In generale, le convenzioni possono essere stipulate in ogni tempo, sia prima che dopo la celebrazione del matrimonio, e tuttavia non possono essere opposte a terzi, se non vi è annotazione, a margine dell’atto di matrimonio, della data, del notaio rogante, della generalità dei contraenti ovvero della scelta del regime (di separazione dei beni). Solo con l’annotazione il regime prescelto e dunque le convenzioni stipulate (anche atipiche) sono opponibili ai terzi, i quali vengono dunque a conoscenza delle convenzioni e del regime relativo attraverso l’annotazione dell’atto di matrimonio contenuto nei registri pubblici dello stato civile.
Ma non si potrebbe certo parlare di invalidità delle convenzioni o della scelta del regime nei rapporti interni tra i coniugi, ove l’atto di matrimonio, come nella specie, sia stato regolarmente trascritto, ma privo dell’annotazione del regime. Ciò varrà per le convenzioni matrimoniali, nonché per la scelta del regime (di separazione), effettuata davanti all’ufficiale dello stato civile (per il matrimonio civile) e con l’equiparazione della dichiarazione davanti al sacerdote, già affermata dalla giurisprudenza di merito e poi confermata da una prassi assai consolidata ma pure da un riscontro normativo chiaro ed esplicito già indicato (art. 8 L. n. 121 del 1985). Non sussiste ragione alcuna per escludere, nei rapporti interni tra le parti, la validità di una scelta comune, espressione della loro libera volontà.
È da ritenere dunque che la scelta di regime di separazione, espressa in forma scritta, alla presenza di due testimoni, davanti al ministro del culto cattolico officiante, ancorché non annotata nell’atto di matrimonio trascritto nei registri dello stato civile, nei rapporti interni tra i coniugi mantenga la sua validità.
Suprema Corte di Cassazione,
Sezione prima civile
Sentenza 29 maggio – 27 settembre 2017, n. 22594
Presidente Di Palma – Relatore Dogliotti
Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato, R.F. conveniva in giudizio D.M.M. , ex coniuge, perché si dichiarasse che era simulato un atto pubblico di compravendita, nella parte in cui si indicava, quale acquirente di immobile (rogito notaio C. , (omissis)), la D.M.; che il prezzo di acquisto era stato pagato da esso R. con i proventi della propria attività imprenditoriale; che l’immobile era di sua proprietà esclusiva; in via subordinata, chiedeva che questo fosse dichiarato di proprietà di entrambi i coniugi, in quanto parte della comunione de residuo al momento della separazione personale tra essi. Affermava l’attore che la D.M. aveva precisato al notaio rogante di trovarsi in regime di comunione legale.
Costituitosi il contradditorio, la D.M. eccepiva che l’acquisto dell’immobile era stato effettuato in regime di separazione dei beni e con proprie disponibilità economiche (in particolare la provvista era stata a lei trasmessa dalla madre,a seguito della vendita di un suo appartamento); evidenziava altresì che i coniugi in data 14/01/2002 (dopo la loro separazione personale) avevano sottoscritto una dichiarazione d’impegno, con la quale chiarivano di trovarsi in regime di separazione dei beni e di non avere in proprietà comune alcun immobile.
Il Tribunale di Teramo-sezione distaccata di Atri, con sentenza in data 15/05/2008,rigettava la domanda del R. , ritenendo comprovato che l’acquisto dell’immobile era stato effettuato con denaro della D.M. e in regime di separazione dei beni tra i coniugi.
Proponeva appello il R. . Costituitosi il contraddittorio, l’appellata ne chiedeva il rigetto.
La Corte d’Appello de l’Aquila, con sentenza in data 09/04/2015, accoglieva l’appello ed affermava che l’immobile era stato acquistato in regime di comunione legale dei beni, precisando che i coniugi avevano bensì dichiarato in forma scritta davanti al ministro del culto cattolico che aveva celebrato il matrimonio concordatario, la loro scelta del regime di separazione dei beni, ma la relativa annotazione non compariva nella copia dell’atto di matrimonio inviato all’ufficiale dello stato civile per la trascrizione.
Ricorre per cassazione l’appellata.
Resiste con controricorso l’appellante.
Motivi della decisione
Va preliminarmente osservato che il ricorso appare ammissibile: sono chiaramente indicati le violazioni di legge e i vizi di motivazione (e non rileva che nel medesimo motivo, ci si riferisca ad entrambi i profili); le violazioni di legge sono trattate adeguatamente.
Con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione degli art. 162 e 163 c.c. e dell’art. 8 L. n. 121 del 1985; insufficiente e contraddittoria motivazione, precisando che al matrimonio concordatario sono riconosciuti effetti civili al momento della celebrazione, nonostante trascrizione tardiva, e che tale principio opera anche con riferimento all’eventuale dichiarazione di scelta del regime di separazione dei beni, per cui l’istanza del R. in data 21/11/2001 di effettuare l’annotazione di scelta del regime di separazione dei beni a margine dell’atto di matrimonio, ha attribuito alla dichiarazione stessa efficacia retroattiva fino alla celebrazione del matrimonio stesso. Nessuna rilevanza si doveva attribuire alla dichiarazione della D.M. di trovarsi in regime di comunione dei beni, davanti al notaio rogante.
Con il secondo, violazione dell’art. 112 c.p.c., ravvisando una non corrispondenza tra richiesto e pronunciato, essendosi limitato l’odierno resistente, nel giudizio d’appello, a chiedere l’accoglimento della sua domanda di simulazione, e in subordine di dichiarazione della sussistenza del regime di comunione de residuo tra i coniugi.
Con il terzo, violazione dell’art. 2909 c.c., nonché omessa motivazione, eccependo l’esistenza di un giudicato interno, in quanto l’appellante non avrebbe impugnato l’affermazione del primo giudice circa la sussistenza del regime di separazione dei beni.
Pacifici i fatti di causa.
I coniugi celebrarono il matrimonio secondo il rito concordatario in data 20/07/1985 e dichiararono al ministro del culto cattolico officiante, alla presenza di due testimoni, la loro volontà di scegliere il regime di separazione dei beni. L’atto di matrimonio fu trasmesso all’ufficiale dello stato civile italiano e regolarmente trascritto, privo peraltro dell’annotazione relativa al regime. Questa fu apposta su richiesta del R. soltanto il 15/10/2001, dopo la separazione dei coniugi. In data 16/12/1993 era stato rogato atto di compravendita di terreno, ove era indicata come acquirente la D.M. che dichiarava di trovarsi in regime di comunione dei beni con il marito.
Afferma la ricorrente, richiamando l’art. 8 L. n. 121 del 1985 a seguito della revisione del concordato tra Stato italiano e Chiesa cattolica, con gli accordi di Villa Madama del 1984, che al matrimonio con il rito concordatario vengono riconosciuti effetti civili dal momento della celebrazione, anche se l’ufficiale dello stato civile abbia effettuato la trascrizione oltre il termine prescritto. L’argomentazione non ha pregio, in quanto non si controverte sulla trascrizione del matrimonio, regolarmente effettuata/ ma sulla mancata annotazione della scelta di regime,a margine dell’atto trascritto.
L’art. 162 c.c. precisa che le convenzioni matrimoniali (necessariamente attinenti al regime patrimoniale del coniugi) sono stipulate con atto pubblico sotto pena di nullità. E si tratterà, almeno di regola, di atto pubblico notarile (anche se l’art. 1382 c.c. 1865 esplicitamente parlava di “contratti matrimoniali” – peraltro non del tutto coincidenti con le “convenzioni” – da stipularsi con atto pubblico davanti al notaio). Esse non potrebbero dunque stipularsi davanti all’ufficiale dello stato civile. Eccezioni al principio sono contenuti nel’art. 228, L. n. 151 del 1975 (riforma del diritto di famiglia) per cui ciascun coniuge poteva escludere l’applicazione del nuovo regime legale di comunione dei beni, con dichiarazione entro il 20/09/1975 (termine poi variamente prorogato) davanti al notaio o all’ufficiale dello stato civile; nonché nell’art. 167 c.c., per cui il fondo patrimoniale può essere costituito da un terzo, anche per testamento (pur essendo necessario l’accettazione dei coniugi con atto pubblico). Eccezioni per,-altro più apparenti che reali, perché si tratta di atti unilaterali che incidono sul regime patrimoniale dei coniugi.
Ma la regola dell’atto pubblico notarile soffre un’altra eccezione contenuta nel secondo comma dell’art. 162 c.c., per cui la scelta del regime può essere dichiarata anche “nell’atto di matrimonio”: previsione dettata all’evidenza da ragioni di semplificazione (la scelta del regime di separazione dei beni, totalmente regolato dal codice civile, senza ulteriori clausole o specificazioni). All’entrata in vigore della norma, era stato espresso qualche dubbio circa la scelta, se questa dovesse comunque effettuarsi (anche per i matrimoni concordatari) davanti all’ufficiale dello stato civile ovvero pure davanti al ministro del culto cattolico officiante. Giurisprudenza di merito e dottrina risposero, in netta prevalenza, in senso positivo. E la stessa L. n. 121 del 1985, che recepisce, come si diceva, l’accordo di revisione del Concordato del 1929, precisa, all’art. 8, che nell’atto di matrimonio (canonico) potranno essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite dalla legge civile. Sussiste, anche al riguardo, una sorta di delega dello Stato italiano al sacerdote officiante che svolge il ruolo dell’ufficiale dello stato civile, e dunque una funzione pubblica.
In generale, le convenzioni possono essere stipulate in ogni tempo, sia prima che dopo la celebrazione del matrimonio, e tuttavia non possono essere opposte a terzi, se non vi è annotazione, a margine dell’atto di matrimonio, della data, del notaio rogante, della generalità dei contraenti ovvero della scelta del regime (di separazione dei beni).
Chiarisce dunque la previsione (e al riguardo la giurisprudenza è ormai ampiamente consolidata: per tutte Cass. n. 8824 del 1987 e numerosa giurisprudenza successiva; v. pure Corte cost. n. 111 del 1995) che solo con l’annotazione il regime prescelto e dunque le convenzioni stipulate (anche atipiche) sono opponibili ai terzi, i quali vengono dunque a conoscenza delle convenzioni e del regime relativo attraverso l’annotazione dell’atto di matrimonio contenuto nei registri pubblici dello stato civile.
Ma non si potrebbe certo parlare di invalidità delle convenzioni o della scelta del regime nei rapporti interni tra i coniugi, ove l’atto di matrimonio, come nella specie, sia stato regolarmente trascritto, ma privo dell’annotazione del regime. Ciò varrà per le convenzioni matrimoniali, nonché per la scelta del regime (di separazione), effettuata davanti all’ufficiale dello stato civile (per il matrimonio civile) e con l’equiparazione della dichiarazione davanti al sacerdote, già affermata dalla giurisprudenza di merito e poi confermata da una prassi assai consolidata ma pure da un riscontro normativo chiaro ed esplicito già indicato (art. 8 L. n. 121 del 1985). Non sussiste ragione alcuna per escludere, nei rapporti interni tra le parti, la validità di una scelta comune, espressione della loro libera volontà.
È da ritenere dunque che la scelta di regime di separazione, espressa in forma scritta, alla presenza di due testimoni, davanti al ministro del culto cattolico officiante, ancorché non annotata nell’atto di matrimonio trascritto nei registri dello stato civile, nei rapporti interni tra i coniugi mantenga la sua validità.
Né si potrebbe sostenere che sia sufficiente una dichiarazione unilaterale di un coniuge davanti al notaio per effettuare una modifica di regime (che tale sarebbe da separazione a comunione di beni). La stessa giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 2954 del 2003) ha chiarito che non può modificarsi il regime patrimoniale con atto unilaterale di un coniuge, e che non potrebbe escludersi un bene singolo dal regime prescelto, senza una modifica generale del regime stesso, nelle forme di cui all’art. 162 c.c. Dunque nessuna rilevanza avrà la dichiarazione della D.M. davanti al notaio circa il regime di comunione, in occasione della compravendita de qua.
Va pertanto accolto, per quanto di ragione, il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Va cassato il provvedimento impugnato. Non dovendosi effettuare ulteriori accertamenti di fatto, può pronunciarsi nel merito, rigettando la domanda di R.F. , e precisandosi che le parti si trovavano, quanto ai rapporti interni, in regime di separazione dei beni.
La complessità della questione e la sua relativa novità richiedono la compensazione delle spese per ogni grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; decidendo nel merito, rigetta la domanda di R.F. ; compensa tra le parti le spese per ogni grado di giudizio.
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