Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 2 marzo 2015, n. 4134
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CICALA Mario – Presidente
Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere
Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21380/2012 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore Centrale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
- ricorrente –
contro
(OMISSIS) SRL IN FALLIMENTO;
- intimata –
avverso la sentenza n. 34/14/2012 della Commissione Tributaria Regionale di BARI del 3.2.2012, depositata il 15/02/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/02/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati;
osserva:
La CTR di Bari ha respinto l’appello dell’Agenzia – appello proposto contro la sentenza n.61/13/2011 della CTP di Bari che aveva accolto il ricorso della ” (OMISSIS) spa” (” (OMISSIS) Srl” in fallimento) – ed ha cosi’ annullato il silenzio – rifiuto su istanza di rimborso di tassa di registro corrisposta (a seguito di notifica di avviso di liquidazione) su registrazione di scrittura privata autenticata in data 13.7.2009 di mutuo consenso per la risoluzione di un precedente contratto di cessione di ramo d’azienda a sua volta registrato il 29.2.2008 e nel quale non risultavano espresse clausole o condizioni risolutive di sorta.
La predetta CTR ha motivato la decisione evidenziando che “il valore di euro 1.600.000,00 indebitamente assoggettato a tassazione non costituisce ne’ (il contenuto del) la prestazione derivante dalla risoluzione, ne’ il corrispettivo della risoluzione, bensi’ il semplice riferimento identificativo dell’atto, gia’ registrato e tassato al 3% cui ricondurre gli effetti giuridici della concordata risoluzione.
Percio’, in detto atto di risoluzione non poteva configurarsi un trasferimento di ricchezza cui correlare l’imposta di registro mediante la retrocessione del bene ipotizzata dall’Ufficio, ma la semplice volonta’ delle parti di ripristinare l’originario assetto patrimoniale.
L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a unico motivo.
La parte contribuente non si e’ difesa.
Il ricorso – ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore – puo’ essere definito ai sensi dell’articolo 375 c.p.c..
Infatti, con il motivo di impugnazione (improntato alla violazione del Testo Unico n. 131 del 1986, articoli 20 e 28; dell’articolo 9 delle tariffa parte I allegata al citato Testo Unico; degli articoli 1372 e 1458 c.c.) la ricorrente si duole per avere la CTR omesso di considerare che lo scioglimento del rapporto contrattuale per mutuo dissenso rientra bensi’ nella piu’ vasta categoria degli eventi risolutivi del contratto ma realizza la ritrattazione bilaterale del contratto con la conclusione di un nuovo negozio, da assoggettare a tassazione secondo il disposto del menzionato articolo 28, comma 2. Il motivo appare fondato e da accogliersi.
Occorre prendere le mosse dal rilievo che il menzionato articolo 28 regola due diverse ipotesi di tassazione di atti risolutivi di negozi giuridici, a seconda che trovino fonte in clausole o condizioni risolutive espresse contenute nel negozio da risolvere (oppure stipulate con negozio autonomo ma entro il secondo giorno successivo a quello di conclusione del negozio da risolversi) ovvero in ogni altro atto di volonta’.
In relazione a questa seconda ipotesi la norma prevede che l’imposta “e’ dovuta per le prestazioni derivanti dalla risoluzione”.
Nella specie di causa e’ pacifico che non si versi in fattispecie annoverabile nella prima ipotesi, siccome il contratto sottoposto a registrazione (secondo le clausole trascritte nel ricorso introduttivo, in ossequio all’onere di autosufficienza) e’ dichiaratamente un patto di “mutuo dissenso” a mezzo del quale viene retrocessa la proprieta’ e la disponibilita’ del ramo di azienda gia’ oggetto di trasferimento, sicche’ non resta che inquadrare detto negozio nel novero di quelli che il costante indirizzo interpretativo del Supremo Collegio (tra le molte, Cass. n. 18859/2008; Cass. 17503/2005; Cass. 4906/1998; Cass. 7270/1997) ha qualificato come “…nuovo contratto, di natura solutoria e liberatoria, con contenuto eguale e contrario a quello del contratto originario….” e con efficacia “ex nunc”.
Un simile negozio giuridico non puo’ che considerarsi annoverabile nella categoria residuale contemplata dall’articolo 28 dianzi menzionato e percio’ tassato in applicazione della norma contenuta nel medesimo articolo 28, comma 2.
E d’altronde, giudicando in un caso del tutto simile a quello qui in esame (e sia pure a mente del Decreto del Presidente della Repubblica n. 636 del 1972, allora applicabile ratione temporis), codesta Suprema Corte ha ritenuto che “il contratto, con il quale le parti sciolgono una vendita con riserva di proprieta’ in conseguenza del mancato pagamento del prezzo, non costituisce per la legge di registro un negozio ricognitivo di un effetto gia’ verificatosi in conseguenza di detto inadempimento, ma produce esso stesso l’effetto di risolvere il precedente contratto, ponendone nel nulla gli effetti con conseguente retrocessione del bene all’originario proprietario. Ne deriva che nel caso di specie non puo’ trovare applicazione il Decreto del Presidente della Repubblica n. 634 del 1972, articolo 27, comma 1…..”. Pertanto nel caso di risoluzione di un contratto di vendita con riserva di proprieta’, il contratto con il quale viene convenuta la risoluzione di detta vendita, comportando la retrocessione del bene oggetto del contratto risolto (cosa che per la legge di registro si verifica anche nella ipotesi di vendita con riserva di proprieta’, dato che tale normativa considera detta vendita immediatamente produttiva dell’effetto traslativo), deve essere assoggettato alla imposta proporzionale di registro da applicarsi con la aliquota prevista per i trasferimenti immobiliari”. Identiche considerazioni possono riferirsi alla specie di causa.
Non resta che concludere che la pronuncia del giudice del merito, che non si e’ attenuta ai predetti principi di diritto, merita cassazione con rimessione della lite allo stesso giudicante, affinche’ rinnovi il giudizio alla luce della corretta disciplina applicabile.
Pertanto, si ritiene – conclusivamente – che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per e manifesta fondatezza.
Roma, 30 aprile 2014.
ritenuto inoltre:
che la relazione e’ stata notificata agli avvocati delle parti; che non sono state depositate conclusioni scritte, ne’ memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;
che le spese di lite posso essere regolate dal giudice del rinvio.
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