Corte di Cassazione, penale, Sentenza|27 maggio 2021| n. 20937.
Detenzione di prodotti ittici in cattivo stato di conservazione.
In ordine al reato di cui agli articoli 5, lettera b) e 6 della Legge n. 283 1962, il cattivo stato di conservazione degli alimenti è apprezzabile dal Tribunale di merito senza necessità di prelievo di campioni e di specifiche analisi di laboratorio, sulla base di dati obiettivi risultanti dalla documentazione relativa alla verifica e dalle dichiarazioni dei verbalizzanti, essendo lo stesso ravvisabile, in particolare, nel caso di evidente inosservanza delle cautele igieniche e delle tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione, in quanto finalizzato, a tutela del cd «ordine alimentare», ad assicurare una protezione immediata all’interesse del consumatore affinché il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura.
Così premesso l’ambito di applicazione della fattispecie astratta, nel caso della detenzione per la vendita e la commercializzazione, in una pescheria, di prodotti ittici privi di etichettatura attestante la tracciabilità, di numero di lotto, di data di confezionamento e di scadenza e senza nessuna procedura di congelamento, il soggetto responsabile del reato di detenzione di alimenti in cattivo stato di conservazione può essere, in concorso con il titolare dell’esercizio commerciale, anche il dipendente preposto alla vendita dei prodotti alimentari, in quanto tenuto, prima di metterli in vendita, a controllarne la qualità, rispondendo della contravvenzione qualora metta in vendita una sostanza alimentare in evidente cattivo stato di conservazione, a causa del negligente mancato controllo dei requisiti di commestibilità del prodotto.
Sentenza|27 maggio 2021| n. 20937. Detenzione di prodotti ittici in cattivo stato di conservazione
Data udienza 26 aprile 2021
Integrale
Tag – parola: Detenzione di prodotti ittici in cattivo stato di conservazione – Istituto della conversione del mezzo di impugnazione ex art. 568 comma 5 cpp – Presupposti – Modalità estrinseche del cattivo stato di conservazione del prodotto – Sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite 443 del 19/12/2001 – Reato di danno – Addetto alla vendita – Onere di verifica
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SARNO Giulio – Presidente
Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere
Dott. RAMACCI Luca – rel. Consigliere
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/01/2019 del TRIBUNALE di PATTI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. LUCA RAMACCI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. BALDI FULVIO, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
udito il difensore (avv. Scisca Giorgio);
Il difensore presente chiede l’accoglimento del ricorso.
Detenzione di prodotti ittici in cattivo stato di conservazione
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Patti, con sentenza del 18 gennaio 2019 ha affermato la responsabilita’ penale di (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha condannato alla pena dell’ammenda, in ordine al reato di cui all’articolo 110 c.p. e L. n. 283 del 1962, articolo 5, lettera b) e articolo 6, perche’, in concorso tra loro, il primo quale titolare di una pescheria, la seconda quale preposta all’esercizio commerciale, detenevano per la vendita e la commercializzazione 47 chilogrammi di prodotti ittici di vario tipo i quali, in quanto privi di etichettatura attestante la tracciabilita’, di numero di lotto, di data di confezionamento e di scadenza e senza nessuna procedura di congelamento erano ritenersi in cattivo stato di conservazione (fatti accertati in (OMISSIS)).
Avverso tale pronuncia i predetti hanno proposto, tramite il comune difensore di fiducia, un unico atto di appello convertito in ricorso per Cassazione.
2. Con un primo motivo di impugnazione deducono la erroneita’ della sentenza laddove viene affermata la penale responsabilita’ di (OMISSIS), trattandosi di semplice lavoratrice dipendente cosi’ come dichiarato da un testimone escusso e documentato dal contratto di lavoro e dalla busta paga allegate all’impugnazione, richiamando e producendo anche il contratto collettivo nazionale relativo al commercio per lo specifico settore.
3. Con un secondo motivo di impugnazione denunciano l’illegittimita’ della sentenza per erronea valutazione delle prove assunte in dibattimento, lamentando che i testimoni escussi (i verbalizzanti ed un medico veterinario) non avrebbero effettivamente accertato il cattivo stato di conservazione degli alimenti venduti, avendolo soltanto presunto da non meglio documentate circostanze indirette. A tale proposito vengono richiamate le dichiarazioni testimoniali.
4. Con un terzo motivo di impugnazione si deduce che il giudice del merito non avrebbe tenuto conto dell’esiguita’ del disvalore della condotta posta in essere dagli imputati, che avrebbe consentito l’applicazione dell’articolo 131-bis c.p. e la conseguente declaratoria di non punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto.
Entrambi insistono, pertanto, per raccoglimento dell’impugnazione.
Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria, ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
Detenzione di prodotti ittici in cattivo stato di conservazione
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Occorre preliminarmente osservare che la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che il Collegio condivide, ha chiaramente precisato che qualora un provvedimento giurisdizionale sia impugnato con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente stabilito, il giudice che riceve l’atto di gravame deve limitarsi, secondo quanto stabilito dall’articolo 568 c.p.p., comma 5 alla verifica dell’oggettiva impugnabilita’ del provvedimento e dell’esistenza della volonta’ di impugnare, intesa come proposito di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale e, conseguentemente, trasmettere gli atti al giudice competente astenendosi dall’esame dei motivi al fine di verificare, in concreto, la possibilita’ della conversione (Sez. 5, n. 313 del 20/11/2020 (dep. 2021), Bruccoleri, Rv. 280168; Sez. 3, n. 28842 del 8/9/2020, D.; Sez. 3, n. 40381 del 17/5/2019, Dorati, Rv. 276934; Sez. 6, n. 38253 del 5/6/2018, Borile, Rv. 273738 ed altre prec. conf.).
Si e’ peraltro affermato che l’istituto della conversione dell’impugnazione previsto dall’articolo 568 c.p.p., comma 5, ispirato al principio di conservazione degli atti, determina unicamente l’automatico trasferimento del procedimento dinanzi al giudice competente in ordine alla impugnazione secondo le norme processuali e non comporta una deroga alle regole proprie del giudizio di impugnazione correttamente qualificato. Pertanto, l’atto convertito deve avere i requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini della impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta (Sez. 1, n. 2846 del 8/4/1999, Annibaldi R, Rv. 213835. V. anche ex pl. Sez. 3, n. 26905 del 22/04/2004, Pellegrino, Rv. 228729; Sez. 4, n. 5291 del 22/12/2003 (dep. 2004), Stanzani, Rv. 227092).
Nel caso di specie l’appello, convertito perche’ proposto avverso sentenza non appellabile, oltre a non presentare i requisiti del ricorso per cassazione, circostanza che lo rende, di per se’ inammissibile, si basa anche su motivi manifestamente infondati.
3. Deve rilevarsi, quanto al primo motivo di impugnazione, che lo stesso, oltre ad essere articolato in fatto, con riferimenti alle dichiarazioni testimoniali assunte nel corso del giudizio di merito e richiami alla documentazione allegata (busta paga, contratto di lavoro e contratto collettivo nazionale), non valutabili in sede di legittimita’, si basa sostanzialmente sul generico presupposto che l’addetta alle vendite, in quanto dipendente, sarebbe esonerata, proprio in ragione di tale sua posizione, da qualsiasi onere di controllo rispetto alla merce venuta.
Detenzione di prodotti ittici in cattivo stato di conservazione
Tale assunto e’ destituito di fondamento.
4. Merita di essere ricordato come, con riferimento alle modalita’ di accertamento del reato in esame da parte del giudice del merito, questa Corte abbia gia’ avuto modo di affermare che questi puo’ apprezzare il cattivo stato di conservazione degli alimenti senza necessita’ di prelievo di campioni e di specifiche analisi di laboratorio, sulla base di dati obiettivi risultanti dalla documentazione relativa alla verifica e dalle dichiarazioni dei verbalizzanti, essendo lo stesso ravvisabile, in particolare, nel caso di evidente inosservanza delle cautele igieniche e delle tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione (Sez. 3, Sentenza n. 2690 del 06/12/2019 (dep. 2020), Barletta, Rv. 278248).
In quell’occasione si era anche ricordato che secondo le Sezioni Unite (Sez. U, n. 443 del 19/12/2001 (dep. 2002), Butti e altro, Rv. 220717) si tratta, nel caso specifico, di un reato di danno, perche’ la disposizione e’ finalizzata non tanto a prevenire mutazioni che, nelle altre parti della L. n. 283 del 1962, articolo 5, sono prese in considerazione come evento dannoso, quanto, piuttosto, a perseguire un autonomo fine di benessere, assicurando una protezione immediata all’interesse del consumatore affinche’ il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura. Conseguentemente, si e’ escluso che la contravvenzione si inserisca nella previsione di una progressione criminosa che contempla fatti gradualmente piu’ gravi in relazione alle successive lettere indicate dall’articolo 5, perche’, rispetto ad essi, e’ figura autonoma di reato, cosicche’, ove ne ricorrano le condizioni, puo’ anche configurarsi il concorso (in senso conforme, Sez. 3, n. 37858 del 4/4/2017, Martiniello, Rv. 271045; Sez. 3, n. 35234 del 28/6/2007, Lepori, Rv. 237518, difforme Sez. 3, n. 2649 del 16/12/2003 (dep. 2004), Gargelli, Rv. 226874).
Le Sezioni Unite, sempre nella medesima pronuncia, hanno anche precisato che, ai fini della configurabilita’ del reato, non vi e’ la necessita’ di un cattivo stato di conservazione riferito alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, essendo sufficiente che esso concerna le modalita’ estrinseche con cui si realizza, che devono uniformarsi alle prescrilioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza (conf. Sez. 3, n. 33313 del 28/11/2012 (dep. 2013), Maretto, Rv. 257130; Sez. 3, n. 15094 del 11/3/2010, Greco, Rv. 246970; Sez. 3, n. 35234 del 28/6/2007, Lepori, Rv. 237518, cit. ed altre prec. conf.).
Detenzione di prodotti ittici in cattivo stato di conservazione
Conformandosi al primo dei principi appena ricordati, altra pronuncia (Sez. 3, n. 35828 del 7/7/2004, Cicolella, Rv. 229392) ha successivamente chiarito che la natura di reato di danno attribuita dalle Sezioni Unite alla contravvenzione in esame non richiede la produzione di un danno alla salute, poiche’ l’interesse protetto dalla norma e’ quello del rispetto del cd. ordine alimentare, volto ad assicurare al consumatore che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte per la sua natura (conf. Sez. 3, n. 40772 del 5/5/2015, Torcetta, Rv. 264990).
Si e’ inoltre affermato come sia comunque necessario accertare che le modalita’ di conservazione siano in concreto idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento delle sostanze (Sez. 3, n. 439 del 4/11/2011 (dep. 2012), Duclos, Rv. 251630; Sez. 3, n. 15049 del 09/01/2007, Bertini, Rv. 236332) escludendo, tuttavia, la necessita’ di analisi di laboratorio o perizie, ben potendo il giudice di merito considerare altri elementi di prova, come le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva conservazione sia palese e, pertanto, rilevabile da una semplice ispezione (Sez. 3, n. 35234 del 28/6/2007, Lepori, Rv. 237518, cit. Conf. Sez. 3, n. 12346 del 4/3/2014, Chen, Rv. 258705) ed affermando che il cattivo stato; di conservazione dell’alimento puo’ assumere rilievo anche per il solo fatto dell’obiettivo insudiciamento della sola confezione, conseguente alla sua custodia in locali sporchi e, quindi, igienicamente inidonei alla conservazione (Sez. 3, n. 9477 del 21/1/2005, Ciccariello, Rv. 230851) ed e’ configurabile anche nel caso di detenzione in condizioni igieniche precarie (Sez. 3, n. 41074 del 7/7/2011, Nassar, Rv. 251298).
Tali principi sono stati successivamente ribaditi (Sez. 3, n. 39037 del 10/5/2018, Malcaus, Rv. 273919; Sez. 3, n. 6108 del 17/01/2014, Maisto, Rv. 258861).
Con riferimento specifico alla tracciabilita’, si e’ poi affermato che il reato e’ integrato in ipotesi di preparazione di alimenti in violazione delle disposizioni sulla tracciabilita’ della materia prima (Sez. 3, n. 31035 del 9/6/2016, Greco Rv. 267378).
5. Cosi’ chiarito l’ambito di applicazione della fattispecie astratta contemplata dalla L. n. 283 del 1962, articolo 5, lettera b), appare evidente come il soggetto responsabile possa essere individuato nel dipendente preposto alla vendita di prodotti alimentari, il quale, come e’ stato precisato in una risalente, ma condivisibile pronuncia, e’ tenuto, prima di porre in vendita il prodotto, a controllare la qualita’ dello stesso e, qualora metta in vendita una sostanza alimentare in evidente cattivo stato di conservazione, risponde della contravvenzione in esame, consistente nel negligente mancato controllo dei requisiti di commestibilita’ del prodotto (Sez. 6, Sentenza n. 11174 del 11/10/1985, D’Antonio, Rv. 171189).
Detenzione di prodotti ittici in cattivo stato di conservazione
L’addetto alla vendita, dunque, nell’ambito delle sue attribuzioni deve ritenersi comunque gravato da un onere di verifica delle condizioni del prodotto che viene posto in vendita, pur dovendosi ovviamente ritenere tale onere limitato a quelle situazioni in cui il cattivo stato di conservazione sia di immediata percezione, come, ad esempio, in caso di evidente insudiciamento o detenzione in condizioni igieniche precarie, ovvero di inosservanza di comuni cautele, con esclusione, quindi, dei casi in cui le condizioni di conservazione non conformi a legge siano verificabili soltanto mediante specifici accertamenti o da parte di soggetti dotati di particolari competenze.
6. Nel caso in esame, come si evince dalla mera lettura del capo di imputazione, gli alimenti posti in vendita, che consistevano in prodotti gia’ preparati, non solo non rispondevano ai requisiti di tracciabilita’, ma erano privi di adeguato confezionamento, di numero di lotto, della data di produzione e scadenza e non erano stati sottoposti ad alcuna procedura di congelamento.
Si tratta, dunque, di condizioni da chiunque immediatamente riscontrabili che, nel loro complesso, denotano modalita’ di conservazione del tutto anomale e che rendono di fatto impossibile ogni verifica sulla composizione del prodotto e sulle modalita’ di preparazione.
Di tale evenienza ha dato atto, seppure in maniera sintetica, il giudice del merito, ritenendo la responsabilita’ di entrambi gli imputati, ancorche’ non distinguendo tra le singole posizioni e condotte poste in essere.
A fronte di cio’, tuttavia, la difesa si e’ limitata a censure che, oltre a non poter avere ingresso in questa sede di legittimita’ per le ragioni gia’ dette, si sostanziano nella negazione di qualsivoglia responsabilita’ dell’imputata (OMISSIS) solo perche’ dipendente dell’esercizio commerciale (rispetto al quale viene pero’ indicata, nel capo di imputazione, come preposta) senza null’altro aggiungere.
7. Le considerazioni svolte in ordine alle caratteristiche della contravvenzione in esame rendono evidente la infondatezza del secondo motivo di impugnazione, poiche’ analoghi obblighi di adeguata conservazione dei prodotti venduti gravano ovviamente anche sul soggetto titolare dell’esercizio commerciale.
In ogni caso, il motivo risulta comunque inammissibile perche’ articolato interamente con richiami agli esiti dell’istruzione dibattimentale, sostanzialmente sollecitando una diversa valutazione del merito della vicenda che solo l’atto di impugnazione erroneamente proposto avrebbe reso possibile e che non e’ consentita al giudice di legittimita’.
8. Quanto al terzo motivo di ricorso, osserva il Collegio che, per quanto e’ dato rilevare dalla sentenza impugnata e dall’atto di impugnazione, gli imputati ed il loro difensore non risultano aver prospettato al giudice del merito la questione della particolare tenuita’ del fatto (nulla si dice infatti in tal senso nel motivo di gravame e tale richiesta non e’ indicata neppure nelle conclusioni verbalizzate in udienza) e, secondo quanto gia’ affermato da questa Corte, quando la sentenza di merito e’ successiva alla vigenza della nuova causa di non punibilita’, la questione dell’applicabilita’ dell’articolo 131-bis c.p. non puo’ essere posta per la prima volta nel giudizio di legittimita’ come motivo di violazione di legge (cfr. Sez. 2, n. 21465 del 20/3/2019, Semmah, Rv. 275782; Sez. 3, n. 23174 del 21/3/2018, Sarr, Rv. 272789; Sez. 5, n. 57491 del 23/11/2017, Moio, Rv. 271877; Sez. 3, n. 19207 del 16/3/2017, Celentano, Rv. 269913 ed altre prec. conf.), ne’ puo’ affermarsi, in assenza di specifica richiesta, che nella fattispecie il giudice avesse l’obbligo di pronunciarsi comunque.
9. I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili e alla declaratoria di inammissibilita’ consegue l’onere delle spese del procedimento, nonche’ quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 (tremila) in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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