Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza n. 25859 del 12 giugno 2013
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 28 marzo 2012 la Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza pronunciata il 23 febbraio 2010 dal Tribunale di Palermo, che dichiarava R.A. e V.A. colpevoli dei reati di abuso d’ufficio loro rispettivamente ascritti, condannandoli ciascuno alla pena, condizionalmente sospesa, di anno uno e mesi sei di reclusione ed all’interdizione dai pubblici uffici per la stessa durata della pena principale.
2. Sulla base della ricostruzione del compendio storico-fattuale fornita dalla Corte territoriale, al R. si addebitava, nella sua qualità di Sindaco del Comune di (omissis), la nomina illegale di P.G., V.M. , S.G. e B.M., quali membri del nucleo di valutazione del Comune – incarico oggetto di remunerazione con compenso forfettario annuo a carico del medesimo ente pubblico – sebbene costoro fossero privi dei requisiti prescritti dalla normativa di riferimento. Al V.A. , inoltre, si contestava, nella sua qualità di membro del Consiglio comunale, il concorso nell’abuso del Sindaco, realizzato sia mediante la sollecitazione alla nomina della sorella (V.M.), sia attraverso l’omissione dell’obbligo di astensione dalla votazione della delibera n. 146 del 27 dicembre 2005, con la quale veniva approvato il compenso spettante ai membri del nucleo di valutazione, sebbene tale atto deliberativo avesse ad oggetto anche gli interessi economici della sorella V.M. , già nominata con precedente delibera quale componente di quel nucleo.
All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Palermo ha ritenuto integrata la contestata fattispecie di reato nei confronti del R. e del V.A., sia per la condotta posta in essere con la nomina dei membri del nucleo di valutazione, sia per quella riguardante la partecipazione alla determinazione dei relativi compensi, assolvendo gli altri coimputati (P.G., V.M., S.G. e B.M.) dal concorso nel medesimo reato di abuso d’ufficio perché il fatto non sussiste, ed il consigliere comunale P.G.B. dal reato ascrittogli in relazione all’adozione della delibera di giunta n. 146 del 27 dicembre 2005, per non aver commesso il fatto, nonché dai rimanenti reati di abuso d’ufficio, perché il fatto non sussiste.
3. Avverso la predetta sentenza della Corte d’appello di Palermo ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia di R.A. e A.V., deducendo, con unico atto di impugnazione, tre motivi di doglianza, il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente riassunto.
3.1. Violazione dell’art. 606, lett. b), c) ed e), c.p.p., per violazione di legge, mancanza o contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 603 c.p.p. e 323 c.p., per avere la Corte d’appello, da un lato, negato l’acquisizione di documentazione (inerente a precedenti delibere adottate dal Consiglio comunale e dalla Giunta municipale di (omissis)) che avrebbe consentito di approfondire il vaglio delle esperienze politico-amministrative e di dimostrare, pertanto, l’esistenza del requisito di “esperti qualificati” in capo a due componenti del nucleo di valutazione (Sciascia e Bongiorno), di contro ritenuti, perché medici, aprioristicamente privi di idoneità, e, dall’altro lato, per avere rigettato l’istanza di escussione di un teste – all’epoca dei fatti responsabile dell’ufficio di segreteria del Sindaco – che aveva curato l’attività amministrativa riguardante la nomina del nucleo di valutazione e che sarebbe stato in grado di ricostruire con precisione l’iter procedimentale al riguardo seguito.
Si tratterebbe di una decisione solo in apparenza motivata, poiché non fa alcun riferimento alla contestata condotta relativa all’iter procedurale, ed, altresì, manifestamente contraddittoria con la decisione di conferma della condanna anche in relazione al profilo del mancato rispetto delle norme che disciplinavano la selezione dei componenti del nucleo di valutazione.
3.2. Violazione dell’ari 606, lett. b) e lett. e), c.p.p., per violazione di legge, mancanza o contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 323 c.p., 147 del T.U. delle leggi sull’ordinamento locale, 7 del D. Lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, 3 della L.R. n. 19/97 (Regione Sicilia), per avere affermato la illegittimità della nomina del nucleo di valutazione, senza tener conto del fatto che la nozione di “esperto qualificato” non è specificata in leggi o in regolamenti, con la conseguenza che il Sindaco, nell’individuare i componenti del nucleo, incontra come unico limite al proprio potere discrezionale di scelta i principi generali del buon andamento e del buon funzionamento della pubblica amministrazione.
L’ordinamento, dunque, in assenza di riferimenti normativi espliciti, e tenendo in considerazione anche altre norme del regolamento comunale (art. 6, comma 3), oltre che il disposto di cui agli artt. 7, commi 6 e 6-quater, del D. Lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, consentiva la nomina dei componenti del nucleo di valutazione tra soggetti idonei a garantire in concreto la funzione alla quale erano preposti, a prescindere da specifici titoli accademici, e dunque anche in relazione ad una persona laureata in legge, ovvero ad una laureanda nella stessa facoltà.
In tal senso, del resto, ulteriori conferme potrebbero tararsi dalla disposizione di cui all’art. 3 della L.R. n. 19/1997 (Regione Sicilia), che disciplina le nomine e le designazioni di competenza regionale, sancendo un principio di eguaglianza tra le esigenze di specializzazione e l’esperienza amministrativa e/o politica, la cui ratio può estendersi anche alle nomine all’interno degli organi comunali.
3.3. Violazione dell’art. 606, lett. b), c) ed e), c.p.p., per violazione di legge, mancanza o contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 133 e 62-bis, c.p., per avere negato la riduzione della pena edittale inflitta e la concessione delle circostanze attenuanti generiche, disattendendo le precise doglianze al riguardo mosse con l’atto d’appello.
Considerato in diritto
4.1 ricorsi sono inammissibili in quanto manifestamente infondati.
5. Costituisce, invero, ius receptum, nell’elaborazione giurisprudenziale di questa Suprema Corte, il principio secondo cui la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello costituisce un’evenienza eccezionale, subordinata ad una valutazione giudiziale di assoluta necessità conseguente all’insufficienza degli elementi istruttori già acquisiti, che impone l’assunzione di ulteriori mezzi istruttori pur se le parti non abbiano provveduto a presentare la relativa istanza nel termine stabilito dall’art. 468 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 3458 del 01/12/2005, dep. 27/01/2006, Rv. 233391).
Proprio in ragione del carattere eccezionale della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, il mancato accoglimento della richiesta in tanto può essere censurato in sede di legittimità, in quanto risulti dimostrata la oggettiva necessità dell’adempimento in questione e, dunque, l’erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente ritenuto dal giudice di merito circa la possibilità di “decidere allo stato degli atti”, come previsto dall’art. 603, comma primo, cod. proc. pen.. Ne discende che il ricorrente deve dimostrare l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora fosse stato provveduto, come richiesto, all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello (Sez. 1, n. 9151 del 28/06/1999, dep. 16/07/1999, Rv. 213923).
Nel caso di specie tale dimostrazione non risulta essere stata fornita, avendo la Corte d’appello congruamente ed esaustivamente argomentato, sulla base di una valutazione in fatto non censurabile in sede di legittimità, nel senso della manifesta irrilevanza – e, comunque, della inidoneità a sovvertire l’esito del primo giudizio – dei temi oggetto delle richieste di rinnovazione istruttoria, sia di natura documentale che testimoniale, formulate dalla difesa.
Al riguardo, infatti, la Corte d’appello ha osservato che il decisivo profilo inerente al mancato possesso, da parte dei soggetti nominati, dei requisiti previsti dal regolamento comunale costituisce una circostanza che non può essere inficiata dall’avvenuta presentazione di curricula non indicativi dell’esistenza dei predetti requisiti, né dall’ostensione di competenze diverse da quelle stabilite nel predetto regolamento e con esse non compatibili.
Per vero, come si è già accennato, la censura di mancata ammissione di una prova decisiva si risolve, una volta che il giudice abbia indicato in sentenza le ragioni della non ammissione ex art. 603 c.p.p., in una verifica della logicità e congruenza della motivazione correlata al materiale probatorio raccolto ed apprezzato.
E l’impugnata sentenza d’appello motiva diffusamente le ragioni della raggiunta completezza dell’indagine probatoria.
Non è superfluo rammentare, del resto, che l’esercizio del potere di rinnovazione istruttoria si sottrae, per la sua natura discrezionale, allo scrutinio di legittimità, nei limiti in cui la decisione del giudice di appello (tenuto ad offrire specifica giustificazione soltanto dell’ammessa rinnovazione) presenti una struttura argomentativa evidenziante – in caso di denegata rinnovazione – l’esistenza di fonti sufficienti per una compiuta e logica valutazione in punto di responsabilità (Sez. 6, n. 5782 del 18/12/2006, dep. 12/02/2007, Rv. 236064; Sez. 6, n. 40496 del 21/05/2009, dep. 19/10/2009, Rv. 245009): ciò, sulla base di quanto or ora osservato, è quel che deve constatarsi alla luce del testo dell’impugnata sentenza della Corte d’appello di Palermo.
6. Evidenti profili di inammissibilità investono anche il secondo motivo di ricorso, laddove si riproducono argomentazioni già esposte in sede di appello – e finanche dinanzi al Giudice di prime cure – che risultano, tuttavia, ampiamente vagliate e correttamente disattese dalla Corte distrettuale, ovvero si rinvia ad una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal guisa sollecitando un tipo di sindacato improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell’impugnata decisione.
Il ricorso, dunque, non è volto a rilevare mancanze argomentative ed illogicità ictu oculi percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha adeguatamente ricostruito i fatti posti alla base del tema d’accusa.
In tal senso la Corte territoriale, sulla base di quanto specificamente esposto in narrativa, ha preso in esame tutte le deduzioni e le obiezioni mosse dalla difesa ed è pervenuta alla decisione impugnata attraverso un esame completo ed approfondito delle risultanze processuali.
Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella sentenza del Giudice di prime cure, la cui struttura motivazionale viene a saldarsi perfettamente con quella di secondo grado, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte di merito ha puntualmente disatteso la diversa ricostruzione prospettata dalla difesa, concludendo nel senso della obiettiva e macroscopica violazione del regolamento comunale del nucleo di valutazione, approvato con la delibera di Giunta n. 50 del 31 maggio 2004, che stabiliva, in ossequio al D. Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, che la nomina dei componenti della relativa struttura di supporto tecnico del Sindaco doveva essere effettuata “tra esperti qualificati in materie economiche e/o in materie di organizzazione aziendale e del lavoro e/o in materie giuridiche”, da scegliere sulla base di un adeguato curriculum professionale.
Al nucleo di valutazione, composto da tre membri nominati dal Sindaco, spettava, tra l’altro, il controllo interno della regolarità amministrativa, della gestione delle risorse pubbliche e della realizzazione degli obiettivi, unitamente alla valutazione della dirigenza o del personale incaricato di posizioni organizzative, con funzioni rilevanti in tema di valutazione delle prestazioni dei responsabili delle aree e, soprattutto, delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti ed obiettivi predefiniti.
Sebbene l’istituzione del nucleo di valutazione rispondesse all’esigenza di costituire una struttura di supporto tecnico consultivo e propositivo del Sindaco, sì da individuare gli strumenti tecnici più idonei per la verifica del conseguimento dei correlativi obiettivi di indirizzo politico, il provvedimento di nomina, come posto in rilievo dalla Corte d’appello, è stato adottato in favore di persone palesemente prive, all’atto della scelta, dei requisiti necessari, o perché neppure laureate, ovvero perché laureate in discipline diverse da quelle menzionate nel regolamento, o, infine, perché laureate, ma del tutto prove di esperienza nei su indicati settori di riferimento.
A tale riguardo, inoltre, l’assenza di un’adeguata istruttoria (cfr. Sez. 6, n. 37531 del 14/06/2007, dep. 11/10/2007, Rv. 238027), così come l’assoluta carenza di motivazione dei provvedimenti di nomina, in ordine alla verifica del possesso dei requisiti soggettivi richiesti dalle norme regolamentari, hanno coerentemente indotto i Giudici di merito a concludere nel senso che le relative determinazioni, anziché dettate dalla volontà di garantire il perseguimento del pubblico interesse, furono viziate da un criterio selettivo diverso da quello stabilito nella norma regolamentare, e segnatamente dalla prevalente considerazione di aspetti legati alla comune militanza politica, ovvero alla prossimità parentale dei nominati con esponenti della medesima coalizione politica che sosteneva il Sindaco.
La norma regolamentare, così come formulata, richiede, infatti, il possesso congiunto di una qualifica professionale e di una comprovata esperienza negli specifici settori delle competenze di riferimento, senza rendere necessario, peraltro, il raggiungimento della soglia del possesso di un eccellente livello di specializzazione, anche di tipo universitario, richiesto invece per il conferimento di incarichi individuali a consulenti esterni delle amministrazioni pubbliche (arg. ex art. 7, comma 6, del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165).
Muovendo da tali preliminari considerazioni, dunque, la Corte di merito ha coerentemente argomentato nel senso che l’esclusione del requisito del possesso di una “particolare e comprovata specializzazione anche universitaria”, così come previsto, dalla norma di legge da ultimo menzionata, per la nomina dei consulenti esterni della pubblica amministrazione, non può di certo comportare l’esclusione, per la diversa ipotesi della nomina dei componenti di un nucleo di valutazione istituito a livello comunale, del requisito del possesso di una qualificata e comprovata esperienza professionale e scientifica nei settori di riferimento, secondo quanto stabilito nella chiara previsione della norma regolamentare oggetto di applicazione nel caso di specie.
Sotto altro, ma connesso profilo, infine, la Corte distrettuale ha esaustivamente argomentato nel senso dell’inapplicabilità della su citata normativa regionale in tema di nomine e designazioni di competenza dei diversi organi regionali (L.R. n. 19/1997), avuto riguardo alla specificità della previsione contenuta nella norma regolamentare, il cui diverso, e prevalente, ambito di applicazione a livello municipale è stato esplicitamente giustificato proprio con la volontà di richiedere la presenza di ben determinati requisiti di competenza tecnica per i componenti del relativo nucleo di valutazione, anche in ragione della particolare delicatezza e rilevanza delle funzioni da svolgere.
7. La Corte d’appello, pertanto, ha compiutamente esposto le ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti gli elementi richiesti per la configurazione del delitto de quo, ed ha evidenziato al riguardo gli aspetti maggiormente significativi, dai quali ha tratto la conclusione che gi argomenti prospettati dalla difesa erano in realtà privi di ogni aggancio probatorio e si ponevano solo quali mere ipotesi alternative, peraltro smentite dal complesso degli elementi di prova processualmente acquisiti.
La conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata riposa, in definitiva, su un quadro probatorio giudicato completo ed univoco, e come tale in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logica.
In questa Sede, invero, a fronte di una corretta ricostruzione del compendio storico-fattuale, non può ritenersi ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti oggetto della regiudicanda, dovendo la Corte di legittimità limitarsi a ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza alcuna possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle correlative acquisizioni processuali.
8. Parimenti inammissibile deve ritenersi, infine, il terzo motivo di doglianza, dai predetti ricorrenti, peraltro, solo genericamente dedotto in ricorso [v., supra, il par. 3.3.], ivi censurandosi un potere discrezionale il cui esercizio è stato oggetto di attenta ponderazione e congrua motivazione da parte della Corte territoriale, che su tale punto ha fatto riferimento ai criteri di dosimetria della pena già utilizzati nella decisione del Giudice di primo grado, confermando sostanzialmente le ragioni poste alla base delle relative determinazioni sanzionatorie ed in tal guisa esprimendo la piena giustificazione di un apprezzamento di merito come tale non assoggettabile a sindacato in questa Sede, ponendosi, di contro, le deduzioni difensive al riguardo formulate nella mera prospettiva di accreditare una diversa ed alternativa valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti fattuali che giustificherebbero la concessione delle invocate attenuanti.
9. I ricorsi sono dunque inammissibili ed i ricorrenti, a norma dell’art. 616 c.p.p., vanno condannati al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento di una somma, che si ritiene equo determinare nella misura di Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quella della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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