Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 11 marzo 2015, n. 4903
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente
Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere
Dott. MANNA Felice – Consigliere
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12140/2012 proposto da:
COMUNE DI ASSISI (OMISSIS), in persona del Sindaco e del Dirigente del Settore Polizia Municipale, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 213/2011 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA del 16/09/2010, depositata il 30/03/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2014 dal Consigliere Relatore Dote MILENA FALASCHI;
udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN FATTO
Con citazione notificata il 06-03-2003, la (OMISSIS) s.r.l., titolare della discoteca “(OMISSIS)” e del ristorante “(OMISSIS)” siti in frazione (OMISSIS), evocava in giudizio il Comune di Assisi (PG), chiedendone la condanna, ex articolo 2043 c.c., al risarcimento del danno sofferto in ragione della chiusura del proprio ristorante in data 27-05-1999, in esecuzione dell’ordinanza-ingiunzione n. 8012/1999, dichiarata illegittima con sentenza n. 108/2000 del Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Assisi (PG), con la quale l’amministrazione convenuta, a seguito di contestazione della violazione della Legge n. 283 del 1962, articolo 14, a parte attrice, disponeva nei confronti della medesima la sospensione della licenza di ristorazione n. 634/1997 per la durata di un giorno, decorrente dal giorno successivo alla notifica. Costituitosi, il Comune di Assisi (PG) eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice adito in favore di quello amministrativo, ai sensi dell’articolo 7, 3 comma l. n. 1034/1971, come modificato dalla Legge n. 205 del 2000; quindi, contestata nel merito la domanda avversa, chiedeva, in via riconvenzionale, la condanna di controparte ex articolo 96 c.p.c..
Il Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Assisi (PG), con sentenza n. 4/2007 rigettava sia la domanda principale, sia quella riconvenzionale.
Avverso tale decisione, la (OMISSIS) s.r.l. interponeva appello, chiedendo la totale riforma della sentenza impugnata. Resisteva il Comune di Assisi (PG), proponendo, a sua volta, appello incidentale, con il quale insisteva per la dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di quello amministrativo e per la condanna di controparte ex articolo 96 c.p.c..
Espletata attivita’ istruttoria, la Corte d’Appello di Perugia, con sentenza n. 213/2011, rigettato l’appello incidentale, accoglieva, invece, il gravame principale, rilevando: 1) l’avvenuta formazione di una preclusione da giudicato in ordine all’illegittimita’ dell’ordinanza-ingiunzione n. 8012/1999, gia’ dichiarata dal Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Assisi, con la sentenza n. 108/2000 non impugnata; 2) l’effettiva sussistenza del danno lamentato dall’appellante; 3) l’ingiustizia del suddetto danno, derivante dall’esecuzione obbligatoria di un provvedimento amministrativo dichiarato illegittimo.
Per la cassazione della sentenza d’appello, il Comune di Assisi (PG) ha proposto ricorso affidato ai seguenti 3 motivi:
1. Violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 e 2909 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonche’ vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
2. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonche’ vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5; nonche’ nullita’ della sentenza o del relativo procedimento, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
3. Subordinatamente e condizionatamente al rigetto dei motivi sub 1) e sub 2), violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c. e ss., articoli 1223, 1226 e 1127 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonche’ vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La (OMISSIS) s.r.l., pur regolarmente intimata, non ha spiegato difese nel presente grado di giudizio.
Il consigliere relatore, nominato a norma dell’articolo 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’articolo 380 bis c.p.c., proponendo la reiezione del ricorso.
Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex articolo 380 bis c.p.c., che di seguito si’ riporta: “Con il primo motivo di ricorso, il Comune di Assisi (PG) si duole dell’erronea ed insufficientemente motivata rilevazione, da parte del giudice a quo, di una preclusione da giudicato nell’accertamento della propria responsabilita’ ex articolo 2043 c.c.. Infatti, il giudizio di opposizione all’ordinanza-ingiunzione n. 8012/1999, in ragione della specialita’ del rito applicato, della peculiarita’ dell’oggetto e delle consistenti limitazioni alle facolta’ difensive del resistente, si sarebbe concluso con l’emissione di una sentenza n. 108/2000 del Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Assisi (PG) idonea ad affermare unicamente l’illegittimita’ della pretesa sanzionatoria dell’amministrazione comunale, e non l’illegittimita’ del provvedimento opposto. Da quanto sopra esposto, nonche’ dalla giurisprudenza di legittimita’ invocata, deriverebbe, a giudizio del ricorrente, l’impossibilita’ di attribuire efficacia esterna di giudicato agli accertamenti contenuti nella sentenza n. 108/2000.
Sul punto occorre preliminarmente ricordare che, secondo un consolidato orientamento di questa corte, nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, e’ eccezionalmente attribuito al giudice ordinario, in deroga alle regole generali, il potere di annullare gli atti amministrativi emessi al fine di sanzionare gli autori di illeciti amministrativi, indipendentemente dal tipo di vizio da cui i medesimi atti risultino affetti. Da cio’ deriva logicamente che anche nell’ipotesi di vizio nella fissazione del termine di esecuzione di provvedimento, con conseguente impossibilita’ di svolgere qualsiasi sindacato giurisdizionale sulla meritevolezza della pretesa sanzionatoria, la sentenza di annullamento emessa dal giudice acquistera’, ove non ritualmente impugnata, efficacia di giudicato, sebbene limitatamente alla sussistenza del vizio in questione. Da quanto affermato discende, in ossequio ai principi sui limiti oggettivi del giudicato, l’impossibilita’, in altro giudizio, di rimettere in discussione la legittimita’ del provvedimento annullato (c.d. efficacia esterna del giudicato). A contrario, la formazione del giudicato sull’accertamento di vizi formali o procedurali del provvedimento sanzionatorio, non impedisce all’amministrazione, salvo comunque la maturazione medio tempore di decadenze o prescrizioni della pretesa punitiva, di rinnovare, con contenuto sostanziale identico, il provvedimento, emendandolo dai vizi formali e procedimentali accertati in sede giudiziale (cfr., Cass., 01-03-2005, n. 4293; Cass., 11-09-2001, n. 11582; Cass., 10-03-1997, n. 2140). Nel caso di specie, il Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Assisi (PG), ha rinvenuto nell’ordinanza-ingiunzione n. 8012-1999 del Comune di Assisi (PG) un vizio logicamente preliminare alla meritevolezza della sanzione, consistente nella fissazione di un termine di esecuzione del provvedimento de quo (un giorno dalla sua notificazione) irragionevolmente ristretto, non giustificato da alcuna, obiettiva ragione di urgenza ed indifferibilita’, e tale da impedire alla ricorrente qualsiasi difesa, anche in sede cautelare. Il suddetto vizio e’ stato, quindi, ritenuto dal giudice perugino sufficiente ad inficiare la legittimita’ del provvedimento opposto, indipendentemente dall’effettiva sussistenza dell’infrazione contestata e della sua imputabilita’ all’ (OMISSIS) s.r.l. Conseguentemente, il medesimo giudice ha annullato l’ordinanza-ingiunzione de qua con la sentenza n. 108/2000, che, non essendo stata impugnata dinanzi a questa corte nei termini di cui alla Legge n. 689 del 1981, articolo 23, comma 12, ratione temporis applicabile, ha acquistato efficacia di giudicato, formale e sostanziale, in ordine all’illegittimita’ del provvedimento in questione per mero vizio nell’esecuzione, e non per insussistenza della violazione contestata o per non riferibilita’ della medesima alla societa’ intimata.
Cio’ premesso, alla luce anche dell’indirizzo giurisprudenziale sopra illustrato, non sembra a questo relatore che le ragioni, allegate dal ricorrente, di specialita’ del rito, di peculiarita’ dell’oggetto e di asserita limitazione delle facolta’ difensive nel giudizio di opposizione ostino alla formazione, nel presente giudizio, di una preclusione da giudicato esterno. Al contrario, l’esistenza di tale limite sembra ulteriormente confermata dal rapporto di pregiudizialita’ – dipendenza sussistente tra l’illegittimita’ dell’ordinanza-ingiunzione de qua e il danno sofferto dall’intimata, nonche’ dall’identita’ tra le parti del giudizio di opposizione e quelle dell’attuale giudizio risarcitorio. Non sembra, infine, conferente la giurisprudenza di legittimita’ invocata dal Comune di Assisi, giacche’ questa, escludendo la differente ipotesi della formazione di una preclusione da giudicato amministrativo nel processo civile, non appare applicabile analogicamente al caso di specie. Il Comune di Assisi (PG), piuttosto, avrebbe potuto sanzionare egualmente la (OMISSIS) s.r.l. semplicemente rinnovando la menzionata ordinanza-ingiunzione e stabilendo un termine di esecuzione rispettoso del diritto di difesa della societa’ intimata. Pertanto, il primo motivo e’ da ritenersi infondato.
Con il secondo motivo, il ricorrente censura l’erronea affermazione, da parte della corte territoriale, della propria responsabilita’ ex articolo 2043 c.c., sotto i distinti profili: a) del mancato accertamento dell’elemento soggettivo dell’illecito commesso; b) dell’omessa valutazione della meritevolezza della sanzione irrogata con l’ordinanza-ingiunzione n. 8012/1999; c) dell’accertata sussistenza dell’elemento oggettivo dell’illecito commesso unicamente sulla base dell’illegittimita’ del sopra menzionato provvedimento, dichiarata nella sentenza n. 108/2000 del Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Assisi (PG), da ritenersi affetta, a giudizio del ricorrente, dai vizi di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato ex articoli 101 e 112 c.p.c., nonche’ da abnormita’. Non sembra contestabile, a questo relatore, l’ormai consolidata e condivisa giurisprudenza di questa corte sulla responsabilita’ aquiliana della pubblica amministrazione per lesione sia di diritti soggettivi, sia di interessi legittimi. In merito, numerose pronunzie della Suprema Corte hanno, infatti, inequivocabilmente affermato che la responsabilita’ della pubblica amministrazione ex articolo 2043 c.c. da provvedimento illegittimo puo’ essere dichiarata dal giudice esclusivamente sulla base: a) dell’accertamento circa la sussistenza dell’evento dannoso prospettato dal destinatario dell’atto impugnato; b) della qualificazione del ridetto danno come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su interessi rilevanti per l’ordinamento (a prescindere dalla qualificazione formale come diritti soggettivi o interesse legittimi); c) dell’accertamento, sotto il profilo causale, della riferibilita’ dell’evento dannoso all’adozione, da parte dell’amministrazione resistente, dell’atto impugnato; d) della valutazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa dell’amministrazione, configurarle qualora il provvedimento de quo sia stato adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialita’, correttezza e buona amministrazione, alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione amministrativa (cfr., ex multis, Cass., 15-03-2012, n. 4172; Cass., 10-11-2011, n. 23496; Cass., 28-10-2011, n. 22508; Cass., 08-03-2010, n. 5561; Cass., 23-02-2010, n. 4326; Cass., 27-05-2009, n. 12282; Cass. 17-10-2007, n. 21850; Cass., 15-03-2007, n. 6005; Cass., 29-07-2003, n. 11672; Cass., 16-01-2003, n. 555; Cass., 07-08-2002, n. 11914; Cass., 29-11-2001, n. 15188; Cass., 28-11-2001, n. 15113; Cass., 04-09-2001, n. 11396; Cass., SS.UU., 27-01-2000, n. 15; Cass., SS.UU., 22-07-1999, n. 500).
Altrettanto qualificato e radicato indirizzo interpretativo di questa corte specifica che il diritto del privato al risarcimento del danno prodotto dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica, salvo che il danneggiato non deduca espressamente la violazione di obblighi comportamentali sorti da “contatto diretto”, prescinde dalla qualificazione formale della posizione di cui e’ titolare il soggetto danneggiato in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo, dato che la tutela risarcitoria e’ fatta dipendere ed e’ riconosciuta in funzione dell’ingiustizia del danno conseguente alla lesione di interessi giuridicamente riconosciuti. Differisce, piuttosto, la tecnica di accertamento della lesione, a seconda della natura dell’interesse legittimo azionato. Se, infatti, questo e’ pretensivo, la cui lesione, cioe’, si manifesta in ragione del diniego o del ritardo nell’emissione di un provvedimento amministrativo, occorre valutare, per mezzo di un giudizio prognostico, la fondatezza o meno della richiesta della parte, onde stabilire se la medesima fosse titolare di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, o di una situazione che, secondo un criterio di normalita’, era destinata ad un’effettiva soddisfazione. Al contrario, pero’, se l’interesse e’ oppositivo, e’ sufficiente accertare se l’illegittima attivita’ dell’amministrazione abbia concretamente leso l’interesse alla conservazione di un bene o di una situazione di vantaggio (cfr., ex multis, Cass. 13-10-2011, n. 21170; Cass., 29-01-2010, n. 2122; Cass., 08-02-2007, n. 2771; Cass., 06-04-2006, n. 8097; Cass., 04-11-2000, n. 14432).
In ragione di quanto appena esposto, non sembra al presente relatore che, nel caso di specie, la sentenza impugnata abbia erroneamente affermato la responsabilita’ del Comune di Assisi (PG), giacche’ l’interesse azionato dalla (OMISSIS) s.r.l nel presente giudizio appare palesemente di natura oppositiva, essendo rivolto alla conservazione della propria immagine commerciale e del proprio livello medio di profitto. Ne consegue, quindi, che la corte distrettuale ha correttamente ritenuto l’amministrazione locale responsabile ex articolo 2043 c.c., del danno cagionato all’intimata unicamente in ragione dell’illegittimita’ dell’ordinanza-ingiunzione n. 8012/1999, ex se idonea a ledere gli interessi sopra indicati. Del resto, non sembra difficile ipotizzare che il Comune ricorrente abbia agito quantomeno con colpa, giacche’ la suddetta amministrazione, avendo fissato un termine di esecuzione del provvedimento sanzionatorio di un solo giorno dalla sua notifica, sembra aver negligentemente ignorato il diritto della (OMISSIS) s.r.l. alla difesa, anche in sede cautelare, delle proprie posizioni giuridiche. Ne’, tantomeno, sarebbe plausibile affermare che la sentenza n. 108/2000 del Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Assisi (PG), sia abnorme o sia stata emessa in palese ultra o extrapetizione. Il primo vizio, infatti, sembra radicalmente escluso dall’effettiva illiceita’ dell’attivita’ procedimentale posta in essere dal Comune di Assisi, in quanto conclusasi con l’adozione di un provvedimento manifestamente lesivo del diritto di difesa dell’intimata. La violazione degli articoli 101 e 112 c.p.c., infine, non appare sussistente, ben potendo il giudice dell’opposizione ad atti amministrativi sanzionatori dichiarare l’illegittimita’ degli stessi per qualsiasi vizio riscontrato, come gia’ precisato nella giurisprudenza richiamata subito dopo l’esposizione della doglianza prospettata. Pertanto, anche il secondo motivo di ricorso e’ da ritenersi infondato.
In ragione del rigetto delle precedente censure, appare necessario procedere all’esame del terzo ed ultimo motivo. Con esso il Comune di Assisi (PG) denunzia preliminarmente plurime violazioni di legge ed un vizio di contraddittoria motivazione commessi dal giudice a quo con riferimento: a) all’esclusione del concorso di colpa dell’ (OMISSIS) s.r.l. nell’esecuzione, asseritamente volontaria, dell’ordinanza-ingiunzione n. 8012/1999; b) all’erronea ed eccessiva liquidazione del danno sofferto dalla controparte, sulla base di criteri contestati dall’amministrazione ricorrente (l’impossibilita’ per (OMISSIS) s.r.l. di svolgere adeguatamente il servizio di ristorazione pur in presenza di autonoma licenza di ristorazione per l’albergo, la lesione dell’immagine commerciale dell’intimata, la perdita di reddito anche nei giorni successivi alla chiusura, come documentata nelle dichiarazioni dei redditi esibite in grado d’appello). L’amministrazione locale, quindi, conclude dolendosi di un vizio di motivazione apparente in ordine al rigetto, da parte della corte distrettuale, dell’appello incidentale in relazione alla domanda di condanna di controparte per responsabilita’ processuale aggravata ex articolo 96 c.p.c.. A parere del ricorrente, infatti, la pretesa appena illustrata sarebbe stata giustificata dalla sproporzione fra l’ammontare del risarcimento richiesto dalla (OMISSIS) s.r.l (euro 40.000 in primo grado, euro 35.000 in appello) e il quantum effettivamente liquidato dai giudici del merito (euro 3.500 per ciascun grado di giudizio). Da tale squilibrio, infatti, si sarebbe dovuta desumere la volonta’ della societa’ intimata di coltivare causa temeraria.
La censura mossa non parrebbe meritevole di accoglimento sotto nessuno dei profili dedotti. Occorre preliminarmente osservare che il richiamo all’articolo 2043 c.c., non appare pertinente. Non sembra, infatti, a questo relatore che l’amministrazione ricorrente si dolga dell’erronea valutazione del giudice a quo sull’an della pretesa risarcitoria avversa, bensi’ sul quantum della medesima. Ne consegue, quindi, che il Comune di Assisi (PG), dolendosi anche della violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c., censura la ratio della decisione impugnata in modo talmente generico da sfociare nell’inammissibilita’ del profilo dedotto. Costituisce, infatti, principio pacifico della giurisprudenza di questa corte l’inammissibilita’, nel ricorso per Cassazione, di qualsiasi censura o profilo di doglianza attinente ad argomentazioni che non costituiscono la ratio della sentenza impugnata. Tali statuizioni, non spiegando alcuna influenza sul dispositivo della decisione d’appello, non producono alcun effetto giuridico, cosi’ che l’eventuale doglianza proposta avverso il capo che le contiene non puo’ ritenersi sorretto da adeguato interesse (cfr., ex multis, Cass., 22-11-2010, n. 23635; Cass. 05-06-2007, n. 13068; Cass., 23-11-2005, n. 24591). Pur prescindendo, eventualmente, da quanto illustrato, il ricorrente non sembra comunque avvedersi che la corte perugina ha liquidato il danno di controparte in via equitativa, in applicazione dell’articolo 1223 c.c. e segg.. Del resto, la giurisprudenza amministrativa ammette pacificamente che il danno da provvedimento illegittimo possa essere liquidato in applicazione dei criteri di cui agli arti. 1223 e seguenti c.c., stante la natura extracontrattuale del danno in questione e il rinvio ai suddetti criteri contenuto nell’articolo 2056 c.c. (cfr., Cons. Stato, sez. 6 , 16-02-2005, n. 499; Cons. Stato, sez. 6 , 19-11-2003, n. 7473). Da cio’ discende, quindi, la piena applicabilita’ del criterio della risarcibilita’ dei soli danni che siano conseguenza immediata e diretta dell’attivita’ illegittima posta in essere dall’amministrazione, ai sensi dell’articolo 1223 c.c., nonche’ la facolta’ del giudice di liquidare il danno anche in via equitativa ove esso non sia provabile o non sia stato provato nel suo preciso ammontare, come disposto dall’articolo 1226 c.c.. Nel caso di specie, la corte territoriale ha ritenuto necessaria una valutazione equitativa del quantum da risarcire sulla base dei due criteri della dichiarazione dei redditi temperata e della perdita di reddito nei giorni successivi alla chiusura del ristorante gestito dall’intimata, come ampiamente provata dalle deposizioni rese dai testimoni in sede di appello. Alla luce di cio’, sembra che in questa sede il Comune di Assisi (PG) si dolga non di un vizio di contraddittoria motivazione, bensi’ del malgoverno da parte del giudice a quo del proprio potere equitativo nell’individuazione del quantum debeatur. Appare, tuttavia, opportuno ricordare il principio, espresso in un risalente ed ormai consolidato orientamento di questa corte, secondo il quale la valutazione delle risultanze probatorie, involgendo apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, non sono deducibili in sede di legittimita’, se non nei limiti dell’omissione, insufficienza o contraddittorieta’ di motivazione (cfr., ex multis, Cass. 24-05-2013, n. 12988; Cass., 05-10-2006, n. 21412; Cass., 24-07-2007, n. 16346; Cass., 26-02-2007, n. 4391; Cass. 28-01-2004, n. 1554; Cass. 14-11-2002, n. 16034; Cass. 29-04-1999, n. 4347; Cass. 14-04-1994, n. 3498; Cass. 09-02-1982, n. 766). La giurisprudenza di questa Corte, poi, ha ripetutamente evidenziato che il vizio di motivazione contraddittoria della sentenza impugnata puo’ consistere solo in una evidente illogicita’ delle argomentazioni adoperate, ossia nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato fuori dal senso comune, od ancora nella mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte, quindi ancora nell’assoluta incompatibilita’ razionale degli argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi. Ne discende logicamente che non e’ possibile far valere, tramite il ricorso per Cassazione, vizi motivazionali consistenti nella mera non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al convincimento delle parti, ed, in particolare, nella prospettazione di un asseritamente migliore e piu’ appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti. Infatti, tali aspetti del giudizio, il cui apprezzamento rientra nel pieno potere discrezionale di valutazione degli elementi di prova, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento, rilevanti ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Del resto, ove si ammettesse il sindacato di legittimita’ di codesta corte sulla rispondenza delle valutazioni probatorie del giudice a quo alle ricostruzioni di parte, il motivo di ricorso di cui alla citata norma si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione degli apprezzamenti e dei convincimenti discrezionali del giudice del merito (cfr., Cass., 17-04-2004, n. 7341; Cass., 05-05-2003, n. 6753; Cass., 09-03-2001, n. 3519).
Alla luce di tale orientamento, il profilo dedotto non sembra cogliere nel segno, essendosi l’amministrazione locale limitata a censurare, oltretutto in modo alquanto generico, le modalita’ di valutazione delle prove documentali e testimoniali assunte nel precedente grado di giudizio. Ne’ sembra possibile rinvenire nella sentenza impugnata argomentazioni palesemente illogiche o intrinsecamente incoerenti.
Ugualmente, non coglie nel segno neppure il profilo concernente l’asserita violazione dell’articolo 1227 c.c., comma 1. La norma de qua, infatti, prescrivendo la diminuzione del risarcimento in caso di concorso della condotta del danneggiato nella verificazione del danno, non e’ applicabile laddove il medesimo danno sia stato cagionato da una condotta obbligata del danneggiato, come quella che necessariamente deve essere tenuta dal destinatario di un provvedimento amministrativo, cioe’ di un atto intrinsecamente di natura autoritativa, come nel caso di specie.
Non merita miglior sorte neppure il profilo attinente alla violazione dell’articolo 96 c.p.c.. Si osserva, infatti, che la responsabilita’ ex articolo 96 c.p.c., integra una particolare forma di responsabilita’ processuale aggravata a carico della parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, e si atteggia diversamente a seconda dei gradi del giudizio, atteso che, mentre in primo grado essa e’ volta a sanzionare il merito di un’iniziativa giudiziaria avventata, nel secondo grado, regolato dal principio devolutivo, essa deve specificamente riferirsi alla pretestuosita’ dell’impugnazione. In ogni caso, pero’, il presupposto della condanna al risarcimento dei danni a titolo di responsabilita’ aggravata per lite temeraria e’ la totale soccombenza, con la conseguenza che non puo’ farsi luogo all’applicazione dell’articolo 96 c.p.c., quando tale requisito non sussista (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. 1 27-08-2013, n. 19583; Cass. Civ., Sez. 2 , 12-10-2009, n. 21590 del 12-10-2009). Nel caso di specie, quindi, non sembrano ricorrere i presupposti affinche’ il ricorrente possa pretendere la condanna per lite temeraria della controparte, che, invece, e’ risultata totalmente vittoriosa nel precedente grado di giudizio. Pertanto, anche il terzo motivo e’ da ritenersi manifestamente infondato”.
Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra sono condivisi dal Collegio e le critiche formulate dal Comune ricorrente nella memoria ex articolo 378 c.p.c., non hanno alcuna incidenza su dette conclusioni, giacche’ la questione della mancanza di un giudizio prognostico circa l’esito che avrebbe avuto la linea difensiva della (OMISSIS) s.r.l., con riferimento al merito dell’atto annullato, seppure per vizio formale, risulta coperto dal giudicato del medesimo giudizio amministrativo. Ne’ l’assunto secondo cui il giudicato amministrativo riguarderebbe l’atto e non anche la vicenda, sul presupposto che quello amministrativo si forma in relazione ai soli motivi di gravame e non alle eventuali affermazioni incidentali contenute nella sentenza (in quanto l’autorita’ dello stesso e’ circoscritta oggettivamente, in conformita’ alla funzione della pronunzia giudiziale che e’ diretta a dirimere la lite nei limiti delle domande hic ed inde proposte), puo’ comportare la non responsabilita’ dell’Amministrazione per gli atti adottati dal momento che i diritti del privato possono venire meno solo di fronte ad un atto amministrativo legittimo.
Un’ormai del tutto consolidata giurisprudenza afferma che ai fini dell’ammissibilita’ della domanda di risarcimento del danno a carico della Pubblica Amministrazione non e’ sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma e’ altresi’ necessaria la prova del danno subito e la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa. Si deve quindi verificare se l’adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialita’, correttezza e buona fede alle quali l’esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi, con la conseguenza che puo’ affermarsi la responsabilita’ dell’amministrazione per danni conseguenti a un atto illegittimo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato (cosi’, ad es., e tra le piu’ recenti, Cons. Stato, Sez. 6 , 26 marzo 2013 n. 1669). Detto altrimenti, l’ingiustizia del danno non puo’ considerarsi in re ipsa nella sola illegittimita’ dell’esercizio della funzione amministrativa o pubblica in generale, dovendo in realta’ il giudice procedere a verificare e giudicare: che sussista un evento dannoso; che il danno sia qualificabile come ingiusto in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento; che l’evento dannoso sia riferibile, sotto il profilo causale, ad una condotta della pubblica amministrazione; che l’evento dannoso sia imputabile a responsabilita’ della Pubblica Amministrazione anche sotto il profilo soggettivo del dolo o della colpa; e che la responsabilita’ possa e debba essere negata quando l’indagine presupposta conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessita’ della situazione di fatto (cfr. al riguardo, ex plurimis e tra le piu’ recenti, Cons. Stato, Sez. 5 , 17 febbraio 2013 n. 798). In sede di risarcimento del danno derivante da procedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato puo’ comunque limitarsi ad invocare l’illegittimita’ dell’atto quale indice presuntivo della colpa, perche’ resta a carico dell’Amministrazione l’onere di dimostrare che si e’ trattato di un errore scusabile derivante da contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma o dalla complessita’ dei fatti, ovvero ancora dal comportamento delle parti del procedimento. Al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo non e’ dunque richiesto un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa dell’Amministrazione, potendo egli limitarsi ad allegare l’illegittimita’ dell’atto e dovendosi fare applicazione, al fine della prova dell’elemento soggettivo, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’articolo 2727 c.c.; a questo punto spetta all’amministrazione dimostrare, se del caso, di essere incorsa in un errore scusabile (cosi’, ad es., Cons. Stato, Sez. 5 , 27 marzo 2013 n, 1773).
Nella specie peraltro non puo’ trovare applicazione l’ulteriore orientamento del Consiglio di Stato secondo cui la domanda di risarcimento del danno causato da un illegittimo provvedimento, annullato in sede giurisdizionale per difetto di motivazione, non puo’ essere accolta ove persistano in capo all’Amministrazione significativi spazi di discrezionalita’ in sede di riesercizio del potere (cosi’, ad es., Cons. Stato, Sez. 6 , 30 giugno 2011 n. 3887 e 8 febbraio 2011 n. 854, nonche’ Sez. 4 , 15 gennaio 2009 il 148 e 30 giugno 2006 n. 4234)- adombrata dal ricorrente – dal momento che la immediata esecuzione dell’atto amministrativo, poi annullato – con vizio rilevabile ictu oculi – ha precluso qualsiasi difesa ed aspirazione della societa’ (OMISSIS).
Conclusivamente il ricorso va respinto.
Nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio di legittimita’ in mancanza di difese da parte dalla societa’ intimata.
La Corte, rigetta il ricorso
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