In tema di pornografia minorile, la sussistenza del reato di cui all’articolo 600 ter c.p., comma 3, deve essere esclusa nel caso di semplice utilizzazione di programmi di file sharing che comportino nella rete internet l’acquisizione e la condivisione con altri utenti dei files contenenti materiale pedopornografico

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L’imputato ha inoltre confessato relativamente al capo B, dell’imputazione, mentre ha contestato in appello (e nel ricorso per Cassazione) solo l’assenza di consapevolezza relativamente alla diffusione del materiale, con il programma a.mule. (per il capo A, dell’imputazione).

In tema di pornografia minorile, la sussistenza del reato di cui all’articolo 600 ter, comma terzo, cod. pen. deve essere esclusa nel caso di semplice utilizzazione di programmi di file sharing che comportino nella rete internet l’acquisizione e la condivisione con altri utenti dei files contenenti materiale pedopornografico, solo quando difettino ulteriori elementi indicativi della volonta’ dell’agente di divulgare tale materiale. (Fattispecie in cui la coscienza e volonta’ di divulgazione e’ stata desunta dalla condivisione per lunghissimo periodo dei files scaricati e dal loro effettivo scaricamento da parte di altri utenti). (Sez. 3, n. 19174 del 13/01/2015 – dep. 08/05/2015, Colombo, Rv. 26337301; vedi anche Sez. 3, n. 33157 del 11/12/2012 – dep. 31/07/2013, Moscuzza, Rv. 25725701).

La sentenza impugnata ha correttamente applicato il principio sopra visto della Suprema Corte di Cassazione, in quanto oltre al programma a.mule, ha evidenziato la competenza informatica del ricorrente che svolgeva il lavoro di grafico, e l’effettiva condivisione di file.

Infine la decisione valorizza anche il dolo eventuale del ricorrente: “Poco importa che il (OMISSIS) non avesse agito con l’intenzione di diffondere le immagini pedopornografiche. Scaricando quel materiale con quel programma di condivisione, aveva accettato il rischio che le immagini venissero diffuse sulla rete, con conseguente punibilita’ quanto meno a titolo di dolo eventuale”. Su questo punto il ricorso per Cassazione non contiene nessun motivo di censura alla sentenza impugnata.

Del resto la detenzione di materiale pedopornografico, scaricato in maniera massiccia, e l’utilizzazione del programma di condivisione automatica (a.mule) comporta il concreto e tangibile rischio delle diffusione indiscriminata sulla rete. Sussistono, infatti, nel caso tutti i presupposti per la configurazione del dolo eventuale: la sussistenza di una condotta illecita (il possesso di materiale pedopornografico); l’esperienza informatica del ricorrente che svolgeva il lavoro di grafico; la durata nel tempo della condotta illecita e l’elevato numero di file pedopornografici posseduti – almeno 194 file video con minori -; l’elevata probabilita’ della diffusione (la quasi certezza); la valutazione del comportamento relativo all’uso del computer del luogo di lavoro, come elemento che avrebbe garantito la difficolta’ dell’individuazione, e quindi, per tale aspetto, l’assenza di certezza che l’imputato non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento.

Sul punto la giurisprudenza di questa Corte e’ costante nell’individuare i presupposti del dolo eventuale: “In tema di elemento soggettivo del reato, per la configurabilita’ del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si e’ verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l’indagine giudiziaria, volta a ricostruire l'”iter” e l’esito del processo decisionale, puo’ fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalita’ e le pregresse esperienze dell’agente; c) la durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilita’ con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilita’ di verificazione dell’evento; g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si e’ svolta l’azione nonche’ la possibilita’ di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento. (Fattispecie in cui l’imputato, consapevole della propria malattia, aveva intrattenuto rapporti sessuali non protetti con l’amante, omettendo di informarla e trasmettendole il virus dell’epatite C)” (Sez. 5, n. 23992 del 23/02/2015 – dep. 04/06/2015, A, Rv. 26530601).

Puo’ conseguentemente affermarsi il seguente principio di diritto: “In tema di pornografia minorile, la sussistenza del reato di cui all’articolo 600 ter c.p., comma 3, deve essere esclusa nel caso di semplice utilizzazione di programmi di file sharing che comportino nella rete internet l’acquisizione e la condivisione con altri utenti dei files contenenti materiale pedopornografico, solo quando difettino ulteriori elementi indicativi della volonta’ dell’agente di divulgare tale materiale, anche sotto il profilo dell’individuazione del dolo eventuale, desumibile dall’esperienza dell’imputato e dalla durata nel tempo del possesso di materiale pedopornografico, dall’entita’ numerica del materiale, e dalla condotta, gia’ illecita ex articolo 600 quater c.p., connaturata da accorgimenti volti alla difficolta’ di individuazione dell’attivita’”.

4. Del tutto generico, e comunque manifestamente infondato e’ il motivo della mancata assunzione di una prova decisiva (l’audizione del perito). Nel ricorso non si prospetta la decisivita’ della prova: “In tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, mentre nelle ipotesi di cui all’articolo 603 c.p.p., commi 1 (richiesta di riassunzione di prove gia’ acquisite e di assunzione di nuove prove) e 3 (rinnovazione “ex officio”), e’ necessaria la dimostrazione, in positivo, della necessita’ (assoluta nel caso del comma terzo) del mezzo di prova da assumere, onde superare la presunzione di completezza del compendio probatorio, nell’ipotesi di cui al citato articolo 603, comma 2, al contrario, e’ richiesta la prova, negativa, della manifesta superfluita’ e della irrilevanza del mezzo, al fine di superare la presunzione, opposta, di necessita’ della rinnovazione, discendente dalla impossibilita’ di una precedente articolazione della prova, in quanto sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado” (Sez. 3, n. 13888 del 27/01/2017 – dep. 22/03/2017, D e altro, Rv. 26933401).

Nessuna dimostrazione, in positivo, della necessita’ (assoluta) dell’audizione del perito, e’ stata fornita.

In sostanza il ricorrente ha formulato una rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello esplorativa, non ammessa ai sensi dell’articolo 603 c.p.p.: “Nel giudizio di appello, la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio gia’ raccolto nel contraddittorio di primo grado rende inammissibile (sicche’ non sussiste alcun obbligo di risposta da parte del giudice del gravame) la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale che si risolva in una attivita’ “esplorativa” di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esplorativa la richiesta di rinnovazione finalizzata a verificare l’intenzione della vittima, attraverso un nuovo esame, di ritrattare le accuse formulate nei confronti dell’imputato)” (Sez. 3, n. 42711 del 23/06/2016 – dep. 10/10/2016, H, Rv. 26797401).

Inoltre la perizia (e, quindi, l’audizione del perito di parte) non e’ mai prova decisiva, e – come sopra visto – nel ricorso per Cassazione non si rappresenta la decisivita’ della prova, quale accertamento idoneo a scardinare l’intero impianto probatorio: “La perizia non rientra nella categoria della prova decisiva ed il relativo provvedimento di diniego non e’ sanzionabile ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), in quanto costituisce il risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, e’ insindacabile in Cassazione” (Sez. 6, n. 43526 del 03/10/2012 – dep. 09/11/2012, Ritorto e altri, Rv. 25370701; nello stesso senso Sez. 4, n. 7444 del 17/01/2013 – dep. 14/02/2013, Sciarra, Rv. 25515201).

Del tutto irrilevante nell’economia della decisione risulta poi la diversita’ delle spiegazioni dei programmi, utilizzati dal P.M. (e.mule 0.50, che non corrisponde al programma usato dal ricorrente, a.mule 2.2.6.) in quanto non si prospetta, in concreto, una diversita’ sostanziale che abbia potuto incidere a sfavore dell’imputato.

5. I motivi sul trattamento sanzionatorio, circostanze attenuanti generiche e pene accessorie sono estremamente generici, in quanto si limitano a riproporre gli stessi motivi dell’appello senza critiche specifiche di legittimita’ alla decisione.

Del resto, le circostanze attenuanti generiche sono state riconosciute equivalenti all’aggravante, e la pena e’ stata ritenuta congrua: “In tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non e’ necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo e’ desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena” (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016 – dep. 15/09/2016, Rignanese e altro, Rv. 26794901; vedi anche Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015 – dep. 23/11/2015, Scaramozzino, Rv. 26528301 e Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013 – dep. 08/07/2013, Taurasi e altro, Rv. 25646401).

6. Anche il motivo relativo alla violazione di legge, articolo 600 septies c.p., risulta generico e manifestamente infondato. La Corte di appello ha ritenuto mancante l’interesse dell’imputato alla revoca della confisca o all’estrazione dei dati in quanto di proprieta’ di terzi.

Conseguentemente sara’ onere del terzo interessato a far valere i suoi diritti.

Alla dichiarazione di inammissibilita’ consegue il pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex articolo 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati significativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

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