Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 12 febbraio 2014, n. 3196
Osserva in fatto
Con citazione del 18/10/1999 O.A. citava in giudizio C.L. e M.N. e G.A. e, premesso che il primo in data 6/9/1999 aveva venduto agli altri due un appartamento con box al prezzo di lire 280.000.00, proponeva revocatoria ordinaria, ex art. 2901 c.c., dell’atto di vendita.
L’attore assumeva che l’atto era preordinato a sottrarre il bene dalla garanzia del proprio credito accertato con sentenza del Tribunale di Savona in data 19/4/1999 che aveva condannato il C., in solido con altri, al pagamento della somma di lire 1.579.123.500 a titolo di risarcimento danni; il bene era stato venduto dopo la notifica di precetto e dopo il pignoramento che aveva dato esito assai modesto e che costituiva l’unico cespite immobiliare del C.; assumeva inoltre che elementi indiziari rivelavano univocamente la consapevolezza degli acquirenti del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore.
Il debitore nonchè i terzi acquirenti resistevano in giudizio.
Il Tribunale di Savona rigettava la domanda ritenendo non provata la consapevolezza degli acquirenti del pregiudizio che l’atto arrecava alla ragioni del creditore.
La sentenza, su appello del C., era riformata dalla Corte di Appello di Genova con sentenza del 29/11/2011 che dichiarava l’inefficacia dell’atto di vendita.
La Corte di Appello rilevava che la “partecipatio fraudis” degli acquirenti, doveva ritenersi provata dai seguenti elementi indiziari:
il preliminare era stato stipulato il 25/5/1999, in prossimità temporale rispetto alla sentenza di condanna ragionevolmente prevedibile;
– le somme corrisposte dai promissari acquirenti all’atto della stipula del preliminare erano destinate all’estinzione di un mutuo e alla cancellazione dell’ipoteca gravante sull’immobile;
– non era stabilito un termine per la conclusione del definitivo e, verosimilmente, la mancata previsione del termine era attribuibile all’intento di attendere la sentenza che doveva decidere sulla domanda di condanna;
– a distanza di pochi giorni dalla sentenza e dal precetto il C. vendeva l’immobile;
– nel rogito il venditore dichiarava che il prezzo era già stato pagato, e ne rilasciava quietanza; la dichiarazione era sicuramente falsa perchè gli stessi acquirenti avevano poi affermato di avere richiesto un mutuo ad una banca per il pagamento del prezzo e di avere richiesto alla banca di sospendere l’erogazione del mutuo dopo la notifica della citazione con la quale era stata proposta la revocatoria ordinaria, quando ormai erano decorsi oltre tre mesi dalla vendita;
– la notizia della liquidazione dell’ingentissimo risarcimento era stata data dal quotidiano il Secolo XIX e, quindi, aveva avuto facile diffusione in un ambito locale ristretto come quello del Comune di Albenga dove risiedeva il G.
M. e G. propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso l’O.
E’ rimasto intimato il C.
Osserva in diritto
1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrenti deducono la violazione degli artt. 1362 e 1367 c.c. e sostengono che la Corte di Appello avrebbe interpretato l’art. 6 del contratto nel senso di non conferirgli alcun effetto; l’art. 6, al contrario, prevedeva la stipula dell’atto definitivo al momento del saldo del prezzo e l’art. 1 del contratto fissava al 31 Ottobre 1999 il termine ultimo per il pagamento del prezzo.
1.1 Il motivo, quanto alla dedotta violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, è inammissibile in quanto non è in contestazione il contratto perché la domanda di inefficacia nei confronti del terzo ai sensi dell’art. 2901 c.c. non riguarda la validità del contratto tra le parti e non implica la necessità di interpretare il contratto per renderlo conforme alla loro volontà contrattuale, pacificamente diretta alla vendita.
L’ interpretazione del contratto, dunque, non attiene al thema dedidendi e la Corte di Appello non ha svolto attività interpretativa, ma, nella circostanza che nel preliminare non era stabilito un termine per la stipulazione del contratto definitivo, ha ravvisato un elemento indiziario che, insieme, ad altri integrava il quadro indiziario della partecipatio fraudis degli acquirenti.
In ordine al preteso errore, inoltre, il motivo è carente per genericità in quanto non è né allegato al ricorso il testo contrattuale, né ne è riportato il contenuto.
L’eventuale errore della Corte avrebbe dovuto, semmai, formare oggetto di impugnazione per vizio di motivazione, ma, anche se si volesse ritenere una implicita deduzione di tale vizio, la circostanza non solo sarebbe totalmente irrilevante in considerazione degli ulteriori e plurimi elementi indiziari evidenziati dalla Corte di Appello, ma addirittura controproducente per la tesi dei ricorrenti. Infatti, anche a volere ritenere che il termine per la stipulazione del contratto fosse effettivamente fissato al 31 Ottobre 1999 proprio l’anticipazione del definitivo rispetto alla data di stipulazione del definitivo (la stipulazione del contratto incontestatamente è avvenuta il 6/9/1999 e, quindi, dopo la notifica del precetto al venditore – sull’anteriorità del precetto rispetto alla vendita v. pag. 3 della sentenza di appello dove si valorizza il brevissimo tempo intercorrente tra il precetto di pagamento e la vendita) aggraverebbe il quadro indiziario.
Infine, tenuto conto che si è accertato che il trasferimento è avvenuto senza il pagamento del prezzo, anche sotto il profilo dell’interpretazione del contratto, deve ritenersi che la clausola di contestualità tra trasferimento e pagamento del prezzo sia stata di comune accordo resa inefficace, con ciò dovendosi confermare, seppure con diversa motivazione, la valutazione della Corte di Appello.
2. Con il secondo motivo il ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 comma secondo c.p.c. e sostengono: – che la notizia della condanna all’ingentissimo risarcimento liquidato all’Orlandi, pubblicata in data 21/8/1999 sul Secolo XIX non poteva essere considerata “fatto notorio locale”;
– che la Corte di Appello avrebbe individuato il fatto notorio secondo criteri contrastanti con quelli elaborati dalla giurisprudenza di questo Corte di legittimità, secondo i quali il fatto notorio è solo il fatto acquisito con grado di certezza tale da apparire indubitabile e incontestabile;
– che questi caratteri non potevano essere individuati nella pubblicazione di un breve articolo nella pagina locale di un singolo quotidiano;
– che la pubblicazione era avvenuta nel mese di Agosto quando molte persone possono trovarsi in vacanza all’estero o in zone dell’Italia nelle quali l’edizione savonese non è distribuita;
– che nella notizia giornalistica il nome dell’O. era riportato in modo erroneo e così anche il nome della ditta della quale era socio il C.
2.1 Il motivo è manifestamente infondato perché in nessuna parte della motivazione la Corte di Appello ha fatto riferimento al fatto notorio, ma ha valutato la notizia giornalistica solo come elemento indiziario che confermava la consapevolezza, da parte degli acquirenti, del pregiudizio che arrecavano alle ragioni del creditore, desunta dai plurimi indizi già evidenziati nella motivazione (ossia il trasferimento avvenuto senza pagamento del prezzo, la data di stipula del contratto, avvenuta solo pochi giorni dopo la notifica del precetto).
Le contestazioni sulla valenza indiziaria della pubblicazione giornalistica locale sono inammissibili in quanto attengono al merito della valutazione e non risultano sollevate nel giudizio di Appello; sotto altro profilo sono del tutto irrilevanti: non rileva la circostanza della (semplicemente asserita) indicazione della denominazione della ditta o del nome del soggetto a favore del quale era pronunciata la condanna, perché rileva unicamente la (non contestata) esatta indicazione del nome del debitore, coincidente con la persona del venditore e non rileva il periodo feriale nel quale è apparsa la notizia perché i ricorrenti non deducono di essersi trovati in luoghi diversi dall’ambito locale nel quale era pubblicata la notizia.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono il vizio di motivazione e sostengono che non vi sarebbe una logica relazione tra la falsa dichiarazione di avvenuto pagamento del prezzo e l’affermazione della Corte di Appello secondo la quale essi avrebbero sospeso il pagamento d’accordo con il venditore in attesa di conoscere l’esito della causa perché, all’atto del rogito la causa era già decisa conclusa e l’azione revocatoria non era pendente.
3.1 Il motivo, nel quale si deduce il vizio di motivazione è infondato in quanto non attinge la ratio decidendi secondo la quale deve essere valorizzata, ai fini della prova indiziaria, l’anomalia del comportamento delle parti ravvisata nell’immediata immissione in possesso degli acquirenti malgrado il mancato pagamento del prezzo; la Corte territoriale ha infatti posto in evidenza che “In ogni caso, al 2011211999 (data della comunicazione con la quale gli acquirenti comunicavano alla Banca di sospendere l’erogazione del mutuo) erano trascorsi oltre tre mesi dalla data della vendita, ma il venditore, pur avendo tra ferito il possesso dell’immobile agli acquirenti, non aveva ancora ricevuto il saldo pretitio di lire 243.000.000…”; pertanto il pagamento del prezzo era effettivamente sospeso (rispetto alla previsione contrattuale di contestualità tra pagamento e trasferimento), mentre sarebbe stato normale che il prezzo fosse pagato contestualmente al trasferimento.
La motivazione neppure sotto l’evidenziato profilo, è carente, ma, anzi, viene evidenziato un ulteriore elemento indiziario di grande rilevanza.
4. In conclusione, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., per essere dichiarato manifestamente infondato”.
Considerato che il ricorso è stato fissato per l’esame in camera di consiglio e che sono state effettuate le comunicazioni sia al P.G. sia alla parte costituita che non ha replicato e non è comparsa; Considerato che il collegio ha condiviso e fatto proprie le argomentazioni e la proposta del relatore,
Che le spese di questo giudizio di Cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza dei ricorrenti M.N. e G.A.; non v’è luogo a pronunciare sulle spese tra i ricorrenti e l’intimato C.L. tenuto conto che quest’ultimo non ha svolto difese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna M.N. e G.A. a pagare a O.A. le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in euro 3.500,00 per compensi oltre euro 200,00 per esborsi.
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