Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 4 maggio 2018, n.10608.
La violazione del dovere del medico di informare preventivamente e chiaramente il paziente può comportare il danno alla salute, oppure il danno al diritto all’autodeterminazione. In particolare, nel caso di omessa informazione circa un intervento, necessario e correttamente eseguito, che non ha causato danno alla salute del paziente, il risarcimento del danno al diritto all’autodeterminazione, in via equitativa, è subordinato alla prova che il paziente abbia subìto le inaspettate conseguenze senza la necessaria consapevolezza; il danno deve superare il limite della normale tollerabilità. La prova del danno potrà essere fondata anche su presunzioni «fondate, in un rapporto di proporzionalità inversa, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione
ORDINANZA 4 maggio 2018, n.10608
Pres. Travaglino – est. Tatangelo
Ritenuto in fatto
S.M.P. ha agito in giudizio nei confronti del medico M.F. e della ASL (omissis) per ottenere il risarcimento dei danni a suo dire subiti in conseguenza di inadeguati trattamenti sanitari che le erano stati praticati, senza previa indagine ed informativa, presso l’Ospedale Civile di (omissis) .
L’attrice, in corso di causa e su autorizzazione del giudice, ha chiamato altresì in giudizio la Regione Campania e la Gestione Liquidatoria della USL n. (omissis), nonché le assicuratrici della responsabilità civile dei convenuti principali, Lloyd Adriatico S.p.A. e Assitalia S.p.A., estendendo loro le domande originariamente proposte.
Le domande sono state in parte rigettate ed in parte dichiarate assorbite dal Tribunale di Torre Annunziata, con compensazione delle spese di lite (ad eccezione di quelle di consulenza, poste a carico dell’attrice).
La Corte di Appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado, rigettando sia l’appello principale della S., sia quello incidentale relativo alle sole spese di lite del M. .
Ricorre la S., sulla base di un unico motivo.
Resistono con controricorso il M., la Regione Campania e la Allianz S.p.A. (già Lloyd Adriatico S.p.A.).
Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.
Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380-bis.1 c.p.c..
Hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. la ricorrente S. ed i controricorrenti M. e Allianz S.p.A..
Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo del ricorso si denunzia ‘falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3’.
Il ricorso è inammissibile.
1.1 Nella rubrica dell’unico motivo di ricorso non sono indicate le norme che si assumerebbero violate, e nell’esposizione successiva non si chiarisce in modo sufficientemente specifico l’oggetto delle censure avanzate.
Vengono poste (in modo prolisso e confusionario, comunque non agevolmente intelligibile) una serie di questioni di cui non viene chiarito (e non è possibile comprendere) l’effettivo rilievo in relazione al fondamento logico e normativo della decisione impugnata (in particolare, questioni attinenti alla natura della responsabilità dedotta ed alla prova della mancanza di un consenso informato), ovvero riguardanti accertamenti di fatto operati dai giudici di merito e adeguatamente motivati, e come tali non censurabili in sede di legittimità (in particolare, ciò è a dirsi in relazione alla corretta esecuzione dell’intervento chirurgico da parte del M. ed all’assoluta esclusione di un nesso di causa tra tale intervento e i danni alla salute lamentati dall’attrice: in proposito, nella sentenza impugnata è chiaramente affermato, sulla base della consulenza tecnica di ufficio espletata, che la sterilità della S. era preesistente e non è affetto stata provocata dall’operazione; su questo punto non si rinviene in verità neanche una specifica censura nel ricorso, per quanto è dato comprendere dalla confusa esposizione in esso contenuta).
1.2 In ogni caso, certamente non è possibile rinvenire una censura sufficientemente specifica (con un chiaro e dettagliato richiamo al contenuto degli atti processuali dai quali evincere se ed in che termini la questione era stata effettivamente posta nel corso del giudizio di merito) con riguardo all’effettiva ratio decidendi della decisione impugnata, in relazione all’unico danno potenzialmente risarcibile nella fattispecie (essendo stati, come già rilevato, esclusi danni alla salute derivanti da una non corretta esecuzione dell’intervento chirurgico, o comunque ad esso riconducibili), e cioè quello relativo alla eventuale lesione del diritto della paziente alla propria autodeterminazione, per mancanza di una adeguata preventiva informazione.
1.3 In proposito questa Corte intende ribadire l’orientamento ormai consolidato (ex multis, cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11950 del 16/05/2013, Rv. 626347 – 01) che ha riconosciuto l’autonoma rilevanza, ai fini di una eventuale responsabilità risarcitoria, della mancata prestazione del consenso da parte del paziente al trattamento medico.
Vanno, in particolare, ribaditi i seguenti principi di diritto (da ultimo, cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7248 del 23 marzo 2018, non massimata):
a) la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, predicabile se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute (ex multis Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2854 del 13/02/2015, Rv. 634415 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 24220 del 27/11/2015, Rv. 638097 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 24074 del 13/10/2017, Rv. 645778 – 02; Sez. 3, Sentenza n. 16503 del 05/07/2017, Rv. 644956 – 01);
b) ciò è a dirsi nell’ottica della legittima pretesa, per il paziente, di conoscere con la necessaria e ragionevole precisione le conseguenze probabili (non anche quelle assolutamente eccezionali ed altamente improbabili) dell’intervento medico, onde prepararsi ad affrontarle con maggiore e migliore consapevolezza, atteso che la nostra Costituzione sancisce il rispetto della persona umana in qualsiasi momento della sua vita e nell’integralità della sua essenza psicofisica, in considerazione del fascio di convinzioni morali, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21748 del 16/10/2007, Rv. 598962 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 23676 del 15/09/2008, Rv. 604907 – 01, in tema di trasfusioni salvavita eseguite al testimone di Geova contro la sua volontà);
c) ad una corretta e compiuta informazione consegue, difatti:
c1) il diritto, per il paziente, di scegliere tra le diverse opzioni di trattamento medico;
c2) la facoltà di acquisire, se del caso, ulteriori pareri di altri sanitari;
c3) la facoltà di scelta di rivolgersi ad altro sanitario e ad altra struttura, che offrano maggiori e migliori garanzie (in termini percentuali) del risultato sperato, eventualmente anche in relazione alle conseguenze post-operatorie;
c4) il diritto di rifiutare l’intervento o la terapia, e/o di decidere consapevolmente di interromperla;
c5) la facoltà di predisporsi ad affrontare consapevolmente le conseguenze dell’intervento, ove queste risultino, sul piano post-operatorio e riabilitativo, particolarmente gravose e foriere di sofferenze prevedibili (per il medico) quanto inaspettate (per il paziente) a causa dell’omessa informazione;
d) possono, pertanto, prospettarsi le seguenti situazioni:
– omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe in ogni caso scelto di sottoporsi nelle medesime condizioni, hic et nunc: in tal caso, il risarcimento sarà limitato al solo danno alla salute subito dal paziente, nella sua duplice componente, morale e relazionale (sul punto, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 901 del 17/01/2018, Rv. 647125 – 02);
– omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento sarà esteso anche al danno da lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente;
– omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento, sarà liquidato con riferimento alla violazione del diritto alla autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute – da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poiché, in presenza di adeguata informazione, l’intervento non sarebbe stato eseguito – andrà valutata in relazione alla situazione differenziale tra quella conseguente all’intervento e quella (comunque patologica) antecedente ad esso;
– omessa informazione in relazione ad un intervento che non ha cagionato danno alla salute del paziente (e che, di conseguenza, sia stato correttamente eseguito): in tal caso, la lesione del diritto all’autodeterminazione costituirà oggetto di danno risarcibile, sul piano puramente equitativo, tutte le volte che, e solo se, il paziente abbia subito le inaspettate conseguenze dell’intervento senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle, trovandosi invece del tutto impreparato di fronte ad esse;
e) condizione di risarcibilità di tale tipo di danno non patrimoniale sarà quella che esso varchi la soglia della gravità dell’offesa secondo i canoni dettati dagli arresti del 2008 di questa Corte (Cass. Sez. U, Sentenze n. 26972 e n. 26975 del 11/11/2008), predicativi del principio per cui il diritto leso, per essere oggetto di tutela risarcitoria, deve essere inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento con il principio di solidarietà secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico;
f) il risarcimento del danno da lesione del diritto di autodeterminazione che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, potrà conseguire alla allegazione del relativo pregiudizio ad opera del paziente, onerato della relativa prova (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2847 del 09/02/2010, Rv. 611427 – 01), che potrà essere fornita anche mediante presunzioni (Sez. 3, Sentenza n. 16503 del 05/07/2017, Rv. 644956 – 01), fondate, in un rapporto di proporzionalità inversa, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione.
1.4 Nella specie, la corte territoriale ha chiaramente affermato che la ricorrente non aveva allegato, ancor prima che provato, che in presenza di adeguata informativa non si sarebbe sottoposta all’operazione, e le censure su questo punto risultano non conferenti sul piano logico, in quanto vengono svolte sull’erroneo presupposto che l’intervento eseguito dal M. abbia provocato la sterilità della paziente, mentre la sterilità preesisteva e l’intervento era, al contrario, diretto a porvi rimedio.
Inoltre, non è chiarito in modo specifico se era mai stato allegato, ed in che termini, un concreto danno da mancato consenso e da lesione del diritto all’autodeterminazione, autonomo rispetto al danno alla salute dedotto come conseguenza della non corretta esecuzione dell’operazione (e in verità, per quanto è dato evincere dalla confusa esposizione contenuta nel ricorso, ciò sembrerebbe doversi addirittura escludere, in quanto la ricorrente sostiene nella sostanza che non si sarebbe sottoposta all’intervento se avesse saputo che esso le avrebbe provocato la sterilità, ma non allega specificamente di avere chiesto il risarcimento del danno derivante dalla lesione del proprio diritto all’autodeterminazione, per essersi sottoposta ad un intervento volto a curare la propria sterilità che non garantiva certezza di successo, e tanto meno richiama gli atti processuali in cui sarebbe contenuta la relativa domanda).
Con riguardo all’eventuale danno derivante dall’avere espresso il proprio consenso all’esecuzione dell’intervento in mancanza di adeguata informazione (danno peraltro risarcibile esclusivamente laddove ricorrano le condizioni sopra dettagliatamente esposte, che vanno specificamente allegate – oltre che provate – dal danneggiato) il ricorso si rivela assolutamente generico: non si chiarisce affatto se il risarcimento di un tale specifico e concreto danno era stato richiesto in sede di merito ed i termini in cui eventualmente sarebbe stata articolata la relativa domanda.
2. Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, co. 17, della citata legge n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte:
– dichiara inammissibile il ricorso;
– condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole in: complessivi Euro 3.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge, per la Regione Campania; complessivi Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge, per M.F. ; complessivi Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge, per Allianz S.p.A..
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui sia dovuto), a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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