Cassazione toga rossa

 SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI

sentenza 22 gennaio 2016, n. 3047

Ritenuto in fatto

1. Con decreto adottato in data 19 gennaio 2015, il Giudice per le indagini preliminari dei Tribunale di Trani ha dichiarato l’inammissibilità dell’atto di opposizione proposto, quale persona offesa, da N.S. avverso la richiesta dì archiviazione avanzata dal pubblico Ministero procedente nei confronti di F.S., indagato del reato di cui all’art. 323 cod. pen., per irregolarità amministrative e contabili nella realizzazione di un programma di edilizia convenzionata.

2. Avverso l’indicato provvedimento propone ricorso per cassazione la persona offesa a mezzo dei proprio difensore, denunciando l’impugnato decreto per violazione di legge (art. 606, comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 127, 409 e 410 cod. proc. pen.).

La parte censura le motivazioni spese dai Giudice per le indagini preliminari per aver questi formulato un’inammissibile anticipazione del giudizio sulla capacità dimostrativa degli elementi di prova e sulla infondatezza della notizia di reato, giudizio inibito, per le forme osservate e cioè quelle del decreto emesso senza fissazione dell’udienza in camera dì consiglio, in costanza di opposizione.

3. II Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha fatto pervenire a questa Corte memoria scritta in cui ha concluso per l’inammissibilità dei ricorso per un duplice evidenziato motivo.

In via preliminare, nella natura monoffensiva dei reato di abuso di ufficio, diretto a tutelare l’interesse al buon andamento, imparzialità e trasparenza dei comportamento dei pubblici ufficiali e quindi nella non riconoscibilità in capo al privato, danneggiato, della posizione di persona offesa dal reato con conseguente legittimazione all’esercizio dei diritti processuali esercitati per il proposto ricorso (artt. 408, 409 e 410 cod. proc. pen.).

Più squisitamente nel merito, in ragione della marcata individuazione nella proposta denuncia di un fatto-reato e quindi di una notizia di reato da approfondirsi in via investigativa.

Ritenuto in diritto

1. II reato di abuso di ufficio allorché sia finalizzato ad arrecare ad altri un danno ingiusto ha natura piurioffensiva in quanto è idoneo a ledere, oltre all’interesse pubblico al buon andamento e alla trasparenza della p.A., il concorrente interesse dei privato a non essere turbato nei suoi diritti dal comportamento illegittimo e ingiusto del pubblico ufficiale.

Ne consegue che il privato danneggiato riveste la qualità di persona offesa dal reato ed è legittimato a proporre opposizione avverso la richiesta di archiviazione del P.M. (Sez. 6, Sentenza n. 13179 dei 29/03/2012, Picaro; Sez. 6, n. 17642 dei 10/04/2008, Cortellino; Sez. 6, n. 40694 del 14/11/2006, Ce.M.I.M.).

Il richiamo operato nell’atto di opposizione ad una fattispecie di abuso di ufficio destinata a favorire la ditta affidataria di lavori di edilizia convenzionata, registrando la prima l’esistenza di «intrecci ed interessi personali esistenti tra dirigenti pubblici e ditta appaltatrice» nell’attuazione dei relativo programma di edilizia pubblica, consente di ritenere integrata la diversa ipotesi deli’ abuso finalizzato a procurare un ingiusto vantaggio.

A quest’ultima figura si lega, per costante orientamento della Corte, la natura monoffensiva dei reato che tutela soltanto l’interesse al buon andamento, alla imparzialità ed alla trasparenza dei comportamento dei pubblici ufficiali (Sez. 6, n. 21989 dei 16/05/2013, in proc. contro ignoti).

Ove quindi l’abuso dei pubblico amministratore sia sorretto dal dolo specifico di avvantaggiare un soggetto, il danno che eventualmente derivi da un siffatto operare in capo al terzo, in quanto non sostenuto dal dolo dell’agente è conseguenza meramente riflessa della condotta di quest’ultimo e, come tale, non destinato a legittimare detto terzo allo strumentale esercizio dei poteri processuali riconosciuti alla persona offesa (artt. 408, 409 e 410 cod. proc. pen.).

2. II ricorso va quindi, conclusivamente, dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo quantificare in euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

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