Corte di Cassazione, penale, Sentenza|9 novembre 2020| n. 31267.
Ai fini della configurabilità del delitto di oltraggio ad un magistrato in udienza, rientrano nell’ambito del legittimo esercizio del diritto di critica le espressioni o gli apprezzamenti che investono la legittimità o l’opportunità del provvedimento in sè considerato, non invece quelli rivolti alla persona del magistrato. (Nella specie la Corte ha ritenuto integrato il reato nella condotta dell’avvocato che, in aula, aveva apostrofato il giudice di pace con espressioni denigratorie delle sue qualità personali e della funzione dallo stesso esercitata).
Sentenza|9 novembre 2020| n. 31267
Data udienza 14 settembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Oltraggio a magistrato d’udienza ex art. 343 cp – Distruzione di atti veri ex art. 490 cp – Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici ex art. 476 cp – Scriminante della reazione ad atti arbitrari del giudice ex art. 393 bis cp – Presupposti – Scriminante del diritto di critica ex art. 51 cp – Esclusione in caso di insulti verso la persona del magistrato
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PEZZULLO Rosa – Presidente
Dott. ROMANO Michele – Consigliere
Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere
Dott. BRANCACCIO Matilde – rel. Consigliere
Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 03/06/2019 della CORTE APPELLO di LECCE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MATILDE BRANCACCIO;
udito il Sostituto Procuratore Generale Dott. ELISABETTA CENICCOLA che ha concluso per l’inammissibilita’.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d’Appello di Lecce, in riforma della sentenza del Tribunale di Lecce del 1.10.2015, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, ha rideterminato la pena nei confronti di (OMISSIS) nella misura di nove mesi di reclusione relativamente ai reati di cui agli articoli 343 e 490-476 c.p., uniti in continuazione, per aver offeso il giudice di pace, Dott.ssa (OMISSIS), nel corso dell’udienza del 28.2.2012 ed aver sottratto e strappato, contestualmente, un atto del procedimento n. 32/2011 aperto dinanzi allo stesso magistrato (precisamente, una richiesta di provvedimento di anticipazione dell’udienza, depositata dallo stesso (OMISSIS), avvocato in tale causa, gia’ motivata e firmata dal giudice di pace con un diniego, benche’ non ancora registrata).
2. Avverso la decisione dei giudici d’appello propone ricorso l’imputato, tramite il difensore, avv. (OMISSIS), deducendo diversi motivi di censura.
2.1. Il primo argomento eccepito lamenta violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) ed e), per mancata assunzione di una prova decisiva – la testimonianza della Dott.ssa (OMISSIS), praticante dello studio legale del ricorrente, sulla circostanza dell’atteggiamento provocatorio tenuto dal giudice di pace in occasione dei reati – e carenza di motivazione sul motivo d’appello relativo al rigetto dell’istanza di ascoltare la teste predetta.
2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge per la mancata applicazione della causa di non punibilita’ prevista dall’articolo 393-bis c.p. alla fattispecie di reato contestata all’imputato, prevista dall’articolo 343 c.p..
Non convince la difesa, infatti, la motivazione della Corte d’Appello secondo cui l’eventuale, non dimostrato, comportamento scortese del giudice di pace non avrebbe potuto comunque configurare la condizione di atteggiamento arbitrario del pubblico ufficiale idonea ad integrare la causa di non punibilita’.
Invero, la Dott.ssa (OMISSIS), a giudizio del ricorrente, ha tenuto un disdicevole comportamento di indifferenza nei riguardi dell’imputato, non rispondendo alle sue domande, mimando il gesto di tapparsi le orecchie con le mani.
Tale gesto, che il giudice di pace ha ritenuto significativo della sua intenzione di indurre l’avvocato (OMISSIS) a interrompere la sua condotta, ha realizzato, invece, un’azione anomala e provocatoria da parte del magistrato onorario, contraria alle norme del codice etico dell’Associazione Nazionale Magistrati ed “arbitraria”, idonea a determinare la reazione esasperata e stizzita dell’imputato.
2.3. La terza ragione di censura evidenza violazione di legge e carenza di motivazione in relazione alla richiesta di valutare la sussistenza della scriminante di cui all’articolo 393-bis c.p. nella sua manifestazione putativa, ai sensi del disposto dell’articolo 59 c.p., comma 4, eccezione formulata sia nella memoria difensiva depositata il 3.6.2019, sia nel corso della discussione orale dinanzi ai giudici d’appello tenuta dal codifensore, avv. (OMISSIS).
Risulta dalle evidenze probatorie che l’imputato era convinto dell’atteggiamento arbitrario del giudice di pace nei suoi riguardi e che, solo per questo, ha pronunciato le espressioni offensive ai suoi danni, sicche’ mancherebbe il dolo del reato di oltraggio ad un magistrato in udienza e sussisterebbe la scriminante putativa, sulla cui configurabilita’ la Corte d’Appello non ha affatto motivato.
2.4. Il quarto motivo di ricorso deduce violazione di legge ed assenza di motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza della scriminante del diritto di critica giudiziaria previsto dall’articolo 51 c.p., anch’esso da configurarsi eventualmente nella sua forma putativa.
L’applicazione di tale scriminante era stata richiesta nella memoria difensiva gia’ citata del 3.6.2019 ed in sede di discussione orale dall’avv. (OMISSIS).
Le espressioni utilizzate dal ricorrente, non infamanti ne’ inutilmente umilianti tanto da concretizzare una aggressione immotivata e gratuita del soggetto criticato, rappresentano invece una mera critica e censura di un provvedimento di rigetto dell’istanza di anticipazione dell’udienza, negato senza motivazione e cui ha fatto seguito un comportamento di riprovevole supponenza da parte del giudice di pace, che non h risposto alla richiesta di spiegazioni dell’avv. (OMISSIS).
2.5. La quinta ragione difensiva si incentra sulla deduzione del vizio di violazione di legge per non aver ritenuto la Corte d’Appello configurabile la causa di esclusione della punibilita’ prevista dall’articolo 131-bis c.p..
Il ricorrente tentava di conferire con il giudice di pace in merito all’istanza, respinta, di anticipazione dell’udienza di trattazione del procedimento che lo vedeva coinvolto come difensore e si e’ visto opporre un atteggiamento respingente, in un contesto in cui non vi era concreto esercizio della funzione giudiziaria, anche perche’ in aula di udienza non vi erano utenti e non si stava celebrando alcun processo.
2.6. Il sesto motivo di ricorso deduce vizio di motivazione manifestamente illogica quanto alla conferma della sentenza di condanna per il reato di falso per soppressione di atto pubblico.
Non e’ emersa la prova certa che il foglio strappato dall’imputato in presenza del giudice fosse quello dell’istanza sulla quale il giudice aveva gia’ provveduto con il rigetto, poiche’ solo successivamente al ricollocamento del fascicolo in cancelleria si e’ verificata la mancanza dell’atto e, dunque, non e’ impossibile che esso fosse stato smarrito gia’ prima che il ricorrente prendesse visione del fascicolo in udienza, cosi’ come non e’ smentita la tesi difensiva secondo cui il foglio strappato fosse quello di una ulteriore istanza di anticipazione d’udienza, che l’avv. (OMISSIS) aveva intenzione di depositare.
Del resto, lo stesso giudice di pace ha dato atto di una discutibile prassi secondo cui ella stessa invitava a sostituire le istanze gia’ depositate quando aveva intenzione di provvedere favorevolmente su di esse.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ inammissibile.
2. La sentenza d’appello da’ ampiamente conto delle argomentazioni che, oltre ogni ragionevole dubbio, hanno portato alla condanna dell’imputato per il reato di oltraggio a magistrato in udienza e per quello di falso per soppressione di atto pubblico.
Il ricorso ripropone sostanzialmente i motivi d’appello e non si confronta con le ragioni del giudice di secondo grado, sia quanto all’irrilevanza delle obiezioni mosse alla ricostruzione dei giudici di merito, sia quanto alla assoluta credibilita’ del racconto del giudice di pace e del funzionario di cancelleria in relazione all’accaduto.
3. Quanto al primo motivo di ricorso, deve ritenersene la manifesta infondatezza ed anche una complessiva genericita’ di formulazione, non avendo il ricorrente evidenziato quali siano le effettive ragioni che lascerebbero propendere per un carattere di decisivita’ della testimonianza della Dott.ssa (OMISSIS), di cui si lamenta la mancata assunzione, anche e soprattutto tenuto conto delle motivazioni spese al riguardo nel provvedimento impugnato.
Ed infatti, la Corte d’Appello argomenta logicamente circa la sufficienza dell’impianto probatorio fornito dalle dichiarazioni del giudice di pace offeso in udienza dall’imputato e da quelle del funzionario di cancelleria, il teste (OMISSIS), soffermandosi anche sulla pacatezza della ricostruzione di quanto accaduto da parte del magistrato onorario, mai spinto da intenti di sopravvalutare il fatto commesso ai suoi danni.
Il funzionario di cancelleria, peraltro, ha pienamente riscontrato la testimonianza della persona offesa, evidenziando come costei sostanzialmente sia rimasta silente ed inerme alle provocazioni ed alle offese verbali dell’imputato, evidentemente per evitare il degenerare ulteriore della discussione.
In tale contesto, l’apporto cognitivo del teste invocato dalla difesa rimane del tutto superfluo: ella avrebbe dovuto riferire su un presunto atteggiamento provocatorio del giudice di pace, gia’ ampiamente smentito da una prova consolidata, attendibile e coerente, da cui si evince che questi non ha sostanzialmente risposto in alcun modo alle intemperanze verbali, e non solo verbali, dell’imputato; inoltre, si aggiunga a cio’ che, i contenuti di tale testimonianza avrebbero avuto un nucleo di percezione marcatamente soggettiva e di opinabilita’, che ne avrebbe comunque minato la valenza nel processo penale.
4. Egualmente manifestamente infondati sono il secondo ed il terzo motivo di censura proposti dal ricorrente, che scolorano e perdono forza dinanzi alla precisa e logica motivazione della Corte d’Appello sull’insussistenza della scriminante ex articolo 393-bis c.p. nel caso di specie, in relazione al reato di cui all’articolo 343 c.p., anche nella sua ipotesi putativa prospettata dalla difesa dell’imputato.
E’ stato evidenziato, dal punto di vista della configurabilita’ oggettiva della scriminante, come, nella fattispecie concreta in esame, non si sia in presenza di un’attivita’ ingiustamente persecutoria del pubblico ufficiale ne’ di un comportamento che fuoriesce del tutto dalle ordinarie modalita’ di esplicazione dell’agire pubblico nei confronti del privato destinatario.
Eventuali scortesi atteggiamenti di non risposta da parte del giudice di pace non sarebbero stati comunque idonei ad integrare la scriminante, come ha correttamente evidenziato la Corte d’Appello, non integrando la condotta tenuta gli estremi di comportamenti ne’ arbitrari ne’ illegittimi, anche perche’ ricollegati, secondo la ricostruzione istruttoria, ad un atteggiamento sempre piu’ parossisticamente stizzito dell’imputato, cui il magistrato ha opposto un silenzio, anche marcato, difensivamente piu’ eloquente di qualsiasi parola e, al tempo stesso, del tutto legittimo.
In proposito, valga ricordare l’orientamento giurisprudenziale che il Collegio condivide secondo cui, quand’anche si fosse provata una condotta meramente illegittima del pubblico ufficiale – e non e’ questa l’ipotesi sottoposta all’esame odierno – essa non sarebbe idonea a configurare la scriminante di cui all’articolo 393-bis c.p., che presuppone il compimento di una ben piu’ significativa attivita’ arbitraria o ingiustamente persecutoria nei confronti del privato, attivita’ che, eccedendo arbitrariamente i limiti delle attribuzioni funzionali del pubblico ufficiale, fuoriesca del tutto dalle ordinarie modalita’ di esplicazione dell’azione demandatagli (cfr. tra le molte, Sez. 6, n. 11005 del 5/3/2020, Nata Salomao, Rv. 278715 cfr. Sez. 6, n. 16101 del 18/03/2016, Bonomi, Rv. 266535; Sez. 5, n. 35686 del 30/05/2014, Olivieri, Rv. 260309): condizioni e presupposti, quelli appena indicati, la cui ricorrenza e’ stata motivatamente esclusa dalla sentenza impugnata.
Neppure e’ riscontrabile, peraltro, nel caso di specie, un’ipotesi di reazione del privato destinatario degli effetti del munus pubblico, strettamente proporzionale all’esigenza di esercitare un proprio diritto, reazione che, invece, secondo un’opzione di ancora maggior apertura riguardo alla configurabilita’ della scriminante in parola, ne dischiuderebbe l’operativita’ di fronte ad un atto arbitrario ed illegittimo del pubblico ufficiale (Sez. 5, n. 2941 del 8/11/2018, dep. 2019, Errabia Raemy, Rv. 275304).
Il ricorrente, infatti, non si e’ affatto limitato o “contenuto” nel suo dire, ma ha ingiustificatamente, ed in misura inaccettabile per il contesto della vicenda ed il ruolo dei protagonisti, aggredito verbalmente la persona del giudice di pace, con offese gratuite, alzando la voce e, inoltre, anche strappando un atto del procedimento civile, tanto che risulta provata anche la sua imputazione per il reato di falso per soppressione.
Tentando una sintesi, si puo’ affermare, pertanto, che, in tema di oltraggio a magistrato in udienza, la configurabilita’ della scriminante ex articolo 393-bis c.p. presuppone il compimento di una attivita’ arbitraria o ingiustamente persecutoria nei confronti del privato, attivita’ che, eccedendo, appunto, arbitrariamente i limiti delle attribuzioni funzionali del pubblico ufficiale, fuoriesca del tutto dalle ordinarie modalita’ di esplicazione dell’azione demandatagli, mentre, in presenza di un atto oggettivamente illegittimo, la reazione del privato destinatario degli effetti del munus pubblico e’ scriminata se strettamente proporzionale all’esigenza di esercitare un proprio diritto. Nella specie, non ricorre nessuna delle condizioni suddette necessarie per ritenere sussistente la scriminante in parola.
4.1. Anche la versione putativa della scriminante, infine, non puo’ essere apprezzata dal Collegio, seguendo gli approdi delle sentenze di merito e in particolare di quella impugnata, dedicata a smontare motivi d’appello costruiti in maniera del tutto analoga a quelli del ricorso per cassazione.
Ed invero, e’ solo la percezione del ricorrente ad aver conferito alla condotta del giudice di pace ed al suo silenzio (accompagnato, secondo la sua ricostruzione, in verita’ isolata, dal gesto anche di non voler ascoltare altro, mimato portando le mani a coprire le orecchie) un senso provocatorio e biasimevole, trascurando la dinamica complessiva delle sue stesse azioni; tale percezione non puo’ certo assurgere a base della sussistenza putativa della scriminante, non essendo fondata su alcun dato obiettivo desumibile dalla piattaforma probatoria, sul punto incontroversa per stessa ammissione dell’imputato, il quale e’ impegnato solo in una lettura smaccatamente soggettiva di quanto accaduto e, per questo, divergente da quella imposta motivatamente e logicamente dalla Corte d’Appello.
5. Il quarto motivo di ricorso e’ anch’esso manifestamente infondato.
Il provvedimento impugnato ha, complessivamente, dimostrato le ragioni dell’esclusione della scriminante, pure invocata dal ricorrente, del diritto di critica giudiziaria ex articolo 51 c.p., non potendosi ritrovare nelle frasi da questi profferite all’indirizzo della persona offesa una tale intenzione, che, a determinate condizioni di manifestazione del pensiero, avrebbe potuto essere legittima, ma anzi una vera e propria offesa personale del giudice.
La frase in contestazione, pronunciata dall’imputato, – “lei in questi ultimi tempi e’ intrattabile, una cosa vergognosa, neanche i magistrati togati si comportano cosi’; chi si crede di essere, lei non e’ nessuno” – evidenzia, infatti, un intento denigratorio fine a se’ stesso e quasi discriminatorio, operando una distinzione implicita, per importanza, tra giudici onorari e giudici togati, finendo, cosi’ per rappresentare un mero insulto alle qualita’ della vittima, in cui la critica del suo operato sfuma in un mero pretesto per un attacco personale.
Si ribadisce, pertanto, rispetto alla fattispecie appena evidenziata, il principio secondo cui, ai fini della configurabilita’ del delitto di oltraggio a magistrato in udienza, rientrano nell’ambito del legittimo esercizio del diritto di critica le espressioni o gli apprezzamenti che investono la legittimita’ o l’opportunita’ del provvedimento in se’ considerato, non invece quelli rivolti alla persona del magistrato (Sez. 6, n. 20085 del 26/4/2011, Prencipe, Rv. 250070; Sez. 6, n. 21112 del 23/3/2004, Perniciaro, Rv. 228817).
6. Il quinto motivo di ricorso e’ manifestamente infondato e generico poiche’ non si confronta, se non apparentemente, con la motivazione utilizzata dalla Corte d’Appello per respingere la richiesta di applicazione della causa di esclusione della punibilita’ della particolare tenuita’ del fatto.
Il Collegio evidenzia, invece, la logicita’ e la coerenza argomentativa delle ragioni indicate dai giudici di secondo grado per negare l’applicabilita’ dell’articolo 131-bis c.p. nel caso di specie, tenuto conto del complessivo disvalore del fatto, che ricomprende non soltanto l’offensivita’ peculiare derivata dal contesto di realizzazione della condotta di reato, ma necessariamente anche la contestuale distruzione di un atto pubblico dal contenuto sfavorevole da parte dell’imputato, che ha reso tutto quanto accaduto particolarmente grave.
Dinanzi a tale argomentazione, risulta inconferente il richiamo difensivo, nuovamente, all’atteggiamento “respingente” del giudice di pace, che avrebbe provocato la reazione dell’imputato, ed irrilevante, invece, il dato che il magistrato non stesse celebrando alcun processo nel momento in cui e’ stato investito dall’aggressione verbale del ricorrente, ne’ vi fossero nella sua aula altri utenti, non essendovi dubbio che si stesse tenendo udienza, cui, appunto, partecipava il (OMISSIS).
7. Infine, l’ultimo motivo di censura e’ inammissibile perche’ formulato in fatto e, quindi, sottratto al sindacato di legittimita’.
Si rammenta, infatti, che l’orizzonte di verifica di questa Corte di legittimita’ e’ circoscritto alla ricerca di vizi logici ed argomentativi della sentenza, direttamente da essa desumibili nel confronto con i principi dettati dal diritto vivente per l’interpretazione delle norme applicate, sicche’ risultano insindacabili profili ricostruttivi della prova e della versione dei fatti articolata dai giudici di merito, in assenza di vizi di manifesta illogicita’ della motivazione ovvero di profili di travisamento della prova, al fine di proporre una mera ricostruzione alternativa dei fatti (cfr. ex multis Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, Rv. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 vedi anche Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; cfr. altresi’ ovvero (Sez. 2, n. 30918 del 7/5/2015, Falbo, Rv. 264441).
Nel caso di specie, la ricostruzione della vicenda svolta dai giudici di merito, anche sotto il profilo della sussistenza del reato di falso per soppressione, e’ logica ed ineccepibile: siti atto di come un documento presente nel fascicolo del procedimento consegnato all’imputato per poter coltivare la sua difesa fosse stato poi, una volta riconsegnato il fascicolo, non piu’ rinvenuto al suo interno e di come, nelle more, il ricorrente avesse platealmente strappato in udienza, dinanzi al giudice di pace con cui aveva avuto l’alterco che ha poi dato luogo all’imputazione ex articolo 343 c.p., un’istanza che egli stesso riferiva al contenuto dell’atto poi risultato scomparso.
La tesi su cui ha investito la Corte d’Appello si fonda sulle dichiarazioni del giudice di pace e del funzionario di cancelleria; il giudice ha riferito di aver sentito proprio il ricorrente far riferimento all’atto con apposto il provvedimento di rigetto che tanta reazione negativa aveva provocato nel difensore, mentre strappava il foglio alla sua presenza e, subito dopo tale azione delittuosa, si e’ accertato che il cancelliere non ha piu’ ritrovato all’interno del fascicolo l’istanza rigettata, sebbene non ancora registrata. A tal proposito, deve evidenziarsi l’irrilevanza del mancato inserimento dell’atto nell’indice registrato del fascicolo, ai fini della sua qualifica di atto del procedimento, essendo stato esso, in ogni caso, gia’ oggetto di deposito.
Altrettanto irrilevante e’ il peso della prassi riferita dal ricorrente a sua giustificazione e riferita al fatto che il giudice di pace non provvedesse di solito in senso negativo sulle istanze ed invitasse gli avvocati a ridepositarle quando convinta di doverle poi accogliere.
Da ultimo, del tutto frutto di un’illazione difensiva, priva di dimostrazione alcuna, e’ la tesi alternativa formulata dal ricorrente secondo cui egli avrebbe strappato una nuova, ulteriore istanza di rinvio, non ancora deposita nel procedimento e non quella poi “scomparsa”.
8. Alla declaratoria d’inammissibilita’ del ricorso segue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonche’, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilita’ (cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000), al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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