Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 24 novembre 2014, n. 24934
Svolgimento del processo
Con memoria — datata 17.9.14 in vista dell’adunanza in camera di consiglio del 23.9.14 – ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ. in merito alla relazione redatta sul ricorso da lei proposto nei confronti del Fallimento F.lli Bernardi snc e di B.E. e B.N. , nonché di B.E. e B.N. , B.N. ha dispiegato istanza “ex art. 51 e segg. c.p.c.” nei confronti del consigliere relatore, Dott. R.V. , ritenendo avere egli “anticipato l’esito del giudizio, mediante argomentazioni palesemente destituite di qualsiasi fondamento e disancorate dai motivi posti a base del ricorso ex art. 111 Cost.”, chiedendo la sostituzione del relatore.
Con successive “note integrative all’istanza di astensione/ricusazione e contestuale seguito di esposto”, trasmesse a mezzo fax il 19.9.14, B.N. ha poi ritenuto “doveroso integrare l’istanza di ricusazione anche nei confronti dei magistrati D.C. , Bi. e D.P. “:
– avendo il primo – unitamente al relatore Dott. R. – già sommariamente definito il pregresso parallelo procedimento di legittimità, R.G.N. 19260/2002, relativo al giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento della s.n.c. Mobilificio F.lli Bernardi e dei soci in proprio, pronunciando la sentenza n. 6508/2004, anch’essa oggetto di censure in sede penale, dalla quale discenderebbero le ulteriori condotte illecite poste in essere dagli organi fallimentari, legittimate dai medesimi odierni giudicanti e rimaste ad oggi del tutto in esaminate ed impunite in sede penale;
– “quanto agli altri componenti del Collegio, per avere i magistrati ricusati Bi. , D.P. e A. rammostrato di nutrire grave prevenzione nei confronti delle parti rappresentate dal sottoscritto difensore, ovvero odio politico e/o comunque interessi contrari alle attività dell’Associazione Avvocati senza Frontiere che ha offerto il proprio patrocinio anche nei paralleli giudizi assegnati ai medesimi magistrati, definiti con modalità e decisioni ritenute parimenti sommarie ed illegittime, giungendo a negare il riconoscimento del risarcimento dei danni ex Legge n. 89/2001, in contrasto non solo con le conclusioni del Procuratore Generale,… (cfr. Cass. n. 22766/2013 Rel. Bi. , Pres. D.P. …), ma con la propria stessa costante giurisprudenza”: tanto evincendosi dalla sentenza n. 1353/13 di questa Corte, di esito opposto pur in fattispecie identica, nonché dall’anomalo epilogo del giudizio definito con sentenza n. 543/2013 (rel. Bi. ), in cui è stato ritenuto “debole” il ritardo nella definizione del procedimento durato sedici anni, con reiezione del ricorso e condanna dei ricorrenti alle spese di lite;
– tanto che “l’ennesima presente assegnazione ai medesimi magistrati non può, dunque, non apparire quantomeno anomala ed idonea ad avvalorare il sospetto della ricusante, la quale ritiene che i provvedimenti relativi agli interessi del Fallimento del Mobilificio F.lli Bernardi snc possano essere oggetto di binari preferenziali, ovvero di indebite interferenze e pressioni sugli organi giudicanti e la stessa Procura Generale, in violazione dei criteri automatici di assegnazione degli affari e dell’osservanza delle procedure di legge e delle norme di diritto poste a base dell’Ordinamento”; con una situazione di “evidente incompatibilità e conflitto di interessi per avere i magistrati già conosciuto la causa in fasi precedenti”, con conseguente menomazione della oro imparzialità, quest’ultima invece essendo oggetto di tutela sia da parte della Costituzione che della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo l’interpretazione della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 22.2.93 n. 2176) dell’istituto della ricusazione.
A seguito di tanto, il Collegio della prima sottosezione della sesta sezione civile, all’adunanza 23.9.14, ha preso atto della ricusazione e rimesso gli atti al presidente di quest’ultima: il quale ha poi formato un Collegio straordinario, fissando, per l’esame delle istanze di ricusazione, l’adunanza in camera di consiglio del 13.11.14, alla quale peraltro, data di essa comunicazione ai procuratori costituiti delle parti e pure al P.G. ed ai consiglieri ricusati, pure al fine di consentir loro di essere ascoltati (secondo quanto previsto da Cass. Sez. Un., ord. 22 luglio 2014, n. 16628), nessuno compare.
Motivi della decisione
1. La ricusazione del dottor R.V. .
Va preliminarmente scrutinata la ricusazione dispiegata con la memoria ritualmente depositata in cancelleria dalla B. il 17.9.14, nei confronti del relatore, nominato ai sensi dell’art. 280-bis cod. proc. civ., Dott. R.V. : ma essa è manifestamente infondata.
Questa Corte ha da tempo sancito che, in tema di ricusazione e nell’ambito del procedimento di cassazione ex art. 380-bis cod. proc. civ., non sussiste l’obbligo di astenersi del presidente che ha fissato l’adunanza in camera di consiglio ex art. 375 cod. proc. civ. e del relatore se, con riferimento alla relazione, redatta ai sensi del citato art. 380-bis dal consigliere nominato ex art. 377 cod. proc. civ., le parti private o il P.M. sostengano l’erroneità delle considerazioni in essa svolte, in quanto detta relazione non riveste carattere decisorio e neppure può considerarsi un’anticipazione del giudizio da parte del consigliere relatore (per di più del collegio, che procede all’esame del ricorso soltanto in un momento successivo), svolgendo il relatore un’attività non diversa da quella del giudice istruttore in applicazione dell’art. 182 cod. proc. civ. (Cass., ord. 26 novembre 2007, n. 24612; Cass., ord. 29 novembre 2010, n. 24140).
L’intero procedimento ex art. 380-bis” cod. proc. civ., infatti, non comporta affatto alcuna anticipazione del giudizio da parte di alcuno e tanto meno del relatore: il quale istruisce il ricorso, studiando le questioni con esso prospettate e formulando proposte di definizione di esso, le quali non solo non sono vincolanti per alcuno, ma costituiscono soltanto il punto di partenza della disamina, ad opera di tutto il Collegio, della fattispecie portata al suo esclusivo giudizio; sicché quest’ultimo, preso all’esito della discussione in camera di consiglio con la partecipazione di altri quattro consiglieri, tra cui il presidente, all’esito delle eventuali osservazioni delle parti private interessate o delle conclusioni del pubblico ministero, non può in alcun modo essere o anche solo dirsi anticipato dalla relazione.
E tanto è né più né meno quanto accaduto nella fattispecie, nella quale il relatore ha formulato le sue osservazioni e proposte, sulle quali il Collegio avrebbe dovuto e potuto pronunziarsi in piena autonomia.
2. Inammissibilità della ricusazione trasmessa a mezzo fax.
Deve, a questo punto, escludersi rammissibilità dell’ulteriore istanza di ricusazione, rivolta ora nei confronti dei dottori D.P.S. , D.C.C. , Bi.Gi. e (ove possa in effetti ritenersi estesa anche a lei, visto che nella formulazione dell’intenzione di ricusare — pag. 1 delle note integrative 19.9.14, ottava e nona riga dal basso — il suo nominativo non viene formulato) A.M. , trasmessa a mezzo fax il 19.9.14.
Infatti, nel giudizio di Cassazione l’art. 366, ultimo comma, cod. proc. civ., ammette che possano aver luogo a mezzo fax soltanto le comunicazioni da parte della cancelleria e le notificazioni tra i difensori, di cui agli artt. 372 e 390 cod. proc. civ..
In forza di tale principio si è già affermata l’inammissibilità della memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. fatta pervenire dal ricorrente a mezzo fax inviato alla cancelleria, sia pure spedito da quello di pertinenza del difensore indicato nel ricorso, senza che possa valere a rendere la memoria ammissibile il successivo deposito dell’originale, ove questo non avvenga entro il termine fissato dall’art. 378 cod. proc. civ. (Cass., ord. 16 ottobre 2009, n. 22033; Cass. 18 novembre 2013, n. 25812).
La conclusione è stata di recente estesa alla memoria prevista dell’art. 380-bis cod. proc. civ., “attesa la sostanziale omologia della loro funzione rispetto a quelle di cui all’art. 378 c.p.c. e considerato che per esse si parla di presentazione e con tale espressione si allude, in mancanza di diversa precisazione, al modo normale con cui la parte provvede all’attività diretta a partecipare all’ufficio un atto che le è consentito compiere, e, dunque, al deposito presso la cancelleria” (in tali espressi termini, v. Cass., ord. 20 ottobre 2014, n. 22201).
Ma se tale principio è formulato per le memorie delle parti, la conclusione non può non estendersi al ricorso per ricusazione: il quale, secondo quanto espressamente prevede l’art. 52 cod. proc. civ., deve appunto essere “depositato in cancelleria due giorni prima dell’udienza, se al ricusante è noto il nome dei giudici che sono chiamati a trattare o decidere la causa”.
Da un lato, invero, vige il generale visto principio di rigorosa formalità dei mezzi di accesso alla cancelleria della Corte di legittimità, con assoluta eccezionalità e quindi tassatività delle forme allo scopo previste ed insostituibilità, salva espressa deroga, del regolare deposito in cancelleria di qualsiasi atto diretto alla Corte stessa; dall’altro, poi, la peculiare formalità imposta per il ricorso per ricusazione, atto di spiccata rilevanza perché idoneo ad incidere sull’effettiva trattazione del procedimento anche soltanto con l’effetto della — sia pure non automatica — sua sospensione, esclude l’ammissibilità di un suo dispiegamento con forme diverse da quelle in modo espresso previste.
L’istanza di ricusazione formulata con l’atto trasmesso a mezzo fax il 19.9.14 (benché questo fosse il termine ultimo per proporla ritualmente, dovendo farsi riferimento a due giorni prima dell’adunanza del 23.9.14 e così, cadendo il 21 di domenica, nel giorno feriale immediatamente precedente, diverso dal sabato, vale a dire in venerdì 19) nei confronti dei Dott. D.P.S. , D.C.C. , Bi.Gi. e A.M. è quindi inammissibile, in applicazione del seguente principio di diritto: nel giudizio di cassazione, l’art. 366, ultimo comma, cod. proc. civ., ammette che possano farsi a mezzo fax soltanto le comunicazioni da parte della cancelleria e le notificazioni tra i difensori, di cui agli artt. 372 e 390 cod. proc. civ., con la conseguenza che è inammissibile l’istanza di ricusazione di uno o più componenti del Collegio della Corte Suprema di Cassazione, ove proposta con memoria od atto inviato dal ricorrente a mezzo fax alla cancelleria, sia pure spedito da quello di pertinenza del difensore indicato nel ricorso, quand’anche pervenutovi entro il termine fissato dall’art. 52, comma secondo, cod. proc. civ..
3. Infondatezza delle doglianze fondate sul merito di decisioni giurisdizionali in cause collegate.
La peculiarità degli argomenti addotti a sostegno della ricusazione dei singoli componenti del Collegio impone tuttavia un’ulteriore puntualizzazione, da intendersi dirimente: infatti, a sostegno della ricusazione la ricusante adduce, tra l’altro e desumendoli pure da precedenti pronunce in cause collegate o connesse, da parte di ciascuno dei ricusati una “grave prevenzione” o perfino un “odio politico” od una preconcetta contrarietà di interesse all’attività di un’associazione di avvocati che ha patrocinato casi simili.
3.1. Va subito precisato che tali accuse, seriamente lesive della dignità o reputazione professionale dei magistrati contro cui sono state formulate (quando non concretanti l’attribuzione a loro di condotte determinate, evidentemente contrarie ai loro doveri di ufficio), non possono mai essere suffragate, come pare pretendere la ricusante, dal diretto esame dell’intrinseca od oggettiva correttezza di provvedimenti giurisdizionali, la cui valutazione non è giammai consentita in sede di ricusazione.
Va invero radicalmente esclusa — in riferimento a tutte le ricusazioni, in modo ammissibile o meno, dispiegate – la stessa astratta configurabilità di una ricusazione fondata sull’adduzione del tenore erroneo – o finanche, sempre in tesi, se manifestamente o grossolanamente tale – di precedenti decisioni, le quali siano rituale estrinsecazione – siccome cioè rese nelle forme previste dalla legge processuale — della potestà giurisdizionale.
3.2. In primo luogo, va rettamente intesa l’esigenza della massima terzietà ed imparzialità del giudicante civile, anche dopo la costituzionalizzazione del relativo principio ex art. 111, co. 2, della Costituzione.
Il processo civile non è caratterizzato – come quello penale – dall’esigenza di assicurare il più possibile l’assenza di qualunque prevenzione nel giudizio in ordine al superiore unitario interesse alla effettività della presunzione di non colpevolezza dell’imputato; allora, nel processo civile non si viola il principio costituzionale di imparzialità-terzietà del giudice tutte le volte che non vi sia identità di res indicando, o di ampiezza della cognizione del giudice (tra le altre, con ampi richiami ai precedenti, v. Corte Cost., ord. 28 novembre 2002, n. 497; ma v. pure: Corte Cost., 15 settembre 1995, n. 432; Corte Cost., 24 aprile 1996, n. 131; Corte Cost., 20 maggio 1996, n. 155): sicché la necessaria alterità soggettiva del decidente va assicurata e garantita soltanto tra gradi diversi di giudizio.
Di conseguenza, la formale e sostanziale diversità del petitum e della causa petendi — e in alcuni di essi anche delle personae — nei diversi procedimenti in cui sarebbero state rese le decisioni anticipatrici di giudizio o espressione di condotta non imparziale esclude in radice la stessa astratta configurabilità dei presupposti per la ricusazione, sia in ordine all’espressione di giudizi, sia in ordine alla grave inimicizia.
3.3. In secondo luogo, la ritenuta scorrettezza di decisioni giurisdizionali non può mai rilevare, di per sé sola considerata, quale motivo di ricusazione del giudice che le ha prese.
Infatti, la critica, anche aspra e finanche feroce, del tenore di una decisione (perfino quand’anche avvenga mediante comparazione con una pretesamente diversa corrente opzione interpretativa del medesimo giudicante), come pure la personale ed unilaterale – per quanto salda – convinzione della sua ingiustizia, non integra affatto il presupposto di una ricusazione: il relativo procedimento non può giammai, se non a prezzo del non tollerabile snaturamento del suo fine istituzionale e della vanificazione della stessa funzione giurisdizionale (ove si consentisse appunto di trascinare in giudizio ogni giudice che dia torto ad una delle due parti, il che poi è l’esito normale di ogni controversia civile ed amministrativa), consistere, mercé invocazione di una revisione critica della decisione assunta in danno del ricusante, in uno strumento di rimeditazione del decisum, né di elezione di un decidente ritenuto più gradito di quello reputato meno “ostile”, né tanto meno di autentica ritorsione.
3.4. In terzo luogo, poi, decidere male – e sempre in tesi, cioè nell’opinione di chi ha avuto torto — non integra mai, di per sé e di per sé solo, una grave inimicizia del giudice verso la parte.
Quest’ultima si configura solo ove trovi fondamento in rapporti estranei al processo od ai processi e non può, in linea di principio, consistere in comportamenti processuali del giudice, ritenuti anomali dalla parte. Vanno al riguardo, invece, indicati fatti e circostanze concrete, che rivelino l’esistenza di ragioni di rancore o di avversione esterne alla causa, che a loro volta trovino ancoraggio in dati di fatto concreti e precisi, estranei alla realtà processuale, autonomi rispetto a questa, che può solo costituire un sintomatico momento dimostrativo — per induzione — della sussistenza del citato presupposto di fatto rilevante per la ricusazione (da ultimo, in tali espressi sensi v. Cass. Sez. Un., ord. 22 luglio 2014, n. 16628, ove ulteriori riferimenti alla precedente giurisprudenza in tal senso consolidata).
3.5. E tanto priva di rilevanza le argomentazioni che la ricusante riferisce in ricorso come testualmente riprese da Cass. 2176/1993, dalla cui motivazione invece non si rinviene l’espressione di alcun principio applicabile alla fattispecie e comunque dovendo ribadirsi la necessaria sussunzione di eventuali pretese illegittimità, sempre unilateralmente prospettate in riferimento ai provvedimenti giurisdizionali emessi, esclusivamente in quel più ampio e decisivo contesto; mentre le altre pronunzie richiamate si limitano, in modo neutro se non ovvio, a ribadire l’importanza dell’imparzialità del giudicante, la quale non può essere però ragionevolmente neppure in astratto messa in dubbio, per quanto fin qui argomentato, sulla base delle ragioni qui dedotte.
3.6. Pertanto, va fatta applicazione del seguente principio di diritto: non costituisce grave inimicizia, né espressione o anticipazione di giudizio sul merito della controversia, né cognizione di essa in altro grado, ipotesi tutte rilevanti ai fini della ricusazione del giudice civile (ai sensi dei nn. 3 e 4 delPart. 51 e dell’art. 52 cod. proc. civ.), la pronunzia di precedenti provvedimenti sfavorevoli, quand’anche ritenuti erronei o manifestamente tali, resi in procedimenti separati o connessi in danno della medesima parte, ove non si alleghi e si provi l’esistenza di ragioni di rancore o di avversione diverse ed esterne alla causa, che a loro volta si ancorino in dati di fatto concreti e precisi, estranei alla realtà processuale ed autonomi rispetto a questa, potendo quest’ultima solo costituire un sintomatico momento dimostrativo – per induzione – della sussistenza del citato presupposto di fatto rilevante per la ricusazione.
4. Conclusioni.
In definitiva, la ricusazione dei dottori D.P.S. , D.C.C. , Bi.Gi. e A.M. va dichiarata inammissibile e quella del dottor R.V. rigettata.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente procedimento, per non avere alcuno svolto attività difensiva le controparti della ricusante.
Invece, sulla base del secondo comma dell’art. 54 cod. proc. civ. (come sost. dall’art. 45, comma settimo, della legge 18 giugno 2009, n. 69; a mente del quale “il giudice, con l’ordinanza con cui rigetta o dichiara inammissibile la revocazione, può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non superiore ad Euro 250”), alla luce di quanto fin qui esposto e della peculiarità del caso concreto, stima opportuno il Collegio condannare la ricorrente al pagamento di una pena pecuniaria in ragione di Euro 250,00 (duecentocinquanta/00) per ciascuna delle ricusazioni proposte e qui reiette, con finale sua determinazione in totali Euro 1.250,00 (milleduecentocinquanta/00).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile la ricusazione dei dottori D.P.S. , D.C.C. , Bi.Gi. e A.M. e rigetta quella del dottor R.V. ; condanna la ricusante B.N. al pagamento della pena pecuniaria complessiva di Euro 1.250,00 (milleduecentocinquanta/00).
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