Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 26 novembre 2013, n. 47089
Fatto e diritto
Con sentenza 4.11.2011, la corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza 10.10.08 del tribunale di Nola, ha assolto, perché il fatto non sussiste I.C. , che era stato riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 479 c.p., perché in qualità di medico della struttura sanitaria privata “Clinica Santa Lucia”, benché assente dal servizio il giorno (omissis) , dalle ore 8 alle ore 20, aveva compilato la cartella clinica, in relazione alla degenza, in quella data, di N.I. , deceduta il successivo (…).
Nell’interesse di T.C. , marito della N. costituito parte civile, è stato presentato ricorso per vizio di motivazione della sentenza.
Secondo il ricorrente, la principale fonte di prova della responsabilità del dottor I. è costituita dal p.v. dell’interrogatorio, acquisito ex art. 238 cpp, reso dal medesimo nel corso del procedimento penale avente ad oggetto il reato di omicidio colposo in danno della N.I. . Nell’interrogatorio, il medico aveva ammesso di aver compilato l’intero diario clinico(privo della sua firma) relativo a sabato 5 luglio (data dell’ingresso al pronto soccorso e del ricovero nel reparto chirurgia), domenica (…) (data della degenza della donna, con annotazioni di due visite mediche), lunedì (…) (data del trasferimento all’ospedale di (…)e del decesso), sebbene non fosse stato sempre presente nella suddetta clinica.
Dalla documentazione ufficiale della clinica risulta che il dr I. non era di turno la domenica 6 luglio, ciononostante ha compilato il diario clinico di quel giorno. In sede di interrogatorio, egli ha dichiarato che, a differenza di quanto annotato nel prospetto dei turni (secondo cui non fu presente dalle ore 8 alle ore 20 di quel giorno) era stato di turno solo nel pomeriggio e non di mattina; questa modifica del servizio – documentalmente non confermata – era stata invece confermata dalla testimonianza del primario dr C. , secondo cui egli stesso era stato in clinica la domenica nel corso della mattina, dalle 8 alle 14, anche se nessuna annotazione a sua firma compare nel diario clinico per quella parte della giornata.
La corte territoriale, secondo il ricorrente, ha inoltre travisato il contenuto delle dichiarazioni di N.M.R. , sorella della defunta,secondo cui ella vide il dr I. – a lei ben noto – solo nel momento del ricovero, nel pomeriggio di sabato 5 luglio, mentre la sera di quel giorno, per i dolori allo stomaco della degente, intervenne un altro medico, che nulla annotò nella cartella clinica; la teste ha anche specificato che non vide il dr I. nel corso della successiva domenica pomeriggio, trascorsa da lei, dalle sorelle, dalla madre e dal cognato T.C. , interamente nella clinica. Questi elementi dimostrano la palese falsità della cartella clinica, priva inoltre di numero identificativo del reparto di appartenenza, della sottoscrizione del direttore sanitario responsabile, dr F. e del nominativo dello stesso medico compilatore.
Al di là della falsità delle annotazioni del 6 luglio 1997, di cui al capo di imputazione, la falsità generale dell’atto emerge anche dai seguenti dati formali:
tutte le annotazioni sono redatte con un’unica grafia e con un unico colore di inchiostro, senza alcuna incertezza o cancellazione, sebbene riguardasse tre giorni e momenti di particolare tensione, a causa del crescente stato patologico, accompagnato da crescente dolore della paziente;
solo nelle annotazioni del (…) è indicato l’orario degli avvenimenti, è descritto l’intervento del sanitario a dimostrazione della identità – esclusiva per quella giornata – del sanitario operante e dell’autore del documento;
– la cartella clinica, richiesta dai familiari nello stesso giorno della morte della donna è stata rilasciata solo dopo tre giorni.
Secondo il ricorrente,la sentenza di assoluzione va quindi annullata agli effetti civili, con trasmissione degli atti alla corte di appello competente.
Il ricorso della parte civile merita accoglimento.
Il giudice d’appello che riformi la decisione di condanna del giudice di primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione può pervenire ad una ricostruzione del fatto difforme da quella effettuata dal giudice di primo grado. In tal caso, per non incorrere nel vizio di motivazione, ha l’onere di tenere conto delle non condivise valutazioni in proposito svolte da quest’ultimo, di indicare le ragioni per le quali intende discostarsene,per dare una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni.
Nel caso in esame, la corte di merito è pervenuta ad una diversa ricostruzione del fatto contestato.
redazione, da parte del medico, di annotazioni nella cartella clinica su visite alla degente, nel giorno 6.7.1997, nonostante la sua accertata assenza dal servizio), senza tener conto delle risultanze processuali da cui il primo giudice aveva tratto diverse conclusioni, in ordine all’assenza dalla clinica Santa Lucia del dottor I. , quanto meno nella mattina del 6 luglio 1997 e in ordine alla falsa attestazione di svolgimento di attività lavorativa in realtà non realizzata.
La corte di merito ha ritenuto l’insussistenza del fatto, basandosi sulle dichiarazioni dell’I. , secondo cui egli aveva prestato servizio dalle 14 di quel giorno fino alla mattina del giorno successivo, sebbene il prospetto dei turni relativi ai medici di pronto soccorso, attestasse la sua assenza nel corso dell’intera giornata del 6 luglio, nel senso che il suo turno era indicato come compreso tra le ore 22 del 6 e le ore 8 del (…).
La corte di merito ha anche ritenuto credibile il medico, laddove “Affermava che effettivamente nella cartella clinica vi erano solo annotazioni a sua firma, relative ai controlli fatti alla paziente tutte le volte che in qualità di medico di turno al pronto soccorso era stato chiamato dagli infermieri… Precisava altresì che era stato di turno il giorno 5 fino alle 8 del giorno 6 e dalle 14 del 6 fino alla mattina del 7. Notava quindi un errore nei turni dei medici del pronto soccorso riportati dalla casa di cura, che indicavano il suo turno del 6 dalle 20 alle 8 e non dalle 14, circostanza questa confermata dal dr C. , che riferiva che la domenica 6 luglio aveva prestato servizio solo dalle 8 alle 14”.
Sulla base di questa analisi delle risultanze processuali, la corte ha concluso, in ordine all’attestazione di servizio medico svolto il giorno 6 luglio, che “da quanto esposto sin qui appare chiaro che non è stata dimostrata la falsità delle annotazioni contenute nella cartella e, invero a fronte di tale ricostruzione dei fatti, non è possibilmente enucleare dalla stessa gli elementi integranti il reato contestato”.
È evidente la carenza di motivazione per travisamento delle prove dichiarative e documentali.
Va innanzitutto rilevato che in questa ricostruzione dei dati storici, la corte di merito non ha tenuto conto che nella cartella clinica, per il giorno 6 luglio 1997, vi sono due annotazioni, pacificamente di mano dell’I. , che sono state razionalmente ritenute dal primo giudice riferibili a due diversi momenti: posto che nella seconda c’è un esplicito riferimento a un controllo pomeridiano (è scritto ” al controllo pomeridiano condizioni cliniche invariate…”), deve necessariamente ritenersi che nella prima annotazione (“Quadro clinico invariato..”), c’è l’attestazione, da parte del suo autore, di un controllo medico, effettuato necessariamente e inequivocabilmente in un momento anteriore, cioè nella mattinata.
Pertanto, rilevato che il medico ha escluso di aver prestato servizio nella mattina del 6 luglio e quindi di aver visitato la N. in quella parte della giornata, rilevato che nella cartella clinica risulta una sua annotazione su una visita da lui effettuata nel medesimo periodo, razionalmente il primo giudice ha concluso correttamente che è stata documentata dal medico la condizione della paziente relativa a un momento in cui egli non era certamente in servizio.
La corte di merito non ha quindi tenuto conto che:
1. nella cartella clinica, in riferimento al giorno in contestazione, vi è una duplice annotazione di controlli medici riferibili necessariamente ad una duplice scansione temporale;
2. inequivocabilmente la prima annotazione attesta un controllo medico dell’I. temporalmente riferibile a un momento di assenza del medesimo dal servizio.
È di tutta evidenza il vuoto motivazionale su cui il giudice di appello, ignorando questi indubbi dati storici, ha posto la conclusione, secondo cui “a fronte di tale ricostruzione dei fatti, non è possibilmente enucleare dalla stessa gli elementi integranti il reato contestato”.
La sentenza va quindi annullata agli effetti civili con trasmissione degli atti al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Alla liquidazione delle spese processuali si provvedere all’esito della pronuncia di decisione definitiva.
P.Q.M.
Annulla l’impugnata sentenza provvedendo ai soli fini civili e dispone la trasmissione degli atti al giudice civile competente per valore in grado di appello. Spese tra le parti private al definitivo.
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