Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza n. 1645 del 24 gennaio 2013
Ordinanza
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 dicembre 2012, dal Relatore Cons. Maria Giovanna Sambito;
La Corte
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cpc, è stata depositata in cancelleria la relazione, con cui si è esposto;
“1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR del Lazio n. 314/40/06, depositata l’8 novembre 2006, con la quale, in accoglimento del ricorso proposto da T. E. è stato confermato l’annullamento della rettifica induttiva del reddito d’impresa, ai fini irpef ed ilor per l’anno 1992.
giudici d’appe1lo hanno ritenuto che la mancata indicazione dell’aliquota applicata non consentiva al contribuente di verificare agevolmente ed immediatamente l’imposta richiesta.
2. Col primo motivo, la ricorrente denuncia “violazione e falsa indicazione dell’art. 42, co 2, del dPR n. 600 del 1973”, ai sensi dell’art. 360, l° co, n. 3 cpc, sottoponendo il seguente quesito: “Dica la Corte se debba esser ritenuto nullo, ai sensi dell’art. 42, 3° co DPR 600/1973, l’avviso d’accertamento in rettifica del reddito d’impresa 1992, determinato in £. 2l2.900.000, nel quale l’Ufficio abbia indicato l’aliquota applicata facendo riferimento all’aliquota minima (10%) ed a quella massima (46%), essendo stato l’importo del maggior reddito accertato riferibile a tutte le aliquote indicate, da quella minima a quella massima”. Col secondo motivo, dedotto in via subordinata, la ricorrente denuncia il vizio di motivazione della sentenza sul punto della possibilità della verifica dell’imposta richiesta, da parte del contribuente.
Il contribuente resiste con controricorso,
3. Il primo motivo appare manifestamente infondato.
A prescindere dai profili d’incompletezza nell’esposizione dei fatti, tenuto conto che la sentenza (mediante il riferimento agli argomenti della decisione di primo grado, espressamente condivisi) da conto dell’indicazione delle sole aliquote minime, e che il diverso assunto del ricorso non trascrive, in parte qua l’atto impositivo, va condivisa la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 15381 del 2008; n. 4187 del 2009), secondo cui: “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’avviso di accertamento che non riporti l’aliquota applicata, ma solo l’ìndìcazione delle aliquote minima e massima, viola il principio di precisione e chiarezza delle indicazioni che è alla base del precetto di cui all’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, il quale richiede che sia evidenziata l’aliquota applicata su ciascun importo imponibile, al fine di porre il contribuente in grado di comprendere le modalità di applicazione dell’imposta e la ragione del suo debito, senza dover ricorrere all’ausilio di un esperto. L’omissione di tale indicazione determina la nullità dell’atto, ai sensi del terzo comma dell’art. 42 cit., senza che sia consentita una valutazione di merito circa l’incidenza che essa abbia avuto, in concreto, sui diritti dei contribuente” (cfr., ancora, Cass. n. 4944 del 2002; l38ì0 del 2005; 1471 del 2006).
4. In conclusione, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio, col suo rigetto, restando assorbito il secondo motivo”.
che la relazione e stata comunicata al pubblico ministero e notificata alle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie;
considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, sicchè il ricorso va rigettato, e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 3.500,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2012.
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