Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 13 aprile 2018, n. 16535.
Lo stato di salute incompatibile col regime carcerario, idoneo a giustificare il differimento dell’esecuzione della pena per infermita’ fisica o l’applicazione della detenzione domiciliare non e’ limitato alla patologia implicante un pericolo per la vita della persona detentiva, dovendosi piuttosto avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare un’esistenza al di sotto della soglia di dignita’ che deve essere rispettata pure nella condizione di restrizione carceraria. Anche la mancanza di cure mediche appropriate e, piu’ in generale, la detenzione in condizioni inadeguate in rapporto alla gravita’ di una malattia che potrebbe avere altrove assistenza idonea puo’, pertanto, in linea di principio, costituire un trattamento contrario al senso di umanita’
Sentenza 13 aprile 2018, n. 16535
Data udienza 21 dicembre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BONITO Francesco M. – Presidente
Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere
Dott. ESPOSITO Aldo – rel. Consigliere
Dott. CENTOFANTI Francesco – Consigliere
Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 1604/2016 del Tribunale di sorveglianza di Bari del 20/09/2016;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ESPOSITO Aldo;
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona della Dott.ssa MARINELLI Felicetta, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 20/09/2016 il Tribunale di sorveglianza di Bari ha rigettato l’istanza di concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare ex articolo 47 ter Ord. Pen., comma 1, lettera c), proposta da (OMISSIS), detenuto in espiazione della pena di anni sei e mesi sei di reclusione inflitta con sentenza della Corte di appello di Bari del 02/07/2013 per i reati di rapina aggravata, lesioni personali ed estorsione, commessi nel (OMISSIS) (fine pena 19/06/2019).
Il Tribunale ha rilevato che il (OMISSIS) risulta affetto da calcolosi, cardiopatia ipertensiva, broncopneumopatia cronica ostruttiva, ipertrofia prostatica e diabete mellito, patologie per le quali poteva essere curato in un C.D.T. dell’amministrazione penitenziaria o in luoghi esterni di cura ai sensi dell’articolo 11 Ord. Pen..
Ha poi evidenziato la pericolosita’ del soggetto, gravato da plurimi precedenti penali e da quattro procedimenti pendenti (anche con condanne in primo grado), la sua non affidabilita’ alla luce della pregressa fruizione del beneficio dell’affidamento in prova, poi revocato nel 1996 ai sensi dell’articolo 51 ter Ord. Pen., la sua sottoposizione due volte alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno e il recente arresto per furto (fatto del (OMISSIS)).
2. Il (OMISSIS) propone personalmente ricorso per Cassazione avverso la suindicata ordinanza, per violazione di legge e vizio di motivazione, evidenziando di avere una serie di patologie curabili esclusivamente in ospedale, per le quali necessita di assistenza dei propri familiari.
Segnala, peraltro, di rifiutare le cure del C.D.T. e di poter essere meglio seguito dai sanitari gia’ a conoscenza della sua situazione clinica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
2. Lo stato di salute incompatibile col regime carcerario, idoneo a giustificare il differimento dell’esecuzione della pena per infermita’ fisica o l’applicazione della detenzione domiciliare non e’ limitato alla patologia implicante un pericolo per la vita della persona detentiva, dovendosi piuttosto avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare un’esistenza al di sotto della soglia di dignita’ che deve essere rispettata pure nella condizione di restrizione carceraria. Anche la mancanza di cure mediche appropriate e, piu’ in generale, la detenzione in condizioni inadeguate in rapporto alla gravita’ di una malattia che potrebbe avere altrove assistenza idonea puo’, pertanto, in linea di principio, costituire un trattamento contrario al senso di umanita’ (Sez. 1, n. 22373 dell’08/05/2009, Aquino, Rv. 244132; Sez. 1, n. 27313 del 24/06/2008, Commisso, Rv. 240877).
La valutazione sulla compatibilita’ tra il regime detentivo carcerario e le condizioni di salute del detenuto ovvero sulla possibilita’ che il mantenimento dello stato di detenzione costituisca un trattamento inumano o degradante va effettuata tenendo conto, comparativamente, delle complessive condizioni di salute della persona e delle cure praticabili in ambiente carcerario o presso i presidi sanitari territoriali (articolo 47 ter Ord. Pen., comma 1, lettera c, L. n. 354 del 1975, articolo 11 e successive modifiche) ed implica un giudizio non solo di astratta idoneita’ dei suddetti presidi posti a disposizione del detenuto, ma anche di concreta adeguatezza delle cure erogabili presso gli stessi. Il giudice di merito e’ investito del potere-dovere di valutare nella sua complessita’ il caso concreto sottoposto al suo esame e di stabilire se ricorrano le condizioni stabilite dalla legge per la concessione della detenzione domiciliare per gravi motivi di salute, tenuto conto delle molteplici finalita’ della pena.
3. Nel caso di specie, il provvedimento impugnato ha fatto corretta applicazione dei principi sinora illustrati, in quanto, con motivazione immune da vizi logici e giuridici e dopo il compiuto esame della documentazione medica acquisita e degli esami specialistici sin qui effettuati, e’ pervenuto ad un giudizio di compatibilita’ dello stato di restrizione in carcere con le patologie ed ha evidenziato l’attuale non gravita’ delle stesse, la praticabilita’ di cure presso un istituto di pena annesso al CDT o mediante il ricovero in luogo esterno di cura e non ha segnalato l’esigenza di interventi specialistici.
Il ricorrente non si confronta con tale decisione, non chiarendo le ragioni per le quali le patologie risulterebbero di maggiore rilievo e le cure sarebbero praticabili esclusivamente in ambito extrapenitenziario; non indica, inoltre, le cure asserita-mente omesse dai sanitari e le presunte conseguenze dannose derivanti dalla protrazione del regime custodiale.
4. Per le ragioni che precedono, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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