Suprema Corte di Cassazione
Sezione lavoro
sentenza n. 18286 del 25 ottobre 2012
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 17/8/2010 la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma nella parte in cui il primo giudice ha ritenuto che l’adempimento degli obblighi assunti da G.G. con il contratto di lavoro subordinato concluso con il Centro Assistenza Fiscale Coldiretti (CAF) srl e l’adempimento degli obblighi derivanti dalla nomina del medesimo dott. G. a responsabile assistenza fiscale (RAF) facessero capo ad un rapporto lavorativo unico avente ad oggetto una prestazione complessivamente resa dal G. in regime di subordinazione dirigenziale con la conseguenza che l’intero compenso ricevuto dallo stesso, sia in base al contratto di lavoro subordinato sia in base a quello di lavoro autonomo quale responsabile assistenza fiscale, dovessero essere considerati alla stessa stregua, trattandosi di corrispettivo dell’unica prestazione di lavoro subordinato e dunque da assoggettarsi a contribuzione i.v.s. La Corte territoriale ha, altresì, confermato la precedente decisione di mancanza di “giustificatezza” del licenziamento comunicato al G., difettando la prova della soppressione del posto di lavoro occupato dal dirigente, addotta dal CAF quale causa del recesso. In parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma, la Corte d’Appello ha, invece, ridotto l’indennità supplementare ai sensi dell’art. 29 comma 16 CCNL alla misura di 8 mensilità pari ad Euro 140.441,85 oltre al saldo del TFR.
Con atto notificato il 18/2/2011 il CAF Coldiretti srl ha proposto ricorso in Cassazione formulando un unico motivo di impugnazione.
Si è costituito G.G. depositando controricorso contenente ricorso incidentale, avverso il quale il CAF ha depositato controricorso. Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il CAF Coldiretti denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 413 del 1991, art. 78 (istituzione dei CAF) nonchè D.Lgs. n. 490 del 1998, artt. 33 e 35 (revisione dei CAF) (art. 360 c.p.c., n. 3).
Lamenta che le conclusioni cui era giunta la Corte d’Appello erano il frutto di un’errata interpretazione della citata normativa che ha indotto i giudici a confondere la figura del responsabile assistenza fiscale – RAF -, oggetto del rapporto di lavoro autonomo intercorso tra le parti, con quella di dirigente responsabile del CAF ed in particolare dei servizi per i modelli reddituali. Deduce che la L. n. 431 del 1991, la quale ha previsto la creazione dei CAF, ha stabilito che a capo della struttura dovesse esservi un direttore tecnico iscritto all’albo dei commercialisti o in quello dei ragionieri liberi professionisti con il compito di vigilare sulla corretta esecuzione delle attività oggetto del servizio prestato ai contribuenti e di controllare che i servizi offerti dal CAF fossero conformi alle disposizioni legislative vigenti in materia fiscale e tributarie senza alcun dovere di controllo e verifica nel merito circa le attività espletate dai CAF. Rileva che con l’emanazione del D.Lgs. n. 490 del 1998 si era reso obbligatorio il rilascio da parte del CAF di un’attestazione, il ed visto di conformità, ed era stata introdotta la figura professionale del responsabile dell’assistenza fiscale (RAF) il quale era garante della correttezza e legittimità dell’attività posta in essere dal CAF per il tramite delle società di servizi esterne al CAF ma operanti sotto il diretto controllo dello stesso e che il G. aveva assunto, accanto all’attività dirigenziale, la diversa attività di RAF oggetto di un contratto di lavoro autonomo. Osserva che qualora la Corte avesse correttamente interpretato la normativa avrebbe negato la riconducibilità dell’attività espletata dal G. in esecuzione del contratto di lavoro autonomo del febbraio 2000 attributivo dell’incarico di RAF al novero delle competenze rientranti nel differente rapporto di lavoro subordinato intrattenuto con il CAF “attesa la radicale diversità dei due ruoli professionali dal punto di vista contenutistico, delle responsabilità comportanti, nonchè delle finalità precipue di ognuna”; che tale errata interpretazione aveva inciso anche sulla decisione relativa alla legittimità del recesso non avendo rilevato i giudici l’effettiva soppressione della posizione dirigenziale del G. attesa la riorganizzazione del CAF in seguito al D.Lgs. n. 490 del 1998 con l’attribuzione a società di capitali esterne ai CAF dell’attività di assistenza fiscale con conseguente superfluità della posizione dirigenziale rivestita in precedenza dal G. Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata appare ampiamente motivata, priva di difetti logici o contraddizioni, oltre che immune da errori di diritto, circa l’affermata sussistenza in capo al G. di un unico rapporto dirigenziale di lavoro subordinato quale responsabile dei servizi per i modelli reddituali con ruolo di responsabilità da esplicare nell’ambito delle attività organizzate per la raccolta, elaborazione e predisposizione delle dichiarazioni tributarie e degli adempimenti connessi, nell’impostazione, sperimentazione e realizzazione dei progetti di sviluppo dell’attività del centro, da svolgere guidandone e coordinandone mezzi e personale, nonchè quale responsabile assistenza fiscale (RAF) di cui al D.Lgs. n. 490 del 1998.
La ricorrente lamenta che la decisione della Corte sia il frutto di un’errata e superficiale lettura ed interpretazione del dato normativo di riferimento non avendo “i giudici d’appello compreso la ratio sottesa alla figura del RAF come delineata dalla legge”. La censura formulata dal CAF di violazione di norme è, tuttavia, priva della necessaria specificità in quanto non è indicato ove la Corte abbia violato le norme citate e neppure sono indicati specifici vizi di motivazione. La Corte territoriale ha evidenziato, con motivazione esente da censure, che la lettura dei due contratti, di lavoro subordinato e quello di lavoro autonomo quale RAF, evidenziavano “la tendenziale compenetrazione delle attività ad essa sottese” e che infatti già nel contratto di lavoro subordinato era richiesta al G. “la prestazione di attività organizzate per la raccolta, elaborazione e predisposizione delle dichiarazioni tributarie e degli adempimenti connessi con potere di coordinare mezzi e personale del CAF ed obbligo di coordinamento con il presidente della società ed il consigliere delegato, ossia un compendio di attività certamente ascrivibili anche al RAF il quale rilascia il visto di conformità, ma solo a seguito delle attività di cui all’art. 34, comma 3, lett. C, ossia previa verificazione della conformità dei dati esposti nelle dichiarazioni alla relativa documentazione. E ciò, unitamente alle altre mansioni proprie del decreto legislativo citato sintetizzabili nella sovraintendenza a tutte le attività del CAF, di cui il RAF è responsabile ai sensi dell’art. 33, comma 3 D.Lgs. citato”.
All’esito di una complessa ed accurata istruttoria, completata in sede di appello, la corte territoriale ha rilevato l’inevitabile osmosi tra le attività dedotte ad oggetto dei contratti di lavoro subordinato e di designazione di RAF con sostanziale sovrapponibilità dei due gruppi di obblighi ad esse correlative. Ha quindi concluso richiamando principi interpretativi consolidati giurisprudenza secondo cui tra le stesse parti possono certamente cumularsi un rapporto di lavoro subordinato ed un rapporto di collaborazione autonoma ma solo quando sia netta e non fittizia la distinzione tra le prestazioni che ne costituiscono rispettivamente oggetto in una con i relativi tempi di esecuzione e…se invece come nella specie le prestazioni pertinenti due contratti non solo non sono agevolmente sceverabili ma tendono addirittura a sovrapporsi e a confondersi, la conclamata soggezione dell’una al vincolo di dipendenza induce a presumere che ne sia rimasta investita altresì la seconda con conseguente sussunzione di essa sotto il medesimo schema negoziale.
Non è ravvisabile alcuna erronea interpretazione delle norme da parte della Corte d’Appello che,invece, attraverso una valutazione di fatto,non censurabile in Cassazione, dei concreti compiti affidati al G. ha ritenuto sussumibile nella prestazione di carattere subordinato resa dal G. quale dirigente del CAF, anche l’ulteriore attività quale RAF. Nè l’accurata valutazione delle prove testimoniali eseguita dalla Corte territoriale ha formato oggetto di specifiche censure.
Quanto al licenziamento ed alla sua “giustificatezza” il ricorrente, senza formulare una specifica censura, si è limitato nella seconda parte dei motivi, non preceduta da alcuna rubrica, ad affermare che l’ibrida commistione fra due diversi incarichi attribuiti al resistente erroneamente effettuata dalla Corte ha portato la stessa a non reputare sussistente una legittima causa di risoluzione del rapporto atteso che la funzione di RAF non risultava affatto soppressa.
Il ricorso, con riferimento alla correttezza del licenziamento, appare, pertanto, del tutto inammissibile mancando la denuncia di uno specifico vizio della decisione impugnata e, comunque, essendosi la ricorrente limitata a proporre una diversa valutazione dei fatti dalla quale dovrebbe desumersi, a suo dire, l’erroneità della decisione.
Con ricorso incidentale il G. denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. c.c. nell’interpretazione del CCNL per i dirigenti del commercio, nonchè difetto di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Lamenta la riduzione dell’indennità supplementare disposta dalla Corte territoriale ad 8 mensilità e rileva che la Corte ha determinato detta indennità tenendo conto soltanto della brevità del rapporto di lavoro tra le parti. La censura è infondata.
La Corte territoriale, facendo corretto uso dei canoni ermeneutici di interpretazione dei contratti, ha ritenuto inapplicabile alla fattispecie il comma 19 dell’art. 29 del CCNL, secondo il quale “nel caso che il dirigente ricorra all’autorità giudiziaria ordinaria a seguito dell’opposizione del datore di lavoro alla procedura arbitrale, ed il licenziamento venga riconosciuto ingiustificato, in luogo dell’indennità prevista al comma 16 spetterà a favore del dirigente e a carico del datore di lavoro a titolo risarcitorio un’indennità supplementare pari al corrispettivo di 18 mesi di preavviso”. La Corte territoriale ha, infatti, precisato che doveva trovare applicazione il comma 16 dell’art. 29 citato in quanto il comma 19 si riferiva alla diversa ipotesi in cui il dirigente ricorra al giudice a seguito dell’opposizione del datore di lavoro alla procedura arbitrale ed il licenziamento venga riconosciuto arbitrario, mentre nel caso in esame il dirigente si era rivolto direttamente al giudice con la conseguenza che, in applicazione del comma 16, l’indennità poteva variare tra un minimo pari alle mensilità di preavviso ed un massimo pari a 18 mesi di preavviso.
L’interpretazione delle norme non risulta in alcun modo censurabile e lo stesso G. non ha formulato specifiche censure. Quanto alla concreta quantificazione effettuata dalla Corte territoriale trattasi di valutazione in fatto non censurabile in Cassazione, in base alla quale la Corte territoriale ha ritenuto di dare la prevalenza all’oggettiva circostanza della brevità del rapporto.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio stante la reciproca soccombenza.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta. Spese compensate.
Roma, 28 settembre 2012.
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