Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 luglio 2022| n. 22900.

Demansionamento ed onere della prova

Quando il lavoratore allega un demansionamento riconducibile ad un inesatto adempimento dell’obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2103 c.c., è su quest’ultimo che incombe l’onere di provare l’esatto adempimento del suo obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento, ovvero attraverso la prova che fosse giustificato dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali oppure, in base all’art. 1218 c.c., a causa di un’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Ordinanza|21 luglio 2022| n. 22900. Demansionamento ed onere della prova

Data udienza 27 aprile 2022

Integrale
Tag/parola chiave: Pubblico impiego – Dipendente MEF – Demansionamento – Mobbing – Risarcimento danno – Errore di interpretazione domanda – Violazione art.. 112 c.p.c. – Sussistenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere

Dott. SPENA Francesca – Consigliere

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere

Dott. CASCIARO Salvatore – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11226/2016 R.G. proposto da:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO e presso gli uffici della stessa in Roma, via del Portoghesi 12, elettivamente domiciliato;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS) presso il cui studio in (OMISSIS) e’ elettivamente domiciliata;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 7428/2015 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 28.10.2015, N. R.G. 5117/2011.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 27.4.2022 dal Consigliere Dott. Roberto Belle’.

Demansionamento ed onere della prova

RILEVATO

che:
1. la Corte d’Appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado del Tribunale della stessa citta’, ha accolto la domanda con la quale (OMISSIS), dipendente del Ministero dell’Economia e delle Finanze (di seguito, MEF), quale funzionario di Area C, aveva chiesto il risarcimento del danno per demansionamento, confermando tuttavia il rigetto, gia’ pronunciato in prime cure, della domanda di risarcimento del danno per mobbing;
la Corte territoriale, rispetto al demansionamento, rilevava come, a fronte di specifiche allegazioni contenute nel ricorso introduttivo, il Ministero non avesse preso specifica posizione e, in ogni caso, riteneva che le deposizioni testimoniali raccolte non consentissero di accertare in concreto quali fossero stati i compiti affidati alla (OMISSIS) nel periodo oggetto di causa, concludendo nel senso che l’assegnazione a mansioni non confacenti dovesse aversi per provata;
la Corte d’Appello, viceversa, con riferimento al mobbing, riteneva che gli elementi istruttori raccolti non fossero sufficienti, tanto meno ad individuare un idoneo elemento soggettivo;
a titolo risarcitorio veniva quindi riconosciuto l’importo di Euro 14.671,25 per danno biologico, temporaneo e permanente, nonche’ per danno morale, mentre veniva disattesa la domanda rispetto al danno esistenziale, il danno alla professionalita’ ed economico per differenze retributive, sul presupposto che nulla fosse stato in proposito precisato nel ricorso e che mancasse il necessario supporto probatorio, anche solo sotto il profilo indiziario;
2. il MEF ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, resistiti dalla (OMISSIS) con controricorso, contenente anche quattro motivi di ricorso incidentale;
entrambe le parti hanno depositato memoria.

Demansionamento ed onere della prova

CONSIDERATO

che:
1. il primo motivo del MEF adduce la violazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 52, e del CCNL di comparto (articolo 360 c.p.c., n. 3), assumendo che la Corte d’Appello avesse omesso di effettuare un riscontro concreto sulle mansioni svolte e che, proprio perche’ nulla era emerso di specifico, la domanda avrebbe dovuto essere disattesa;
il secondo motivo, formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, censura la sentenza di appello per avere omesso di specificare gli elementi di fatto su cui si era fondato il giudizio in ordine al demansionamento, senza esplicitare la disamina logico-giuridica svolta, con contrasti irriducibili interni alla motivazione e travisamento degli atti, perche’ non era vero che il Ministero si fosse limitato a generiche contestazioni e non avesse specificamente contrastato le allegazioni in punto di demansionamento;
1.1 i motivi possono essere esaminati congiuntamente, data la loro connessione e vanno disattesi;
si deve premettere che costituisce orientamento costante, da ultimo declinato da Cass. 3 marzo 2016, n. 4211, sulla scia di Cass., S.U., 6 marzo 2009, n. 5454 e del principio generale di Cass., S.U., 30 ottobre 2001, n. 13533, quello secondo cui quando il lavoratore allega un demansionamento riconducibile ad un inesatto adempimento dell’obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’articolo 2103 c.c., e’ su quest’ultimo che incombe l’onere di provare l’esatto adempimento del suo obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento, ovvero attraverso la prova che fosse giustificato dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali oppure, in base all’articolo 1218 c.c., a causa di un’impossibilita’ della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, con regola che ovviamente vale anche ove la questione riguardi il pubblico impiego e sia affrontata con riferimento al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 52;
l’assunto della Corte territoriale secondo cui, non essendo emerse dalle deposizioni testimoniali circostanze idonee all’accertamento in concreto dei compiti affidati alla (OMISSIS), doveva aversi provato il demansionamento conseguente alle specifiche allegazioni sul punto della ricorrente, si colloca del tutto in linea con tali orientamenti e dunque l’insistenza del Ministero in ordine all’assenza di ulteriori accertamenti in concreto e’ infondata;
non e’ poi vero che la motivazione presenti tratti di contraddittorieta’, come ragione di nullita’ di essa, in quanto l’argomentazione in diritto sopra riportata e’ chiarissima e desunta direttamente da quanto esposto dalla Corte di merito;
neppure e’ vero che mancassero indicazioni sugli elementi di fatto posti a base del riconosciuto demansionamento, in quanto la Corte territoriale ha fatto riferimento alle allegazioni contenute nell’atto introduttivo, ampiamente riportate anche nel ricorso per cassazione e del tutto chiare nel delineare tempi e modi dell’inoperativita’ lamentata dalla (OMISSIS);
infine, e’ sterile l’insistenza del Ministero sulla questione della contestazione o meno dei fatti allegati dalla ricorrente, perche’ il fondamento motivazionale della sentenza impugnata e’ in ultima analisi quello per cui non erano emersi in concreto elementi idonei ad attestare che effettivamente alla (OMISSIS) fossero state assegnate mansioni idonee: tanto basta, grazie a cio’ che si e’ sopra detto riguardo all’assetto degli oneri probatori;
2. il primo motivo del ricorso incidentale della (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 2087, 2103, 2697, 2729 ss. c.c., e degli articoli 115 e 116 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3);
in una prima parte, il motivo contiene una ricostruzione delle circostanze riguardanti il lavoro svolto dalla (OMISSIS), sviluppata lungo varie pagine del ricorso per cassazione, fino a concludere che “riassumendo, la Corte d’Appello non considerava adeguatamente la repentina emarginazione che la ricorrente incidentale subisce a marzo 1998, nel senso di completa estraneita’ al lavoro istituzionale svolto nella Ragioneria Centrale, permane senza soluzione di continuita’ per tutto il periodo considerato, dal marzo 1998 al maggio 2006, ben 8 anni, nonostante tutti i tentativi messi in atto di normalizzare la sua condizione di lavoro”;
si tratta – con tutta evidenza – di argomentazioni che sollecitano una diversa ricostruzione fattuale circa il lamentato mobbing, del tutto inappropriata rispetto al giudizio di legittimita’ (Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148); analoghe conclusioni valgono per gli ulteriori argomenti spesi al fine di far constare l’emergere dall’istruttoria di elementi idonei a sorreggere le conclusioni in merito alla ricorrenza dell’intento vessatorio, mentre l’esistenza di disturbi psicologici in capo alla ricorrente e’ stata risarcita come conseguenza del demansionamento, sicche’ essa non ha alcun ulteriore rilievo e non dimostra di per se’ nulla, in assenza di prova di comportamenti concretamente censurabili del datore di lavoro;
3. una seconda parte del primo motivo contrasta l’affermazione della Corte territoriale secondo cui sarebbero mancate idonee allegazioni rispetto ai danni lamentati;
con la censura si evidenzia come, quanto al danno alla professionalita’, fosse agli atti il verbale della Commissione Medica di Verifica di Roma, contenente una valutazione di inabilita’ permanente della (OMISSIS) al servizio ed al proficuo lavoro, cosi’ come il danno esistenziale era considerato nella documentazione medica allegata al ricorso ed il danno economico derivava dal fatto che la ricorrente aveva dovuto abbandonare il lavoro con largo anticipo rispetto all’eta’ massima di permanenza in servizio, proprio per il sopravvenire dell’inabilita’ al lavoro cagionata dai comportamenti datoriali;
il tema e’ poi ripreso dal secondo motivo, formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, con il quale si afferma che, anche a voler considerare soltanto il piano del demansionamento, il danno alla professionalita’ andava apprezzato anche nella sua capacita’ lesiva del diritto alla dignita’ personale, alla vita di relazione, nonche’ autostima ed alla stima dell’ambiente di lavoro, oltre che quale richiesta di perdita di chances di futuri lavori, il che avrebbe imposto una liquidazione equitativa sotto tali aspetti al fine di un adeguato risarcimento sul piano patrimoniale e non patrimoniale;

Demansionamento ed onere della prova

il terzo motivo sviluppa analoghi ragionamenti, sempre con denuncia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, con riguardo al danno esistenziale;
3.1 le censure vanno disattese;
la valutazione di inabilita’ al lavoro riportata nel motivo non significa che essa sia derivata necessariamente dal demansionamento subito, mentre l’affermazione della ricorrente di avere lasciato il posto per la situazione mobbizzante, oltre a non provare, da se’ da sola, alcunche’, perde di rilievo una volta esclusa la prova del mobbing;
non diversamente, per quanto riguarda il danno esistenziale, il riferimento nel motivo alla lesione della serenita’ e delle relazioni familiari e sociali e’ del tutto generica ed inidonea, pertanto, a sovvertire l’assunto della sentenza impugnata in ordine alla carenza di indicazione del modo di manifestarsi dei pregiudizi lamentati;
analogamente, il motivo non e’ confortato da indicazioni di dettaglio sul danno alla professionalita’, quest’ultimo pur sempre da intendere come relativo ai profili patrimoniali o non patrimoniali della perdita di un bagaglio conoscitivo personale, aspetti non meglio precisati – a cio’ certamente non bastando il generico riferimento alla dignita’ personale o all’immagine – sicche’ non ne resta colmato il deficit di specificita’ sulla manifestazione del danno e sulla sua consistenza in concreto, rispetto al quale ha fatto leva la sentenza impugnata;
altrettanto generico e’ infine il richiamo alla perdita di chance, profilo rispetto al quale la Corte territoriale gia’ aveva evidenziato come non fosse stato indicato a cosa di dovesse fare riferimento (mancata partecipazione a concorsi-; preclusioni a progressioni orizzontali- perdita di emolumenti precedentemente percepiti- questi gli interrogativi posti dalla sentenza impugnata e rimasti inevasi);
4. il quarto motivo censura la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 112 c.p.c., sostenendo che erroneamente la Corte d’Appello, dopo avere calcolato il danno da inabilita’ temporanea nella misura di Euro 5.760,00, aveva riconosciuto solo il minore importo di Euro 3.614,00 e cio’ sul presupposto che quella fosse la somma richiesta nelle conclusioni della ricorrente;
il motivo contiene poi un ricalcolo del danno da temporanea che ne porterebbe l’ammontare in realta’ ad Euro 6.326,25;
va premesso che l’interpretazione del contenuto della domanda giudiziale e’ consentita anche in sede di legittimita’, ove – come accade nel caso di specie – l’argomentazione sia idonea a ricostruire il tenore della pretesa e quale sia la censura mossa al modo in cui essa e’ stata intesa del giudice del merito (Cass. 24 dicembre 2021, n. 41465);
va quindi rimarcato come le conclusioni fossero state nel senso di richiedere, a titolo di temporanea, il risarcimento “nella misura di Euro 3.614,40 o per la diversa somma che risultera’ in corso di causa anche equitativamente determinata”;

Demansionamento ed onere della prova

vale in proposito il principio per cui “nel giudizio di risarcimento del danno derivante da fatto illecito, costituisce violazione della regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all’articolo 112 c.p.c., il prescindere, travalicandole, dalle specifiche indicazioni quantitative della parte in ordine a ciascuna delle voci di danno elencate in domanda, salvo che tali indicazioni non siano da ritenere… meramente indicative, come sarebbe lecito concludere allorche’ la parte, pur dopo l’indicazione, chieda comunque che il danno sia liquidato secondo giustizia ed equita’” (Cass. 11 ottobre 2019, n. 25690; Cass. 7 maggio 2021, n. 12159);
nel caso di specie, il richiamo alla eventualmente diversa somma che fosse risultata non puo’ che essere riferito agli importi maggiori rispetto a quelli indicati e che fossero emersi in esito all’istruttoria, perche’ rispetto a quelli inferiori sarebbe pleonastico esplicitarne la richiesta, in se’ sempre implicitamente contenuta nella richiesta di una quantificazione maggiore;
non puo’ invece procedersi ad un ricalcolo dell’importo dovuto a titolo di temporanea;
la Corte d’Appello ha infatti determinato l’importo muovendo da esiti peritali da essa riportati in motivazione (invalidita’ temporanea parziale al 50 % per complessivi 60 gg.), su cui si e’ evidentemente sviluppato il computo;
una diversa ricostruzione non intercetterebbe dunque un vizio valorizzabile ai sensi dell’articolo 112 c.p.c., ma avrebbe la sostanza di una nuova valutazione delle risultanze istruttorie e dell’estensione del danno, inappropriata rispetto al giudizio di legittimita’;
5. all’accoglimento del quarto motivo puo’ fare seguito l’immediata definizione nel merito, nei termini di cui al dispositivo e ferma la condanna gia’ espressa in sede di appello, non essendo necessari ulteriori accertamenti;
6. le spese del primo e del secondo grado, compensate per due terzi considerato l’assai modesto accoglimento dell’originaria domanda, per il restante terzo vengono qui liquidate nella stessa misura gia’ determinata dai giudici di merito;
le spese del presente giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e si liquidano in Euro 2.000,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % ed accessori di legge.

Demansionamento ed onere della prova

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso incidentale, rigettati gli altri ed il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna il MEF a pagare alla (OMISSIS) l’ulteriore importo di Euro 2.146,00 oltre interessi dalla data della sentenza impugnata al saldo. Compensa le spese dei gradi di merito per due terzi come gia’ stabilito nella sentenza impugnata e condanna il MEF al pagamento alla (OMISSIS) del restante terzo, nella misura gia’ liquidata nei gradi di merito stessi. Condanna il MEF al pagamento integrale delle spese del giudizio di legittimita’ in favore della (OMISSIS), che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali 15% ed accessori di legge. Spese di c.t.u. a carico del Ministero soccombente.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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