Suprema Corte di Cassazione
sezione tributaria
sentenza 6 agosto 2014, n. 17668
Svolgimento del processo
I.A. propone ricorso per cassazione, affidato a 11 motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 182/20/2008, depositata in data 17/12/2008, con la quale – in una controversia concernente l’impugnazione di due avvisi di accertamento emessi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 in relazione a maggiori imposte IRPEF ed ILOR dovute per gli anni 1996 e 1997, a seguito di rideterminazione sintetica del reddito complessivo – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso del contribuente.
In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che l’accertamento sintetico era legittimo, essendo emersa, nell’anno 1997, una spesa (oltre L. 320.000.000, quale “anticipazione” sul corrispettivo pattuito per l’acquisto di quote sociali), non compatibile con i redditi dichiarati dall’acquirente I., quale lavoratore dipendente (di circa L. 20.000.000 annui), nei cinque anni precedenti la compravendita. Pertanto, ciò era sufficiente a ritenere “valido” l’accertamento, pur non essendo stati evidenziati, negli atti impositivi, “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche” che giustificavano la pretesa fiscale e pur non essendo stati rilevati profili di “non regolare tenuta della contabilità”, neppure avendo l’Ufficio tenuto conto dei fatti successivi la compravendita (quali “il fallimento del contribuente acquirente, il mancato pagamento delle rate ed il sequestro delle quote sociali”, nonchè l’accensione di un mutuo ipotecario per L. 200.000.000).
Motivi della decisione
1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, l’omessa motivazione su punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, avendo i giudici d’appello omesso di motivare sull’eccezione di giudicato esterno, sollevata dal ricorrente in relazione alla sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 40/12/2005, concernente altro accertamento relativo allo stesso oggetto (IRPEF ed ILOR), agli stessi presupposti (determinazione sintetica del reddito D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38) ma all’anno 1995, favorevole al contribuente e passata in giudicato; 2) con il secondo motivo, la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., con riguardo alla medesima questione del giudicato esterno formatosi su controversia analoga anche se relativa a diverso anno d’imposta; 3) con il terzo ed il quarto motivo, la contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, su punti decisivi e controversi, per avere i giudici d’appello (Motivo 3), prima, affermato che, in relazione all’atto di acquisto delle quote sociali del marzo 1997, per un corrispettivo originario di L. 1.350.000.000, lo I. aveva pagato “solo L. 158.000.000 e null’altro”, essendo seguito il fallimento dello stesso I. ed il sequestro giudiziario delle quote, e, poi, affermato, contraddittoriamente, che lo stesso I. aveva versato al venditore “L. 30.000.000 + L. 320. 000. 000”, per lo stesso atto, nonchè (Motivo 4) per avere gli stessi giudici, pur rilevando le carenze di motivazione degli atti impositivi, lamentate dal contribuente, rigettato l’appello; 4) con il quinto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e L. n. 212 del 2002, art. 7 non avendo i giudici d’appello dato il giusto rilievo al vizio di carenza di motivazione degli atti impositivi, privi dell’indicazione dei presupposti di fatto e della ragioni giuridiche poste a base dei provvedimenti e motivati con un mero rinvio ad un allegato; 5) con il sesto, il settimo, l’ottavo ed il nono motivo, l’omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, su punti fondamentali della controversia, concernenti sempre (Motivi 6 e 7) la carenza di motivazione degli atti impositivi, riferiti a spese per incrementi patrimoniali sostenute per “il periodo 1996/2001 e 1995/2002”, ed il contenuto dell’allegato A, richiamato negli stessi, che evidenziava invece situazioni esclusivamente riferibili agli anni 1995, 1996, 1997, nonchè (Motivo 8) la ricostruzione complessiva della situazione patrimoniale del contribuente e dei suoi familiari e (Motivo 9) la mancanza negli avvisi di accertamento di qualsiasi considerazione del questionario compilato e restituito dal contribuente; 6) con il decimo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, non avendo la ricostruzione redditometrica tenuto conto del reddito familiare del contribuente, 7) con l’undicesimo motivo, l’omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, su di un punto decisivo della controversia, vale a dire la contestazione relativa all’omessa motivazione sui profili soggettivi legittimanti l’applicazione delle sanzioni.
2. Il primo motivo è inammissibile, concernendo la lagnanza del ricorrente, in realtà, non un vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, che si configura solo quando sia riscontrabile nel ragionamento del giudice di merito il mancato o insufficiente esame di un elemento di fatto, controverso e rilevante in funzione della decisione della causa, o una obiettiva deficienza e incoerenza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, ovvero se a fondamento della decisione siano stati posti apprezzamenti e argomentazioni tra loro contraddittori, tali da non consentire una corretta ricostruzione della ratio deciderteli, ma un’ipotesi di nullità della sentenza per un error in procedendo, implicante vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.
3. Il secondo motivo è parimenti inammissibile, dovendo semmai essere invocato il vizio di omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c., sull’eccezione di giudicato esterno.
Laddove possa poi ritenersi implicitamente rigettata l’eccezione dai giudici d’appello, il motivo è comunque infondato, in quanto il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato tributario può operare solo rispetto a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi a una pluralità di periodi d’imposta (es. le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente (in riferimento a tali elementi, cfr. Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006, di recente Cass. 22941/2013), cosicchè la situazione già accertata nel precedente giudizio non può formare oggetto di valutazione diversa, ove permangano immutati gli elementi di fatto e di diritto preesistenti, mentre non può chiedersene l’ultrattività per un’annualità diversa quando questa postula l’accertamento di ulteriori presupposti di fatto (cfr. Cass. n. 854/2010, ove si è anche affermato che nell’ipotesi di valutazione delle prove in ordine a diverse annualità non è possibile applicare il giudicato, non potendo precludersi per ogni giudice il potere di valutare in modo autonomo e discrezionale le prove che gli sono offerte dalle parti che in periodi temporalmente distinti possono presupporre fatti differenti).
Ora, la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale Roma, di cui si deduce il passaggio in giudicato, ha accertato l’illegittimità dell’atto impositivo con riguardo all’anno 1995, facendo esplicito riferimento, per un verso, ad una carenza di motivazione e, per altro verso, alla mancata prova di spese del contribuente per acquisto delle quote sociali, nell’anno 1997, superiori a L. 158.700.000. Siffatti accertamenti, operati dal giudice di merito con riguardo all’anno 1995, ed in particolare la congruenza tra le spese sostenute (nel 1997) e le situazioni reddituali esistenti nell’anno in questione, non possono estendersi rispetto a diverse annualità (1996 e 1997), proprio perchè collegati ad emergenze fattuali variabili, che non consentono, dunque, di traslare le valutazioni operate dal giudice dall’annualità per la quale si è formato il giudicato.
4. Il terzo motivo è infondato.
I giudici d’appello, con riguardo all’accertamento sull’esborso sostenuto dal contribuente per l’acquisto delle quote sociali, hanno sostenuto che, se “successivamente alla compravendita lo I. pagò solo lire 158.700.000 e null’altro”, in sede di stipula del rogito notarile del marzo 1997, si dava atto dell’anticipazione già versata dall’acquirente di “L. 30.000.000 e di L. 320.000.000”, con conseguente legittimità dell’accertamento in rapporto a quest’ultima spesa, non compatibile con i redditi dichiarati dal contribuente. Non ricorre quindi il vizio di contraddittorietà della motivazione, invocato con il terzo motivo.
5. Il quarto ed il quinto motivo sono inammissibili per difetto di autosufficienza, come pure i motivi sesto, settimo, ottavo e nono.
Invero, non essendo trascritto il contenuto degli avvisi di accertamento e dell’allegato richiamato, nè essendo specificate le risposte date dal contribuente al questionario, risposte asseritamente non prese in considerazione dall’Ufficio, questa Corte non è posta in condizione di vagliare la fondatezza dei motivi.
6. Il decimo motivo è inammissibile, per difetto di autosufficienza.
Invero, i giudici d’appello hanno accertato, in fatto, che il contribuente, a fronte della spesa di “L. 320.000.000″, sostenuta, a titolo di acconto, prima della stipula dell’atto notarile datato 26/3/1997 (del cui pagamento si dava, ivi, menzione), non aveva offerto giustificazione adeguata dell'”origine del finanziamento”, avendo lo stesso dichiarato, negli anni precedenti (e quindi negli anni 1996 e 1997 che qui interessano) solo redditi da lavoro dipendente di L. 20.000.000 annuali, nè avendo l’Ufficio dato rilevo ai fatti verificatisi negli anni successivi all’atto di compravendita (il fallimento, il sequestro delle quote per mancato pagamento dei ratei di prezzo successivi e l’accensione, nel 1998, di un mutuo per L. 200.000.000).
A fronte di tale compiuto e specifico accertamento, del tutto conforme alle prescrizioni dettate dall’art. 38 citato, il ricorrente si limita ad affermazioni generiche (l’essere un lavoratore dipendente, il non essere coniugato, il viverle con i propri genitori, beneficiando dei conseguenti vantaggi economici), neppure coerenti con il decisum sopra riportato.
7. L’undicesimo motivo è inammissibile sia perchè non concerne un vizio di omessa motivazione quanto di omessa pronuncia su motivo di appello, sia per difetto di autosufficienza ed inidoneità del cd.
momento di sintesi di cui all’art. 366 bis c.p.c..
8. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, a titolo di compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed eventuali spese prenotate a debito.
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