Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 15 novembre 2017, n. 52151. Ai fini del computo dei termini di durata della custodia cautelare

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2. Il (OMISSIS) era stato coinvolto in una indagine riguardante l’omicidio del servo pastore (OMISSIS), per la quale era stato tratto a giudizio il figlio (OMISSIS), e, nell’ambito del procedimento, era stato accusato di aver nascosto la pistola Beretta di cui al capo di imputazione, ritrovata qualche mese dopo l’omicidio in localita’ vicina all’ovile che questi gestiva insieme al figlio.
3. Con l’ordinanza impugnata la Corte territoriale riteneva che, stante la intervenuta condanna del (OMISSIS) per il reato di detenzione e porto illegale del fucile, l’accertamento da compiere era se la misura cautelare poteva ritenersi inflitta in difetto delle condizioni di cui all’articolo 280 c.p.p., senza che potesse certamente compiersi, stante appunto la definitivita’ della condanna, una rivalutazione del materiale indiziario ai fini di verificare l’assenza dei presupposti di cui all’articolo 273 c.p.p.. Tanto premesso, la Corte territoriale rilevava che, essendo stato rispettato il limite di pena previsto dall’articolo 280 cod. pen., non ricorreva alcuna ipotesi di ingiustizia formale, considerato inoltre che la pena inflitta con la condanna definitiva era superiore al periodo di carcerazione sofferto.
4. Avverso l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso il difensore del (OMISSIS) per violazione dell’articolo 314 c.p.p., comma 2, e mancanza, contraddittorieta’ e illogicita’ della motivazione. In particolare, rilevava che il giudice della riparazione avrebbe dovuto verificare se al momento applicativo della misura sussistessero i gravi indizi di colpevolezza per il solo reato di cui al capo F) e cioe’ la detenzione e porto illegale del fucile. Sul punto, l’attento esame degli atti avrebbe consentito di verificare che le uniche fonti indiziarie, ossia le dichiarazioni del teste (OMISSIS), erano avvalorate soltanto dalle circostanze riferite anche riguardo ai capi D) ed E), dai quali il ricorrente era stato assolto. Inoltre, erroneamente la Corte non aveva valutato che era stata applicata l’attenuante ad effetto speciale del fatto di lieve entita’ di cui alla L. n. 895 del 1967, articolo 5 la quale, determinando la riduzione della pena edittale massima, non avrebbe permesso l’applicazione della misura custodiale.
5. Il procuratore generale Dott. Tampieri Luca nella sua requisitoria, ha chiesto il rigetto del ricorso. Il Ministero delle Finanze, con memoria scritta, ha parimenti insistito per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato e si impone il rigetto.
2. Il (OMISSIS) ha riportato condanna definitiva per il reato di cui all’articolo 81 cpv. c.p., L. n. 497 del 1974, articoli 10, 12 e 14, per avere, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, detenuto e portato in luogo pubblico un fucile da caccia non identificato. Non vi e’ dunque materia per l’esame di condotte di dolo o colpa grave generanti l’applicazione della misura, ne’ spazio alcuno per la rivalutazione degli indizi esaminati ai fini della emissione della misura cautelare. Unica indagine da compiere e’ se, in ordine alla tipologia di reato per cui e’ stata riportata condanna, poteva essere adottato e mantenuto un provvedimento di custodia cautelare in carcere ai sensi degli articoli 273 e 280 c.p.p. (cd ingiustizia formale) e, in caso affermativo, se la custodia sofferta sia superiore alla misura della condanna inflitta (ipotesi di ingiustizia riparabile introdotta per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 219/2008).
3. Orbene, neppure il ricorrente pone in discussione che per il reato contestato sia applicabile, in via cautelare, la misura detentiva; sotto il profilo della continenza, e’ pacifico che la condanna inflitta e passata in giudicato e’ superiore alla carcerazione complessivamente sofferta. Ne’ rileva, sotto tale profilo, il riconoscimento, nel giudizio di merito, della attenuante ad effetto speciale del fatto di lieve entita’ (L. n. 895 del 1967, articolo 5), non inserita nella originaria contestazione cautelare. Sul punto, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei consolidati principi secondo cui ai fini del computo dei termini di durata della custodia cautelare, nella determinazione della pena prevista per il reato per cui si procede si tiene conto anche delle circostanze attenuanti ad effetto speciale, solo se figurino “ab initio” nel fatto contestato dal P.M., ovvero se vengano riconosciute sussistenti dal giudice per le indagini preliminari, in sede di applicazione della misura coercitiva, o dal tribunale della liberta’, in sede di riesame o di appello, nell’ambito del rispettivo potere di qualificazione giuridica del fatto stesso (Sez. 4, n. 41269 del 09/02/2001, Rv. 220879; Sez. 6, n. 32636 del 19/09/2006, Rv. 235137; Sez. 6, n. 7199 del 08/02/2013, Rv. 25450).
4. Il ragionamento della Corte territoriale e’ dunque pienamente conforme ai parametri giurisprudenziali sopra evidenziati e risulta immune da censure. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ alla refusione delle spese nei confronti del Ministero resistente, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ al rimborso delle spese sostenute dal Ministero resistente, che liquida in Euro 1.000,00.

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