, poi, che la Corte di merito, nell’individuare la misura dell’assegno di mantenimento di (OMISSIS) abbia reso una motivazione tautologica.
Il quinto mezzo oppone la violazione e falsa applicazione dell’articolo 111 Cost., comma 6, nonche’ degli articoli 116, 244, 253 c.p.c. e articolo 345 c.p.c., comma 3, e dell’articolo 2697 c.c.. Secondo l’istante il giudice di appello avrebbe fatto malgoverno delle norme disciplinanti l’istruzione probatoria, dei criteri previsti della valutazione delle prove e della regola circa la distribuzione dell’onere della prova.
Col sesto motivo viene proposta una censura di violazione e falsa applicazione degli articoli 1, 4, 36 e 111 Cost., nonche’ dell’articolo 156 c.c., comma 6 e articolo 545 c.p.c., commi 3, 4 e 5. La doglianza investe l’ordine impartito al datore di lavoro del ricorrente, di corrispondere direttamente per intero a (OMISSIS) l’assegno mensile di mantenimento; secondo l’istante, la Corte di merito avrebbe omesso di considerare che il cumulo di quanto costituiva oggetto dei pignoramenti, delle trattenute e dell’ordine di pagamento diretto doveva rispettare il limite stabilito dall’articolo 545 c.p.c..
2. – Puo’ accordarsi precedenza di trattazione al quinto mezzo di censura, che attiene al giudizio, espresso dalla Corte di appello, quanto all’addebito della separazione.
Esso risulta inammissibile, in quanto si risolve, anzitutto, in un non consentito riesame dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito.
E infatti: la doglianza circa la violazione dell’articolo 116 c.p.c. e’ ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e’ ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimita’ sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U. 30 settembre 2020, n. 20867); la deduzione di un vizio di violazione o falsa applicazione degli articoli 244 e 253 c.p.c. non puo’ dare accesso a una rivisitazione critica delle deposizioni testimoniali acquisite, posto che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilita’ dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale e’ libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga piu’ attendibili (Cass. 4 luglio 2017, n. 16467; Cass. 23 maggio 2014, n. 11511); la violazione del precetto di cui all’articolo 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, e’ configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 29 maggio 2018, n. 13395; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107).
Ne’ appare pertinente la denuncia del vizio motivazionale evocato dall’istante attraverso il richiamo dell’articolo 111 Cost., comma 6, giacche’, come insegnano le Sezioni Unite, l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante deve prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054).

 

Determinazione della misura dell’assegno di mantenimento

Resta da dire della produzione, in appello, di documentazione estratta da Facebook (da cui la Corte di merito ha tratto la conclusione che (OMISSIS) svolgesse pure l’attivita’ di cameriere): produzione che il ricorrente assume essere tardiva. La censura e’ carente di autosufficienza, in quanto il ricorrente non fornisce le necessarie indicazioni quanto al contenuto dei documenti prodotti; segnatamente, non indica a quando essi risalgano (circostanza, questa, di particolare rilievo, ove si consideri che, a norma dell’articolo 345 c.p.c., comma 3, e’ consentita la produzione in appello di documenti che non si siano potuti produrre in primo grado: e tra essi senz’altro rientrano le riproduzioni fotografiche relative a fatti nuovi – rilevanti per il giudizio – che si collochino, temporalmente, in un tempo successivo a quello in cui maturano le preclusioni istruttorie di cui all’articolo 183 c.p.c., comma 6).
3. – I motivi rubricati come primo, secondo, terzo e quarto investono, da diverse angolazioni, il giudizio espresso dalla Corte di merito quanto ai rapporti patrimoniali tra i coniugi, e quindi la decisione assunta con riguardo all’assegno di mantenimento in favore della figlia e del coniuge del ricorrente.
3.1. – Il primo concerne la capacita’ reddituale di (OMISSIS), ed e’ inammissibile.
Ai fini della deduzione del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 1, n. 4, deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’ (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054 citt.). Nel caso in esame, il ricorrente assume di aver prodotto, all’udienza del 22 maggio 2014, una certificazione del proprio datore di lavoro in cui era precisato che lo stesso sarebbe stato in regime di solidarieta’ per alcuni periodi. Il ricorrente non fornisce, tuttavia, precise indicazioni su come la questione oggetto del motivo fosse stata dibattuta (non equivalendo, come e’ evidente, la produzione del documento alla discussione, in giudizio, dei suoi contenuti) e non offre puntuali indicazioni quanto al fatto storico che si assume indebitamente trascurato (giacche’ il ricorso omette di riportare i periodi in cui il lavoratore sarebbe stato collocato in regime di solidarieta’: ed e’ appena il caso di rammentare che sono inammissibili, per violazione dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione: Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34469).
Per completezza, mette conto di rilevare che la misura della retribuzione percepita da (OMISSIS) e’ stata oggetto di un accertamento di fatto basato sulla dichiarazione resa dal terzo pignorato (OMISSIS) il 26 gennaio 2016 (cfr. sentenza impugnata, pag. 5): dichiarazione che, in considerazione della sua collocazione temporale, rende privo di decisivita’ il dato documentale costituito dalla certificazione prodotta dal ricorrente all’udienza del 22 maggio 2014. Come e’ evidente, infatti, gli elementi desumibili dalla detta certificazione non presentavano alcuna attualita’ rispetto al momento in cui venne deliberata la sentenza di appello ed erano superati dalla richiamata dichiarazione del terzo pignorato.
3.2. – Il diritto, da parte di (OMISSIS), di ricevere quanto e’ necessario al suo mantenimento, e’ posto in discussione col terzo motivo di censura, che e’ fondato nei termini che si vengono ad esporre.
La Corte di appello, come si e’ detto in precedenza, ha distinto la generica attitudine al lavoro della odierna controricorrente (che, a suo avviso, poteva al piu’ presumersi) e lo svolgimento, in concreto, di una tale attivita’ (di cui mancava la prova). Il giudice distrettuale ha poi valorizzato la sproporzione esistente tra le risorse di cui potevano disporre i due coniugi e ha ritenuto fosse da confermare la decisione del Tribunale con cui era stato stabilito che la stessa (OMISSIS) dovesse ricevere dal marito un assegno di mantenimento di Euro 200,00.
Ora, in tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacita’ di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilita’ di svolgimento di un’attivita’ lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass. 9 marzo 2018, n. 5817; Cass. 4 aprile 2016, n. 6427; Cass. 13 febbraio 2013, n. 3502; Cass. 25 agosto 2006, n. 18547; Cass. 2 luglio 2004, n. 12121; Cass. 19 marzo 2002, n. 3975).
Deve quindi escludersi che il giudice del merito, investito della relativa questione, possa accogliere la domanda di contribuzione del coniuge cui non e’ addebitabile la separazione dando semplicemente atto del mancato svolgimento, da parte dello stesso, di un’attivita’ lavorativa: tanto piu’ che in materia vige il principio per cui l’onere della prova del diritto al mantenimento, in seguito a separazione personale incombe su chi il mantenimento richieda (Cass. 17 febbraio 1987, n. 1691, richiamata, di recente, da Cass. 20 marzo 2018, n. 6886, non massimata).
La Corte di merito, pur correttamente escludendo la rilevanza che, ai fini della decisione circa l’assegno di mantenimento, assume la generica attitudine al lavoro del coniuge cui non e’ addebitabile la separazione, ha mancato di verificare se, in concreto, esistesse la possibilita’, da parte della moglie separata, di intraprendere una tale attivita’; la nominata Corte si e’ infatti limitata a constatare l’assenza di riscontri quanto allo svolgimento, da parte di (OMISSIS), di un lavoro retribuito. In tal modo, essa ha disatteso il principio che si e’ sopra richiamato. Il giudice del merito avrebbe dovuto invece verificare se le cure prestate dalla controricorrente alla figlia fossero compatibili con lo svolgimento, da parte della prima, di una qualche occupazione lavorativa e se sulla concreta possibilita’ di svolgere un’attivita’ retribuita spiegasse incidenza il conseguimento del diploma di estetista e l’esecuzione, in passato, di prestazioni a domicilio.
Non e’ peraltro concludente, in questa sede, la deduzione incentrata sulla durata della convivenza e sull’apporto dato dalla moglie al miglioramento della condizione familiare (pagg. 12 s. della sentenza). A prescindere dal rilievo per cui di tali questioni non e’ fatto cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente pare non cogliere la precisa funzione che assume l’assegno di mantenimento al coniuge nel caso di separazione: e’ da ricordare, infatti, che la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicche’ i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’articolo 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilita’ con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedelta’, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarieta’ post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio (Cass. 24 giugno 2019, n. 16809; Cass. 16 maggio 2017, n. 12196).
3.3. – Possono reputarsi assorbiti il secondo e il quarto motivo, vertenti su questioni che andranno riesaminate dal giudice del merito una volta che saranno accertate l’esistenza e l’entita’ dell’impegno economico che deve far carico al ricorrente per il mantenimento della moglie.
4. – Resta pure assorbito il sesto motivo, dovendo la Corte di appello procedere, a norma dell’articolo 156 c.c., commi 1 e 2, a un nuovo esame delle condizioni da cui dipende la spettanza e l’entita’ dell’assegno di mantenimento del coniuge. L’ordine di pagamento al terzo previsto dall’articolo 156, comma 6 implica una valutazione di opportunita’ che presuppone una discrezionalita’ rivolta alla considerazione della utilita’ del mezzo (Cass. 2 dicembre 1998, n. 12204, in motivazione), la quale evidentemente presuppone, a monte, l’accertamento, da parte del giudice di merito, dell’obbligo di corrispondere un assegno di mantenimento di una data entita’.

 

Determinazione della misura dell’assegno di mantenimento

5. – In conclusione, va accolto, per quanto di ragione, il terzo motivo, il primo e il quinto devono dichiararsi inammissibili, mentre gli altri restano assorbiti.
La sentenza impugnata e’ cassata in relazione alla censura accolta e la Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, dovra’ fare applicazione del seguente principio di diritto:
“In tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacita’ di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilita’ di svolgimento di un’attivita’ lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche; dovendo pertanto il giudice del merito tenere conto non soltanto dei redditi in denaro ma anche di tutte le utilita’ o capacita’ del coniuge suscettibili di valutazione economica, non e’ possibile limitare l’accertamento giudiziale al dato del mancato svolgimento, da parte del coniuge stesso, di un’attivita’ lavorativa”.
Il giudice del rinvio provvedera’ a statuire sulle spese del giudizio di legittimita’.
Va disposto che, in caso di diffusione del presente provvedimento, non venga fatta menzione delle generalita’ e degli altri dati identificativi della minore.

P.Q.M.

LA CORTE
accoglie per quanto di ragione il terzo motivo, dichiara inammissibili il primo e il quinto e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’; dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento, non venga fatta menzione delle generalita’ e degli altri dati identificativi della minore.

 

Determinazione della misura dell’assegno di mantenimento

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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