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Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza n. 20555 del 6 settembre 2013

Svolgimento del processo

Con sentenza dei 4/2 – 10/5/2010 la Corte d’appello di Bologna ha rigettato l’impugnazione proposta dal Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca avverso la sentenza dei giudice dei lavoro del Tribunale di Reggio Emilia che l’aveva condannato a corrispondere a C. B., insegnante assunta con contratto a, tempo determinato, la somma di € 1223,38, oltre accessori di legge, a titolo di retribuzione dovuta nella sua interezza per il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro ai sensi dell’art. 11, comma 3, del ccnl dei comparto scuola del 15/2/2001.
La Corte ha spiegato che il testo di tale norma collettiva è riferito, senza alcuna distinzione, al periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità, cioè ad un evento; protetto che è comune ad entrambe le categorie di lavoratrici, vale a dire sia quelle assunte a tempo indeterminato che con contratto a termine. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il Ministero dell’istruzione, dell’Università e Ricerca che affida l’impugnazione ad un solo motivo di censura.. Resiste con controricorso Cinzia Bonini la quale deposita anche memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo il Ministero ricorrente, denunciando la violazione dell’art. 11 del ccnl dei comparto Scuola del 15-3-2001 e dell’art. 12 del ccnl dei 24-7-2003 in combinato disposto con gli artt. 21, 22 e 23 del cent dello stesso comparto del 4-8­-1995, contesta l’interpretazione data dalla Corte territoriale a tali disposizioni collettive in tema di congedi parentali, cioè l’avere i giudici d’appello ritenuto che le parti sociali avevano inteso riferirsi a qualsiasi lavoratrice della scuola e, quindi, anche a quelle legate da rapporto a termine.
Ritiene, invece, la difesa erariale che la norma di cui all’art. 11 del ccnl del 15-3-2001 sull’astensione obbligatoria per la maternità fa parte di una serie di norme innovative che è, però, integrativa della normativa vigente, per cui va interpretata nel contesto delle disposizioni rimaste in vigore, quali quelle sui permessi retribuiti (art. 21 del ccnl 1995 e 1999), sui permessi brevi (art. 22 dei citati ccnl), sulle assenze per malattia e sull’aspettativa per motivi di famiglia (rispettivamente arti. 23 e 24 degli stessi ccnl), istituti, questi, applicabili al solo personale di ruolo. Ciò troverebbe riscontro, secondo la difesa ministeriale, nel fatto che nell’ambito di tali disposizioni collettive vi era pure l’art. 25, volto alla disciplina dei medesimi istituti con riferimento al rapporto di lavoro a tempo determinato, che non richiamava la previsione di favore in questione, posto che in tema di maternità si limitava ad operare un rinvio alle generali disposizioni di legge. Quindi, prosegue parte ricorrente, la norma di cui al citato art. 11 non ha abrogato quella di cui all’art. 25, riguardante la disciplina del rapporto a tempo determinato, che è continuata a rimanere in vigore. Infine, in base a tale assunto difensivo, è inapplicabile “ratione temporis” al caso di specie la disciplina di cui all’art. 12 del ccnl del 2003 che ha nuovamente regolato all’art. 19 la materia relativa alle ferie, ai permessi ed alle assenze del personale assunto a tempo determinato. Il ricorso è infondato.
Invero, come questa Corte ha già avuto modo di statuire in un caso analogo (Cass. Sez. lav. n. 17234 dei 22/7/2010) In tema di congedi parentali, le disposizioni di cui all’art. 11 dei c.c.n.l. 15 marzo 2001 dei personale dei comparto scuola, a differenza delle pregresse norme del contratto collettivo 4 agosto 1995, che limitavano la fruizione di tali congedi alle lavoratrici a tempo indeterminato, hanno portata generale e si applicano anche ai dipendenti a tempo determinato, in quanto fatte salve, quali condizioni di maggior favore dall’art. 2 del d.lgs. n. 151 del 2001 (T.U. delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità).”
In effetti, l’art. 1, comma 2, del Dlgs 26-3-2001 n. 151, già in vigore all’epoca dei congedi di cui trattasi, stabilisce che sono fatte salve le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti collettivi, e da ogni altra disposizione.
Orbene l’art. 11 (“Congedi parentali”) del ccnl del 15-3-2001 del Comparto Scuola (successivo alla L. 8 marzo 2000, n. 53, ma anteriore al D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151), contiene una disciplina più favorevole rispetto alla disciplina legale (sia anteriore che successiva al D.Lgs. citato), prevedendo, in sostanza l’intera retribuzione sia per il periodo del congedo di maternità, sia per i primi trenta giorni del periodo di congedo parentale successivo, sia per i congedi per la malattia dei bambino (nei limiti fissati). Al riguardo si è evidenziato nel citato precedente che le parti collettive, alla data della stipula del ccnl, si sono riferite alla disciplina legale dei momento e cioè “alle disposizioni contenute nella L. n. 1204 del 1971, come modificata, e integrata dalle L. n. 903 del 1977, e L. n. 53 del 2000”, non essendo stato ancora emanato il Testo unico in base alla delega contenuta nell’ari 15 di quest’ultima legge. In definitiva, si è ritenuto che il dato letterale risultava inequivocd e pienamente conforme con il quadro sistematico e con la comune volontà delle parti che, emergeva chiaramente da tutti gli elementi.

Ciò premesso, appare evidente che il CCNL del 2001 con l’art. 11 disciplinava unitariamente i “Congedi parentali” con riferimento comune a tutto il “personale dipendente”, attribuendo espressamente alle “lavoratrici” (ed ai “lavoratori”) il miglior trattamento previsto, senza specificazione né distinzione alcuna all’interno del personale stesso.
Il rilievo assume nella specie particolare significato proprio alla luce della pregressa disciplina collettiva del 1995, che invece espressamente differenziava il trattamento retributivo in materia a seconda che dei congedo usufruisse il personale dipendente a tempo indeterminato o quello con rapporto a tempo determinato. L’art. 21 del ccnl 4-8-1995 che disciplinava i “Permessi retribuiti” con riferimento al “dipendente della scuoia con contratto di lavoro a tempo indeterminato”, ai comma 7 stabiliva, infatti, che “alle lavoratrici madri in astensione obbligatoria dal lavoro ai sensi della L. n. 1204 dei 1971, art. 4, spetta l’intera retribuzione fissa mensile nonché le quote di salario accessorio fisse e ricorrenti” e che “nell’ambito dei periodo complessivo di astensione facoltativa dal lavoro previsto per le lavoratrici madri o, in alternativa, per i lavoratori padri dalla L. 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 7, comma 1, integrata dalla L. 9 dicembre 1977, n. 903, fermo restando il trattamento economico del 30 % previsto dalla legge per il restante periodo, i primi trenta giorni, fruibili anche frazionatamente, sono considerati, permessi per i quali spetta il trattamento di cui ai commi 4 e 5 (e cioè “l’intera retribuzione esclusi i compensi per attività aggiuntive…”). Dopo il compimento del primo anno di vita del bambino e fino al terzo anno, nei casi previsti dalla L. n. 1204 del 1971, art. 7, comma 2, alle lavoratici madri ed ai lavoratori padri sono concessi, con le stesse modalità gg. 30 per anno di permesso retribuito”.
Per quanto riguarda invece il “personale assunto a tempo determinato”, il ccnl dei 1995 all’art. 25, comma 16, prevedeva semplicemente che allo stesso “si applicano le norme per la tutela delle lavoratrici madri e dei padri lavoratori poste dalla L. n. 1204 del 1971, e dalla L. n. 903 dei 1977”. La chiara espressione letterale del CCNL del 2001 e la scomparsa della differenziazione pregressa inducono a ritenere che le parti collettive abbiano senz’altro: voluto uniformare la disciplina dei congedi parentali con riferimento sia al personale a tempo indeterminato sia a quello a tempo determinato. In senso contrario non può invocarsi il richiamo all’art. 23 del ccnl del 1995 contenuto nell’art. 11, comma 3, del ccnl dei 2001, trattandosi di rinvio diretto semplicemente a determinare l’entità del trattamento retributivo, spettante a tutto il “personale dipendente”, precedentemente spettante soltanto al personale “con contratto a tempo indeterminato”.
Del resto, significativamente l’art. 11 del ccnl del 2001 non contiene alcun rinvio all’art. 25 del CCNL dei 1995, che prevedeva, appunto, per il personale a tempo determinato la semplice applicazione della disciplina di cui alle L. n. 1204 del 1971, e L. n. 903 del 1977.
Parimenti non può assumere alcun significato contrario neppure il richiamo all’art. 26 del CCNL del 1995 contenuto nell’art, 17 del CCNL del 2001 (1e disposizioni di cui all’art. 26 del CCNL 4-8-1995 in materia di infortunio sul lavoro e malattie dovute a causa di servizio, in quanto dirette alla generalità del personale della scuola, si applicano anche ai dipendenti con contratto a tempo determinato, nei limiti della durata della nomina). Considerato, infatti, che la disciplina degli infortuni sul lavoro e delle malattie dovute a causa di servizio, nel ccnl del 1995 non prevedeva: alcuna differenziazione tra personale a tempo indeterminato e personale a tempo determinato, le parti nel 2001 hanno inteso distinguere e chiarire, sul piano applicativo, che la tutela contrattuale (intera retribuzione fno alla guarigione clinica e garanzia della conservazione del posto di lavoro), nel caso di personale a tempo determinato, viene a cessare allo scadere dei termine. Una tale esigenza, invece, non ricorreva affatto nel caso della maternità e dei congedi parentali, giacché, come si è detto, il ccnl del 1995 al riguardo prevedeva una disciplina differenziata, In sostanza, mentre l’art. 11 del ccnl del 2001 contiene una regolamentazione innovativa e complessiva del trattamento economico della maternità , dei congedi parentali, che ha parificato le due categorie di personale, l’art. 17 dello stesso ccnl si limita a chiarire che le disposizioni pregresse, in materia di infortunio sul lavoro e malattie dovute a causa di servizio (già “dirette alla generalità dei personale della scuola”) si applica ai dipendenti con contratto a tempo determinato “nei limiti di durata della nomina”.

Infine parimenti inconcludente è anche l’argomento fondato sulla previsione dell’art. 19 comma 14 del successivo ccnl del 2003 che espressamente stabilisce che “Al personale di cui al presente articolo (a tempo determinato) si applicano le disposizioni relative ai congedi parentali come disciplinati dall’art. 12”. Tale previsione, senza per nulla smentire quanto già previsto, come sopra, dall’art. 11 del ccnl del 2001, al pari di altre in materia di “ferie, permessi ed assenze del personale assunto a tempo determinato” contenute nello stesso articolo 19, assume, infatti, il significato di una semplice “precisazione” (vedi in tal senso anche il medesimo art. 19, comma 1) esplicitata dalle parti collettive al fine di rendere indiscutibile la loro volontà.
Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese d’i lite seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese in euro 3000,00 per compensi professionali e in euro 50,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

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