cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 3 febbraio 2015, n. 1891

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 163/2013 proposto da:

(OMISSIS) SPA (OMISSIS), in persona del Quadro Direttivo, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

– intimati –

avverso il provvedimento n. 163/2013 del TRIBUNALE di VITERBO, depositato il 29/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/12/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato (OMISSIS) (delega avvocato (OMISSIS)) difensore della ricorrente che si riporta ai motivi.

PREMESSO IN FATTO
E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
“1.- il ricorso e’ inammissibile, essendo stato proposto contro provvedimenti del giudice dell’esecuzione adottati, su istanza di parte, per la correzione di un errore materiale del piano di riparto e della dichiarazione di esecutivita’ dello stesso.
Contrariamente a quanto assume la parte ricorrente non si tratta di provvedimenti riguardo ai quali non sarebbe previsto alcun rimedio, se non, sussistendone il presupposto della decisorieta’, il ricorso straordinario per cassazione ex articolo 111 Cost..
1.1.- La vicenda processuale esposta in ricorso trova riscontro negli atti impugnati:
– in data 2 aprile 2009 veniva approvato il progetto di distribuzione nella procedura esecutiva immobiliare n. 432/95 del Tribunale di Viterbo, nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), nel quale nessuna attribuzione era prevista in favore di (OMISSIS) (che pure aveva gia’ riscosso la somma complessiva di euro 98.000,00 ai sensi dell’articolo 41 TUB), mentre per errore era dato atto che la (OMISSIS) aveva incassato tale ultima somma ed era tenuta alla restituzione di euro 352,28;
– in data 16 dicembre 2009 la (OMISSIS) depositava un’istanza per la correzione dell’errore materiale nel piano di riparto, con la quale chiedeva che fosse cancellata l’attestazione della riscossione da parte sua della somma di euro 98.000,00 ed inoltre che fosse ordinata alla (OMISSIS) la restituzione di quanto incassato;
– il giudice dell’esecuzione, senza dare corso al contraddittorio, non si limitava all’eliminazione dell’attestazione riguardante la parte istante, ma disponeva la correzione dell’errore materiale contenuto nel piano di riparto in conformita’ a quanto indicato nella presente istanza, col primo dei provvedimenti impugnati, datato 16/29 dicembre 2009;
– successivamente la (OMISSIS) depositava altra istanza per eseguire piano di riparto ed il giudice dell’esecuzione provvedeva, inaudita altera parte, col secondo dei provvedimenti impugnati, in data 8 novembre 2010, ordinando alla (OMISSIS) di versare in cancelleria le somme da restituirsi, sulla base del piano di riparto approvato, entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento;
– assume la ricorrente che ne’ il primo ne’ il secondo di detti provvedimenti sarebbero stati resi noti ad essa destinataria (succeduta, per la serie di fusioni riportate in ricorso, a (OMISSIS)).
L’inammissibilita’ del ricorso per cassazione comporta l’irrilevanza di tale ultimo dato. In merito alle altre circostanze, risultanti come sopra, si osserva quanto segue.
2.- Va ribadito l’orientamento espresso da questa Corte gia’ in pronunce risalenti, e poi di recente, in ragione del quale le ordinanze del giudice dell’esecuzione che non possono essere revocate per avere avuto attuazione, sono suscettibili di correzione, nei casi e nelle forme previste dagli articoli 287 e 288 c.p.c., atteso che dette norme, ancorche’ aventi ad oggetto la disciplina del procedimento di cognizione, sono suscettibili di trovare applicazione ai consimili provvedimenti resi nel processo di esecuzione, in quanto, da un lato, costituiscono espressione di una esigenza di ordine generale propria ad ogni tipo di processo e, dall’altro, non trovano ostacolo in opposte disposizioni regolatrici del processo di esecuzione (Cass. n. 7930/91, ma cfr. gia’ Cass. n. 1955/63, nonche’ di recente Cass. n. 11320/09).
L’articolo 288 c.p.c., u.c., prevede che, in caso di correzione di errore materiale, sia possibile l’impugnazione delle sentenze relativamente alle parti corrette, con decorrenza del termine dal giorno in cui e’ stata notificata l’ordinanza di correzione. E la norma e’ interpretata nel senso che il rimedio si applica se con l’ordinanza di correzione sono svelati errores in iudicando o in procedendo evidenziati solo dal procedimento correttivo oppure quando l’errore corretto sia tale da ingenerare un obbiettivo dubbio sull’effettivo contenuto della decisione, interferendo con la sostanza del giudicato, ovvero quando con la correzione sia stata impropriamente riformata la decisione, dando luogo a surrettizia violazione del giudicato; per contro l’adozione della misura correttiva non vale a riaprire o prolungare i termini di impugnazione della sentenza che sia stata oggetto di eliminazione di errori di redazione del documento cartaceo, chiaramente percepibili dal contesto della decisione, in quanto risolventisi in una mera discrepanza tra il giudizio e la sua espressione (cfr., tra le tante, Cass. n. 6969/06, nonche’ Cass. S.U. n. 5165/04).
Nell’applicare, alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, l’articolo 288 c.p.c., u.c., al processo esecutivo, in cui non si puo’ che procedere alla correzione di un errore materiale contenuto in un’ordinanza (non adottando, per definizione, il giudice dell’esecuzione provvedimenti qualificabili come sentenze: cfr. Cass. n. 22033/11, in motivazione), ne risultera’ che l’ordinanza del giudice dell’esecuzione relativamente alle parti corrette potra’ essere impugnata.
Orbene, il rimedio esperibile avverso tutti i provvedimenti del giudice dell’esecuzione, in cui si articola il processo esecutivo, dei quali si contesti la validita’, la legittimita’ o, comunque, l’irregolarita’ formale, e’ quello dell’opposizione agli atti esecutivi ex articolo 617 c.p.c..
Il sistema di controllo di legittimita’ dei provvedimenti del giudice dell’esecuzione e’ infatti realizzato attraverso il rimedio della opposizione agli atti esecutivi, di cui all’articolo 617 c.p.c., (cui si aggiunge quello del reclamo del successivo articolo 630, per il caso di estinzione); questo sistema esclude che gli stessi possano ritenersi sottoposti al (diverso) regime delle impugnazioni previsto, per le sentenze, dall’articolo 323 c.p.c., ed esclude, ancora, che, in relazione ad essi, possa legittimamente parlarsi di definitivita’ dell’atto giurisdizionale (di assenza, cioe’, di ogni altro rimedio nell’ambito dell’ordinamento processuale), condizione necessaria affinche’ un provvedimento decisorio possa dirsi impugnabile, in sede di legittimita’, con il rimedio del ricorso straordinario ex articolo 111 Cost. (cfr. Cass. n. 9549/97, n. 2502/02).
Va percio’ affermato il principio che le ordinanze del giudice dell’esecuzione che non possono essere revocate per avere avuto attuazione, sono suscettibili di correzione, nei casi e nelle forme previsti dagli articoli 287 e 288 c.p.c.. Le ordinanze cosi’ corrette non sono impugnabili col ricorso straordinario per cassazione, in quanto possono essere impugnate col rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’articolo 617 c.p.c., ed il termine per l’opposizione decorre dalla notificazione o comunicazione della relativa ordinanza, ai sensi dell’articolo 288 c.p.c., u.c., se l’errore corretto sia tale da ingenerare un obbiettivo dubbio sull’effettivo contenuto dell’ordinanza, ovvero quando con la correzione sia stata impropriamente riformata la portata decisoria del provvedimento, dando luogo surrettiziamente ad una revoca o ad una modifica di ordinanza gia’ eseguita e non piu’ opponibile.
Giova aggiungere che, analogamente al caso della correzione della sentenza (cfr. Cass. n. 9425/11), la sola denuncia di eventuali vizi di formazione dell’ordinanza di correzione, che non coinvolgano anche il merito sostanziale del provvedimento, determina l’inammissibilita’ dell’opposizione, potendo essere formulate esclusivamente censure che riguardino o la verifica dell’ammissibilita’ del procedimento di correzione o la fondatezza del merito del provvedimento correttivo.
Nel caso di specie, in cui la ricorrente ha lamentato, oltre alla violazione delle norme procedurali dell’articolo 288 c.p.c. (per essere stati i provvedimenti del g.e. adottati inaudita altera parte, malgrado l’istanza provenisse soltanto da uno dei creditori partecipanti alla distribuzione), anche la modificazione sostanziale del piano di riparto gia’ approvato, il rimedio avrebbe dovuto essere quello dell’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza dichiarativa dell’esecutivita’ del progetto di distribuzione risultante all’esito della correzione.
Si propone, percio’, la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso”.
La relazione e’ stata comunicata e notificata come per legge.
RITENUTO IN DIRITTO
A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione.
Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Poiche’ i resistenti non si sono difesi, non vi e’ luogo a provvedere sulle spese.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese

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