SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI
ORDINANZA 22 settembre 2014, n.19943
Fatto e diritto
Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 11 gennaio 2014, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.: “Con atto di citazione notificato il 27 agosto 2008, l’Avv. A.E. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Bolzano, sezione distaccata di Merano, K.O. ved. G. , G.V. e G.M. , eredi di G.B. , per sentirli condannare al pagamento delle note spese per l’attività defensionale svolta in un giudizio civile in favore del de cuius.
Si costituirono i convenuti, resistendo.
Avendo i convenuti prestato il giuramento loro deferito (sulla formula di cui all’art. 2, non essendo stata ammessa la formula di cui all’art. 1) dichiarando di avere notizia che il defunto aveva saldato le spettanze dell’Avv. A. , il Tribunale adito, con sentenza in data 21 gennaio 2010, rigettò la domanda. Il gravame dell’Avv. A. è stato respinto dalla Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 14 agosto 2012.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello l’Avv. A. ha proposto ricorso, con atto notificato il 13 giugno 2013, sulla base di due motivi.
Gli intimati hanno resistito con controricorso.
Il ricorso è tempestivo perché la riduzione a sei mesi del termine lungo di cui all’art. 327 cod. proc. civ. non è nella specie applicabile, essendo il giudizio di primo grado iniziato prima del 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della modifica apportata al testo della predetta disposizione dall’art. 46, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69. È pertanto infondata l’eccezione preliminare di inammissibilità sollevata dai controricorrenti. Va pertanto data continuità al principio secondo cui, in tema di impugnazioni, la modifica dell’art. 327 cod. proc. civ., introdotta dalla legge n. 69 del 2009, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio (Sez. II, 17 aprile 2012, n. 6007).
Passando all’esame del ricorso, il primo mezzo (violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. ed erroneità della motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, n. 5 cod. proc. civ.) lamenta che la sentenza impugnata – a proposito della non ammissione, da parte del Tribunale, del giuramento sulla formula di cui all’art. 1 (‘Giuro e giurando affermo di aver notizia che l’Avv. A. aveva inviato al defunto de cuius G.B. , quando questi era ancora in vita, le note spese relative al giudizio contro D.C. ‘) – abbia erroneamente affermato, nelle ultime sei righe della pagina 7, che ‘l’attore in primo grado non ha mai [sostenuto], né nell’atto di citazione né nella citata memoria dd. 16.2.08, di non aver inviato al defunto G.B. le note spese relative ai procedimenti elencati nell’atto di citazione’.
Il motivo si appalesa inammissibile, perché non censura la ratio decidendi, parimenti idonea a sostenere la statuizione cui è pervenuta la Corte, secondo cui ‘la doglianza appare anche essere priva di effetti concreti, in quanto l’attore non ha mai insistito in questo grado di appello per l’ammissione del giuramento decisorio anche in ordine alla formula di cui all’articolo in questione. Una simile istanza avrebbe richiesto una esplicita o almeno implicita riproposizione di tale mezzo istruttorio, come ogni altra richiesta istruttoria disattesa o dichiarata inammissibile in primo grado’.
Il secondo motivo (violazione degli artt. 233, 238, 239 cod. proc. civ., 2736 e 2738 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., e sussistenza di vizi logici e giuridici nella motivazione) si duole che la Corte d’appello non abbia considerato che la variazione della formula apportata dai giuranti al giuramento loro deferito (sull’art. 2) ne ha in realtà alterato la sostanza, con conseguente inidoneità del giuramento prestato a risolvere la lite.
Il motivo è infondato.
Va premesso che il Tribunale ha ammesso il giuramento in ordine all’art. 2 (‘Giuro e giurando affermo di aver notizia che il defunto del de cuius G.B. saldò le dette note spese’) e che i convenuti hanno prestato il giuramento loro deferito con la precisazione ‘di aver notizia che il defunto G.B. ha saldato le spettanze dell’Avv. A. ‘.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, Sez. III, 3 luglio 2008, n. 18207), qualora la parte chiamata a prestare il giuramento decisorio apporti alla formula aggiunte o variazioni, il giuramento deve considerarsi prestato soltanto se queste costituiscono semplici chiarimenti della formula stessa, tali da non alterarne il contenuto sostanziale in relazione al fine cui tende, e l’apprezzamento al riguardo compete al giudice del merito, la cui valutazione è incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da una motivazione sufficiente, immune da vizi logici ed errori giuridici. Ora nella specie la Corte d’appello ha adeguatamente motivato perché la variazione apportata non modifica affatto la sostanza del giuramento: rilevando che ‘poiché il primo articolo, contenente l’esplicito riferimento a tali note spese, non è stato ammesso e poiché la formulazione delle circostanze di cui al secondo articolo faceva riferimento alle dette note spese, appare ovvio che l’uso del sostantivo spettanze al posto della citata specificazione non abbia in alcun modo alterato la sostanza ed il significato del contenuto della formula, essendo le spettanze chiaramente riferite a quelle di cui alle note spese indicate all’articolo 1 e poste a fondamento della proposta domanda’.
Il motivo di ricorso finisce per esprimere soltanto dissenso rispetto alla conclusione, priva di mende logiche e giuridiche, cui è pervenuta la Corte d’appello. Il ricorso può essere avviato alla camera di consiglio per esservi rigettato”.
Considerato che non ha alcuna conseguenza sul corso del giudizio di cassazione il sopravvenuto decesso, in data 20 settembre 2013, della parte ricorrente, Avv. A.E. , difensore di se medesimo (decesso comunicato a questa Corte dall’Avv. A.A. , che ha inviato il certificato di morte), giacché nel giudizio di cassazione non trova applicazione l’istituto dell’interruzione del processo per il decesso della parte (Sez. Un., 21 giugno 2007, n. 14385; Sez. I, 31 ottobre 2011, n. 22624);
che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici;
che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato;
che le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;
che, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta, il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 1.000 per compensi ed Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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