Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 23 ottobre 2014, n. 22523
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere
Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere
Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24191-2013 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3420/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO del 16.7.2013, depositata l’11/09/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/06/2014 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA;
udito per la ricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che si riporta agli scritti, insistendo per l’accoglimento del ricorso;
udito per la controricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che si riporta ai motivi del controricorso.
L’attrice allegava che, in conseguenza degli effetti della stretta di mano aveva sofferto una invalidita’ permanente ed allegava che essa aveva cagionato la diminuzione della sua capacita’ di lavoro, tanto che non era stata piu’ in condizione di poter proseguire la sua attivita’ lavorativa e la sua datrice di lavoro l’aveva licenziata il 28 novembre 2003 adducendo la sua indisponibilita’ a svolgere alcune mansioni, con conseguente disagio dell’organizzazione dello studio dentistico. Adduceva, inoltre: a) di avere chiesto il risarcimento in via stragiudiziale tramite suoi precedenti legali il 2 novembre 2004, ricevendo dal legale della (OMISSIS) risposta negativa, che aveva precluso qualsiasi possibilita’ di definire la vertenza; b) di avere ottenuto dall’I.N.A.I.L. l’indennizzo per la perdita della retribuzione e parte del lamentato danno biologico .
Il Tribunale, nella costituzione della (OMISSIS), che contestava in fatto ed in diritto la domanda attrice, all’esito dell’istruzione, che aveva luogo con l’espletamento dell’interrogatorio formale della convenuta, di prove testimoniali e di una consulenza tecnica medica, rigettava la domanda, reputando che non risultasse provato il fatto storico dedotto come causa del danno.
p.2. Sull’appello della (OMISSIS) la Corte d’Appello di Milano, con sentenza dell’11 settembre 2013, dopo l’espletamento di un supplemento di c.t.u., accoglieva l’appello, ritenendo provato il fatto storico e, in riforma della sentenza di primo grado, condannava la (OMISSIS) al risarcimento dei danni in favore della (OMISSIS) nella misura di euro 13.000,00 a titolo di danno alla persona oltre accessori e con gravame delle spese dei due gradi. Escludeva la prova di danni patrimoniali.
p.3. Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi la (OMISSIS).
Ha resistito con controricorso la (OMISSIS).
p.4. La ricorrente ha depositato memoria.
La (OMISSIS) ha anche depositato istanza di liquidazione delle spese del procedimento ai sensi dell’articolo 373 c.p.c. svoltosi dinanzi alla Corte milanese, all’esito del quale e’ stata rigettata l’istanza di sospensione dell’esecutivita’ della sentenza impugnata.
Nell’illustrazione del motivo ci si duole che la Corte ambrosiana, dopo avere ritenuto provato il fatto storico della stretta di mano , abbia del tutto trascurato il problema della sussistenza dell’elemento soggettivo della dedotta responsabilita’ ai sensi dell’articolo 2043 c.c. sotto il profilo della colpa. Elemento che sarebbe stato onere della (OMISSIS) provare. Si sostiene, in particolare, che, anche a voler dare per scontato che i fatti siano avvenuti come aveva sostenuto la (OMISSIS) e come ha ritenuto la Corte territoriale, nessun profilo di colpa si potrebbe ravvisare a carico della (OMISSIS), dato che essa si trovava sdraiata sul lettino di un dentista e sottoposta ad anestesia e considerato che nel rapporto fra il medico e, quindi, i suoi assistenti, si configurano doveri di protezione, i quali esigono che essi durante un intervento terapeutico siano tenuti ad adottare tutte le cautele e le precauzioni necessarie a evitare non soltanto i danni diretti al paziente, ma anche che questi possa cagionare danni ad altri, nella situazione di minorata capacita’ in cui il paziente si trova durante l’intervento medico . Da tanto si fa discendere che se anche fosse vero che la sig.ra (OMISSIS), tenendo la mano della sig.ra (OMISSIS) portale durante l’intervento della dentista, ebbe a stringerla con tale violenza e forza da cagionare le asserite lesioni …., non si scorge in quale mai colpa versi ne’ possa mai versare la paziente, che si trova in stato di minorata capacita’, sotto la vigilanza e il controllo del medico e del personale infermieristico, con annessi obblighi di protezione solo su questi gravanti, non certo sulla paziente medesima .
p.1.1. L’illustrazione del motivo continua, di seguito, richiamando la nozione di colpa di cui all’articolo 43 c.p. e sostenendo che non sarebbe configurabile alcuna negligenza o imprudenza nella condotta della (OMISSIS) durante l’intervento odontoiatrico cui era sottoposta, verso la sig.ra (OMISSIS), assistente di sedia della dentista, partecipe attiva a quell’intervento la quale, per precisi obblighi contrattuali e di protezione, doveva e poteva, con la dentista medesima sua datrice di lavoro, adottare tutte le cautele intese a evitare eventuali reazioni, anche inconsulte, della paziente nel corso delle operazioni medico-odontoiatriche (ad es., non dandole affatto la mano che afferma di averle spontaneamente porto) .
Si asserisce, quindi, che ascrivere a colpa della paziente la violenta stretta di mano significherebbe, con un capovolgimento dei ruoli, attribuire a chi si trova in condizioni di minorata capacita’ un dovere di protezione e di cautela verso gli operatori, che sono coloro che hanno il controllo della situazione e gli obblighi di vigilanza e protezione sulla paziente.
p.1.2. Sulla base di tale prospettazione (che, quanto alla condizione in cui si trovava la (OMISSIS) viene evocata facendo riferimento alle sue dichiarazioni in sede di interrogatorio formale, ai sensi dell’articolo 2734 c.c., la’ dove la medesima aveva detto di aver subito tre anestesie e di essere stata messa a gambe all’aria , essendo stato abbassato lo schienale della poltrona), si lamenta che la problematica con essa evidenziato e, dunque, la necessita’ della dimostrazione del profilo della colpa, necessaria ai sensi dell’articolo 2697 c.c. per la prova e la fondatezza della domanda, non sarebbe stata in alcun modo esaminata dalla Corte milanese, che si sarebbe concentrata solo sui profili oggettivi e del nesso causale, gia’ negati dal Tribunale, con la conseguenza del loro assorbimento davanti a quel giudice. La sentenza impugnata avrebbe cosi’ compiuto un grave errore, che si sarebbe risolto nella violazione e omessa applicazione dell’articolo 2043 c.c., in relazione all’articolo 1176 c.c., comma 2 ed all’articolo 43 c.p. per omesso esame del fondamentale profilo soggettivo della fattispecie, il cui onere probatorio spettava interamente alla danneggiata.
p.1.3. Si sostiene anzi che i fatti allegati dalla (OMISSIS) si caratterizzavano essi stessi come inidonei a fondare una responsabilita’ ai sensi dell’articolo 2043 c.c. per chiaro e assoluto difetto di colpa ascrivibile alla paziente sig.ra (OMISSIS) , tanto che in questa sede la cassazione della sentenza dovrebbe pronunciarsi con decisione nel merito in tal senso, per la quale si insta espressamente.
p.2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, omessa applicazione degli articoli 2043, 2697, 2727, 2729, 2730, 2734 e 2728 c.c. e articoli 115, 116, 167 e 246 c.p.c., per aver utilizzato declarationes pro se dell’attrice, due deposizioni di testi dell’attrice de relato ex parte actoris (uno dei quali incapace a deporre), per aver omesso di considerare la deposizione della teste (OMISSIS) e per aver utilizzato praesumptio de praesumpto, nonche’ sprovviste dei requisiti di gravita’, precisione e concordanza .
p.2.1. Con tale motivo si contesta, sotto i profili indicati, la motivazione della sentenza impugnata, la’ dove utilizzando i risultati dell’istruzione ha ribaltato l’avviso del Tribunale in ordine alla mancata dimostrazione del fatto storico della stretta di mano e l’ha considerato provato.
p.3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione degli articoli 61, 62 e 191 c.p.c. sulla subdelega del CTU a specialista in ortopedia senza alcuna autorizzazione giudiziale, degli articoli 2043, 2056 e 1223 c.c. e degli articoli 40 e 41 cod. pen. sul preteso nesso causale. ; in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4 difetto del requisito di cui all’articolo 132 c.p.c., n. 4 e motivazione apparente nonche’ totalmente illogica e contraddittoria ; in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5 omesso esame dei rilievi del CTP di parte convenuta sempre in relazione al preteso nesso causale tra asserita condotta lesiva e danno lamentato dall’attrice .
p.3.1. Nell’illustrazione, oltre a prospettare l’irritualita’ del procedimento di espletamento della c.t.u., si contesta sotto diversi profili la valutazione con cui, sulla base degli elaborati tecnici, la Corte milanese ha ritenuto dimostrato il nesso causale fra la stretta di mano e la lesione all’integrita’ fisica accertata sulla (OMISSIS).
p.4. Con un quarto motivo si prospetta, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione degli articoli 2056, 1223, 1226 e 1227 per mancata riduzione del risarcimento per concorso colposo della vittima e in considerazione della gia’ conseguita indennita’ INAIL , nonche’, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo .
p.4.1. Vi si svolgono due censure, la prima per non avere la sentenza impugnata ritenuto esistente il concorso nella causazione dell’evento del fatto della pretesa vittima, per non avere adottato le cautele imposte dai doveri di protezione durante l’esecuzione dell’intervento sulla vittima; la seconda afferente al non aver defalcato dall’ammontare del risarcimento del danno riconosciuto la rendita costituita a favore della (OMISSIS) dall’I.N.A.I.L..
p.5. Ritiene il Collegio che il primo motivo sia fondato e che, all’esito della valutazione della sua fondatezza ricorra una situazione nella quale la Corte e’ nella condizione di poter pronunciare sul merito sulla controversia, in quanto non occorrono ulteriori accertamenti di fatto per decidere sulla domanda con il rigetto di essa.
La ragione e’ che la situazione relativa alle allegazioni delle parti ed ai conseguenti accertamenti istruttori avutisi nelle fasi di merito relativamente alle modalita’ fattuali del preteso fatto dannoso, cioe’ della stretta di mano , per come si evidenzia da quanto la Corte e’ in grado di rilevare dagli stessi atti delle parti, risulta cristallizzata in modo tale che si evidenzia che e’ escluso che essa possa subire l’incidenza di ulteriori accertamenti di fatto in un eventuale giudizio di rinvio, si da poter risultare individuata in modo diverso e, soprattutto, piu’ specifico.
In particolare, la suddetta situazione non potrebbe subire apporti probatori ulteriori derivanti da ulteriori attivita’ istruttorie, precluse dal regime dell’articolo 345 c.p.c. applicabile alla controversia, che e’ quello anteriore alle modifiche di cui alla Legge n. 69 del 2009, oppure correlate all’eventuale rinnovazione di incombenti istruttori gia’ espletati.
Essendo la situazione relativa all’accertamento delle modalita’ del fatto storico della stretta di mano ormai consolidata, il Collegio, come si spieghera’ nel prosieguo, sara’ in grado di constatare che appare palese, senza necessita’ di demandare il relativo apprezzamento e la conseguente decisione al giudice di rinvio, che si configura la mancanza di prova in ordine ad uno dei fatti costitutivi della domanda, cioe’ l’esistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito ai sensi dell’articolo 2043 c.c., richiesto sotto la specie del dolo o almeno della colpa, dedotto come fonte del danno con essa lamentato. Con la conseguenza che si dovra’ dare atto che, essendo a carico dell’attrice l’onere della prova di esso, tale onere risulta non assolto sotto tale profilo, in modo ormai insuscettibile di esserlo in un eventuale giudizio di rinvio.
Onde si evidenziera’ il presupposto richiesto dal secondo comma dell’articolo 384 c.p.c. per la pronuncia nel merito, cioe’ la mancanza di necessita’ di ulteriori accertamenti di fatto necessari per sostituire sul punto oggetto della cassazione la pronuncia cassata con una diversa pronuncia. Formulazione, quella della necessita’ di accertamenti di fatto, che va intesa nel senso che, in relazione alla situazione determinata rispetto alla controversia oggetto del ricorso per cassazione dalla cassazione della pronuncia impugnata riguardo ad una determinata statuizione, la situazione dei fatti sostanziali e processuali rilevanti per una nuova decisione sul punto oggetto della statuizione non solo emerge dagli atti pervenuti dinanzi alla Corte di cassazione in modo completo e riscontrabile dalla Corte per tramite di essi, ma, inoltre, non sia suscettibile di ulteriori riscontri in base a cio’ riguardo agli atti delle fasi di merito non e’ pervenuto alla Corte e nemmeno di svolgimento di possibili ulteriori attivita’ processuali in un eventuale giudizio di rinvio, potenzialmente idonee a darle una diversa dimensione.
p.5.1. Tanto premesso, lo scrutinio del primo motivo comporta il preliminare rilievo che non puo’ essere condivisa la prospettazione svolta dalla resistente riguardo ad esso, nel senso che esso porrebbe una questione del tutto nuova e, dunque, non deducibile nel presente giudizio di cassazione. Tale, ad avviso della (OMISSIS) sarebbe quella afferente al non avere la Corte d’Appello – una volta ritenuta la verita’ sul piano storico del fatto dannoso, cioe’ della stretta di mano , rovesciando l’accertamento in senso contrario del Tribunale in primo grado – svolto alcuna verifica in ordine alla ricorrenza in tale condotta, ascritta alla (OMISSIS) ed in quanto causativa dell’evento dannoso, della sussistenza dell’elemento soggettivo, cioe’ della sua connotazione con una qualificazione dolosa o colposa.
A sostegno della sua prospettazione la (OMISSIS) ha dedotto nel controricorso, riproducendovi il tenore della comparsa di costituzione e della conclusionale depositate in appello dalla (OMISSIS), che costei, nel resistere in appello, non aveva posto la questione della configurabilita’ dell’elemento soggettivo richiesto dall’articolo 2043 c.c., avendo incentrato la sua difesa sulla richiesta di conferma della valutazione della motivazione del giudice di primo grado in ordine alla mancanza di dimostrazione del fatto storico della stretta di mano .
p.5.1.1. L’eccezione dalla (OMISSIS) non e’ fondata.
Va considerato che, quando si esercita un’azione ai sensi dell’articolo 2043 c.c. la deduzione della sussistenza degli elementi di fatto in senso storico dai quali si dovrebbe desumere l’esistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito, costituendo l’elemento soggettivo un fatto costituivo della domanda e vertendosi in tema di diritto cd. eterodeterminato, fa parte della cosa oggetto della domanda ai sensi dell’articolo 163 c.p.c., n. 3.
Nel quadro della ripartizione dell’onere della prova di cui all’articolo 2697 c.c. il fatto costituivo dell’elemento soggettivo dell’illecito deve non solo essere allegato, ma anche dimostrato dal danneggiato che si sia fatto attore.
Riguardo a detto fatto costitutivo, o meglio ai fatti storici che nella prospettazione dell’attore dovrebbero evidenziarlo in via diretta o indiretta, la parte convenuta ha: a) l’onere di contestazione della loro verificazione, rimanendo essi altrimenti incontestati e non bisognosi di prova ed invece, in caso di contestazione, appunto bisognosi di prova; b) oppure, pur non contestane la verificazione, l’onere di dedurre altri fatti storici idonei ad infirmarne l’efficacia, dandone dimostrazione sul piano probatorio.
Su un piano diverso si pone invece l’attivita’ di qualificazione giuridica dei fatti costitutivi e, nella specie del fatto costitutivo dell’elemento soggettivo dell’illecito aquiliano, nel senso della idoneita’ in iure, cioe’ – sempre nella specie – ad evidenziare i profili normativi della colpa o del dolo (per i quali vengono in rilievo, in mancanza di definizioni nel c.c., le note definizioni del codice penale). Id est ad integrare appunto sul piano giuridico effettivamente l’una o l’altro.
Essa e’ attivita’ richiesta all’attore dallo stesso articolo 163, n. 4 sotto la specie definitoria degli elementi di diritto . Detta qualificazione non e’, com’e’ noto, elemento di individuazione del diritto fatto valere e, quindi della domanda, come emerge dall’articolo 164 c.p.c..
Essa si pone, poi, nel dibattito processuale, dal punto di vista della parte convenuta, sub specie di replicalo in iure circa l’idoneita’ dei fatti evidenziatori nella prospettazione dell’attore del profilo della colpa o del dolo e come tale diventa attivita’ argomentativa in iure esperibile nel corso del giudizio durante le varie fasi ed i vari gradi di esso, con il limite che puo’ estrinsecarsi solo con riguardo alla situazione fattuale fissata, sia al livello dell’onere di allegazione, sia al successivo livello degli oneri probatori, dalle preclusioni riguardo all’uno ed agli altri maturate di volta in volta nello svolgimento processuale, secondo il regime che lo disciplina.
Allo stesso modo l’indicata qualificazione in iure diventa problema dell’attivita’ valutativa e, quindi, decisionale del giudice, riconducibile al dovere di decidere secondo diritto (quando non opera la regola di decisione equitativa).
Come tale l’attivita’ di argomentazione in iure in ordine alle emergenze di fatto e’ attivita’ che non e’ monopolio delle parti, potendo e dovendo essere esercitata d’ufficio anche dal giudice e senza vincolo della prospettazione delle parti.
Un vincolo all’attivita’ di qualificazione in iure esercitata dalla parte si puo’ configurare per il giudice allorquando la qualificazione stessa del diritto fatto valere con la domanda identifichi il diritto fatto valere, come accade nel caso di domande relative a diritti autodeterminati. Ma anche in tal caso l’attivita’ di qualificazione in iure dei fatti storici sui quali la domanda risulta articolata e che non la individuano, cioe’ non individuano il diritto fatto valere, non resta vincolata a quella della parte attrice.
Un vincolo all’attivita’ di qualificazione in iure dei fatti storici ed alla rilevazione delle conseguenze di esse sulla controversia puo’ semmai determinarsi sia per le parti, sia per il giudice, per via di formazione di cosa giudicata interna, cioe’ allorquando il giudice del grado precedente abbia espressamente affermato o negato una certa qualificazione giuridica di essi oppure una idoneita’ o una inidoneita’ in iure di essi e sul punto non vi sia stata impugnazione da parte del litigante interessato.
p.5.1.2. Si deve aggiungere che, con riferimento al passaggio della controversia dal primo al secondo grado, se la negazione o l’affermazione di una qualificazione giuridica dei fatti, cioe’ di una loro idoneita’ in iure, non e’ stata oggetto di decisione da parte del primo giudice, pur essendo stata prospettata, non e’ sostenibile che la parte interessata all’una o all’altra debba riproporla nel giudizio di appello ai sensi dell’articolo 346 c.p.c.: e’ sufficiente osservare che si tratta di quaestio iuris e non di eccezione, cioe’ di un fatto storico rilevante per il giudizio. Eccezione che, del resto, nel regime dell’articolo 346 c.p.c., com’e’ noto, deve essere anche rilevabile solo ad istanza di parte, non riguardando la norma, invece, la rilevazione – sulla base dei fatti siccome allegati tempestivamente secondo il regime di preclusioni che regola il processo – le eccezioni rilevabili d’ufficio.
A maggior ragione resta, poi, possibile in appello l’attivita’ di negazione della idoneita’ in iure o l’attivita’ di affermazione di una diversa idoneita’ (qualificazione) in iure dei fatti, delle quali il giudice di primo grado nemmeno si sia occupato, perche’ ne’ lo stesso giudice l’abbia percepita come questione di diritto rilevante, ne’ alcuna delle parti l’abbia svolta.
p.5.1.3. Ove nemmeno in appello detta attivita’ venga svolta dalle parti e dal giudice d’appello, essa resta anzi possibile, fermo il solo limite che non debbono essere necessari accertamenti di fatto estranei al mero riscontro di quanto risulta dagli atti pervenuti alla Corte (e considerato che non puo’ essersi formato giudicato interno), sia da parte della Corte di cassazione, sia dalla parte, con motivo di ricorso per cassazione se essa sia soccombente, oppure con il controricorso in replicatione se essa debba resistere al ricorso altrui.
Si tratta, infatti, sempre di attivita’ meramente argomentativa in iure sul quadro fattuale e probatorio relativo ai fatti costitutivi della domanda ed ai fatti impeditivi, estintivi o modificativi della loro efficacia, che e’ immanente all’apprezzamento in iure.
In termini si veda Cass. n. 9297 del 2007 e, con riferimento a questione di legittimazione, Cass. n. 23568 del 2011.
p.5.2. Sulla base delle svolte precisazioni, si deve rilevare che nello svolgimento della vicenda processuale di cui e’ causa il potere della (OMISSIS) di svolgere argomentazioni soltanto in iure per sostenere, come ha fatto nel primo motivo di ricorso per cassazione, l’inidoneita’ del fatto storico della stretta di mano , negato dapprima dal Tribunale e, quindi, ritenuto esistente dalla Corte territoriale, ad integrare illecito ai sensi dell’articolo 2043 c.c. sotto il profilo dell’elemento soggettivo, non e’ stato certamente precluso dall’intervento di una decisione contraria costituente giudicato interno. E’ pacifico che il giudice di primo grado non si e’ in alcun modo occupato del profilo in discorso, avendo ritenuto assorbente quello preliminare della mancata dimostrazione del fatto storico.
Se, poi, ci si domandasse se la (OMISSIS) avesse svolto argomentazione in iure sul punto della mancanza di elemento soggettivo dell’illecito nella sua prima difesa in primo grado, cioe’ nella comparsa di risposta o nel corso di quel giudizio, la risposta nell’uno o nell’altro senso resterebbe comunque priva di rilevanza ai fini dell’ammissibilita’ della questione posta dal primo motivo.
Cio’, perche’: aa) in caso positivo, la prospettazione sarebbe rimasta assorbita dalla ragione della decisione di primo grado e la sua riproposizione non era regolata dall’articolo 346 c.p.c., per quanto sopra si e’ detto (cioe’ trattandosi di attivita’ argomentativa in iure); bb) mentre, in caso negativo, nulla impediva di prospettarla nel giudizio di appello (e tanto in disparte il comunque ininfluente rilievo che in una difesa svolta dal convenuto quale preteso danneggiante con una condotta di illecito aquiliano con la stessa contestazione della verificazione del fatto storico, nessun apprezzamento si sarebbe potuto scorgere nel senso di una mancata contestazione in iure della sussistenza dell’elemento soggettivo della condotta ove esistente).
p.5.2.1. Nel controricorso la resistente, riproducendo la comparsa di costituzione in appello e la conclusionale avversaria, ha rilevato che la questione di diritto della mancanza dell’elemento soggettivo non era stata in alcun modo prospettata, ma anche tale mancata prospettazione – che pure sarebbe stata possibile ormai in relazione alle risultanze dell’espletata istruzione riguardo al fatto storico – risulta irrilevante e scevra di qualsiasi effetto preclusivo.
Lo e’ in primo luogo ai fini della determinazione di quanto si sarebbe dovuto esaminare in appello comunque dalla Corte territoriale, nell’ipotesi che essa, come ha fatto, non avesse condiviso la sentenza di primo grado riguardo alla ritenuta mancata dimostrazione del fatto storico ed avesse ribaltato l’accertamento negativo fatto dal primo giudice. E lo e’ in secondo luogo ai fini di questo giudizio di cassazione, una volta che la (OMISSIS), di fronte alla riforma della sentenza di primo grado ed al riconoscimento della verificazione di quel fatto, si e’ venuta a trovare nella condizione di dover censurare la sentenza d’appello la’ dove ha ritenuto la sua responsabilita’.
Infatti, fermo che, una volta ribaltato l’avviso del primo giudice circa la verificazione del fatto storico della stretta di mano , il giudice d’appello, affermata tale verificazione, avrebbe dovuto procedere al riscontro dei fatti costitutivi della domanda in iure anche per quanto afferisce all’elemento soggettivo dell’illecito ai sensi dell’articolo 2043 c.c., ove esso, dopo aver motivato il suo opposto avviso in ordine alla verificazione del fatto, si fosse soffermato, come necessariamente doveva, sul profilo della sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito ed avesse affermato tale sussistenza, bene la (OMISSIS) avrebbe potuto svolgere un motivo di ricorso tendente a prospettare le ragioni di diritto della non condivisibilita’ dell’avviso espresso dalla Corte territoriale.
Viceversa, poiche’ il giudice d’appello, come esattamente prospetta la ricorrente ed emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, dopo aver ribaltato l’avviso del primo giudice circa la idoneita’ delle emergenze dell’istruzione a dimostrare la verificazione del fatto storico della stretta di mano lesiva, ha completamente taciuto in ordine alla ricorrenza del fatto costitutivo dell’illecito lamentato dalla (OMISSIS), rappresentato dall’elemento soggettivo richiesto dall’articolo 2043 c.c.
p.5.2.2. La Corte meneghina, invece, avrebbe dovuto d’ufficio, trattandosi di fatto costitutivo della domanda non esaminato per assorbimento in ragione della ritenuta valutazione di inesistenza del fatto storico della stretta di mano , argomentare in iure circa l’esistenza della dimostrazione in atti di quell’elemento e, quindi, spiegare come e perche’ esso ricorresse in relazione alla fattispecie concreta, indicando gli elementi di fatto emersi, in ipotesi, dall’istruzione circa lo svolgimento del fatto, giustificativi di una ricostruzione della stretta di mano siccome evidenziatrici di una condotta colpevole e, quindi, di una sua sussunzione sotto la specie normativa dell’articolo 2043 c.c. riguardo al dolo o alla colpa.
Solo ove avesse rinvenuto nello svolgimento della vicenda, siccome emerso dalle ormai definite risultanze istruttorie, una caratterizzazione tale da giustificare la qualificazione del comportamento della (OMISSIS) come colposo o doloso, avrebbe potuto affermarne la responsabilita’.
Ove, invece, non avesse rinvenuto nella vicenda quella caratterizzazione avrebbe dovuto negarne la responsabilita’.
Ove, poi, avesse rinvenuto nello svolgimento della vicenda siccome emerso dall’istruzione una inidoneita’ a giustificare sia una conclusione positiva in ordine alla qualificazione del comportamento della (OMISSIS) come colposo o doloso, sia una conclusione negativa e, dunque, avesse constatato una situazione di incertezza per non essere emerso il fatto storico con tutte quelle particolarita’ che avrebbero potuto farlo considerare, sulla base del procedimento di sussunzione sotto la normativa sulla colpa e sul dolo, colposo o doloso ovvero al contrario indurre a negare una di tali qualificazioni, avrebbe dovuto rigettare la domanda.
Lo avrebbe dovuto fare, perche’, essendo l’elemento soggettivo dell’illecito un fatto costitutivo della domanda, l’incertezza sulle modalita’ del fatto in ordine alla caratterizzazione come colposo o doloso della stretta di mano doveva necessariamente ridondare a svantaggio della (OMISSIS), quale parte attrice, sotto il profilo della mancanza di dimostrazione dell’esistenza di uno dei fatti costitutivi.
Poiche’ il giudice d’appello avrebbe dovuto, una volta rovesciato l’accertamento del primo giudice circa la non verificazione del fatto, necessariamente valutare se dall’esperita istruzione emergeva la prova dei fatti costitutivi necessari per la sua qualificazione alla stregua dell’articolo 2043 c.c. anche quanto all’elemento soggettivo e non lo ha fatto, la sentenza impugnata e’ allora manifestamente viziata da un errore di diritto sotto tale profilo, cioe’ perche’ ha ritenuto esistente un fatto illecito della (OMISSIS) senza spiegare se e perche’ nel fatto storico ad essa addebitato ricorreva l’elemento soggettivo richiesto dall’articolo 2043 c.c. quanto alla sua condotta, id est senza spiegare da che cosa si evincesse che la stretta di mano , pur accertata, era stata un comportamento almeno colposo.
La Corte territoriale a ben vedere ha invece del tutto implicitamente supposto che, una volta provata la stretta di mano, automaticamente essa risultasse affetta da una connotazione tale da evidenziarsi l’elemento soggettivo dell’illecito.
p.5.2.3. In base ai rilievi fin qui svolti il primo motivo con cui di cio’ si e’ lamentata la ricorrente risulta fondato.
Ne segue la necessaria cassazione della sentenza.
p.6. Ritiene il Collegio, come gia’ preannunciato, che a questo punto, una volta considerato che l’onere della prova dell’elemento soggettivo, quale fatto costitutivo dell’illecito, incombeva sulla (OMISSIS), emerga una situazione nella quale lo stato degli atti, siccome emergente dalle risultanze istruttorie, ormai irrimediabilmente cristallizzatesi, ed apprezzato erroneamente dalla Corte territoriale in iure con l’inammissibile supposizione implicita dell’elemento soggettivo dell’illecito, palesa – sulla base di un apprezzamento che non richiede accertamenti di fatto ulteriori, ma che postula solo una valutazione in iure da parte di questa Corte – che e’ rimasta assolutamente ed irrimediabilmente incerta la sussistenza di quel fatto costitutivo, giacche’ lo svolgimento della vicenda fattuale in ordine alla stretta di mano , pur dando per dimostrato che essa vi fu, non risulta accertato in termini tali da consentire in alcun modo di ritenere in iure che essa integro’ un comportamento anche soltanto colposo della (OMISSIS). La constatazione di tale incertezza, concernendo un fatto costitutivo, della cui dimostrazione era onerata la parte attrice, basta di per se’ sola a ravvisare le condizioni di infondatezza della domanda.
Le ragioni giustificative di quanto appena affermato si desumono dall’esame degli atti pervenuti a questa Corte.
p.6.1. Nella citazione introduttiva del giudizio, riprodotta nel controricorso, l’accaduto viene descritto in questi termini: In data 25.2.2003 l’attrice stava assistendo la Dr.ssa (OMISSIS) mentre eseguiva l’anestesia sulla Sig.ra (OMISSIS), quando quest’ultima, stringendo violentemente la mano sinistra dell’esponente, le provocava un trauma al polso .
Dopo che nel capitolo di prova n. 1 si era dedotta la circostanza che il (OMISSIS) la (OMISSIS) si era recata nello studio dentistico per effettuare un intervento odontoiatrico, il capitolo di prova n. 2 e quello n. 3 dedotti a pagina 7 della stessa comparsa avevano il rispettivo seguente tenore: vero che prima dell’intervento e’ stata applicata sulla paziente rituale anestesia a mezzo siringa ; Vero che durante l’assunzione dell’anestesia la paziente strinse la mano sinistra della Sig.ra (OMISSIS) che stava assistendo alla fase preparatoria dell’intervento .
L’unica teste che dalla riproduzione dei verbali delle prove testimoniali fatta nei rispettivi atti di costituzione sia dalla (OMISSIS) che dalla (OMISSIS) risulta avere assistito al fatto e’ la dott.ssa (OMISSIS), mentre il teste (OMISSIS), che lavorava per la dentista si trovava al momento in altra stanza.
Ora, la dott.ssa (OMISSIS) ha confermato il primo ed il secondo capitolo, mentre sul terzo ha dichiarato quanto segue: Io mi stavo accingendo a somministrare l’anestesia e quindi non ho potuto prestare attenzione ad altro; posso dire che la paziente aveva timore dell’intervento come spesso accade; .
Rispondendo sul quarto capitolo di prova articolato nella comparsa di risposta (che aveva il seguente tenore: Vero che la Sig.ra (OMISSIS) dichiaro’ immediatamente di accusare forte dolore ) la (OMISSIS) ha risposto quanto segue: mentre si lavorava all’estrazione della radice, non mi e’ stato detto nulla; quando la paziente e’ uscita dallo studio la (OMISSIS) si lamento’ della stretta alla mano sinistra che le aveva dato la paziente durante l’intervento .
Parte ricorrente ha, poi, nell’illustrazione del secondo motivo riprodotto il contenuto delle sue risposte all’interrogatorio formale deferitole dalla (OMISSIS). Da esse risulta che ebbe a dichiarare, dopo aver riconosciuto di essersi recata nello studio della dentista per l’estrazione di una radice, quanto segue: Ricordo che ero spaventatissima e che la dottoressa (OMISSIS) mi suggeriva di restare calma. Ricordo che la prima anestesia non aveva avuto effetto e che me ne furono praticate tre. Ricordo che sentivo un dolore terribile e che a un certo punto venni messa a gambe all’aria perche’ venne abbassato lo schienale della poltrona. Francamente non ricordo se ho preso la mano dell’assistente .
p.6.2. Queste essendo le uniche emergenze probatorie relative in modo diretto – sebbene per il tramite della rappresentazione fornita dalla teste e dalla (OMISSIS) – allo svolgimento del fatto, si deve rilevare che quanto da esse emerge non e’ in alcun modo sufficiente a dimostrare la sussistenza in capo alla (OMISSIS) – pur nella prospettiva che effettivamente la stretta di mano vi sia stata e, quindi, ammettendo la correttezza della valutazione in tal senso fatta dalla Corte lombarda – di un comportamento doloso o colposo.
La ragione si rinviene innanzitutto nella seguente circostanza, che, in ragione delle emergenze probatorie sopra ricordate siccome consacrate in atti, assume rilievo decisivo in iure.
E’ certo che la (OMISSIS), a prescindere dall’incertezza sul fatto che la stretta di mano si fosse verificata dopo l’anestesia o dopo una prima anestesia o durante l’esecuzione di essa, versava comunque al momento di essa in una situazione di esecuzione del rapporto curativo che comportava che Essa si trovasse in posizione di fisica soggezione, pur da lei assentita, all’ingerenza della dentista sulla sua persona per la detta esecuzione. In funzione di quest’ultima la dentista era tenuta ad indicare, proprio in ragione di quanto implicato dal dover compiere quell’ingerenza, quale dovesse essere l’atteggiamento della paziente durante l’esecuzione della prestazione per tutto l’arco del suo svolgimento e cio’ naturalmente sia per il caso che durante tale esecuzione essa conservasse il dominio delle sue facolta’ di movimento degli arti, sia per il caso contrario, nel quale essa poteva compiere atti inconsulti.
Ora, stante la posizione di minorita’ ed affidamento della propria persona alla cura della dentista da parte della (OMISSIS), con assenso ad ingerenza sulla propria persona, l’esistenza di una connotazione di dolo o di colpa nel suo comportamento di stretta della mano non si puo’ in alcun modo desumere senza che si conosca esattamente come e perche’ essa fosse avvenuta nel quadro della dinamica dell’intervento sulla sua persona e, quindi, in mancanza di conoscenza dei termini in cui essa era stata sottoposta all’ingerenza curativa del medico determinate la sua situazione di soggezione, nonche’ delle prescrizioni che le erano state date.
Si deve, infatti, rilevare, con apprezzamento che e’ riconducibile ad una valutazione in iure sotto il profilo della cd. sussunzione della fattispecie concreta sotto quella astratta, che, durante l’esecuzione di una prestazione medica che, sulla base del consenso del paziente, suppone l’intervento sulla persona del paziente stesso, il rinvenire – in funzione di un tipico apprezzamento in iure – connotazioni di colpa in una stretta di mano che il paziente faccia al paramedico che assiste il medico per l’esecuzione della prestazione, suppone la precisa dimostrazione del suo atteggiarsi nello svolgimento complessivo della dinamica dell’intervento curativo e, dunque, che si abbia la precisa e puntuale conoscenza di tale complessivo svolgimento. Occorre, quindi, che risultino dimostrate sia le modalita’ con le quali il medico, sulla base del consenso del paziente, aveva indicato che sarebbe intervenuto sulla persona del medesimo, sia le prescrizioni date al paziente sull’atteggiamento da tenersi da parte del paziente durante l’esecuzione dell’intervento: la ragione di tale onere dimostrativo si rinviene nel fatto che, venendo il paziente a trovarsi in una posizione di soggezione all’intervento sulla sua persona e, quindi, di soggezione all’azione del medico, fa parte dell’oggetto della prestazione del medico l’indicazione di come il paziente si dovra’ comportare durante l’esecuzione dell’intervento e cio’ al fine di evitare che l’intervento sulla persona provochi, come ogni intervento altrui sulla integrita’ fisica, possibili reazioni dello stesso paziente e, comunque, al fine di contenerle entro limiti che non cagionino danno allo stesso medico e a chi con lui collabori. Cio’, tanto piu’ in relazione all’esecuzione di una prestazione medica estremamente invasiva qual e’ l’asportazione di una radice dentaria, con le stesse consuete preliminari operazioni di anestesia. Esecuzione che notoriamente puo’ cagionate dolore o essere percepita come cagionante dolore. Siffatta ordinaria percezione da parte del paziente, tenuto conto che e’ fisiologico che di fronte al dolore o anche di fronte al pericolo di subire un dolore, si possano manifestare reazioni, consapevoli o inconsulte del paziente, impone, nel quadro della prestazione del medico e degli obblighi di cura della persona del paziente ad essa sottesi, che il medico sia tenuto ad avvertire il paziente sul come comportarsi durante l’esecuzione della prestazione, cioe’ mentre e’ nella posizione di soggezione necessaria per la sua esecuzione.
Tanto si osserva anzitutto per il caso – circostanza rimasta peraltro irrimediabilmente del tutto ignota – che la stretta di mano sia stata un’iniziativa della (OMISSIS) non preceduta da una fase precedente in cui la mano veniva soltanto tenuta nell’espletamento di un dovere di assistenza e rassicurazione.
In proposito si rileva che nella generica descrizione del fatto di cui in citazione e nella capitolazione probatoria, alludendosi solo genericamente alla stretta di mano senza alcuna indicazione di come e perche’ essa fosse avvenuta, tale profilo era rimasto del tutto oscuro, non essendosi in alcun modo dettagliata la modalita’ della verificazione della stretta , particolarmente quanto a cio’ che aveva preceduto l’azione dello stringere la mano, la quale, evidentemente, supponeva alternativamente o che prima la mano fosse stata afferrata da chi poi l’aveva stretta o che fosse stata porta da chi poi subi’ la stretta.
E’ palese che l’allegazione e, quindi, la dimostrazione che la mano fosse stata afferrata dalla (OMISSIS) o invece porta dalla (OMISSIS), nonche’ del se, nel primo caso, fosse stata frutto di un’iniziativa della (OMISSIS) o fosse stata conseguente ad un ordine o ad un consiglio della dentista o ad una richiesta della (OMISSIS) assentita dalla (OMISSIS), inerivano a circostanze di svolgimento del fatto anch’esse assolutamente rilevanti per l’apprezzamento del carattere colposo della stretta e, dunque, sotto un criterio di valutazione in iure, che bene questa Corte puo’ esprimere in questa sede senza che occorrano gli accertamenti di fatto cui allude l’articolo 384 c.p.c., comma 2.
In ogni caso sarebbe stato comunque rilevante, giusta quanto si e’ osservato sopra circa le complicazione della posizione di soggezione della (OMISSIS) in funzione dell’espletamento della prestazione medica, sapere se e quali indicazioni erano state date alla paziente (OMISSIS) sul modo di comportarsi durante le varie fasi dell’intervento, compresa l’anestesia o le anestesie.
Nulla, pero’, riguardo alle note fattuali che precedettero la stretta di mano emerge dalla risultanze istruttorie, sicche’ si palesa in esse la totale mancanza di possibilita’ di ravvisare una connotazione almeno colposa del comportamento della (OMISSIS), tenuto conto che tale comportamento e’ stato tenuto nel corso di una prestazione medica che vedeva la medesima in soggezione rispetto ad un’ingerenza e, dunque, in una posizione di limitazione fisica e psicologica delle sue facolta’, certamente rilevante ai fini dell’apprezzamento di un profilo di colpa nel su comportamento.
p.6.3. Il solo fatto oggettivo della stretta di mano , collocato nel detto contesto e valutato nel deserto probatorio quanto allo svolgimento dell’esecuzione della prestazione medica, e’ allora assolutamente inidoneo, nonostante rappresentasse a sua volta una coazione rispetto alla (OMISSIS), ad essere apprezzato in iure come connotato dai requisiti della colpa.
Tanto si risolve nel dover constatare una situazione oggettiva di mancata dimostrazione dell’elemento costitutivo dell’illecito lamentato dalla (OMISSIS) ed evidenzia a questo punto che vi e’ una situazione nella quale, senza necessita’ di accertamenti di fatto, si giustifica la conclusione dell’infondatezza della domanda.
p.6.4. Tale conclusione, si badi, si basa sulla considerazione della dichiarazione testimoniale della dentista e prescinde dalla considerazione delle dichiarazioni rese nel suo interrogatorio formale dalla (OMISSIS), riguardo all’essere spaventatissima, all’esserle state praticate tre anestesie, all’essere stata messa a gambe all’aria perche’ lo schienale venne abbassato. Tali dichiarazioni, infatti, non sono riconducibili all’articolo 2734 c.c., siccome la ricorrente ha postulato, sia pure ai fini del secondo motivo, atteso che essa non diede risposta positiva all’interrogatorio formale riguardo alla verificazione della stretta di mano, ma disse di non ricordare se quest’ultima vi era stata.
p.6.5. Si osserva ancora che, appartenendo all’onere della (OMISSIS) all’atto della formulazione della domanda e comunque ai fini della capitolazione della prova, indicare le note fattuali della vicenda idonee ad evidenziare l’elemento soggettivo dell’illecito nella condotta addebitata alla (OMISSIS), un eventuale giudizio di rinvio non sarebbe giustificabile neppure in vista della possibilita’ di una rinnovazione della testimonianza della dentista (ancorche’ la questione della sua incapacita’, eccepita inutilmente a verbale e rimasta assorbita nella decisione del giudice di primo grado, non sia stata riproposta in appello, come emerge dalla comparsa di costituzione della (OMISSIS)): tale rinnovazione, infatti, si risolverebbe nella ripetizione dell’assunzione della prova testimoniale sui fatti capitolati con la necessaria formulazione di domande a chiarimento ai sensi dell’articolo 253 c.p.c., comma 1, ex officio iudicis in una situazione nella quale, se e’ vero che gia’ all’atto dell’espletamento della prova il giudice avrebbe potuto formularle, tuttavia le avrebbero potuto formulare anche i difensori delle parti e segnatamente quello dell’attrice (OMISSIS), e non invece, come esige l’articolo 257 c.p.c., comma 2, in una richiesta alla teste di chiarire la sua deposizione o di rimediare ad una irregolarita’ di assunzione della prova.
La richiesta di descrizione delle modalita’ fattuali che precedettero la stretta di mano non sarebbe funzionale a chiarire la deposizione della dentista siccome avvenuta e consacrata nel relativo verbale, bensi’ sarebbe espressione della formulazione di domande utili a chiarire i fatti capitolati e, dunque, di un’attivita’ che si sarebbe potuto svolgere ex officio o su istanza di parte all’atto dell’assunzione.
p.6.6. Va considerato a questo punto che nella specie ricorrono i presupposti della decisione nel merito alla stregua del condivisibile principio di diritto secondo cui: Ai sensi dell’articolo 384 cod. proc. civ., nel testo novellato dalla Legge 26 novembre 1990 n. 353, articolo 66, la cassazione sostitutiva, con giudizio nel merito, e’ consentita nei soli casi in cui, dopo l’enunciazione del principio di diritto, la controversia debba essere decisa in base ai medesimi apprezzamenti di fatto che costituivano il presupposto del giudizio di diritto errato, in tal guisa postulandosi che il giudice del merito abbia avuto modo di esprimere siffatti apprezzamenti ai fini di una specifica decisione; essa non e’ pertanto consentita nei casi in cui l’intervento caducatorio della decisione di legittimita’ apra la via ad una pronuncia su questioni non esaminate nella pregressa fase di merito, atteso che la norma suddetta, nell’escludere la cassazione sostitutiva in presenza della necessita’ di accertamenti ulteriori , limita la possibilita’ di tale provvedimento alla sola ipotesi in cui tutti gli accertamenti siano stati compiuti dal giudice competente e quindi impedisce che in sede di cassazione sostitutiva possano essere rese decisioni su questioni nel merito delle quali il giudice a quo non si sia pronunciato, decisioni che, pertanto, non essendo destinate a sostituire alcuna pronuncia precedente, si configurino a loro volta come ulteriori rispetto a quelle cassate. Ne’ rileva in proposito il fatto che sulla questione si sia pronunciato, o meno, il giudice di primo grado, la cui sentenza sia stata riformata con quella poi cassata, atteso l’effetto sostitutivo della sentenza di secondo grado, la cui pronuncia toglie rilievo, nei limiti del principio tantum devolutum quantum appellatum , alla decisione di primo grado, come reso palese dall’articolo 393 cod. proc. civ. il quale, per il caso di estinzione del processo verificatasi dopo la cassazione, dispone che si estingue l’intero giudizio, laddove l’estinzione del giudizio di appello – verificatasi, cioe’, prima della realizzazione del suddetto effetto sostitutivo – puo’ determinare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (articolo 310 cod. proc. civ.). (Cass. n. 17221 del 2002; in senso conforme: Cass.n. 11928 del 2006).
La ricorrenza delle condizioni indicate dal principio appena richiamato si giustifica nella specie, perche’, come s’e’ gia’ detto, la Corte territoriale, in base agli apprezzamenti di fatto basati sulle acquisizioni dell’istruzione che hanno costituito il presupposto del suo erroneo giudizio sulla ricorrenza dell’illecito della qui ricorrente, avrebbe dovuto in realta’ rilevare che tale illecito, pur dando per verificata la stretta di mano , non si configurava per difetto dell’elemento soggettivo, rimasto ormai irrimediabilmente carente di dimostrazione.
Sicche’ l’apprezzamento esatto in iure che qui si svolge e’ quello che avrebbe dovuto svolgere la Corte territoriale, la quale non ha pronunciato senza accertare l’elemento soggettivo, ma lo ha dato inammissibilmente e del tutto erroneamente per scontato. Sicche’ non e’ possibile dire che la relativa questione sia una questione non esaminata. Si tratta di questione esaminata erroneamente, perche’ decisa sulla base di una sorta di supposizione del tutto implicita. Onde questa Corte legittimamente esercita la cassazione sostitutiva.
p.6.7. Risultano, in particolare, le condizioni per decidere nel merito sulla base del seguente principio di diritto, espressione di massima di specie: con riferimento ad una domanda di risarcimento danni formulata da un’assistente sanitaria di una dentista per pretesi danni sofferti durante l’esecuzione da parte della dentista di una prestazione di estrazione dentaria previa anestesia, a causa di una stretta di mano della paziente, una volta positivamente scrutinato il motivo di ricorso per cassazione con cui la paziente imputi alla sentenza di appello, dopo aver ritenuto accertata e, quindi, avvenuta la stretta di mano , di avere omesso di spiegare la ricorrenza a suo carico dell’elemento soggettivo dell’illecito e, quindi, di averla implicitamente erroneamente supposta, la Corte di Cassazione – qualora constati che la situazione per come apprezzata erroneamente dalla Corte territoriale non palesi alcunche’ sia circa le modalita’ iniziali della stretta di mano e, quindi, l’iniziativa di essa, sia circa le ulteriori modalita’ di svolgimento in punto di atteggiamenti tenuti dalla paziente e dall’assistente, sia circa il modo in cui essa si colloco’ nel quadro della posizione di soggezione della paziente all’intervento e, dunque, alla cura ed alle prescrizioni del medico, sia quanto alla doverosa adozione di queste ultime – puo’, una volta cassata la sentenza impugnata, pronunciare nel merito il rigetto della domanda per assoluta incertezza in ordine alla dimostrazione dell’elemento soggettivo dell’illecito, siccome emergente in atti in modo irrimediabile ed irretrattabile, in ragione delle ormai maturate preclusioni alle allegazioni e alle istanze probatorie. .
p.7. Conclusivamente e’ accolto il primo motivo di ricorso e, ravvisandosi le condizioni per decidere nel merito in senso favorevole alla ricorrente con il rigetto della domanda, gli altri suoi motivi restano assorbiti.
Pronunciandosi nel merito, l’appello della (OMISSIS) deve essere, dunque, rigettato per difetto di prova dell’elemento soggettivo quale fatto costitutivo dell’illecito e, quindi, della domanda.
p.8. La pronuncia sul merito con cassazione sostitutiva impone di pronunciare sulle spese dell’intero giudizio.
Esse si compensano (anche riguardo alle c.t.u. e al procedimento ai sensi dell’articolo 373 c.p.c.) quanto a tutti i gradi di giudizio, ravvisandosi giusti motivi sia nella circostanza che solo in questa sede la (OMISSIS) ha posto, sebbene legittimamente, come s’e’ detto, la questione dell’elemento soggettivo, sia nella circostanza che la difesa della medesima si era articolata nella negazione del fatto storico ed ora in questa sede di legittimita’, richiedendo di decidere sul merito in accoglimento del primo motivo, si e’ dimostrata interessata in via solo subordinata alla verifica di detta prospettazione, che logicamente precedeva l’altra.
Leave a Reply