La previsione retroattiva, al fine del contenimento della spesa pubblica, di un tetto massimo per la fruibilità del credito di imposta per la ricerca, regolato con il criterio della priorità temporale dell’invio della domanda fino ad esaurimento delle risorse, è pienamente legittima e non contrasta con il principio dell’affidamento dei privati.

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La denunciata contraddizione della motivazione consisterebbe nel fatto che da un lato il giudice regionale ha riconosciuto il diritto soggettivo a fruire del credito, ma dall’altro ha affermato che il Decreto Legge n. 185 ha inciso solo sulle modalita’ di fruizione, affermazione inesatta laddove con il diniego il diritto e’ stato in realta’ soppresso e non semplicemente disciplinato nelle modalita’ di fruizione.
Va rilevato che, essendo stata depositata la sentenza in data 29.04.2011, al motivo di gravame si applica l’articolo 360 c.p.c., n. 5) nella versione ante 2012, sebbene successiva al 2006.
Il motivo e’ al limite della inammissibilita’ perche’ “per “fatto decisivo e controverso” deve intendersi un vero e proprio fatto, non una “questione” o un “punto”; non a caso, infatti, il citato articolo 360 c.p.c. (nella parte in cui prevedeva l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia) e’ stato modificato dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006 nel senso che l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve riguardare un fatto controverso e decisivo, e la modifica non puo’ essere ritenuta puramente formale e priva di effetti: il “fatto” di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 e’ percio’ un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un “fatto principale”, ex articolo 2697 c.c. (cioe’ un “fatto” costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, un “fatto secondario” (cioe’ un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purche’ controverso e decisivo.” (Cass., Sez. 5, sent. n. 2805 del 2011).
Il “fatto” della cui omissione o errata considerazione si duole il ricorrente nel caso di specie e’ pero’ una valutazione giuridica, non un fatto storico.
L’avere la Commissione regionale riconosciuto un diritto soggettivo all’impresa ricorrente, salvo poi affermare che la nuova normativa non lo ha soppresso ma ha solo inciso sulle modalita’ di fruizione, non e’ infatti un dato “storico” e “fattuale”, quanto una valutazione giuridica.
In ogni caso, il motivo e’ infondato.
E’ vero che su tale aspetto sia questa Corte nell’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale, sia quest’ultima, hanno ritenuto che la normativa del 2008 non ha semplicemente inciso sulle modalita’ di fruizione del diritto, ma sul diritto stesso.
Tuttavia, questo non significa che il percorso argomentativo del giudice d’appello sia stato “contraddittorio” o “illogico” ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
La Commissione ha infatti seguito un proprio percorso argomentativo che, intrinsecamente, non e’ ne’ illogico, ne’ contraddittorio, non ravvisandosi tale vizio nell’affermare che la prima normativa ha riconosciuto un diritto soggettivo e quella successiva ha inciso sulle modalita’ di fruizione dello stesso, valorizzando tra gli altri dati la circostanza che il diritto di credito non sia stato soppresso, ma, ai fini della sua fruizione, solo differito agli esercizi successivi al 2011. E’ a tal fine significativo che proprio in questo contesto la sentenza ha menzionato, a conferma della sua ricostruzione, la legge finanziaria del 2010 (L.n. 191 cit.), che ha stanziato altre risorse per soddisfare i crediti d’imposta non soddisfatti. Non vi e’ pertanto alcuna contraddizione e se invece si voleva censurare la ricostruzione giuridica dell’assetto normativo, la ricorrente avrebbe dovuto eventualmente denunciare la violazione di legge, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
E’ altrettanto infondato il terzo motivo.
Lamenta la ricorrente che la CTR non abbia censurato l’applicazione retroattiva del Decreto Legge n. 185 del 2008 che ha introdotto un tetto massimo per la fruibilita’ del credito di imposta, con effetto anche per i crediti maturati anteriormente.
Sul punto, e’ sufficiente riportarsi a quanto affermato dalla Consulta nella sentenza n. 149 cit., laddove il giudice delle leggi considera che (paragrafi 9 – 12) un intervento normativo anche retroattivo, incidente su diritti perfetti, non e’ necessariamente incostituzionale, purche’ risponda a criteri di razionalita’, di salvaguardia di altri valori costituzionali, di proporzionalita’; e nella specie rileva che l’intervento normativo del 2008 era necessario per tutelare altri sopravvenuti interessi pubblici di rango costituzionale, quale la tutela dell’equilibrio del bilancio dello Stato.
E’ poi infondato il quarto motivo.
La Corte Costituzionale, nel paragrafo 9 del “considerato” della sentenza 149 del 2017, ha affermato che “il valore del legittimo affidamento non esclude che il legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, ma esige che cio’ avvenga alla condizione che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica (sentenze n. 56 del 2015, n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009). Solo in presenza di posizioni giuridiche non adeguatamente consolidate, dunque, ovvero in seguito alla sopravvenienza di interessi pubblici che esigano interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente su di esse, ma sempre nei limiti della proporzionalita’ dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti, e’ consentito alla legge di intervenire in senso sfavorevole su assetti regolatori precedentemente definiti (ex plurimis, sentenza n. 56 del 2015)” (sentenza n. 216 del 2015; si vedano anche, tra le tante, le sentenze n. 160 e n. 103 del 2013, n. 416 del 1999).
L’intervento retroattivo del legislatore, dunque, puo’ incidere sull’affidamento dei cittadini a condizione che: 1) trovi giustificazione in “principi, diritti e beni di rilievo costituzionale” (ex multis, sentenza n. 308 del 2013), e dunque abbia una “causa normativa adeguata” (sentenze n. 203 del 2016, n. 34 del 2015 e n. 92 del 2013), quale un interesse pubblico sopravvenuto (sentenze n. 16 del 2017, n. 216 e n. 56 del 2015) o una “inderogabile esigenza” (sentenza n. 349 del 1985); 2) sia comunque rispettoso del principio di ragionevolezza (fra le tante, sentenza n. 16 del 2017) inteso, anche, come proporzionalita’ (sentenze n. 203 e n. 108 del 2016; n. 216 e n. 56 del 2015)”.
Ha quindi ritenuto che nella specie si siano verificati i requisiti che hanno giustificato l’intervento normativo, per la salvaguardia di principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, e cioe’ la necessita’ di mantenere il bilancio dello Stato nel rispetto dei parametri approvati anche in sede europea, con la possibilita’ al contempo di creare disponibilita’ finanziarie per rilanciare l’economia e tutelare i lavoratori e le famiglie, a fronte di una situazione di eccezionale crisi internazionale generalizzata (infatti il Decreto Legge n. 185 del 2008 era denominato nel linguaggio atecnico “decreto anticirisi”).
Per quanto la Commissione regionale abbia fornito una interpretazione del principio di legittimo affidamento piu’ restrittiva di quella ammessa dalla stessa Corte Costituzionale e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea – interpretazione secondo la quale il principio non opera in relazione agli atti del legislatore, ma solo riguardo all’amministrazione, mentre al contrario il giudice delle leggi nazionale e la Corte di Giustizia ritengono che il principio coinvolga anche l’esercizio della funzione legislativa – tuttavia l’imprecisione diventa irrilevante nell’economia complessiva del giudizio, in quanto non solo la Corte Costituzionale, ma anche la stessa Corte di Giustizia, in qualche occasione, ha ammesso che l’applicazione del principio dell’affidamento possa flettersi di fronte ad interventi legislativi in presenza situazioni particolari e a determinate condizioni.
Quest’ultima in particolare – nella misura in cui norme euro – unitarie regolino la materia – si e’ gia’ occupata della definizione del concetto di legittimo affidamento, affermando che, per quanto il principio sia fondamentale nell’ordinamento dell’Unione, “non si traduce nella aspettativa di intangibilita’ di una normativa, in particolare in settori in cui e’ necessario, e di conseguenza ragionevolmente prevedibile, che le norme in vigore vengano continuamente adeguate alle variazioni della congiuntura economica.” (Corte Giust., sent. del 23.11.1999 nella causa C-149/96). E ancora, “Di conseguenza gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che puo’ essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle istituzioni comunitarie (cfr. sent. 15 luglio 1982, causa 245/81, Edeka, Race. 1982, pag. 2745, punto 27 della motivazione; sent. 28 ottobre 1982, causa 52/81, Faust, Race. 1987, 3745, punto 27 della motivazione; sent. 17 giugno 1987, cause riunite 424 e 425/85, Frico, Race. 1979, pag. 2755, punto 33 della motivazione).” (Corte Giust., caso C-350/88).
Va sempre ricordato al riguardo che la normativa del Decreto Legge 185 del 2008 (che, per inciso, non ha creato un istituto “ex novo”, ma ha esteso una disciplina generale sui crediti di imposta gia’ in vigore in quel momento – cioe’ la previsione di un tetto massimo allo specifico credito di imposta) e’ stata dettata, come emerge dallo stesso preambolo del testo legislativo e come notorio, dalla eccezionale situazione di crisi economica venutasi a creare a livello internazionale in quel momento e dalla necessita’ per lo Stato italiano di rispettare gli impegni sui parametri economici connaturati alla appartenenza alla Unione Europea. Inoltre lo Stato ha regolato, con il successivo intervento di cui alla L. n. 191 del 2009, le situazioni che si erano venute a verificare a detrimento dei c.d. “perdenti” nella procedura di cui al Decreto Legge n. 185 del 2008.
Infondato e’ anche il quinto motivo, relativo alla mancanza di motivazione del provvedimento di diniego.
Secondo la L. n. 212 del 2000, articolo 7, comma 1, “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, articolo 3 concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama.”.
A sua volta, la L. n. 241 del 1990, articolo 3 stabilisce che “1. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.
2. La motivazione non e’ richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale.”.
La Commissione regionale sul punto ha stabilito che il provvedimento ha illustrato in maniera succinta ma evidente le ragioni per cui il credito di imposta non veniva concesso, e cioe’ l’esaurimento delle risorse”, cosi’ come era chiaro che il diniego si riferiva a tutte le somme stanziate fino al 2011.
Il motivo e’ dedotto come violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, ma l’interpretazione che ha dato la CTR dell’onere di motivazione non appare errata.
In tema di motivazione di atti si e’ affermato che e’ sufficiente l’indicazione degli elementi che permettano di controllare la legittimita’ della procedura cui esso si riferisce (con riferimento al ruolo e alla cartella cfr. Cass., Sez. 5, sent. n. 1111 del 2018; n. 11466 del 2011).
L’interpretazione che il giudice regionale ha dato del concetto di “motivazione” dell’atto e’ pertanto in linea con la giurisprudenza sul tema, avendo la stessa ritenuto che l’atto permettesse di comprendere appieno le ragioni del diniego.
E’ infondato infine anche il sesto motivo.
La ricorrente ha lamentato che la Commissione abbia male interpretato la norma sul responsabile del procedimento ritenendo sufficiente l’indicazione del direttore del Centro di Pescara.

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