Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|26 febbraio 2024| n. 5102.
Decisione di merito e Pluralità di ragioni singolarmente idonee a sorreggerla
Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa. (In applicazione del principio la S.C., stante l’inammissibilità del motivo di ricorso con cui veniva censurata una delle due motivazioni della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in ragione della mancata localizzazione della sentenza di primo grado su cui si fondava, ha dichiarato altresì inammissibili gli altri motivi aventi ad oggetto la motivazione alternativa).
Ordinanza|26 febbraio 2024| n. 5102. Decisione di merito e Pluralità di ragioni singolarmente idonee a sorreggerla
Data udienza 14 settembre 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Impugnazioni civili – Cassazione (ricorso per) – Motivi del ricorso – In genere decisione di merito – Pluralità di ragioni singolarmente idonee a sorreggerla – Ricorso fondato su più censure – Rigetto delle censure relative ad una delle rationes decidendi – Conseguenze – Inammissibilità delle altre – Sussistenza – Fondamento – Fattispecie.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Rel. Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 25302-2020 proposto da:
(…) Srl, in persona del legale rappresentante, amministratore unico “pro tempore”, elettivamente domiciliata in Roma, (…), presso lo studio dall’Avvocato Cl. MA., che la rappresenta e difende unitamente all’Avvocato Ma. GI.;
– ricorrente –
contro
Al.Gi., Zu.Ma., Zu.Ma., Qu.In.;
– intimati –
Avverso la sentenza n. 3156/2020 della Corte d’appello di Roma, depositata il 01/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 14/09/2023 dal Consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI.
Decisione di merito e Pluralità di ragioni singolarmente idonee a sorreggerla
FATTI DI CAUSA
1. La società (…) Srl (d’ora in poi, “(…)”) ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 3156/20, del 1 luglio 2020, della Corte d’appello di Roma, che – accogliendo il gravame esperito avverso la sentenza n. 1933/11, del Tribunale di Latina, dagli eredi di Al.Gi., ovvero Gi.Al., Zu.Ma., Pa.Zu., quale esercente la responsabilità genitoriale nei confronti di Zu.Ma., e Qu.In. – ha dichiarato gli appellanti non tenuti a rispettare, a norma dell’art. 2923, comma 3, cod. civ., il contratto di locazione stipulato dalla società (…) in relazione ad alcuni terreni in località P, dei quali il predetto Al.Gi. si era reso aggiudicatario all’esito di procedura esecutiva.
2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di essere stata convenuta in giudizio da Al.Gi., il quale agiva sul duplice presupposto che la creditrice esecutante aveva visto accogliere, in prime cure, la propria domanda ex art. 2901 cod. civ. in relazione al contratto di locazione ultranovennale concluso, nel 1999, tra la debitrice esecutata ed essa società (…), ed inoltre che il canone di locazione risultava inferiore a quanto previsto dall’art. 2923, comma 3, cod. civ.
Il primo giudice, tuttavia, rigettava la domanda, sul rilievo che, per un verso, la decisione di accoglimento dell’azione revocatoria esperita dalla (…) era stata riformata in appello, nonché, per altro verso, che non fosse stata raggiunta la prova che il prezzo della locazione fosse inferiore almeno di un terzo a quello “giusto”, sì da rendere la stessa inopponibile all’aggiudicatario ai sensi del già citato comma 3 dell’art. 2923 cod. civ.
Su gravame degli eredi di Al.Gi., tuttavia, la pronuncia del primo giudice veniva riformata in appello, ritenendosi idonea a dimostrare la carenza del giusto prezzo la perizia di parte già allegata da parte attrice, in assenza di contestazioni in ordine alle sue risultanze.
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3. Avverso la sentenza della Corte capitolina ha proposto ricorso per cassazione la società (…), sulla base – come detto – di tre motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione di norme di diritto in punto di prova nel processo civile, in relazione agli artt. 2697, 2727, 2729 e 2923, comma 3, cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata là dove afferma che la parte già attrice aveva “offerto un principio presuntivo in merito all’insufficienza del corrispettivo pattuito con la locazione”, e ciò “avendo depositato una “Relazione di stima””, documento dal quale emergeva che “il prezzo medio di mercato per l’affitto di terreni simili a quello oggetto di stima oscilla da un minimo di Euro 650,00 a un massimo di Euro 950,00 ad ettaro, con una media di Euro 800,00 per ettaro”, sicché il canone di Euro 272,50 per ettaro “non appare giusto”. Soggiungeva, poi, la Corte territoriale che, sebbene il documento in questione costituisse “una relazione di parte”, l’allora convenuta, nel costituirsi in giudizio, “non solo non ha offerto elementi tecnici di segno diverso, ma non ha svolto considerazioni di sorta in merito all’elaborato prodotto da parte attrice”.
Così argomentando, tuttavia, la sentenza impugnata avrebbe, innanzitutto, disatteso l’art. 2697 cod. civ., a norma del quale è l’attore che deve provare i fatti che costituiscono fondamento della propria pretesa, non potendo, dunque, rilevare la circostanza che la parte convenuta non abbia “offerto elementi tecnici di segno diverso” rispetto a quelli risultanti dalla relazione tecnica suddetta.
Che tale documento, poi, non fosse idoneo a comprovare che il canone pattuito fosse inferiore di un terzo al “giusto prezzo”, sarebbe confermato dallo stesso contegno processuale di parte attrice, che aveva chiesto procedersi allo svolgimento di una CTU.
Erronea, inoltre, sarebbe la qualificazione della relazione come “principio presuntivo”, e ciò perché – a norma dell’art. 2729, comma 2, cod. civ. – le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testi, casi tra i quali va annoverato anche quello della testimonianza su elementi di natura tecnica.
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D’altra parte, quella in esame non risulta neppure una consulenza tecnica di parte, ma una semplice allegazione difensiva, donde l’impossibilità di riconnettervi qualsiasi efficacia probatoria, e ciò anche in ragione del fatto che ben due consulenze d’ufficio – l’una espletata nella procedura esecutiva, l’altra nei già citato giudizio ex art. 2901 cod. civ. promosso dalla (…) – avevano valutato del tutto congruo il canone pagato da (…), rispetto a quelli rilevati nella zona di appartenenza dell’immobile.
3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione di norme di diritto in punto di valutazione della prova nel processo civile, in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
La ricorrente non solo assume che, nel caso di specie, non sarebbero state poste alla base della decisione “prove proposte dalle parti”, ma censura anche l’erroneità del rilievo secondo cui la convenuta, non contestando la perizia di parte, avrebbe reso applicabile, nei propri confronti, il principio di non contestazione.
Tale principio, infatti, opera – sottolinea la ricorrente – solo in relazione ai “fatti” allegati dalla controparte, rimanendo, pertanto, estranea alla sua applicazione una mera “allegazione difensiva”, qual è, appunto, una relazione di parte.
Il tutto, peraltro, non senza osservare – conclude sul punto la ricorrente – come essa (…), nel costituirsi in appello, avesse contestato e replicato in merito alla predetta allegazione, donde l’impossibilità di fare riferimento al principio di non contestazione, peraltro pure applicato, irritualmente, “ex officio” dalla Corte capitolina.
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Quanto alla violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., secondo cui il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, “salvo che la legge disponga altrimenti”, la ricorrente assume come, nella specie, sia proprio la legge a disporre che la relazione di parte non valga come prova, ma quale mera allegazione difensiva.
3.3. Il terzo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione di norme di diritto in punto di requisiti per l’applicazione di quanto statuito dall’art. 2923, comma 3, cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata là dove afferma che anche il primo giudice aveva “ritenuto che le valutazioni espresse dal tecnico di parte fossero in sé attendibili”, tuttavia discostandosene, sul presupposto che i rilievi fossero “riferiti alla data del 2008”.
Nega, per contro, la ricorrente che il Tribunale di Latina abbia mai ritenuto minimamente attendibili le valutazioni contenute nella suddetta relazione di parte, sicché la decisione resa in prime cure “è stata immune da vizi di sorta”.
4. Sono rimasti solo intimati gli eredi di Al.Gi..
5. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
6. Parte ricorrente ha depositato memoria.
7. Non consta, invece, la presentazione di conclusioni scritte da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
8. Il ricorso è inammissibile.
8.1. Dalla lettura della sentenza impugnata emerge che il giudice d’appello ha affermato – fornendo, così, una motivazione alternativa (come evidenzia l’uso, a pag. 5, dell’espressione “del resto”) a quella qui fatta oggetto dei primi due motivi di ricorso – che il giudice di prime cure aveva ritenuto “in sé attendibili” le valutazioni contenute nella perizia di parte, salvo però esso stesso discostarsene, sul rilievo che tali valutazioni risalissero al 2008. Dopo di che, la Corte capitolina ha giustificato il dissenso dal Tribunale di Latina con la motivazione enunciata nella terza proposizione della medesima pag. 5 della pronuncia qui in esame, ovvero sottolineando che, attraverso “la devalutazione dell’importo indicato nella Relazione di stima in atti alla data del 1999 e sia pure tenendo conto del valore più basso indicato dal dr. Agr. Gi.Ca., l’oscillazione che ne deriva (anche sulla base di nozioni di comune esperienza), consente, comunque, di ritenere che il canone previsto dal contratto di locazione, pari a Euro 272,50 per ettaro, sia inferiore di un terzo a quello giusto”.
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Orbene, anche questa motivazione è stata fatta oggetto di censura, in particolare con il terzo motivo della presente impugnazione, il quale, però, risulta inammissibile. Esso, infatti, si fonda sul contenuto della sentenza di primo grado, che viene riprodotto, senza però provvedere a localizzare, in questo giudizio di legittimità, la sentenza stessa, e ciò in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6) cod. proc. civ.
Difatti, la norma suddetta, che impone “l’indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda”, va inteso nel senso che “indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicché la mancata “localizzazione” del documento basta per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, senza necessità di soffermarsi sull’osservanza del principio di autosufficienza dal versante “contenutistico”” (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 10 dicembre 2020, n. 28184, Rv. 660090-01).
Consolidandosi, per tale ragione, la motivazione fatta oggetto del terzo motivo di ricorso (alternativa, come detto, rispetto a quella censurata con i primi due motivi e basata sulla valenza di “elemento presuntivo” della relazione di stima, e comunque sulla sua “non contestazione”), tanto basta a determinare l’inammissibilità dell’intero ricorso. Invero, le questioni oggetto dei primi due motivi di ricorso non possono essere esaminate, perché, quand’anche fossero fondate, ciò non impedirebbe alla sentenza di passare in giudicato sulla motivazione alternativa, non idoneamente censurata con il terzo motivo. Va, infatti, dato seguito al principio secondo cui, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza, o inammissibilità, delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. Sez. 5, ord. 11 maggio 2018, n. 11493, Rv. 648023-01; in senso analogo già Cass. Sez. Un., sent. 29 marzo 2013, n. 7931, Rv. 625631-01; Cass. Sez. 3, sent. 14 febbraio 2012, n. 2108, Rv. 621882-01).
Decisione di merito e Pluralità di ragioni singolarmente idonee a sorreggerla
9. Nulla va disposto in relazione alle spese del presente giudizio di legittimità, essendo rimasti solo intimati l’Gi.Al., gli Zu. e la Qu..
10. A carico della ricorrente, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 14 settembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2024.
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