Non integra il reato di abuso di ufficio la condotta del direttore generale di un ente che emana una nota diretta a vanificare una riduzione dello stipendio già disposta nei suoi confronti dal commissario straordinario dell’ente medesimo

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza  23 aprile 2018, n. 18077.

Non integra il reato di abuso di ufficio la condotta del direttore generale di un ente che emana una nota diretta a vanificare una riduzione dello stipendio già disposta nei suoi confronti dal commissario straordinario dell’ente medesimo, poiché a tale atto non può essere riconosciuta natura abusiva

SENTENZA  23 aprile 2018, n. 18077

 Pres. Fidelbo – est. Capozzi

Ritenuto in fatto

Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Palermo, a seguito di appello proposto nell’interesse dell’indagato S.U. avverso la ordinanza cautelare emessa il 6.11.2017 emessa dal G.I.P. del Tribunale di Agrigento con la quale è stata applicata al predetto la misura della sospensione da un pubblico ufficio o servizio, ha confermato la decisione con la quale sono stati riconosciuti a carico del predetto gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui all’art. 323 cod. pen. e la misura applicata.

Il ricorrente è accusato di aver, quale direttore generale dell’IACP di Agrigento, in concorso con il funzionario responsabile dell’ufficio del personale dello stesso Ente, abusato del proprio ufficio per molteplice violazione di legge ed emanando il provvedimento in data 14.10.2013 diretto a vanificare una riduzione dello stipendio già disposta nei suoi confronti con provvedimento emesso il 25.9.2013 dal Commissario Straordinario dell’ente e che formava pure oggetto di un nuovo contratto di lavoro (stipulato il 29.11.2013), procurando a sé un ingiusto vantaggio patrimoniale pari alle somme retributive non spettantigli e corrispondenti all’ammontare della retribuzione di posizione illegittimamente percepita e già formalmente decurtata del suo stipendio.

Avverso la ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato deducendo:

3.1. Violazione della legge processuale e penale con riferimento alla omessa valutazione dei motivi di impugnazione in relazione alla ritenuta gravità indiziaria. Il Tribunale ha omesso di considerare le deduzioni difensive in ordine alla natura accompagnatoria e non ordinatoria della nota incriminata ed alla legittimità del superamento dei limiti massimi della posizione di retribuzione senza considerare se dalla violazione della determinazione del Commissario Straordinario – che disponeva la riduzione dello stipendio del ricorrente – ne sia derivato un ingiusto vantaggio piuttosto che il ‘dovuto’.

3.2. Violazione di legge penale e processuale in ordine alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria a carico del ricorrente. L’assunto secondo il quale il ricorrente avrebbe concretato un esercizio arbitrario delle proprie ragioni attraverso la nota da lui emanata non è sufficiente ai fini della integrazione del reato ipotizzato, essendosi dovuto verificare anche la gravità indiziaria in ordine alla ingiustizia del vantaggio patrimoniale costituito dall’assegno ad personam.

3.3. Violazione di legge penale e processuale e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato, pur avendo dato atto dei dubbi interpretativi in ordine al quadro normativo di riferimento e, pertanto, non avendo dato contezza della intenzionalità da parte del ricorrente – attraverso la formulazione della nota a sua firma – del perseguimento di un ingiusto profitto. La considerazione della previsione da parte del contratto individuale di lavoro della corresponsione dell’assegno ad personam doveva far ritenere la nota del Direttore Generale rispondente al quadro giuridico e, pertanto, far escludere l’elemento soggettivo del reato.

3.4. Violazione della legge processuale penale in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari con riferimento alla intervenuta sospensione della corresponsione dell’assegno ad personam, incomprensibilmente ritenuta ininfluente dai Tribunale rispetto ai tempi procedimentali che avevano fatto conoscere al ricorrente la esistenza del procedimento a suo carico.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato sull’assorbente motivo della insussistenza dell’elemento oggettivo del reato.

Il Tribunale, avallando la ipotesi di accusa, ha fatto leva sulla nota n. 10079/13 del 14.10.2013 sottoscritta dal ricorrente ed indirizzata al M. , responsabile dell’ufficio del personale, assumendo la sua natura dispositiva e la abusività funzionale sotto i due profili: quello della consapevole violazione della disposizione del Direttore generale che aveva disposto la riduzione dello stipendio ‘adottando una determinazione ad esso contraria che, di fatto, ne ha vanificato tutti gli effetti di risparmio della spesa pubblica’ e quello della mancata astensione dalla sua funzione di p.u. in presenza di un interesse proprio. Così – prosegue il Tribunale – pur potendosi rivolgere alla autorità giudiziaria per tutelare il proprio interesse alla retribuzione ha realizzato una sorta di ‘esercizio arbitrario delle proprie ragioni’ attraverso le funzioni rivestite. Inoltre – oltre alla generica osservazione sulle diverse opzioni interpretative del quadro normativo di riferimento ha ritenuto le questioni giuridiche sollevate dalla difesa una intempestiva ed irrituale giustificazione, fondando la conferma della gravità indiziaria sotto il profilo oggettivo e soggettivo (v. pg. 5 del provvedimento impugnato) sul dovere – violato – del ricorrente di dare attuazione alla disposizione della riduzione dello stipendio, sul suo obbligo – parimenti violato – di astenersi da qualsiasi disposizione contraria nonché sull’obbligo non rispettato di dare concreta esecuzione del nuovo contratto individuale di lavoro e l’onere di adire, eventualmente l’A.G. per dimostrare la legittimità del precedente importo stipendiale.

Ritiene questo Collegio che è errato l’assunto dei Giudici di merito secondo il quale la nota emessa dal S. in data 14.10.2013 costituisca atto abusivo e, pertanto, integrante la condotta criminosa provvisoriamente ascritta al ricorrente.

A fronte della specifica deduzione difensiva in sede di appello (v. pg. 4 dell’appello) circa la natura accompagnatoria e non ordinatoria della nota in questione, il Tribunale ha dato per scontata la natura provvedimentale dell’atto con il quale il S. ha trasmesso il provvedimento commissariale di riduzione del suo stipendio indicando contestualmente che risultava applicabile nella fattispecie ‘l’art. 30 del CCNL 98/2001 che prevede il mantenimento ‘ad personam’ della differenza di retribuzione’. E, ovviamente, il tema dell’abusività della nota in questione non può ritenersi assorbito dalle considerazioni svolte dagli stessi Giudici di merito circa il mantenimento del livello stipendiale – nonostante il provvedimento commissariale e la stipula del nuovo contratto – ascrivibile ai pedissequi provvedimenti del M. , essendo ipotizzata l’autonoma, anche se concorrente, condotta abusiva del S. .

Ebbene, è da risalente orientamento affermato che l’abusività criminosa consiste in un atto o fatto di potere del pubblico ufficiale che si ponga in contrasto con le norme che regolano l’attività amministrativa al fine di assicurarne la conformità all’interesse pubblico (Sez. 5, n. 8043 del 02/05/1983, Amitrano, Rv. 160498), dovendo sussistere, ai fini della abusività criminosa, una necessaria correlazione tra l’atto e le funzioni del pubblico ufficiale.

Detto orientamento è stato ribadito da Sez. 6 n. 42836 del 02/10/2013, Sgroi, rv 256687 secondo la quale ‘se è vero che la nozione di ‘atto di ufficio’ comprende una vasta gamma di comportamenti umani, effettivamente o potenzialmente riconducibili all’incarico del pubblico ufficiale, e quindi non solo il compimento di atti di amministrazione attiva, la formulazione di richieste o di proposte, l’emissione di pareri, ma anche la tenuta di una condotta meramente materiale o il compimento di atti di diritto privato (Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, Moschetti ed altri, Rv. 234991), purtuttavia indefettibile correlazione deve esservi tra lo svolgimento delle funzioni o del servizio e l’atto abusivo affinché questo formi un ‘quid’ giuridicamente rilevante nella sua riferibilità alla pubblica amministrazione, capace di produrre conseguenze giuridiche. (Sez. 6, n. 10896 del 02/04/1992, Bronte ed altri, Rv. 192874). Costituisce, invero, jus receptum che l’abuso richiesto per la integrazione della fattispecie criminosa in esame deve intendersi come esercizio del potere per scopi diversi da quelli imposti dalla natura della funzione; sicché, mancando l’elemento dell’esercizio del potere è da escludere la configurabilità del reato (Sez. 6, n. 5118 del 25/02/1998, Percoco, Rv. 211709; Sez. 2, n. 7600 del 09/02/2006, Scalerà ed altro, Rv. 233234; Sez. 6, n. 6489 del 04/11/2008, Andreotti, Rv. 243051; Sez. 6, n. 5895 del 09/01/2013, Verdini e altro, Rv. 254892)’.

Ancora, è stato ritenuto che non sussiste il delitto di abuso di ufficio quando la condotta del pubblico ufficiale sia stata posta in essere al di fuori dello svolgimento delle funzioni o del servizio, anche se in contrasto di interessi con l’attività di istituto (Sez. 6, n. 1269 del 05/12/2012, Marrone e altri, Rv. 254228).

Infine, ancorché nella presente vicenda si tratti di una autonoma e concorrente condotta criminosa, è stato affermato – in linea con quanto appena detto – che non è configurabile nella mera ‘raccomandazione’ o nella ‘segnalazione’ una forma di concorso morale nel reato di abuso di ufficio, in assenza di ulteriori comportamenti positivi o coattivi che abbiano efficacia determinante sulla condotta del soggetto qualificato, atteso che la ‘raccomandazione’, come fatto a sé stante, non ha un’efficacia causativa sul comportamento del soggetto attivo, il quale è libero di aderire o meno alla segnalazione secondo il suo personale apprezzamento (Sez. 6, n. 35661 del 13/04/2005, Berardini ed altri, Rv. 232073).

Ritiene il Collegio che, nel caso di specie, la correlazione dell’atto incriminato con le funzioni ricoperte dal ricorrente non solo non è stata in alcun modo giustificata, ma risulta vieppiù insussistente non potendo essa essere riconosciuta solo per la provenienza soggettiva dell’atto.

Cosicché non può essere riconosciuta natura abusiva – perché non espressione dell’esercizio del potere – alla nota del S. che alcuna disposizione ha impartito al suo destinatario, in quanto – nel trasmettere la nota commissariale di riduzione dello stipendio che lo riguardava – si è limitato a prospettare la ricorrenza di una condizione a suo favore senza con ciò esprimere una attività di ufficio, né – tantomeno – determinare alcun vincolo in capo al destinatario in ordine all’esercizio dei poteri a questi spettantigli.

Erronea, quindi, è sotto l’aspetto esaminato la ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato ipotizzato a carico del ricorrente e l’accoglimento del motivo di ricorso nei termini appena detti assorbe ogni altra questione dedotta.

Ne consegue l’annullamento senza rinvio della ordinanza impugnata e di quella genetica emessa dal GIP del Tribunale di Agrigento.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché il provvedimento emesso in data 6 novembre 2017 dal G.i.p. del Tribunale di Agrigento.

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