Cosa si intende per pratica scorretta

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 20 novembre 2019, n. 7921.

La massima estrapolata:

Per pratica scorretta si intende quella che è idonea, anche in potenza, a sviare il comportamento di un consumatore di media accortezza e a fargli prendere quindi una decisione che altrimenti non avrebbe preso, tenendo conto in primo luogo che si deve guardare non solo al tipo di consumatore cui il messaggio è nelle intenzioni diretto, ma anche a quello che in concreto lo percepisce, in secondo luogo che l’obiettivo della tutela è garantire al massimo la chiarezza e trasparenza del messaggio e infine che influisce sulle decisioni del consumatore anche la pratica che produca il solo “aggancio”, ovvero induca a contattare il professionista, ad esempio a recarsi in negozio, anche se in concreto l’affare non sia concluso, valutandosi evidentemente in questo caso anche il tempo che il consumatore ha perduto per scoprire che quanto proposto non era in realtà conveniente.

Sentenza 20 novembre 2019, n. 7921

Data udienza 24 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2535 del 2017, proposto dalla
Società Ce. Gi. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati En. Da. e An. De Ca., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Da. in Roma, via (…);
contro
l’Autorità garante della concorrenza e del mercato – AGCM ed altri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura- CCIAA di Prato e la Federconsumatori di Pistoia, non costituiti in giudizio;
per l’annullamento o la riforma,
previa sospensione,
della sentenza del TAR Lazio, sede di Roma, sezione I, 3 gennaio 2017 n. 60, che ha respinto il ricorso n. 9921/2011 R.G., proposto per l’annullamento del provvedimento 25 agosto 2011 prot. n. PS 6975, notificato il giorno 13 settembre 2011, con il quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato -AGCM ha deliberato: a) che la pratica commerciale posta in essere dalla Società Ce. Gi. S.r.l. e consistente nella diffusione del messaggio pubblicitario relativo alle condizioni di acquisto dell’oro usato descritto in motivazione costituisce pratica commerciale scorretta, e ne vieta la diffusione o comunicazione; b) di irrogare a tale società per la pratica predetta una sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 50.000;
e di ogni atto preordinato, presupposto, consequenziale e comunque connesso;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’AGCM, dell’AGCOM e del Ministero;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2019 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti l’avvocato Pa. Sc. per delega di An. De Ca. e l’avvocato dello Stato Pa. De Nu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La ricorrente appellante è una società del settore orafo, la quale in particolare svolge l’attività di acquisto di oggetti d’oro usati – cd compro oro- da privati, che a tale scopo si recano nei suoi negozi (fatto pacifico in causa).
2. Rispettivamente il giorno 4 ottobre e il giorno 26 ottobre 2010, l’Autorità per la concorrenza intimata appellata ha ricevuto dalle due associazioni di categoria controinteressate appellate le segnalazioni relative ad un medesimo messaggio pubblicitario, diffuso dalla ricorrente appellante attraverso due riviste distribuite nelle province di Prato e di Pistoia, ovvero il quindicinale “Il Mi. Ta.” ed il periodico “La Pu.”. Il messaggio pubblicitario conteneva anzitutto un claim, ovvero una frase di richiamo, così concepita: “Acquistiamo il tuo oro usato fino a 40,00 Euro al gr* valutiamo anche in cambio contanti” L’asterisco rimandava poi ad una scritta, posta più in basso e di dimensioni inferiori rispetto al claim principale, del seguente contenuto: “sulla base del metallo puro 24 Kt, in cambio merce su tutti gli articoli”.
3. L’Autorità per la concorrenza ha quindi avviato un’istruttoria, ipotizzando la violazione degli artt. 20 e 22 comma 2 del Codice del consumo, d.lgs. 2 settembre 2005 n. 206; in particolare, com’è noto, l’art. 20 comma 2 vieta le pratiche commerciali scorrette, definendo come tale quella che è “contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori”; l’art. 22 comma 2 vieta in particolare, all’interno della più ampia categoria, l’omissione ingannevole, che si verifica “quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al comma 1, tenendo conto degli aspetti di cui al detto comma, o non indica l’intento commerciale della pratica stessa qualora questi non risultino già evidente dal contesto nonché quando, nell’uno o nell’altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.
4. All’esito dell’istruttoria, come risulta dal provvedimento impugnato, l’Autorità ha accertato in fatto che il messaggio è stato “diffuso dal mese di gennaio 2009 al mese di novembre 2010, quindi, per un periodo di circa due anni e sospeso a seguito della prima comunicazione dell’Autorità . La sua diffusione è avvenuta attraverso i seguenti periodici: “No. di Qu.” (rivista trimestrale) ed altri, nonché attraverso volantini pubblicitari allegati al settimanale “La Pu.” e l’O. pr. Fi. di Ca., (omissis) edizione. Il messaggio è altresì stato pubblicato in un opuscolo che indicava l’orario estivo 2010 del Se. Pu. Bl.” (provvedimento impugnato, doc. 1 in I grado ricorrente appellante, dal quale anche gli altri fatti sinora esposti).
5. Sempre in fatto, l’Autorità ha accertato che la società ricorrente appellante nel 2009 ha concluso 92 contratti di acquisto di oro usato, saliti a 312 dal gennaio 2010 al novembre 2010 (sempre doc. 1 in I grado ricorrente appellante, cit.).
6. Ciò premesso, l’Autorità, sempre nel provvedimento impugnato, ha qualificato tale condotta come pubblicità ingannevole e contraria al normale grado di diligenza professionale, ne ha inibito la continuazione e per essa ha irrogato alla società ricorrente appellante una sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 50.000 (doc. 1 in I grado ricorrente appellante, cit.).
7. Nel dettaglio, e in ordine logico, l’Autorità ha ritenuto che in generale il comportamento della ricorrente appellante non fosse stato conforme “al normale grado di diligenza professionale che, ai sensi dell’articolo 20 del Codice del consumo, un consumatore medio può ragionevolmente attendersi dal professionista in un settore, come quello del commercio dell’oro usato, che impone al professionista stesso un particolare grado di attenzione in ordine alla completezza informativa delle proprie comunicazioni commerciali”.
8. Ciò premesso, l’Autorità ha osservato che il messaggio sopra descritto era tale da catturare “l’attenzione dei consumatori… indotti a ritenere che il parametro economico utilizzato dal professionista “40,00 Euro al gr” sarà il valore loro corrisposto in rapporto al peso degli oggetti che saranno interessati a vendere. Portandoli in tal modo a trascurare il richiamo posto più in basso, rispetto al claim principale e di dimensioni inferiori che recita: “sulla base del metallo puro 24 Kt, in cambio merce su tutti gli articoli”, omettendo tra l’altro di indicare, come richiesto dalla normativa di settore, un prezzo riferito ai millesimi di metallo prezioso, e non alla caratura. In tal modo, sempre secondo l’Autorità, si violava l’obbligo di informazione completa e immediatamente percettibile dovuto dal professionista sul servizio da lui offerto, inducendo “i destinatari a rivolgersi comunque all’operatore al fine di avere chiarezza sui contenuti del messaggio promozionale”, ovvero sui prezzi effettivamente praticati per gli oggetti d’oro con differenti caratteristiche, e quindi inducendoli a prendere una decisione che altrimenti non avrebbero preso (doc. 1 in I grado ricorrente appellante, cit.).
9. Sempre l’Autorità, per determinare la sanzione, ha tenuto conto della gravità della violazione, a suo avviso espressa dalla dimensione economica della società, che aveva realizzato un fatturato di 4.5 milioni di euro nel 2010, e dal grado di diffusione del messaggio, apparso come si è detto su una varietà di pubblicazioni, se pure a circolazione ristretta alle zone di Prato, del Pistoiese e della Versilia; ha infine tenuto conto della durata della violazione, dal gennaio 2009 al novembre 2010, con un centinaio di pubblicazioni del messaggio.
10. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso proposto contro tale provvedimento di sanzione, ritenendo in sintesi estrema corrette le conclusioni raggiunte dall’Autorità e congrua la sanzione irrogata.
11. Contro questa sentenza, la società ha proposto impugnazione, con appello che contiene tre motivi:
– con il primo di essi, deduce violazione ovvero falsa applicazione degli artt. 18, 20 e 22 del Codice del consumo. In ordine logico, sostiene anzitutto (p. 12 dell’atto) che non si tratterebbe in generale di pratica commerciale scorretta, perché essa sarebbe in realtà non idonea a falsare in modo apprezzabile il comportamento del consumatore, il quale nel caso concreto sarebbe stato a conoscenza che in realtà il prezzo di un oggetto d’oro dipende dal peso di esso, ma anche dalla quotazione giornaliera del metallo, sì che indicare un prezzo massimo sarebbe del tutto corretto. Di seguito, sostiene poi (pp. 5-11 dell’atto) che non si sarebbe in presenza di una omissione ingannevole, perché la norma relativa sarebbe pensata per un caso opposto a quello in esame, ovvero per il caso in cui il consumatore acquista, e non per il caso in cui il consumatore vende un oggetto; in tal caso, il prezzo massimo di acquisto era tutto quanto si poteva ragionevolmente richiedere di indicare, tenuto conto di quanto già detto, ovvero della necessità di pesare il metallo e di valutarlo alla quotazione del giorno;
– con il secondo motivo, deduce ulteriore violazione degli artt. 20 e 22 del Codice del consumo, sostenendo che la mancata indicazione del prezzo ragguagliato ai millesimi dell’oro, invece che ai carati, sarebbe irrilevante, sia giuridicamente che in fatto, dato che il consumatore ben conoscerebbe l’unità di misura dei carati;
– con il terzo motivo, deduce infine violazione, propriamente, dell’art. 11 della l. 24 novembre 1981 n. 689, sostenendo che la sanzione sarebbe stata determinata in modo non corretto, e comunque eccessivo.
12. Le amministrazioni intimate appellate si sono costituite con atto 12 maggio 2017, ed hanno chiesto che l’appello sia respinto; con memoria 24 maggio 2017, in particolare, l’Autorità per la concorrenza ha ribadito le proprie valutazioni, così come contenute nel provvedimento impugnato. Con memoria 17 luglio 2017, la ricorrente appellante ha riproposto le proprie difese.
13. La Sezione, con ordinanza 21 luglio 2017 n. 3117, ha respinto la domanda cautelare.
14. L’Autorità per la concorrenza, con memoria 26 settembre 2019, e la ricorrente appellante, con memoria 4 ottobre e replica 10 ottobre 2019, hanno ancora insistito sulle rispettive tesi.
15. All’udienza del 24 ottobre 2019, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.
16. L’appello è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito precisate.
17. E’ infondato il primo motivo, che nega la ritenuta natura scorretta della pratica commerciale per cui è causa, assumendo che essa in particolare non costituirebbe omissione ingannevole.
17.1 In ordine logico, l’argomento della ricorrente appellante per cui le norme in esame non si potrebbero applicare al caso di specie perché pensate fondamentalmente per l’acquisto di un prodotto va respinto sulla base della semplice lettera della legge. L’art. 18 comma 1 del Codice del consumo definisce infatti alla lettera d) come “pratica commerciale” qualunque “azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori”; parimenti per lo stesso art. 18 comma 1 alla lettera a) si definisce “consumatore” qualunque persona fisica la quale “agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale” e per l’art. 18 comma 1 lettera c) è prodotto un “qualsiasi bene o servizio”. In tali termini, è evidente che un negozio il quale acquisti da privati cittadini oggetti d’oro usati in cambio di denaro contante offra sul mercato un servizio, e quindi debba rispettare, nell’esercizio di tale attività, le norme del Codice del consumo, anche se non vende un bene di qualche tipo. Si deve anzi osservare che nel caso di specie le esigenze di tutela del consumatore stesso sono particolarmente intense, perché per comune esperienza chi decide di vendere un oggetto d’oro, che di solito ha un valore anche affettivo, lo fa perché spinto da un bisogno immediato di danaro per far fronte a debiti o a esigenze primarie della vita.
17.2 Ciò posto, va riconosciuto anche il carattere di pratica scorretta per omissione ingannevole del messaggio pubblicitario per cui è causa, in base ai criteri individuati dalla giurisprudenza della Sezione. Per pratica scorretta, si intende infatti quella che è idonea, anche in potenza, a sviare il comportamento di un consumatore di media accortezza e a fargli prendere quindi una decisione che altrimenti non avrebbe preso, tenendo conto in primo luogo che si deve guardare non solo al tipo di consumatore cui il messaggio è nelle intenzioni diretto, ma anche a quello che in concreto lo percepisce, in secondo luogo che l’obiettivo della tutela è garantire al massimo la chiarezza e trasparenza del messaggio e infine che influisce sulle decisioni del consumatore anche la pratica che produca il solo “aggancio”, ovvero induca a contattare il professionista, ad esempio a recarsi in negozio, anche se in concreto l’affare non sia concluso, valutandosi evidentemente in questo caso anche il tempo che il consumatore ha perduto per scoprire che quanto proposto non era in realtà conveniente: così per tutte C.d.S. sez. VI 17 dicembre 2018 n. 7107, 11 maggio 2017 n. 2178, 24 novembre 2015 n. 5318 e 24 novembre 2011 n. 6204, citata anche dal Giudice di I grado.
17.3 Applicando i principi appena delineati al caso di specie, i caratteri della pratica scorretta per omissione ingannevole sussistono. Come è evidente, un consumatore di media accortezza percepisce prima di tutto il messaggio a caratteri di corpo maggiore, che presenta un prezzo indiscutibilmente favorevole. La precisazione, per cui si tratta di un prezzo essenzialmente teorico, perché è rarissimo che l’oggetto d’oro posseduto da un privato sia di oro a 1000 millesimi, ovvero ai 24 carati indicati, è redatta in corpo minore, ed è di per sé non esaustiva, perché non spiega il punto appena illustrato e nulla dice sul prezzo che in concreto chi vuol vendere un oggetto può spuntare. Sono omesse informazioni rilevanti, come la necessità di tener conto del reale titolo dell’oggetto, della quotazione ufficiale dell’oro e del cd scarto di fusione, ovvero dello sconto, a favore del compratore, che si impone normalmente a chi venda oggetti d’oro e non barre di metallo già predisposte per essere lavorate. In tal modo, gli elementi dell’illecito vi sono tutti, perché il consumatore, secondo verosimiglianza, è indotto a recarsi presso il professionista per conoscere i dettagli del possibile affare, e tenuto conto del fatto che l’illecito in materia è di pericolo, come ritenuto da ultimo da C.d.S. sez. VI 16 marzo 2018 n. 1670.
Il messaggio è incentrato sul valore economico dell’oro in grammi, proprio al fine di “sedurre” il consumatore con una semplificazione, poi inserendovi una precisazione che non chiarisce tuttavia la portata dell’offerta e non esclude affatto la sua decettività inducendo il consumatore a ritenere che il
parametro 40,00 Euro al grammo sia il valore corrisposto in rapporto al peso degli oggetti (e non al titolo dell’oro ed alle variazioni di mercato) che questi è interessato a vendere.
18. Il secondo motivo di appello è a sua volta infondato, tenendo conto che l’indicazione del titolo dell’oro in millesimi mediante marchi è imposta dalla normativa, precisamente dall’art. 3 del d.lgs. n. 251 del 1999 e dall’art. 17 del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 150. A fronte di prescrizioni imperative legali e regolamentari proprio ispirate dall’intento di riordinare un mercato nel quale, per le caratteristiche della merce compravenduta, sono possibili abusi e condotte decettive, quindi, l’avere impiegato un’indicazione diversa si può ritenere di per sé scorretto; va comunque aggiunto, per completezza, che l’indicazione del titolo dell’oro in carati non è comunque comprensibile alla generalità dei consumatori medi, perché è rappresentata non da un concetto noto a tutti come può essere una percentuale, ma da un valore che va interpretato.
19. E’ infondato e va respinto anche il terzo motivo, col quale si contesta la modalità con la quale la sanzione è stata determinata.
19.1 La norma di riferimento, che si ricorda per chiarezza, è l’art. 11 della l. 689/1981, richiamato dall’art. 27 comma 13 del Codice del consumo, secondo il quale “Nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per la eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche.” Nel caso concreto, come si è detto, l’Autorità ha determinato la sanzione tenendo conto del fatturato realizzato dall’impresa, dell’area di diffusione del messaggio e del periodo in cui esso è stato diffuso, criteri che propriamente riguardano il primo le condizioni economiche del responsabile, e i residui la gravità della violazione, e quindi rientrano astrattamente tutti nella previsione di legge.
19.2 Ciò posto, i criteri sono stati applicati nel concreto in modo non illogico. Sotto il primo profilo, la giurisprudenza della Sezione, da ultimo nella sentenza 7 marzo 2019 n. 1585, ha ritenuto che il fatturato sia un criterio idoneo a commisurare la sanzione, tenuto conto del carattere afflittivo di essa. Sotto i restanti profili, la diffusione del messaggio è stata ampia nella zona considerata, dato il numero notevole di periodici e pubblicazioni sul quale esso è comparso, e si è protratta esattamente per il periodo considerato dall’Autorità, come la ricorrente appellante sostanzialmente ammette (cfr. ad esempio la memoria 4 ottobre 2019 prima pagina settimo rigo dal basso, ove si parla di un messaggio diffuso “nel periodo tra il 2009 e il 2010”).
20. Le spese seguono la soccombenza, tenendo conto che le amministrazioni intimate appellate hanno un unico patrocinio, e quindi la somma loro riconosciuta va liquidata come onnicomprensiva.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 2535/2017), lo respinge.
Condanna la ricorrente appellante a rifondere alle amministrazioni intimate appellate le spese del presente grado di giudizio, spese che liquida in Euro 5.000 (cinquemila/00) per tutte le parti, oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore
Davide Ponte – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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