Corte di Cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 16 marzo 2018, n. 6568. È rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all’art. 117, comma 1, Cost. ed ai parametri interposti degli artt. 6, par. 1, e 45, par. 1, della CEDU, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2 quinquies, lett. e), della l. n. 89 del 2001

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Ritenuto, tuttavia, di dovere sollevare, siccome rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimita’ costituzionale della L. n. 89 del 2001, articolo 2, comma 2-quinquies, lettera e), come introdotto dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 55 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012;

che, quanto alla rilevanza della questione, trattandosi di giudizio di equa riparazione instaurato con ricorso depositato in data 28.4.2015, relativamente ad un processo penale che come esposto – non aveva ancora superato il termine di durata ragionevole al momento di entrata in vigore della norma in esame, quest’ultima troverebbe piena applicazione, con conseguente improponibilita’ della domanda per mancato deposito dell’istanza di accelerazione;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, devono essere in massima parte condivise – ed estese alla vicenda in esame – le riflessioni che hanno di recente portato questa Corte a sollevare analoga questione di legittimita’ costituzionale delle previsioni in tema di istanza di prelievo (cfr., ex multis, Cass., Sez. 2, 28.11.2017, n. 28403) nella parte in cui la sua mancata presentazione condiziona l’accoglimento della domanda di equa riparazione;

che, infatti, la Corte EDU, con la sentenza nel caso Daddi c. Italia (n. 15476/09 del 2 giugno 2009), pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva pero’ preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del Decreto Legge n. 112 del 2008, articolo 54, comma 2, in tema di istanza di prelievo, che avesse avuto per effetto quello di opporsi all’ammissibilita’ dei ricorsi ex lege Pinto relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008, solo in quanto non fosse stata presentata un’istanza di prelievo, avrebbe potuto essere di natura tale da esonerare i ricorrenti interessati dall’obbligo di esperire il rimedio interno; e che lo stesso sarebbe valso per quanto riguardava i procedimenti ancora pendenti in cui la fissazione d’urgenza dell’udienza fosse stata richiesta solo dopo l’entrata in vigore della disposizione in questione. In questi casi, aveva concluso la Corte di Strasburgo, non si sarebbe potuto escludere che la norma, interpretata dai giudici nazionali nel senso di escludere dalla determinazione della durata soggetta a indennizzo i periodi anteriori al 25 giugno 2008, avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilita’ di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente;

che, piu’ recentemente, con la sentenza emessa nel caso Olivieri c/ Italia del 22.2.2016 (ricorsi nn. 17708/12, 17717/12, 17729/12 e 22994), in una fattispecie relativa a giudizi amministrativi iniziati nel 1990, e per i quali era stata presentata la nuova istanza di fissazione dell’udienza ai sensi della L. n. 205 del 2000, articolo 9, comma 2, ma non anche l’istanza di prelievo, il che aveva determinato l’inammissibilita’ del ricorso per equa riparazione, la Corte EDU ha affrontato in maniera diretta il problema dell’effettivita’ dell’istanza nazionale ex L. n. 89 del 2001 soggetta alla condizione di proponibilita’ del Decreto Legge n. 112 del 2008, articolo 54, comma 2. In particolare, esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al suo ultimo testo scaturito dalle modifiche apportate dal Decreto Legislativo n. 104 del 2010, la Corte ha convertito in critica espressa e consapevole la riserva formulata con la sentenza resa nel caso Daddi, chiarendo che: a) ne’ dal contenuto della norma, ne’ dalla relativa prassi giudiziaria si evince che l’istanza di prelievo possa efficacemente accelerare la decisione in merito alla causa sottoposta all’esame del tribunale; b) la condizione di ammissibilita’ di un ricorso “Pinto” previsto dalla L. n. 112 del 2008, articolo 54, comma 2 risulta essere una condizione formale che produce l’effetto di ostacolare l’accesso alla procedura interna; c) l’inammissibilita’ automatica dei ricorsi per equa riparazione, basata unicamente sul fatto che i ricorrenti non abbiano presentato l’istanza di prelievo, priva questi ultimi della possibilita’ di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente.

che nella medesima circostanza, richiamata la propria giurisprudenza sul principio di effettivita’ della tutela giurisdizionale, nel senso che e’ effettivo il rimedio interno se permette di evitare che si verifichi o si protragga la violazione dedotta o se permette di fornire all’interessato una riparazione adeguata per tutte le violazioni che si siano gia’ verificate, la Corte Europea ha concluso nel senso che “la procedura per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dalla lettura del Decreto Legge n. 112 del 2008, articolo 54, comma 2 in combinato disposto con la Legge Pinto, non possa essere considerata un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione”;

che, ancorche’ riferite alla disciplina dell’istanza di prelievo, reputa il Collegio che le considerazioni espresse in ordine alla necessita’ che il rimedio interno possa essere ritenuto “effettivo” solo se permette di evitare che si verifichi o si protragga la violazione dedotta o se permette di fornire all’interessato una riparazione adeguata per tutte le violazioni che si siano gia’ verificate, si debbano estendere anche all’istanza di accelerazione de qua vertitur. Ed infatti, l’indirizzo espresso dalla citata sentenza Olivieri c/ Italia, in punto di valutazione dell’effettivita’ del rimedio interno, pur non avendo ricevuto l’avallo della Grand Chambre, puo’ ritenersi ormai adeguatamente consolidato, in quanto costituisce il logico e preannunciato sviluppo del principio gia’ espresso nella sentenza sul caso Daddi; e’ stato adottato all’unanimita’; non presenta alcuna attitudine innovativa rispetto alla tecnica dell’interpretazione convenzionale fin qui seguita. Inoltre, pur concernendo, come detto, una fattispecie diversa da quella in esame, si connota per la generalita’ delle affermazioni rese, come idoneo ad orientare l’interpretazione delle diverse norme in tema di rimedi interni, collocandosi coerente, nel solco della giurisprudenza di detta Corte Europea sul principio di effettivita’;

Rilevato che, con specifico riferimento all’istanza di accelerazione del processo penale di cui alla L. n. 89 del 2001, articolo 2, comma 2 quinquies, lettera e) risulta evidente che la previsione di un siffatto strumento sollecitatorio non sospende ne’ differisce il dovere dello Stato di dare corso al procedimento e, dopo l’esercizio dell’azione penale, al processo, in caso di omesso esercizio dello stesso, ne’ implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilita’ per il superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell’apprezzamento della entita’ del lamentato pregiudizio (cosi’, e per tutte, Cass., Sez. U., 23.12.2005, n. 28507, Rv. 586702-01);

che risulta quindi evidente, in assenza di previsioni da parte del legislatore di strumenti, anche di tipo ordinamentale, che correlino alla proposizione dell’istanza di accelerazione de qua, una differente considerazione della vicenda processuale, al fine di assicurare una tendenziale sollecita definizione, che la previsione normativa in esame si risolva nell’imporre al ricorrente di prenotare gli effetti della riparazione per l’irragionevole durata del processo e peraltro in un momento in cui (dovendo essere presentata nei trenta giorni successivi al superamento del termine di durata ragionevole) il ritardo non ha ancora assunto un’entita’ tale da legittimare la richiesta indennitaria (tenuto conto di quanto disposto dalla stessa L. n. 89, articolo 2-bis, comma 1, che prevede che il ritardo per essere indennizzato debba eccedere una frazione dell’anno superiore a sei mesi).

che, se per la giurisprudenza della Corte EDU il rimedio interno deve garantire o la durata ragionevole del giudizio o l’adeguata riparazione della violazione del precetto convenzionale, sicche’ ogni ostacolo che vi si frapponga rende non effettivo il rimedio stesso, essendo quindi necessario che sia efficacemente sollecitatorio, l’istanza di accelerazione non garantisce alcun effetto siffatto, ma risulta puramente dichiarativa di un interesse altrimenti gia’ presente nel processo ed avente copertura costituzionale.

che, in assenza della possibilita’ di un’interpretazione convenzionalmente orientata di tale norma che non si traduca nella sua sostanziale e intera disapplicazione, essendo contraddittoria la stessa configurazione dell’istanza di accelerazione quale condizione d’accesso all’istanza indennitaria, anche in relazione all’indennizzo dell’ulteriore ritardo nella definizione del processo, successivo all’entrata in vigore della norma, cosi’ come configurata dal legislatore, ne discende la non manifesta infondatezza della questione di legittimita’ costituzionalita’ della L. n. 89 del 2001, articolo 2, comma 2-quinquies, lettera e), come introdotto dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 55, comma 1, lettera a), n. 2 convertito modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, per contrasto con l’articolo 117 Cost., comma 1, in relazione all’articolo 6, par. 1, articolo 13 e articolo 46, par. 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, nella parte in cui, relativamente ai giudizi penali in cui il termine di durata ragionevole di cui alla L. n. 89 del 2001, articolo 2 bis sia stato superato in epoca successiva alla sua entrata in vigore, e per la loro intera durata, subordina la proponibilita’ della domanda di equa riparazione per l’irragionevole durata dei processi penali alla presentazione dell’istanza di accelerazione.

P.Q.M.

La Corte, visti l’articolo 134 Cost. e la L. n. 87 del 1953, articolo 23 dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all’articolo 117 Cost., comma 1, e ai parametri interposti dell’articolo 6, par. 1, articolo 13 e articolo 46, par. 1 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848, la questione di legittimita’ costituzionale della L. n. 89 del 2001, articolo 2, comma 2-quinquies, lettera e), come introdotto dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 55, comma 1, lettera a), n. 2 convertito modificazioni dalla L. n. 134 del 2012; dispone la sospensione del presente giudizio e ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione, al pubblico ministero presso questa Corte e al Presidente del Consiglio dei ministri; ordina, altresi’, che l’ordinanza venga comunicata dal cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; dispone l’immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.

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