Corte di Cassazione, civile, Sentenza|8 luglio 2022| n. 21781.
Datore di lavoro e la prova in ordine le ferie annuali retribuite
E’ il datore di lavoro il soggetto tenuto a provare di avere adempiuto al suo obbligo di concedere le ferie annuali retribuite. Pertanto, la perdita del diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro può verifi-carsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova: di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie e di averlo avvisato – in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte – del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato.
Sentenza|8 luglio 2022| n. 21781. Datore di lavoro e la prova in ordine le ferie annuali retribuite
Data udienza 12 aprile 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Pubblico impiego – Contratti di collaborazione coordinata e continuativa – Natura subordinata del rapporto di lavoro – Danno comunitario – Riconoscimento – Sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 5072/2016 – Principi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere
Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19033-2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
REGIONE ABRUZZO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 57/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 21/01/2016 R.G.N. 82/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/04/2022 dal Consigliere Dott.ssa SPENA FRANCESCA;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA MARIO visto il Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
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FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza del 21 gennaio 2016, decidendo sugli appelli proposti da entrambe le parti di causa avverso le sentenze non definitiva e definitiva del Tribunale della stessa sede:
– confermava l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso dal dicembre 2002 al novembre 2010 tra (OMISSIS) e la REGIONE ABRUZZO in forza di una serie di contratti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui alcuni formalmente conclusi con ARIT e la condanna della REGIONE ABRUZZO al pagamento delle differenze di retribuzione;
– confermava il rigetto delle domande della (OMISSIS) di pagamento della indennita’ L. n. 183 del 2010, ex articolo 32, comma 5, di risarcimento del danno e di pagamento del controvalore dei buoni pasto;
– in riforma delle sentenze impugnate, detraeva dall’importo delle differenze di retribuzione liquidate dal Tribunale quanto calcolato per indennita’ sostitutiva delle ferie e dei permessi non goduti.
2. Per quanto ancora in discussione, la Corte territoriale riteneva corretta la sentenza del Tribunale laddove aveva detratto l’importo rivendicato dalla lavoratrice a titolo di buoni pasto, non risultando allegata e dimostrata la rinuncia alla pausa per il pranzo, in maniera funzionale all’assolvimento di un servizio continuativo imposto dalla amministrazione. Infatti i buoni pasto, a prescindere dalla loro natura, erano legati alla protrazione dell’orario di lavoro con modalita’ determinate mentre la lavoratrice non aveva fornito alcuna prova dei tempi e delle modalita’ con le quali la prestazione si sarebbe protratta in orario pomeridiano. Tutti i testi escussi, pur sostenendo la indispensabilita’ della presenza dei collaboratori, non avevano indicato l’orario dai
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medesimi osservato, avendo dichiarato che non avevano un vincolo di orario.
3. Il giudice dell’appello accoglieva l’impugnazione della REGIONE ABRUZZO in relazione ai compensi riconosciuti dal Tribunale per indennita’ sostitutiva delle ferie e dei permessi non goduti.
4. Riteneva essere a carico del lavoratore l’onere di provare l’avvenuta prestazione lavorativa nei giorni destinati alle ferie (Cass. n. 10701/2015), onere che nella specie non era stato assolto. Aggiungeva che nessuna prova era stata acquisita in ordine all’ulteriore presupposto richiesto dalla giurisprudenza della Suprema Corte ovvero il fatto che il mancato godimento delle ferie fosse stato cagionato da eccezionali e motivate esigenze di servizio o da causa di forza maggiore (Cass. n. 879/2015 e 4855/2014).
5. La Corte territoriale respingeva l’appello proposto dalla lavoratrice.
6. Quanto al pagamento dell’indennita’ di cui alla L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, osservava che detta indennita’ si riferiva ai casi di conversione del contratto a termine mentre nella specie la domanda di conversione non poteva essere accolta, ostandovi il D.Lgs n. 165 del 2001, articolo 36, comma 5. Neppure poteva essere accolta la domanda di risarcimento di danni ulteriori, per mancanza di specifica allegazione e di prova.
7. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza (OMISSIS), articolato in quattro motivi di censura, cui la REGIONE ABRUZZO ha resistito con controricorso.
8. Il giudizio gia’ fissato per la trattazione ex articolo 380 bis c.p.c., in relazione alla quale le parti depositavano memoria, e’ stato rimesso alla sezione ordinaria con ordinanza del 14 giugno 2018, ai sensi del suddetto articolo 380 bis c.p.c., u.c., ed avviato alla trattazione in camera di consiglio, per la quale le parti hanno depositato nuova memoria.
9. Con ordinanza del 28 ottobre 2021 la causa e’ stata rinviata a nuovo ruolo per la fissazione della udienza pubblica.
10. Il PG ha depositato conclusioni scritte, chiedendo accogliersi i primi tre motivi di ricorso e dichiararsi inammissibile il quarto.
11. La ricorrente ha depositato ulteriore memoria.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 36 e della L. 4 novembre 2010, n. 183, articolo 32, censurandosi il rigetto della domanda di risarcimento del danno.
2. In via gradata, la parte ricorrente ha sollevato eccezione di incostituzionalita’ del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, se interpretato nel senso indicato dalla Corte di merito, per violazione dell’articolo 3 Cost..
3. Il motivo e’ fondato.
4. La questione di causa, concernente il regime applicabile ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa conclusi dalla pubblica amministrazione di cui sia stata accertata in giudizio la natura di fatto subordinata, e’ stata gia’ esaminata da questa Corte con l’arresto dell’8 maggio 2018 n. 10591, cui si intende in questa sede assicurare continuita’.
5. Si e’ ivi affermato che il principio enunciato dalle Sezioni Unite con la sentenza del 15 marzo 2016 n. 5072- relativo alla presunzione del danno “comunitario” derivante dalla abusiva reiterazione di contratti a termine- deve trovare applicazione anche nell’ipotesi di reiterazione, mediante proroga o rinnovo, di rapporti che, sebbene formalmente qualificati di collaborazione, si siano svolti nelle forme tipiche del lavoro subordinato, a condizione che il lavoratore abbia allegato la illegittimita’ degli stessi anche in ragione del carattere abusivo della reiterazione del termine.
6. Tale conclusione si fonda sul rilievo che, per costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro non ha valenza dirimente il nomen iuris utilizzato dalle parti, dovendo piuttosto considerarsi le concrete modalita’ di svolgimento del rapporto, da cui e’ ricavabile la loro volonta’ effettiva; pertanto, ove per il rapporto, di fatto subordinato, sia stato previsto un termine finale, lo stesso dovra’ essere sussunto nella fattispecie del lavoro subordinato a tempo determinato, con applicazione della relativa disciplina e con la conformazione del diritto interno al diritto dell’Unione in caso di abuso derivante dalla successione di rapporti a termine.
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7. Nella specie, e’ pacifico che la parte ricorrente aveva agito non solo per il pagamento delle differenze di retribuzione ma anche per il risarcimento del danno derivante dalla illegittima apposizione del termine ai plurimi contratti di lavoro.
8. La Corte territoriale- dopo avere confermato l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro compiuto dal Tribunale e dopo avere altresi’ accertato che “la reiterazione per anni degli incarichi temporanei di collaborazione esterna, senza soluzione di continuita’ e per lo svolgimento delle medesime funzioni, e’ da reputarsi senza dubbio indicativa dell’esigenza di sopperire ad una perdurante carenza di organico e, quindi, di far fronte al fabbisogno ordinario di personale…” (pagina 8 della sentenza impugna, in fine)- ha dunque erroneamente respinto la domanda di risarcimento del danno, sul rilievo che la L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, non e’ applicabile in assenza di conversione del rapporto a tempo indeterminato.
9.Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 – l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti nonche’ – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4 – la violazione dell’articolo 115 c.p.c. e la nullita’ della sentenza, impugnando la statuizione di carenza di prova della mancata fruizione delle ferie e dei permessi.
10. Sotto il primo profilo, ha esposto esservi prova documentale che il diritto alle ferie era stato riconosciuto in misura inadeguata o del tutto negato: nel primo contratto di collaborazione, formalmente concluso con ARIT, del 2 dicembre 2002, era stato previsto un periodo di ferie di giorni 15 ed un monte di giorni 4 di riposi; nei contratti successivi il diritto alle ferie era stato espressamente escluso.
11. Quanto alla dedotta violazione dell’articolo 115 c.p.c., ha evidenziato che la REGIONE ABRUZZO non aveva mai contestato la allegazione, svolta sin dal ricorso introduttivo, secondo la quale le ferie godute non erano state superiori a quindici giorni annui sicche’ correttamente il Tribunale aveva commisurato a 17 giorni anni complessivi l’indennita’ per ferie e permessi non goduti (13 giorni per ferie non godute, rispetto ai 28 giorni di ferie contrattuali
e 4 giorni per permessi).
12. Ha aggiunto che nell’atto di appello la REGIONE si era limitata a dedurre la assenza di prova della mancata fruizione dei permessi.
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13. Il motivo e’ fondato.
14. La censura- seppure proposta in termini di vizio della motivazione e di violazione del principio di non contestazione- investe questa Corte della questione relativa alla distribuzione ed ai contenuti dell’onere della prova ai fini dell’esercizio del diritto del lavoratore ad una indennita’ economica sostitutiva delle ferie non godute al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
15. Il giudice dell’appello, richiamando giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 10701/2015; Cass. n. 8791/2015 e Cass. n. 4855/2014), ha affermato essere a carico del lavoratore che agisce in giudizio per chiedere la corresponsione della indennita’ sostitutiva delle ferie un duplice onere probatorio, concernente rispettivamente: l’avvenuta prestazione dell’attivita’ lavorativa nei giorni destinati alle ferie; la circostanza che il mancato godimento delle ferie sia stato cagionato da eccezionali e motivate esigenze di servizio o da causa di forza maggiore.
16. Quanto al primo aspetto, la statuizione e’ conforme ad una giurisprudenza piuttosto consolidata di questa Corte, secondo la quale il lavoratore che agisce in giudizio per chiedere la corresponsione dell’indennita’ sostitutiva delle ferie non godute ha l’onere di provare l’avvenuta prestazione di attivita’ lavorativa nei giorni ad esse destinati, atteso che l’espletamento di attivita’ lavorativa in eccedenza rispetto alla normale durata del periodo di effettivo lavoro annuale si pone come fatto costitutivo dell’indennita’ suddetta, mentre incombe al datore di lavoro l’onere di fornire la prova del relativo pagamento (tra le altre, Cassazione civile sez. lav., 26 maggio 2020 n.9791; sez. lav. 06 aprile 2020, n. 7696 e giurisprudenza ivi citata).
17. Non sono mancati, tuttavia, arresti di questa Corte in senso contrario, essendosi affermato che la prova del godimento delle ferie, che costituiscono diritto irrinunciabile del lavoratore, deve essere fornita, in base ai principi generali dell’onere probatorio, dal datore di lavoro (Cassazione civile sez. lav., 24 ottobre 2000, n. 13980) e, nel medesimo senso, che, poiche’ il godimento delle ferie costituisce un obbligo contrattuale del datore di lavoro, e’ quest’ultimo che ha l’onere di provare, ex articolo 2697 c.c., comma 2, l’adempimento ovvero l’offerta di adempimento (Cassazione civile sez. lav. 14 giugno 2018, n. 15652).
18. Anche in ordine all’onere di provare le ragioni di servizio ostative del godimento delle ferie, questa Corte si e’ espressa nel senso che nel rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il mero fatto del mancato godimento delle ferie non da’ titolo ad un corrispondente ristoro economico se l’interessato non prova che esso e’ stato cagionato da eccezionali e motivate esigenze di servizio o da cause di forza maggiore (in tal senso, tra le altre, Cass. 30 luglio 2018 n. 20091; Cass. n. 4855/2014).
19. In altre pronunce si e’ operato un riparto parzialmente diverso dell’onere probatorio, affermandosi che la domanda di pagamento dell’indennita’ sostitutiva delle ferie non godute ha come fatti costitutivi il mancato godimento delle ferie e la cessazione del rapporto di lavoro mentre costituisce un’ eccezione l’esistenza del potere in capo al lavoratore di auto-organizzare i propri periodi di ferie- come potrebbe derivare dalla posizione di dirigente- ed infine e’ oggetto di un ulteriore fatto costitutivo, pur in presenza di tale potere di auto-organizzare le ferie, l’impossibilita’ di fruirne per esigenze di servizio (Cass. sez. VI, 20 gennaio 2022 n. 1730)
20. Peraltro occorre dar conto della successiva disposizione legislativa di cui al Decreto Legge 6 luglio 2012, n. 95, conv. con mod. in L. 7 agosto 2012, n. 135, articolo 5, comma 8 – seppur non applicabile ratione temporis ai fatti di causa- secondo la quale le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione sono obbligatoriamente fruiti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi (anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilita’, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di eta’).
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21. Con l’ordinanza interlocutoria del 28 ottobre 2021, nel disporre la trattazione della presente causa in pubblica udienza, e’ stata gia’ evidenziata la necessita’ di una interpretazione del diritto interno conforme ai principi enunciati dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, in merito al diritto del lavoratore alle ferie retribuite ed alla corrispondente indennita’ sostitutiva, con le tre sentenze della grande sezione del 6 novembre 2018 (in cause riunite C-569 e C-570/2016 STADT WUPPERTAL; in causa C-619/2016 SEBASTIAN W. KREUZIGER; in causa C- 684/2016 MAX PLANCK)
22. In sintesi, la interpretazione del diritto dell’Unione ivi enunciata e’ nel senso che:
– L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale recante modalita’ di esercizio del diritto alle ferie annuali retribuite che comprenda finanche la perdita del diritto in questione allo scadere del periodo di riferimento o di un periodo di riporto, purche’, pero’, il lavoratore che ha perso il diritto alle ferie annuali retribuite abbia effettivamente avuto la possibilita’ di esercitare questo diritto che tale direttiva gli conferisce (sentenza cit. punto 35);
– E’ necessario assicurarsi che l’applicazione di simili norme nazionali non possa comportare l’estinzione dei diritti alle ferie annuali retribuite maturati dal lavoratore laddove quest’ultimo non abbia effettivamente avuto la possibilita’ di esercitarli (sent. cit. punto 38);
– Sebbene il rispetto dell’obbligo derivante, per il datore di lavoro, dall’articolo 7 della direttiva 2003/88 non puo’ estendersi fino al punto di costringere quest’ultimo ad imporre ai suoi lavoratori di esercitare effettivamente il loro diritto a ferie annuali retribuite, resta il fatto che il datore di lavoro deve, per contro, assicurarsi che il lavoratore sia messo in condizione di esercitare tale diritto (sent. cit. punto 44);
– A tal fine, il datore di lavoro e’ segnatamente tenuto ad assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia effettivamente in grado di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo e nel contempo informandolo – in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo e il relax cui esse sono volte a contribuire – del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato o, ancora, alla cessazione del rapporto di lavoro se quest’ultima si verifica nel corso di un simile periodo (sent. cit., punto 45 e sentenza SEBASTIAN W. KREUZIGER, punto 52).
– L’onere della prova, in proposito, incombe al datore di lavoro; ove quest’ultimo non sia in grado di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinche’ il lavoratore fosse effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto, si deve ritenere che l’estinzione del diritto a tali ferie e, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il correlato mancato versamento di un’indennita’ finanziaria per le ferie annuali non godute violino, rispettivamente, l’articolo 7, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 (sent. MAX PLANK, punto 46).
– Se, invece, detto datore di lavoro e’ in grado di assolvere l’onere probatorio gravante sul medesimo a tale riguardo, e risulti quindi che il lavoratore, deliberatamente e con piena cognizione delle conseguenze che ne sarebbero derivate, si e’ astenuto dal fruire delle ferie annuali retribuite dopo essere stato posto in condizione di esercitare in modo effettivo il suo diritto alle medesime, l’articolo 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2003/88 non osta alla perdita di tale diritto ne’, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, alla correlata mancanza di un’indennita’ finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute (sent. MAX PLANCK, punto 47).
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– Il diritto ad un periodo di ferie annuali retribuite trova origine non gia’ nell’articolo 7 della direttiva 2003/88 (e nell’articolo 7 della direttiva 93/104) ma in vari atti internazionali e riveste natura imperativa, in quanto principio essenziale del diritto sociale dell’Unione; tale principio essenziale comprende il diritto alle ferie annuali retribuite ed il diritto, intrinsecamente collegato al primo, ad una indennita’ finanziaria per le ferie annuali non godute al momento della cessazione del rapporto di lavoro (sent. MAX PLANCK, punto 72)
– L’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, disponendo che ogni lavoratore ha diritto a ferie annuali retribuite riflette il principio essenziale del diritto sociale dell’Unione e riveste carattere allo stesso tempo imperativo e incondizionato (sentenza cit., punto 74);
– L’articolo 31, paragrafo 2, della Carta comporta quindi, in particolare, la conseguenza- in relazione alle situazioni che rientrano nel campo di applicazione della medesima- che il giudice nazionale deve disapplicare (anche nei confronti dei datori di lavoro che hanno la qualita’ di privati) una normativa nazionale contrastante con il principio secondo cui il lavoratore non puo’ essere privato di un diritto maturato alle ferie annuali retribuite allo scadere dell’anno di riferimento e/o di un periodo di riporto fissato dal diritto nazionale se detto lavoratore non e’ stato in condizione di fruire delle proprie ferie, o, correlativamente, essere privato del beneficio dell’indennita’ finanziaria sostitutiva al termine del rapporto di lavoro, in quanto diritto intrinsecamente collegato a detto diritto alle ferie annuali “retribuite”. Ai sensi della medesima disposizione, non e’ neppure consentito ai datori di lavoro appellarsi all’esistenza di una normativa nazionale siffatta al fine di sottrarsi al pagamento di tale indennita’ finanziaria, pagamento al quale sono tenuti in forza del diritto fondamentale garantito dalla suddetta disposizione (punto 75 sent. cit.)
– Il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite implica, per sua stessa natura, un corrispondente obbligo in capo al datore di lavoro, ossia quello di concedere tali ferie retribuite o un’indennita’ per le ferie annuali retribuite non godute alla cessazione del rapporto di lavoro (punto 79, sent. cit).
23. Questa Corte (Cass. sez. lav. 2 luglio 2020 n. 13613) si e’ gia’ confrontata con i principi enunciati dal giudice dell’Unione ed ha affermato che nel pubblico impiego privatizzato, anche in caso di qualifica dirigenziale- (nella specie esaminata, si trattava di dirigente medico del SSN con incarico di direzione di struttura complessa)- il dipendente ha diritto all’indennita’ sostitutiva delle ferie non godute alla cessazione del rapporto di lavoro, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo messo nelle condizioni di esercitare il diritto alle ferie annuali retribuite mediante un’adeguata informazione (nonche’, se del caso, invitandolo formalmente a farlo) nel contempo rendendolo edotto, in modo accurato ed in tempo utile, della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie retribuite ed alla corrispondente indennita’ sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro.
24. Deve parimenti richiamarsi l’ordinanza di Cass. sez. lav. 5 maggio 2022 n. 14268; ivi, nell’esaminare la disciplina di legge e di contratto collettivo delle ferie dei docenti a termine della scuola, si e’ affermato che in nessun caso il docente potrebbe perdere il diritto alla indennita’ sostitutiva delle ferie se non dopo essere stato invitato dal datore di lavoro a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie ed alla indennita’ sostitutiva.
25. Si e’ aggiunto che siffatte condizioni possono essere ricondotte in via interpretativa al testo del Decreto Legge n. 95 del 2012, articolo 5, comma 8, in quanto esse costituiscono il presupposto della imputabilita’ al lavoratore del mancato godimento delle ferie; la Corte Costituzionale (sentenza Corte Cost. 6 maggio 2016, n.95) ha gia’ ritenuto che tale imputabilita’ e’ sottesa alla norma di legge.
26. In definitiva, dalla interpretazione del diritto interno in senso conforme al diritto dell’Unione, deriva che:
A) le ferie annuali retribuite costituiscono un diritto fondamentale ed irrinunciabile del lavoratore e correlativamente un obbligo del datore di lavoro; il diritto alla indennita’ finanziaria sostitutiva delle ferie non godute al termine del rapporto di lavoro e’ intrinsecamente collegato al diritto alle ferie annuali retribuite;
B) e’ il datore di lavoro il soggetto tenuto a provare di avere adempiuto al suo obbligo di concedere le ferie annuali retribuite, dovendo sul punto darsi continuita’ al principio da ultimo affermato da Cassazione civile sez. lav. 14 giugno 2018, n. 15652;
C) la perdita del diritto alle ferie ed alla corrispondente indennita’ sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro puo’ verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova: di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie- se necessario formalmente-; di averlo nel contempo avvisato- in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire-del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato.
27. La sentenza impugnata non e’ conforme a tali principi, avendo posto a carico del lavoratore un onere probatorio che non gli compete e che, peraltro, nei contenuti non e’ conforme al diritto dell’Unione.
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28. Con la terza critica si lamenta- ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4 – la nullita’ della sentenza: per violazione del giudicato interno formatosi, ai sensi dell’articolo 2909 c.c., articolo 329 c.p.c., comma 2, e articolo 434 c.p.c., comma 1, sulla quantificazione in 17 giorni delle ferie non godute; in subordine, per avere ritenuto ammissibile l’appello della REGIONE avverso la relativa statuizione del Tribunale nonostante l’assenza di un motivo specifico di impugnazione, in violazione dell’articolo 434 c.p.c., comma 1, n. 1.
29. Si espone nuovamente che nei due atti di appello (avverso la sentenza non definitiva ed avverso la sentenza definitiva) la REGIONE ABRUZZO non aveva impugnato la statuizione che quantificava in diciassette giorni le ferie annue ed i permessi non goduti e che le ragioni dell’appello vertevano, genericamente, sulla mancanza di prova della quantum del relativo compenso.
30. Il motivo e’ infondato.
31. Quanto alla dedotta violazione del preteso giudicato interno sul diritto del lavoratore alle ferie ed ai permessi, deve ribadirsi il consolidato principio di questa Corte secondo cui, ai fini della selezione delle questioni di fatto o di diritto suscettibili di giudicato interno, occorre avere riguardo all'”unita’ minima” suscettibile di acquisire la stabilita’ del giudicato, che e’ costituita dalla sequenza logica fatto-norma-effetto giuridico.
32. Benche’ ciascun elemento di tale sequenza possa essere singolarmente investito di censura in appello, nondimeno l’impugnazione motivata in ordine anche ad uno solo di essi riapre per intero l’esame di tale minima statuizione, consentendo al giudice dell’impugnazione di riconsiderarla tanto in punto di diritto- (individuando una diversa norma sotto cui sussumere il fatto o fornendone una differente esegesi) – quanto in punto di fatto, attraverso una nuova valutazione degli elementi probatori acquisiti. In tal senso, tra le tante, Cass. sez. VI, 22/02/2013, n. 4572, Cass. nn. 2217 del 2016, 12202 del 2017 e 16853 del 2018, tutte sulla scorta di Cass. n. 6769 del 1998.
33. Ne consegue che l’appello della REGIONE ABRUZZO in punto di quantificazione della indennita’ per ferie e permessi non goduti poneva in discussione l’intera “unita’ minima” e dunque anche il fatto del mancato godimento delle ferie e dei permessi previsti dal contratto collettivo.
34. La mancanza di specificita’ dell’appello della Regione e’ poi dedotta genericamente, senza riportare il contenuto dell’atto di appello, in confronto con le statuizioni del primo giudice. Invero, anche il potere di questa Corte di accesso agli atti per la verifica del fatto processuale e’ condizionato al previo assolvimento dell’onere di specificazione delle ragioni di impugnazione- a cura della parte ricorrente ed a norma dell’articolo 366 c.p.c., n. 6 – onere nella fattispecie non assolto (per tutte: Cass. civ. sez. tributaria, 29/09/2017 e giurisprudenza ivi citata).
35. Con il quarto motivo la sentenza e’ impugnata – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5- per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti nonche’ per violazione dell’articolo 45 CCNL ENTI LOCALI, in relazione alla statuizione di rigetto della domanda di pagamento del valore dei buoni pasto.
36. La ricorrente ha esposto di avere chiesto il pagamento della indennita’ sostitutiva del buono pasto per i due giorni settimanali di rientro pomeridiano, sulla base dell’articolo 45 CCNL ENTI LOCALI.
37. Ha censurato la sentenza, sotto il profilo del vizio di motivazione, per aver omesso di considerare, nel decidere sulla domanda relativa al buono pasto, quanto accertato nel qualificare il rapporto di lavoro come subordinato ovvero che l’orario di lavoro era sostanzialmente eterodeterminato ed era del tutto conforme a quello del personale di ruolo, compresi i rientri pomeridiani. In via gradata ha dedotto il vizio di nullita’ della sentenza- ex articolo 360 c.p.c., n. 4 – per contrasto tra affermazioni inconciliabili.
38. Ha comunque dedotto che la sentenza- se interpretata nel senso di ritenere necessarie per la fruizione del buono pasto circostanze ulteriori rispetto allo svolgimento dell’attivita’ lavorativa in orario pomeridiano con i medesimi rientri dei dipendenti regionali- si sarebbe posta in contrasto con la disposizione dell’articolo 45 CCNL.
39. Il motivo e’ fondato.
40. L’artciolo 45 del CCNL REGIONI ED AUTONOMIE LOCALI del 14.9.2000 dispone che possono usufruire della mensa i dipendenti che prestino attivita’ lavorativa al mattino con prosecuzione nelle ore pomeridiane, con una pausa non superiore a due ore e non inferiore a trenta minuti. Dalla sentenza impugnata risulta (pagina 8) che:
“l’orario di lavoro, pur non espressamente vincolante, era sostanzialmente eterodeterminato
(dovendo essere necessariamente coordinato con le attivita’ dell’ente) ed era del tutto conforme a quello del personale di ruolo (compresi i rientri pomeridiani)…”
41. Ricorre dunque il vizio di omesso esame di fatto decisivo testuale, ovvero risultante dalla stessa sentenza impugnata. Il giudice dell’appello ha ritenuto non provata la articolazione oraria della prestazione e le modalita’ del rientro pomeridiano; risulta, tuttavia, dalla sentenza che i collaboratori seguivano lo stesso orario del personale di ruolo, anche quanto ai rientri pomeridiani.
42.11 fatto non esaminato rende priva di base la statuizione assunta, nella parte in cui e’ fondata sul mancato assolvimento dell’onere della prova delle modalita’ orarie della prestazione.
43. Al riguardo va aggiunto che non sussiste nella fattispecie di causa la preclusione alla deducibilita’ del vizio di motivazione di cui all’articolo 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, in quanto nel primo grado il rigetto della domanda era stato fondato dal Tribunale sulla natura di agevolazione di carattere assistenziale del buono pasto e sul generico difetto delle condizioni previste dalla normativa vigente per usufruire del buono pasto.
44. Nella parte in cui la sentenza si fonda sul preteso difetto di allegazione di prova “della rinuncia alla pausa per il pranzo in maniera funzionale all’assolvimento di un servizio continuativo imposto dalla amministrazione” ricorre la denunciata violazione dell’articolo 45 CCNL 14 settembre 2000, richiamato dal successivo articolo 46, comma 2, che richiede quale unica condizione per la fruizione del buono pasto l’inizio dell’attivita’ lavorativa al mattino e la prosecuzione nelle ore pomeridiane, con intervallo compreso tra i trenta minuti e le due ore.
45. In conclusione, devono essere accolti i motivi primo, secondo e quarto del ricorso mentre va rigettato il terzo; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte d’Appello di L’Aquila in diversa composizione, affinche’ si adegui nella decisione ai principi espressi in relazione ai motivi primo e secondo e provveda ad emendare i vizi denunciati con il quarto motivo.
45. Il giudice del rinvio provvedera’, altresi’, sulle spese del presente grado.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso; rigetta il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia- anche per le spese- alla Corte d’Appello di L’Aquila in diversa composizione.
Datore di lavoro e la prova in ordine le ferie annuali retribuite
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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