Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 27 gennaio 2014, n. 1659
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico – Presidente
Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere
ha pronunciato la seguente:SENTENZA
sul ricorso 14455/2008 proposto da:
INARCASSA – CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA PER GLI INGEGNERI ED ARCHITETTI LIBERI PROFESSIONISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimata –
e sul ricorso 17577/2008 proposto da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
INARCASSA – CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA PER GLI INGEGNERI ED ARCHITETTI LIBERI PROFESSIONISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 135/2008 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 11/02/2008 R.G.N. 837/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/10/2013 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbimento del ricorso incidentale.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico – Presidente
Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere
ha pronunciato la seguente:SENTENZA
sul ricorso 14455/2008 proposto da:
INARCASSA – CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA PER GLI INGEGNERI ED ARCHITETTI LIBERI PROFESSIONISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimata –
e sul ricorso 17577/2008 proposto da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
INARCASSA – CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA PER GLI INGEGNERI ED ARCHITETTI LIBERI PROFESSIONISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 135/2008 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 11/02/2008 R.G.N. 837/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/10/2013 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbimento del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- La sentenza attualmente impugnata (depositata l’11 febbraio 2008) – in parziale accoglimento dell’appello principale di (OMISSIS), respinto l’appello incidentale di INARCASSA – Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza per gli Ingegneri e Architetti Liberi Professionisti – condanna INARCASSA a risarcire il danno cagionato a (OMISSIS), liquidato in misura pari alla pensione di reversibilita’ che le sarebbe spettata, oltre agli interessi.
La Corte d’appello di Torino, per quel che qui interessa, precisa che:
a) e’ errata la pretesa di INARCASSA di invalidare l’iscrizione alla Cassa del defunto ing. (OMISSIS) per il periodo 1 dicembre 1979-30 novembre 1980 perche’, essendo l’attivita’ lavorativa pacificamente cessata il 30 novembre 1979 ed essendo da quella data cominciato il periodo annuale di preavviso con corrispondente versamento dei contributi all’INPDAI ma senza svolgimento di attivita’ lavorativa, la suddetta fattispecie non poteva farsi rientrare nell’ambito di applicazione della Legge n. 1046 del 1971, articolo 2;
b) infatti, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimita’, tale ultima disposizione nell’escludere dall’iscrizione alla Cassa i professionisti iscritti ad altre forme di previdenza non opera per il semplice fatto della esistenza di una ulteriore iscrizione, ma presuppone che a tale ulteriore iscrizione corrisponda l’effettivo svolgimento della corrispondente attivita’ lavorativa;
c) e’ da respingere la censura della (OMISSIS) con la quale si contesta la determinazione nel 14 novembre 1999 della data di cancellazione dell’iscrizione alla Cassa effettuata da quest’ultima sulla base della dichiarazione resa dall’assicurato ai fini della chiusura della partita IVA e si sostiene che si sarebbe dovuto fare riferimento alla data di cancellazione del (OMISSIS) dall’Albo professionale, che e’ stata disposta dal Consiglio dell’Ordine con provvedimento del 12 gennaio 2000;
d) benche’ il possesso della partita IVA non sia previsto dalla legge come requisito per l’iscrizione alla Cassa, tuttavia lo statuto di INARCASSA fa riferimento a tale requisito per l’accertamento della carattere di continuita’ dell’esercizio dell’attivita’ professionale e comunque l’ing. (OMISSIS) ha dichiarato di aver cessato l’attivita’ il 14 novembre 1999, come risulta pacificamente da numerosi documenti in atti;
e) poiche’ l’attivita’ professionale e’ cessata il 14 novembre 1999, la Cassa avrebbe dovuto rilevare, in base alla documentazione in suo possesso, che l’iscrizione doveva decorrere dal 1 dicembre 1979 e non dal 1 novembre 1979 e che, quindi, non si era perfezionato il requisito contributivo (di venti anni di versamenti) per la liquidazione della pensione di anzianita’;
f) la Cassa, invece, procedette alla liquidazione della pensione e la pago’ per cinque anni fino al decesso del (OMISSIS);
g) a proposito del criterio di computo dell’iscrizione, non ha pregio la tesi della (OMISSIS) secondo cui il suddetto requisito dovrebbe calcolarsi per anni solari e non a giorni, in quanto dalla Legge n. 6 del 1981, articolo 2, comma 1, si desume con chiarezza che il requisito di durata dell’iscrizione prescinde dall’anno solare e si calcola dal giorno dell’iscrizione stessa;
h) ne consegue che, sia pure per soli 16 giorni, non sussisteva il requisito della iscrizione ventennale sicche’ il (OMISSIS) non aveva diritto alla pensione liquidatagli e, di conseguenza, non e’ sorto il diritto della vedova alla pensione di reversibilita’;
i) diversamente da quanto affermato dal primo giudice, e’ da accogliere la censura della (OMISSIS) volta ad ottenere il risarcimento dei danni cagionati da INARCASSA per avere ingenerato un incolpevole affidamento con la lettera del 23 ottobre 1989 nella quale attestava la decorrenza dell’anzianita’ dell’iscrizione dal 1 novembre 1979;
l) e’ indubbio che il (OMISSIS) chiese l’iscrizione a INARCASSA dal 1 novembre 1979, benche’ nel mese di novembre 1979 egli svolgesse ancora attivita’ lavorativa subordinata, sicche’ l’errore della Cassa fu originato dalla condotta dell’assicurato;
m) pero’ all’errore di origine si e’ sovrapposto – con rilievo causale esclusivo – l’errore della Cassa in sede di controllo della regolarita’ dell’iscrizione, sulla base della documentazione richiesta all’assicurato e da questi sollecitamente inviata;
n) la Cassa, invece, non solo non ha rilevato che, per tabulas, risultava che era sbagliato far decorrere l’iscrizione dal 1 novembre 1979 perche’ la data esatta di decorrenza era il 1 dicembre 1979, ma ha indotto il (OMISSIS) in errore comunicandogli con la suindicata lettera del 23 ottobre 1989 che egli era reiscritto “con anzianita’ di iscrizione e contribuzione utile ai fini della maturazione del diritto a pensione”;
o) inoltre, nel maggio 1999, quando il (OMISSIS) inoltro’ la domanda di pensione la Cassa rinnovo’ la induzione in errore indicando nel 31 ottobre 1999 la data di maturazione del diritto a pensione;
p) e’ ovvio che se almeno in prossimita’ del pensionamento la Cassa avesse comunicato all’assicurato l’errore egli non avrebbe avuto certamente difficolta’ a procrastinare del mese mancante la cessazione dell’attivita’ lavorativa;
q) ne’ va omesso di considerare che la rilevazione dell’errore e’ stata talmente tardiva da avvenire quando l’assicurato era gia’ deceduto e quindi non era in condizione di porvi eventualmente rimedio;
r) nella descritta situazione la condotta colposa della Cassa e’ da considerare la causa esclusiva del danno subito dalla (OMISSIS), che e’ costituito dal mancato riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilita’ e che va quindi liquidato in misura pari alla pensione perduta, con gli interessi.
2 – Il ricorso di INARCASSA domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste, con controricorso, (OMISSIS), che propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato per due motivi.
Entrambe le parti depositano anche memorie ex articolo 378 c.p.c..
La Corte d’appello di Torino, per quel che qui interessa, precisa che:
a) e’ errata la pretesa di INARCASSA di invalidare l’iscrizione alla Cassa del defunto ing. (OMISSIS) per il periodo 1 dicembre 1979-30 novembre 1980 perche’, essendo l’attivita’ lavorativa pacificamente cessata il 30 novembre 1979 ed essendo da quella data cominciato il periodo annuale di preavviso con corrispondente versamento dei contributi all’INPDAI ma senza svolgimento di attivita’ lavorativa, la suddetta fattispecie non poteva farsi rientrare nell’ambito di applicazione della Legge n. 1046 del 1971, articolo 2;
b) infatti, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimita’, tale ultima disposizione nell’escludere dall’iscrizione alla Cassa i professionisti iscritti ad altre forme di previdenza non opera per il semplice fatto della esistenza di una ulteriore iscrizione, ma presuppone che a tale ulteriore iscrizione corrisponda l’effettivo svolgimento della corrispondente attivita’ lavorativa;
c) e’ da respingere la censura della (OMISSIS) con la quale si contesta la determinazione nel 14 novembre 1999 della data di cancellazione dell’iscrizione alla Cassa effettuata da quest’ultima sulla base della dichiarazione resa dall’assicurato ai fini della chiusura della partita IVA e si sostiene che si sarebbe dovuto fare riferimento alla data di cancellazione del (OMISSIS) dall’Albo professionale, che e’ stata disposta dal Consiglio dell’Ordine con provvedimento del 12 gennaio 2000;
d) benche’ il possesso della partita IVA non sia previsto dalla legge come requisito per l’iscrizione alla Cassa, tuttavia lo statuto di INARCASSA fa riferimento a tale requisito per l’accertamento della carattere di continuita’ dell’esercizio dell’attivita’ professionale e comunque l’ing. (OMISSIS) ha dichiarato di aver cessato l’attivita’ il 14 novembre 1999, come risulta pacificamente da numerosi documenti in atti;
e) poiche’ l’attivita’ professionale e’ cessata il 14 novembre 1999, la Cassa avrebbe dovuto rilevare, in base alla documentazione in suo possesso, che l’iscrizione doveva decorrere dal 1 dicembre 1979 e non dal 1 novembre 1979 e che, quindi, non si era perfezionato il requisito contributivo (di venti anni di versamenti) per la liquidazione della pensione di anzianita’;
f) la Cassa, invece, procedette alla liquidazione della pensione e la pago’ per cinque anni fino al decesso del (OMISSIS);
g) a proposito del criterio di computo dell’iscrizione, non ha pregio la tesi della (OMISSIS) secondo cui il suddetto requisito dovrebbe calcolarsi per anni solari e non a giorni, in quanto dalla Legge n. 6 del 1981, articolo 2, comma 1, si desume con chiarezza che il requisito di durata dell’iscrizione prescinde dall’anno solare e si calcola dal giorno dell’iscrizione stessa;
h) ne consegue che, sia pure per soli 16 giorni, non sussisteva il requisito della iscrizione ventennale sicche’ il (OMISSIS) non aveva diritto alla pensione liquidatagli e, di conseguenza, non e’ sorto il diritto della vedova alla pensione di reversibilita’;
i) diversamente da quanto affermato dal primo giudice, e’ da accogliere la censura della (OMISSIS) volta ad ottenere il risarcimento dei danni cagionati da INARCASSA per avere ingenerato un incolpevole affidamento con la lettera del 23 ottobre 1989 nella quale attestava la decorrenza dell’anzianita’ dell’iscrizione dal 1 novembre 1979;
l) e’ indubbio che il (OMISSIS) chiese l’iscrizione a INARCASSA dal 1 novembre 1979, benche’ nel mese di novembre 1979 egli svolgesse ancora attivita’ lavorativa subordinata, sicche’ l’errore della Cassa fu originato dalla condotta dell’assicurato;
m) pero’ all’errore di origine si e’ sovrapposto – con rilievo causale esclusivo – l’errore della Cassa in sede di controllo della regolarita’ dell’iscrizione, sulla base della documentazione richiesta all’assicurato e da questi sollecitamente inviata;
n) la Cassa, invece, non solo non ha rilevato che, per tabulas, risultava che era sbagliato far decorrere l’iscrizione dal 1 novembre 1979 perche’ la data esatta di decorrenza era il 1 dicembre 1979, ma ha indotto il (OMISSIS) in errore comunicandogli con la suindicata lettera del 23 ottobre 1989 che egli era reiscritto “con anzianita’ di iscrizione e contribuzione utile ai fini della maturazione del diritto a pensione”;
o) inoltre, nel maggio 1999, quando il (OMISSIS) inoltro’ la domanda di pensione la Cassa rinnovo’ la induzione in errore indicando nel 31 ottobre 1999 la data di maturazione del diritto a pensione;
p) e’ ovvio che se almeno in prossimita’ del pensionamento la Cassa avesse comunicato all’assicurato l’errore egli non avrebbe avuto certamente difficolta’ a procrastinare del mese mancante la cessazione dell’attivita’ lavorativa;
q) ne’ va omesso di considerare che la rilevazione dell’errore e’ stata talmente tardiva da avvenire quando l’assicurato era gia’ deceduto e quindi non era in condizione di porvi eventualmente rimedio;
r) nella descritta situazione la condotta colposa della Cassa e’ da considerare la causa esclusiva del danno subito dalla (OMISSIS), che e’ costituito dal mancato riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilita’ e che va quindi liquidato in misura pari alla pensione perduta, con gli interessi.
2 – Il ricorso di INARCASSA domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste, con controricorso, (OMISSIS), che propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato per due motivi.
Entrambe le parti depositano anche memorie ex articolo 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente i ricorsi vanno riuniti perche’ proposti avverso la stessa sentenza.
I – Sintesi dei motivi del ricorso principale.
1.- Il ricorso principale e’ articolato in tre motivi, formulati in conformita’ con le prescrizioni di cui all’articolo 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.
1.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione delle seguenti disposizioni: a) Legge 3 gennaio 1981, n. 6, articolo 21, comma 5, come integrato dall’articolo 7, comma 5, dello statuto di INARCASSA; b) articolo 2118 c.c.; c) combinato disposto della Legge 3 gennaio 1981, n. 6, articolo 2, comma 1, articolo 25, comma 7, e articolo 7.
Si contesta l’interpretazione offerta dalla Corte d’appello alla Legge n. 1046 del 1971, articolo 2, (richiamato dalla Legge n. 6 del 1981, articolo 21, comma 5) secondo cui nel periodo compreso tra il 1 dicembre 1979 e il 30 novembre 1980 non sussisteva divieto di iscrizione alla INARCASSA in quanto la suindicata disposizione deve intendersi nel senso di vietare la doppia iscrizione solo se si accompagna ad una doppia attivita’ lavorativa. Poiche’, nella specie, l’indennita’ di preavviso era stata erogata proprio perche’ il preavviso non era stato lavorato, quindi non era applicabile il suddetto divieto.
Si sostiene che l’unica condizione richiesta dall’articolo 21, comma 5, cit. per l’applicazione del divieto di iscrizione alla Cassa e’ la presenza dell’iscrizione e della contribuzione “in dipendenza” di un rapporto di lavoro subordinato ovvero di altra attivita’ professionale.
La norma non chiede altro neppure in merito alla natura delle somme gia’ sottoposte a contribuzione da altra gestione previdenziale, comunque anche se si volesse, per assurdo, ipotizzare che sia richiesta la natura retributiva di tali somme, le conclusioni nella specie non cambierebbero perche’ all’indennita’ di mancato preavviso deve riconoscersi natura retributiva in senso sostanziale.
La rado di questo regime e’ molto chiara ed e’ quella di evitare la duplicazione della tutela previdenziale.
1.2.- Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione delle seguenti disposizioni: a) Legge 3 gennaio 1981, n. 6, articolo 21; b) articolo 2043 c. c.; c) articolo 1227 c.c..
In subordine rispetto al primo motivo, con il presente motivo si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha condannato la Cassa al risarcimento del danno in favore di (OMISSIS).
In primo luogo si sostiene che la relativa domanda avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile perche’, diversamente da quel che accade per il sistema INPS e INAIL, nell’ordinamento previdenziale dei liberi professionisti non vi e’ alcuna norma che prevede che gli Enti previdenziali siano responsabili per l’affidamento degli iscritti nell’esattezza delle attestazioni provenienti dagli Enti medesimi.
Peraltro, anche la Legge n. 88 del 1989, articolo 54, che si riferisce al sistema previdenziale dei lavoratori dipendenti comunque non fonda, di per se’, un diritto al risarcimento dei danni per lesione dell’affidamento ingenerato dalle certificazioni degli Enti previdenziali e cio’ non deve stupire, in quanto deriva dalla “impossibilita’ di ricondurre nello schema generale dell’articolo 2043 c.c., i rapporti intercorrenti fra gli enti previdenziali e gli iscritti”.
Infatti, l’intera previdenza di categoria si basa sul principio della diligenza del professionista, tenuto a dichiarare autonomamente tutto quanto concerne la propria posizione previdenziale, conscio delle norme che regolano l’ordinamento della professione anche dal punto di vista previdenziale.
Ne consegue che la suddetta diligenza esclude la stessa configurabilita’ di un affidamento meritevole di tutela risarcitoria derivante dall’erronea indicazione della decorrenza dell’iscrizione da parte della Cassa di appartenenza.
In ogni caso, nella specie, per escludere tale responsabilita’ sarebbe stato sufficiente fare applicazione dell’articolo 1227 c.c., che dispone che il risarcimento non e’ dovuto “per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.
Infatti, la diligenza del’ing. (OMISSIS), per quanto si e’ detto, avrebbe dovuto essere valutata alla stregua della sua posizione di libero professionista iscritto ad una Cassa di previdenza di categoria, in regime di auto responsabilita’ per la regolarita’ della propria posizione contributiva.
1.3.- Con il terzo motivo si denunciano, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5: a) violazione degli articoli 2043 e 1227 c.c.; b) insufficienza, illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione.
In via ulteriormente gradata rispetto alle precedenti censure, INARCASSA sostiene che la motivazione della sentenza impugnata nella parte relativa all’affermazione di responsabilita’ della Cassa per il danno lamentato dalla (OMISSIS) sarebbe del tutto carente e insanabilmente contraddittoria.
Infatti, non sarebbe possibile ricostruire – nella asciutta motivazione sul punto – l’iter logico – argomentativo che ha portato la Corte torinese ad imputare alla esclusiva responsabilita’ della Cassa la causazione del danno, essendosi la Corte limitata ad affermare che la colpa della Cassa per omesso controllo della rispondenza al vero delle attestazioni rese dal professionista si sarebbe “sovrapposta” all’errore – pur riconosciuto come sussistente e tale da indurre la Cassa in errore – dell’assicurato di avere richiesto l’iscrizione alla Cassa con decorrenza 1 novembre 1979, benche’ l’attivita’ lavorativa subordinata svolta sia cessata solo il 30 novembre 1979.
Senza illustrare minimamente i passaggi logici seguiti la Corte torinese avrebbe del tutto illogicamente affermato l’esclusiva responsabilita’ della Cassa, in contraddizione col precedente rilievo secondo cui all’origine della vicenda vi e’ stato l’errore commesso dall’assicurato, errore che non avrebbe potuto non essere valutato in applicazione della regola codicistica sul concorso di colpa del danneggiato.
2 – Sintesi dei motivi del ricorso incidentale condizionato.
2.- Il ricorso incidentale espressamente qualificato come condizionato e’ articolato in due motivi, formulati in conformita’ con le prescrizioni di cui all’articolo articolo 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.
2.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della Legge 3 gennaio 1981, n. 6, articolo 21, commi 1 e 2.
Si sostiene l’erroneita’ della sentenza impugnata laddove ha avallato la decorrenza della cancellazione dell’iscritto dalla Cassa quale erroneamente individuata nel relativo provvedimento nel 14 novembre 1999, sulla base del riferimento alla data della perdita della partita IVA da parte dell’assicurato, anziche’ rilevare che l’unica data avente valore determinante a tal fine era quella del provvedimento di cancellazione dall’albo professionale degli ingegneri (12 gennaio 2000), risultante dall’estratto contributivo prodotto in giudizio da INARCASSA.
2.2.- Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 42, articolo 4, comma 7.
Si contesta la sentenza impugnata ove non ha rilevato che il provvedimento di annullamento della pensione diretta attribuita all’iscritto ing. (OMISSIS) era illegittimo anche sotto l’ulteriore profilo rappresentato dall’avere applicato il criterio di computo dell’anzianita’ di iscrizione alla Cassa (periodi contributivi) in giorni anziche’ in anni solari, come prescritto nel regime antecedente l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 42 del 2006, articolo 4, comma 7, avendo quest’ultima norma introdotto per la prima volta introdotto il criterio di computo in giorni, come unico criterio di computo dei periodi contributivi presso tutte le forme di tutela obbligatoria.
3 – Esame delle censure.
3.- Il ricorso principale e’ da respingere, per le ragioni di seguito esposte.
4.- Per quel che riguarda il primo motivo va ricordato che questa Corte ha gia’ esaminato la questione prospettata nel presente motivo nella sentenza 25 gennaio 2006, n. 1389 – cui il Collegio intende dare continuita’, non essendo emerso nel presente giudizio alcun elemento che possa indurre ad un ripensamento della soluzione ivi adottata – nella quale e’ stato affermato il principio secondo cui l’esclusione dalla iscrizione alla Cassa ingegneri e architetti (prevista dalla Legge n. 1046 del 1971, articolo 2, sostitutivo della Legge n. 179 del 1958, articolo 3, e richiamato dalla Legge n. 6 del 1981, articolo 21, comma 5, come integrato dall’articolo 7, comma 5, dello statuto di INARCASSA) per il professionista, in relazione al periodo in cui questi sia stato iscritto ad altra forma di previdenza obbligatoria,non opera per il solo fatto dell’iscrizione dell’ingegnere o architetto ad altra Cassa, essendo necessario anche, ai fini dell’esclusione, che il professionista abbia effettivamente svolto l’attivita’ professionale tutelata dall’altra Cassa ovvero il lavoro subordinato tutelato dall’INPS o da altro ente analogo (quale, nella presente controversia l’INPDAI).
In detta decisione, in particolare e’ stata sottolineata l’erroneita’ della tesi secondo cui, sulla base del tenore letterale della suindicata Legge n. 1046 del 1971, articolo 2, si dovrebbe considerare sufficiente, per escludere il diritto di iscrizione alla Cassa in argomento, la semplice iscrizione ad altre forme di previdenza obbligatoria, senza necessita’, anche dello svolgimento della attivita’ corrispondente. Per le seguenti ragioni:
1) in primo luogo perche’ proprio dal tenore letterale della disposizione risulta che, per determinare la esclusione della iscrizione alla Cassa ingegneri ed architetti, in essa non si fa riferimento soltanto “alla iscrizione a forme di previdenza obbligatorie”, ma si precisa che queste devono essere “in dipendenza” di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attivita’ esercitata;
2) ne consegue che – pur dovendosi riconoscere autonoma individualita’ ai vari sistemi previdenziali propri delle libere professioni (vedi: Corte costituzionale n. 108 del 1989 e n. 259 del 1992), derivandone la possibilita’, per ciascuno di essi, di regolare diversamente le condizioni per l’accesso alla tutela – tuttavia, cio’ non esclude che anche ai suddetti sistemi si applichino i principi fondamentali propri del sistema della previdenza sociale, a partire dal principio generale secondo cui la iscrizione ad una qualunque gestione previdenziale ha come presupposto indefettibile, e ragione intrinseca della tutela, lo svolgimento della attivita’ lavorativa cui la corrispondente assicurazione e’ preordinata;
3) la finalita’ della disposizione di cui si tratta e’ quella di escludere ogni ipotesi di doppia iscrizione, cioe’ di iscrizione in contemporanea alla Cassa ingegneri ed architetti e ad altre diverse forme di assicurazione, perche’ in base al suddetto principio se vige una di queste ultime viene meno il diritto e l’obbligo di iscriversi alla Cassa ingegneri ed architetti;
4) cio’, pero’, puo’ avvenire solo in forza dello svolgimento dell’attivita’ lavorativa corrispondente all’altra forma di assicurazione e quindi il riferimento alla iscrizione ad altra assicurazione obbligatoria non puo’ che essere inteso come da applicare ad una situazione connotata dal presupposto imprescindibile dello svolgimento di quella attivita’ per la quale vige l’obbligo di assicurazione, sicche’ il richiamo fatto dalla norma alla “dipendenza” della assicurazione alla attivita’ esercitata puo’ apparire addirittura pleonastico;
5) d’altra parte ogni forma di previdenza obbligatoria comporta che si versi all’ente previdenziale un contributo commisurato al reddito percepito: all’INPS o all’INPDAI si paga la contribuzione commisurata in percentuale alla retribuzione ricevuta in costanza di rapporto di lavoro subordinato e alle Casse di previdenza professionali si paga un contributo commisurato in percentuale al reddito ricavato dall’esercizio della professione, pertanto ove la corrispondente attivita’ non venga svolta non puo’ esservi la tutela assicurativa;
6) la precisazione “in dipendenza” che appare, come detto, pleonastica, puo’ trovare giustificazione considerando che, soprattutto nel passato, vigevano forme assicurative dei liberi professionisti che imponevano la iscrizione automatica ad una Cassa di previdenza per il solo fatto di essere iscritti all’albo, anche se la attivita’ professionale non veniva di fatto svolta;
7) cosi’, ad esempio, la Legge 3 aprile 1958, n. 179, stabiliva: “Sono iscritti alla Cassa tutti gli ingegneri e gli architetti che possono per legge esercitare la libera professione” e questa disposizione, confermata dal gia’ citata Legge n. 1046 del 1971, articolo 2, faceva praticamente ed automaticamente coincidere iscrizione all’albo ed iscrizione alla Cassa, anche se l’ingegnere o l’architetto non svolgevano di fatto la loro professione;
8) solo con la Legge n. 6 del 1981, articolo 21, e’ stata modificata la disciplina di accesso alla Cassa ingegneri ed architetti, condizionando il diritto alla tutela della Cassa non solo alla iscrizione all’albo ma anche allo svolgimento continuativo dell’attivita’ professionale e analoga evoluzione si e’ registrata, nel tempo, anche per l’accesso alle altre Casse;
9) ne deriva che il riferimento alla “dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato e di altra attivita’ esercitata”, contenuto nella norma in commento, si puo’ spiegare con l’intento di includere nella sfera di operativita’ della tutela approntata dalla Cassa quegli ingegneri ed architetti che – essendo iscritti anche ad altra forma di previdenza o ad albo professionale diverso – erano obbligatoriamente assoggettati anche ad altra forma previdenziale, dalla quale pero’ non ricevevano piena tutela perche’, non svolgendo l’attivita’ subordinata o professionale cui quella forma previdenziale era preordinata, non pagavano i contributi commisurati al reddito professionale conseguito;
10) pertanto, la preclusione della iscrizione alla Cassa Ingegneri ed Architetti non deriva dalla mera circostanza della iscrizione ad altra forma previdenziale (sia essa quella dell’INPS o dell’INPDAI ovvero quella di altra Cassa previdenziale), ma dall’effettivo svolgimento della attivita’ di natura subordinata ovvero di altra attivita’ professionale collegata a tale iscrizione;
11) la suddetta conclusione trova ulteriore conferma in quella cui e’ pervenuta questa Corte nella sentenza 1 febbraio 1996, n. 890, nella quale e’ stato affermato (in analogia a Cass. 12 luglio 1980, n. 4469) che anche nei confronti del professionista che sia stato obbligatoriamente iscritto anche alla Cassa artigiani presso l’INPS svolgendo la corrispondente attivita’ di artigiano trova applicazione il divieto di iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza per ingegneri e architetti stabilito dalla Legge 11 novembre 1971, n. 1046, articolo 2, (e riproposto dalla Legge 3 gennaio 1981, n. 6, articolo 21, comma 5) – divieto di cui e’ stata ritenuta la legittimita’ in riferimento agli articoli 3 e 38 Cost. (vedi: Corte cost., sent. n. 108 del 1989), in considerazione della sua ratio (che e’ quella di prevenire squilibri finanziari che conseguirebbero, in relazione al sistema contributivo, alla marginalita’ dell’esercizio professionale per la maggior parte degli ingegneri o architetti impegnati in altre forme di attivita’) – pure laddove in concreto non si prospetti un cumulo di trattamenti pensionistici, per l’insufficienza dei versamenti presso l’altro fondo previdenziale.
4.1.- La Corte d’appello di Torino, con adeguata motivazione, si e’ uniformata ai suddetti principi ove ha affermato l’erroneita’ della premessa ermeneutica sulla quale INARCASSA fonda la propria pretesa di invalidare l’iscrizione alla Cassa del defunto ing. (OMISSIS) per il periodo 1 dicembre 1979-30 novembre 1980, visto che, essendo l’attivita’ lavorativa del (OMISSIS) pacificamente cessata il 30 novembre 1979 ed essendo da quella data cominciato il periodo annuale di preavviso con corrispondente versamento dei contributi all’INPDAI ma senza svolgimento della corrispondente attivita’ lavorativa, la suddetta fattispecie non poteva farsi rientrare nell’ambito di applicazione della Legge n. 1046 del 1971, articolo 2, cit., come interpretato dalla giurisprudenza di legittimita’.
Di qui il rigetto del primo motivo.
5.- Per quanto riguarda il secondo motivo va ricordato che, di recente, questa Corte, in una controversia analoga alla presente, riguardante un iscritto a INARCASSA, ha affermato il principio – che il Collegio condivide – secondo cui “nell’ipotesi in cui un ente previdenziale, avente personalita’ giuridica di diritto privato, comunichi ad un proprio assicurato un’informazione erronea in ordine all’avvenuta maturazione del requisito contributivo occorrente per poter fruire della pensione di vecchiaia, pur non essendo applicabile la Legge 9 marzo 1989, n. 88, articolo 54, il quale pone a carico dell’INPS l’obbligo di comunicare agli assicurati l’entita’ dei contributi versati, merita nondimeno tutela, ai sensi dell’articolo 1175 c.c., l’affidamento dell’assicurato, essendo altresi’ gli organi degli enti previdenziali privati, per l’attivita’ di amministrazione e di gestione svolta, in possesso di dati e di conoscenze, che comportano la titolarita’ di poteri e di connessi doveri, anche di comunicazione, da esercitare con diligenza. Ne consegue che grava sull’ente previdenziale l’obbligo di risarcire il danno derivato dall’erronea comunicazione e dalla conseguente decisione dell’assicurato di cancellarsi dall’albo professionale” (Cass. 1 marzo 2012, n. 3195).
Nella suddetta sentenza e’ stato osservato che – benche’ la Legge n. 88 del 1989, articolo 59, si riferisca espressamente soltanto all’INPS e all’INAIL, ponendo a carico di tali Enti l’obbligo di comunicare, con valore certificativo, all’assicurato “i dati richiesti relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica” – nondimeno merita tutela anche l’affidamento di un iscritto ad un ente previdenziale, avente personalita’ giuridica di diritto privato, come l’INARCASSA.
Infatti, gli organi di questo tipo ente sono in possesso di dati e – per l’attivita’ di amministrazione di beni e di gestione di posizione altrui da loro svolta – di conoscenze anche giuridiche quasi sempre superiori a quelle degli assicurati. Cio’ comporta altresi’ la titolarita’ di poteri di diritto privato e di connessi doveri anche di comunicazione, il cui esercizio deve essere svolto con diligenza e nel rispetto dei generali principi di correttezza e di buona fede, ai sensi degli articoli 1175 e 1176 c.c., essendo idoneo a generare affidamento nei destinatari, sempre con riferimento ai dati di fatto concernenti la posizione assicurativa dell’interessato (che sono gli unici in possesso dell’ente) e sempre che la comunicazione sbagliata sia tale da indurre l’interessato in errore scusabile.
Nelle suddette condizioni se l’ente previdenziale, avente personalita’ giuridica di diritto privato effettua comunicazioni erronee sulla situazione pensionistica o previdenziale dell’assicurato sull’ente grava l’obbligo di risarcire il danno derivato dall’erronea indicazione fornita (vedi, in tal senso, anche Cass. 17 maggio 2003, n. 7743).
Il applicazione – mutatis mutandis – dei principi affermati in tema di erronee comunicazioni al fornite da parte dell’INPS in materia, si deve precisare che essendo la responsabilita’ di cui si tratta di tipo contrattuale, l’ente risponde del danno derivatone salvo che provi che la causa dell’errore sia esterna alla propria sfera di controllo e l’inevitabilita’ del fatto impeditivo nonostante l’applicazione della normale diligenza (vedi per tutte: Cass. 10 novembre 2008, n. 26925; Cass. 3 febbraio 2012, n. 1660; Cass. 19 settembre 2013, n. 21454).
Cio’ comporta che colui che agisce in giudizio per ottenere il conseguente risarcimento del danno ha l’onere di provare unicamente la fonte del suo diritto e di allegare il fatto dannoso, senza necessita’ di provare la colpa dell’autore del fatto dannoso, che e’ presunta – salva la dimostrazione, da parte dell’ente, della non imputabilita’ dello stesso al proprio comportamento – mentre il debitore convenuto e’ gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento o dell’impedimento rappresentato dalla impossibilita’ della prestazione derivante da causa a lui non imputabile prova che esige la dimostrazione dello specifico impedimento, che ha reso impossibile la prestazione (vedi, fra le altre: Cass. 19 maggio 2001, n. 6865).
Come si e’ detto, alla base della suddetta configurazione e’ da porre la tutela del legittimo affidamento di un iscritto nelle comunicazioni relative alla propria posizione assicurativa e pensionistica fornitegli dall’ente previdenziale di appartenenza che, ancorche’ avente personalita’ giuridica di diritto privato.
In proposito, si deve precisare che e’ da escludere, in via generale, che l’ordinamento imponga all’assicurato l’obbligo di verificare l’esattezza dei dati forniti dal proprio ente previdenziale, sicche’ persistendo, in difetto di tale adempimento, il nesso causale tra erroneita’ delle comunicazioni e danno indotto dalle stesse, per avervi il destinatario fatto affidamento, la possibile applicazione – in relazione alle circostanze del caso concreto – del principio di cui all’articolo 1227 c.c., comma 2, – che impone l’onere di doverosa cooperazione della parte creditrice per evitare l’aggravamento del danno indotto dal comportamento inadempiente del debitore – presuppone che l’eventuale condotta attiva o positiva del creditore, funzionale a limitare le conseguenze dannose del detto comportamento, possa assumere rilievo soltanto nei limiti della “ordinaria diligenza”, cioe’ per quelle attivita’ non gravose, non eccezionali, non comportanti rischi notevoli e/o rilevanti sacrifici (ex plurimis, tra le piu’ recenti, Cass. 25 settembre 2009, n. 20684 del 2009; Cass. 5 luglio 2007, n. 15231; Cass. 30 marzo 2005, n. 6735).
In tale quadro non e’ dunque possibile invocare il principio di autoresponsabilita’ dell’assicurato – professionista – cui fa riferimento la ricorrente – perche’ tale principio, nei limiti in cui e’ applicabile nel nostro ordinamento, nasce per tutelare l’affidamento degli altri soggetti sulle dichiarazioni altrui e comporta che colui che effettua una dichiarazione si assuma la responsabilita’ di quanto dichiarato. E’, tuttavia, pacifico che il suddetto principio non possa trovare applicazione nelle ipotesi in cui il destinatario della dichiarazione e’ in condizioni di accorgersi, usando l’ordinaria diligenza, della erroneita’ della dichiarazione stessa (oppure della non corrispondenza della dichiarazione alla reale volonta’ del dichiarante), come accade nella specie.
Neppure potrebbe farsi richiamo all’autocertificazione, non ricorrendone, all’evidenza, i presupposti applicativi.
Resta quindi da ribadire che anche gli enti previdenziali aventi personalita’ di diritto privato sono tenuti, nell’esercizio dei loro compiti istituzionali, a non frustrare la fiducia degli assicurati, tra l’altro fornendo loro informazioni errate o anche dichiaratamente approssimative sulla rispettiva posizione contributiva e pensionistica.
Questo comporta pure il doveroso, sollecito controllo e riscontro dei dati afferenti la situazione contributiva e pensionistica eventualmente forniti dagli assicurati, che possono essere anche affetti da incolpevoli errori – oltre che da errori volontari, che pero’ hanno differenti conseguenze – non essendo configurabile, come si e’ detto, alcun obbligo giuridico dell’assicurato in merito alla verifica dei dati suddetti, mentre sono gli enti destinatari ad essere tenuti, istituzionalmente, ad effettuare, in tempi adeguati i necessari accertamenti al riguardo, anche nel proprio interesse.
5.1.- La Corte torinese, con congrua e logica motivazione, ha fatto buongoverno dei richiamati principi, affermando che:
1) e’ indubbio che il (OMISSIS) chiese l’iscrizione a INARCASSA dal 1 novembre 1979, benche’ nel mese di novembre 1979 egli svolgesse ancora attivita’ lavorativa subordinata, sicche’ l’errore originario della Cassa fu causato dalla condotta dell’assicurato;
2) pero’ all’errore di origine si e’ sovrapposto – con rilievo causale esclusivo – l’errore della Cassa in sede di controllo della regolarita’ dell’iscrizione, sulla base della documentazione richiesta all’assicurato e da questi sollecitamente inviata;
3) infatti, essendo l’attivita’ professionale del (OMISSIS) cessata il 14 novembre 1999, la Cassa avrebbe dovuto rilevare tempestivamente, in base alla documentazione in suo possesso, che l’iscrizione doveva decorrere dal 1 dicembre 1979 e non dal 1 novembre 1979 e che, quindi, non si era perfezionato il requisito contributivo (di venti anni di versamenti) per la liquidazione della pensione di anzianita’;
4) la Cassa, invece, non solo non ha rilevato che, per tabulas, risultava che era sbagliato far decorrere l’iscrizione dal 1 novembre 1979 perche’ la data esatta di decorrenza era il 1 dicembre 1979, ma ha indotto il (OMISSIS) in errore comunicandogli con lettera del 23 ottobre 1989 che la anzianita’ della iscrizione decorreva dal 1 novembre 1979, cosi’ ingenerando nel destinatario un incolpevole affidamento sulla regolarita’ della propria situazione contributiva e pensionistica;
5) inoltre, nel maggio 1999, quando il (OMISSIS) inoltro’ la domanda di pensione la Cassa rinnovo’ la induzione in errore indicando nel 31 ottobre 1999 la data di maturazione del diritto a pensione, in tal modo impedendo all’interessato, almeno in prossimita’ del pensionamento, di regolarizzare la situazione procrastinando del mese mancante la cessazione dell’attivita’ lavorativa;
6) successivamente la Cassa ha anche proceduto alla liquidazione della pensione diretta e l’ha pagata per cinque anni fino al decesso del (OMISSIS) (avvenuto il (OMISSIS));
7) la rilevazione dell’errore e’ stata talmente tardiva da avvenire nel corso dell’istruttoria relativa alla pensione di reversibilita’ in favore della vedova e quindi quando l’assicurato era gia’ deceduto e non era piu’ in condizione di porvi eventualmente rimedio, soltanto in quella occasione si e’ accertato che, sia pure per soli 16 giorni, non sussisteva il requisito della iscrizione ventennale sicche’ il (OMISSIS) non aveva diritto alla pensione liquidatagli e, di conseguenza, non e’ sorto il diritto della vedova alla pensione di reversibilita’;
8) nella descritta situazione va accolta la censura della (OMISSIS) volta ad ottenere il risarcimento dei danni cagionati da INARCASSA per avere ingenerato con il descritto comportamento un incolpevole affidamento in merito alla regolarita’ della situazione contributiva e previdenziale del (OMISSIS), in quanto la condotta colposa della Cassa e’ da considerare la causa esclusiva del danno subito dalla (OMISSIS);
9) tale danno che e’ costituito dal mancato riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilita’ va liquidato in misura pari alla pensione perduta, con gli interessi.
Ne deriva il rigetto anche del secondo motivo.
6.- Con riguardo al terzo motivo va, in primo luogo, precisato che – nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione del motivo – come si evince anche dalla memoria depositata ex articolo 378 c.p.c., tutte le relative censure si risolvono nella denuncia del vizio di motivazione della sentenza impugnata, rappresentato dalla prospettata “insanabile contraddittorieta’” tra la gia’ riportata affermazione della Corte torinese secondo cui l’errore originario della Cassa fu causato dalla condotta dell’assicurato e la successiva statuizione che a tale errore iniziale si e’ sovrapposto – con rilievo causale esclusivo – l’errore della Cassa in sede di controllo della regolarita’ dell’iscrizione.
Il suddetto vizio non e’ sussistente.
Infatti – come si desume dalla congrua e logica motivazione della sentenza e come si e’ anche detto sopra – il suddetto controllo, con riguardo ai dati relativi alla situazione contributiva e pensionistica dell’interessato, e’ un compito istituzionale dell’ente previdenziale, tanto piu’ che e’ diretto anche a prevenire eventuali comportamenti scorretti – anche dolosamente – che possono incidere sugli equilibri finanziari dell’ente stesso.
Il fatto che esso venga svolto sulla base della documentazione richiesta all’assicurato (e da questi, nella specie, sollecitamente inviata) non modifica la situazione, in quanto tale documentazione serve ad “agevolare” il compito della Cassa attraverso la fornitura dei dati personali (anagrafici etc.) dell’assicurato, ma non ha certamente valore di “autocertificazione”, ne’ in se’ ne’ tanto meno per quel che concerne i dati di tipo contributivo – pensionistico che e’ l’ente previdenziale, anche dotato di personalita’ di diritto privato, competente a determinare e a comunicare agli assicurati che lo richiedano, generando nei destinatari il legittimo affidamento sulla relativa esattezza.
Ne’ va omesso di considerare che, nella specie, la Cassa ha avuto circa venti anni di tempo – dal momento dell’iscrizione a quello della corresponsione della pensione diretta al (OMISSIS) – per rilevare, in modo da consentire all’interessato di potervi rimediare, l’errore, che si e’ rivelato “fatale” per la (OMISSIS). Invece, vi ha provveduto solo nel corso dell’istruttoria relativa alla pensione di reversibilita’ in favore della vedova, dopo avere corrisposto per un quinquennio la pensione diretta al defunto e quando ormai non poteva piu’ porsi rimedio alla mancanza – per soli 16 giorni – del requisito della iscrizione ventennale alla Cassa.
Ne deriva che – come peraltro risulta dalla sentenza impugnata – la sovrapposizione ovvero la prevalenza dell’errore della Cassa rispetto a quello iniziale indotto dalla condotta dell’assicurato e il conseguente “rilievo causale esclusivo” da attribuire al primo si desume dallo stesso svolgimento della vicenda, caratterizzata anche dal fatto che, nel corso dei lunghi anni a propria disposizione, la Cassa non solo non ha rilevato l’errore ma, prima nell’ottobre 1989 e poi nel maggio 1999, ha ingenerato nel (OMISSIS) un incolpevole affidamento sulla regolarita’ della propria situazione contributiva e pensionistica con comunicazioni sbagliate e poi ha addirittura provveduto a pagargli la pensione per un quinquennio.
Pertanto, anche il terzo motivo deve essere respinto.
7.- Al rigetto del ricorso principale consegue l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato (vedi, fra le tante: Cass. 28 febbraio 2007, n. 4787; Cass. 9 giugno 2010, n. 13882).
4 – Conclusioni.
8.- In sintesi, il ricorso principale va respinto e quello incidetale condizionato va dichiarato assorbito.
Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza.
I – Sintesi dei motivi del ricorso principale.
1.- Il ricorso principale e’ articolato in tre motivi, formulati in conformita’ con le prescrizioni di cui all’articolo 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.
1.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione delle seguenti disposizioni: a) Legge 3 gennaio 1981, n. 6, articolo 21, comma 5, come integrato dall’articolo 7, comma 5, dello statuto di INARCASSA; b) articolo 2118 c.c.; c) combinato disposto della Legge 3 gennaio 1981, n. 6, articolo 2, comma 1, articolo 25, comma 7, e articolo 7.
Si contesta l’interpretazione offerta dalla Corte d’appello alla Legge n. 1046 del 1971, articolo 2, (richiamato dalla Legge n. 6 del 1981, articolo 21, comma 5) secondo cui nel periodo compreso tra il 1 dicembre 1979 e il 30 novembre 1980 non sussisteva divieto di iscrizione alla INARCASSA in quanto la suindicata disposizione deve intendersi nel senso di vietare la doppia iscrizione solo se si accompagna ad una doppia attivita’ lavorativa. Poiche’, nella specie, l’indennita’ di preavviso era stata erogata proprio perche’ il preavviso non era stato lavorato, quindi non era applicabile il suddetto divieto.
Si sostiene che l’unica condizione richiesta dall’articolo 21, comma 5, cit. per l’applicazione del divieto di iscrizione alla Cassa e’ la presenza dell’iscrizione e della contribuzione “in dipendenza” di un rapporto di lavoro subordinato ovvero di altra attivita’ professionale.
La norma non chiede altro neppure in merito alla natura delle somme gia’ sottoposte a contribuzione da altra gestione previdenziale, comunque anche se si volesse, per assurdo, ipotizzare che sia richiesta la natura retributiva di tali somme, le conclusioni nella specie non cambierebbero perche’ all’indennita’ di mancato preavviso deve riconoscersi natura retributiva in senso sostanziale.
La rado di questo regime e’ molto chiara ed e’ quella di evitare la duplicazione della tutela previdenziale.
1.2.- Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione delle seguenti disposizioni: a) Legge 3 gennaio 1981, n. 6, articolo 21; b) articolo 2043 c. c.; c) articolo 1227 c.c..
In subordine rispetto al primo motivo, con il presente motivo si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha condannato la Cassa al risarcimento del danno in favore di (OMISSIS).
In primo luogo si sostiene che la relativa domanda avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile perche’, diversamente da quel che accade per il sistema INPS e INAIL, nell’ordinamento previdenziale dei liberi professionisti non vi e’ alcuna norma che prevede che gli Enti previdenziali siano responsabili per l’affidamento degli iscritti nell’esattezza delle attestazioni provenienti dagli Enti medesimi.
Peraltro, anche la Legge n. 88 del 1989, articolo 54, che si riferisce al sistema previdenziale dei lavoratori dipendenti comunque non fonda, di per se’, un diritto al risarcimento dei danni per lesione dell’affidamento ingenerato dalle certificazioni degli Enti previdenziali e cio’ non deve stupire, in quanto deriva dalla “impossibilita’ di ricondurre nello schema generale dell’articolo 2043 c.c., i rapporti intercorrenti fra gli enti previdenziali e gli iscritti”.
Infatti, l’intera previdenza di categoria si basa sul principio della diligenza del professionista, tenuto a dichiarare autonomamente tutto quanto concerne la propria posizione previdenziale, conscio delle norme che regolano l’ordinamento della professione anche dal punto di vista previdenziale.
Ne consegue che la suddetta diligenza esclude la stessa configurabilita’ di un affidamento meritevole di tutela risarcitoria derivante dall’erronea indicazione della decorrenza dell’iscrizione da parte della Cassa di appartenenza.
In ogni caso, nella specie, per escludere tale responsabilita’ sarebbe stato sufficiente fare applicazione dell’articolo 1227 c.c., che dispone che il risarcimento non e’ dovuto “per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.
Infatti, la diligenza del’ing. (OMISSIS), per quanto si e’ detto, avrebbe dovuto essere valutata alla stregua della sua posizione di libero professionista iscritto ad una Cassa di previdenza di categoria, in regime di auto responsabilita’ per la regolarita’ della propria posizione contributiva.
1.3.- Con il terzo motivo si denunciano, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5: a) violazione degli articoli 2043 e 1227 c.c.; b) insufficienza, illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione.
In via ulteriormente gradata rispetto alle precedenti censure, INARCASSA sostiene che la motivazione della sentenza impugnata nella parte relativa all’affermazione di responsabilita’ della Cassa per il danno lamentato dalla (OMISSIS) sarebbe del tutto carente e insanabilmente contraddittoria.
Infatti, non sarebbe possibile ricostruire – nella asciutta motivazione sul punto – l’iter logico – argomentativo che ha portato la Corte torinese ad imputare alla esclusiva responsabilita’ della Cassa la causazione del danno, essendosi la Corte limitata ad affermare che la colpa della Cassa per omesso controllo della rispondenza al vero delle attestazioni rese dal professionista si sarebbe “sovrapposta” all’errore – pur riconosciuto come sussistente e tale da indurre la Cassa in errore – dell’assicurato di avere richiesto l’iscrizione alla Cassa con decorrenza 1 novembre 1979, benche’ l’attivita’ lavorativa subordinata svolta sia cessata solo il 30 novembre 1979.
Senza illustrare minimamente i passaggi logici seguiti la Corte torinese avrebbe del tutto illogicamente affermato l’esclusiva responsabilita’ della Cassa, in contraddizione col precedente rilievo secondo cui all’origine della vicenda vi e’ stato l’errore commesso dall’assicurato, errore che non avrebbe potuto non essere valutato in applicazione della regola codicistica sul concorso di colpa del danneggiato.
2 – Sintesi dei motivi del ricorso incidentale condizionato.
2.- Il ricorso incidentale espressamente qualificato come condizionato e’ articolato in due motivi, formulati in conformita’ con le prescrizioni di cui all’articolo articolo 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.
2.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della Legge 3 gennaio 1981, n. 6, articolo 21, commi 1 e 2.
Si sostiene l’erroneita’ della sentenza impugnata laddove ha avallato la decorrenza della cancellazione dell’iscritto dalla Cassa quale erroneamente individuata nel relativo provvedimento nel 14 novembre 1999, sulla base del riferimento alla data della perdita della partita IVA da parte dell’assicurato, anziche’ rilevare che l’unica data avente valore determinante a tal fine era quella del provvedimento di cancellazione dall’albo professionale degli ingegneri (12 gennaio 2000), risultante dall’estratto contributivo prodotto in giudizio da INARCASSA.
2.2.- Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 42, articolo 4, comma 7.
Si contesta la sentenza impugnata ove non ha rilevato che il provvedimento di annullamento della pensione diretta attribuita all’iscritto ing. (OMISSIS) era illegittimo anche sotto l’ulteriore profilo rappresentato dall’avere applicato il criterio di computo dell’anzianita’ di iscrizione alla Cassa (periodi contributivi) in giorni anziche’ in anni solari, come prescritto nel regime antecedente l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 42 del 2006, articolo 4, comma 7, avendo quest’ultima norma introdotto per la prima volta introdotto il criterio di computo in giorni, come unico criterio di computo dei periodi contributivi presso tutte le forme di tutela obbligatoria.
3 – Esame delle censure.
3.- Il ricorso principale e’ da respingere, per le ragioni di seguito esposte.
4.- Per quel che riguarda il primo motivo va ricordato che questa Corte ha gia’ esaminato la questione prospettata nel presente motivo nella sentenza 25 gennaio 2006, n. 1389 – cui il Collegio intende dare continuita’, non essendo emerso nel presente giudizio alcun elemento che possa indurre ad un ripensamento della soluzione ivi adottata – nella quale e’ stato affermato il principio secondo cui l’esclusione dalla iscrizione alla Cassa ingegneri e architetti (prevista dalla Legge n. 1046 del 1971, articolo 2, sostitutivo della Legge n. 179 del 1958, articolo 3, e richiamato dalla Legge n. 6 del 1981, articolo 21, comma 5, come integrato dall’articolo 7, comma 5, dello statuto di INARCASSA) per il professionista, in relazione al periodo in cui questi sia stato iscritto ad altra forma di previdenza obbligatoria,non opera per il solo fatto dell’iscrizione dell’ingegnere o architetto ad altra Cassa, essendo necessario anche, ai fini dell’esclusione, che il professionista abbia effettivamente svolto l’attivita’ professionale tutelata dall’altra Cassa ovvero il lavoro subordinato tutelato dall’INPS o da altro ente analogo (quale, nella presente controversia l’INPDAI).
In detta decisione, in particolare e’ stata sottolineata l’erroneita’ della tesi secondo cui, sulla base del tenore letterale della suindicata Legge n. 1046 del 1971, articolo 2, si dovrebbe considerare sufficiente, per escludere il diritto di iscrizione alla Cassa in argomento, la semplice iscrizione ad altre forme di previdenza obbligatoria, senza necessita’, anche dello svolgimento della attivita’ corrispondente. Per le seguenti ragioni:
1) in primo luogo perche’ proprio dal tenore letterale della disposizione risulta che, per determinare la esclusione della iscrizione alla Cassa ingegneri ed architetti, in essa non si fa riferimento soltanto “alla iscrizione a forme di previdenza obbligatorie”, ma si precisa che queste devono essere “in dipendenza” di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attivita’ esercitata;
2) ne consegue che – pur dovendosi riconoscere autonoma individualita’ ai vari sistemi previdenziali propri delle libere professioni (vedi: Corte costituzionale n. 108 del 1989 e n. 259 del 1992), derivandone la possibilita’, per ciascuno di essi, di regolare diversamente le condizioni per l’accesso alla tutela – tuttavia, cio’ non esclude che anche ai suddetti sistemi si applichino i principi fondamentali propri del sistema della previdenza sociale, a partire dal principio generale secondo cui la iscrizione ad una qualunque gestione previdenziale ha come presupposto indefettibile, e ragione intrinseca della tutela, lo svolgimento della attivita’ lavorativa cui la corrispondente assicurazione e’ preordinata;
3) la finalita’ della disposizione di cui si tratta e’ quella di escludere ogni ipotesi di doppia iscrizione, cioe’ di iscrizione in contemporanea alla Cassa ingegneri ed architetti e ad altre diverse forme di assicurazione, perche’ in base al suddetto principio se vige una di queste ultime viene meno il diritto e l’obbligo di iscriversi alla Cassa ingegneri ed architetti;
4) cio’, pero’, puo’ avvenire solo in forza dello svolgimento dell’attivita’ lavorativa corrispondente all’altra forma di assicurazione e quindi il riferimento alla iscrizione ad altra assicurazione obbligatoria non puo’ che essere inteso come da applicare ad una situazione connotata dal presupposto imprescindibile dello svolgimento di quella attivita’ per la quale vige l’obbligo di assicurazione, sicche’ il richiamo fatto dalla norma alla “dipendenza” della assicurazione alla attivita’ esercitata puo’ apparire addirittura pleonastico;
5) d’altra parte ogni forma di previdenza obbligatoria comporta che si versi all’ente previdenziale un contributo commisurato al reddito percepito: all’INPS o all’INPDAI si paga la contribuzione commisurata in percentuale alla retribuzione ricevuta in costanza di rapporto di lavoro subordinato e alle Casse di previdenza professionali si paga un contributo commisurato in percentuale al reddito ricavato dall’esercizio della professione, pertanto ove la corrispondente attivita’ non venga svolta non puo’ esservi la tutela assicurativa;
6) la precisazione “in dipendenza” che appare, come detto, pleonastica, puo’ trovare giustificazione considerando che, soprattutto nel passato, vigevano forme assicurative dei liberi professionisti che imponevano la iscrizione automatica ad una Cassa di previdenza per il solo fatto di essere iscritti all’albo, anche se la attivita’ professionale non veniva di fatto svolta;
7) cosi’, ad esempio, la Legge 3 aprile 1958, n. 179, stabiliva: “Sono iscritti alla Cassa tutti gli ingegneri e gli architetti che possono per legge esercitare la libera professione” e questa disposizione, confermata dal gia’ citata Legge n. 1046 del 1971, articolo 2, faceva praticamente ed automaticamente coincidere iscrizione all’albo ed iscrizione alla Cassa, anche se l’ingegnere o l’architetto non svolgevano di fatto la loro professione;
8) solo con la Legge n. 6 del 1981, articolo 21, e’ stata modificata la disciplina di accesso alla Cassa ingegneri ed architetti, condizionando il diritto alla tutela della Cassa non solo alla iscrizione all’albo ma anche allo svolgimento continuativo dell’attivita’ professionale e analoga evoluzione si e’ registrata, nel tempo, anche per l’accesso alle altre Casse;
9) ne deriva che il riferimento alla “dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato e di altra attivita’ esercitata”, contenuto nella norma in commento, si puo’ spiegare con l’intento di includere nella sfera di operativita’ della tutela approntata dalla Cassa quegli ingegneri ed architetti che – essendo iscritti anche ad altra forma di previdenza o ad albo professionale diverso – erano obbligatoriamente assoggettati anche ad altra forma previdenziale, dalla quale pero’ non ricevevano piena tutela perche’, non svolgendo l’attivita’ subordinata o professionale cui quella forma previdenziale era preordinata, non pagavano i contributi commisurati al reddito professionale conseguito;
10) pertanto, la preclusione della iscrizione alla Cassa Ingegneri ed Architetti non deriva dalla mera circostanza della iscrizione ad altra forma previdenziale (sia essa quella dell’INPS o dell’INPDAI ovvero quella di altra Cassa previdenziale), ma dall’effettivo svolgimento della attivita’ di natura subordinata ovvero di altra attivita’ professionale collegata a tale iscrizione;
11) la suddetta conclusione trova ulteriore conferma in quella cui e’ pervenuta questa Corte nella sentenza 1 febbraio 1996, n. 890, nella quale e’ stato affermato (in analogia a Cass. 12 luglio 1980, n. 4469) che anche nei confronti del professionista che sia stato obbligatoriamente iscritto anche alla Cassa artigiani presso l’INPS svolgendo la corrispondente attivita’ di artigiano trova applicazione il divieto di iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza per ingegneri e architetti stabilito dalla Legge 11 novembre 1971, n. 1046, articolo 2, (e riproposto dalla Legge 3 gennaio 1981, n. 6, articolo 21, comma 5) – divieto di cui e’ stata ritenuta la legittimita’ in riferimento agli articoli 3 e 38 Cost. (vedi: Corte cost., sent. n. 108 del 1989), in considerazione della sua ratio (che e’ quella di prevenire squilibri finanziari che conseguirebbero, in relazione al sistema contributivo, alla marginalita’ dell’esercizio professionale per la maggior parte degli ingegneri o architetti impegnati in altre forme di attivita’) – pure laddove in concreto non si prospetti un cumulo di trattamenti pensionistici, per l’insufficienza dei versamenti presso l’altro fondo previdenziale.
4.1.- La Corte d’appello di Torino, con adeguata motivazione, si e’ uniformata ai suddetti principi ove ha affermato l’erroneita’ della premessa ermeneutica sulla quale INARCASSA fonda la propria pretesa di invalidare l’iscrizione alla Cassa del defunto ing. (OMISSIS) per il periodo 1 dicembre 1979-30 novembre 1980, visto che, essendo l’attivita’ lavorativa del (OMISSIS) pacificamente cessata il 30 novembre 1979 ed essendo da quella data cominciato il periodo annuale di preavviso con corrispondente versamento dei contributi all’INPDAI ma senza svolgimento della corrispondente attivita’ lavorativa, la suddetta fattispecie non poteva farsi rientrare nell’ambito di applicazione della Legge n. 1046 del 1971, articolo 2, cit., come interpretato dalla giurisprudenza di legittimita’.
Di qui il rigetto del primo motivo.
5.- Per quanto riguarda il secondo motivo va ricordato che, di recente, questa Corte, in una controversia analoga alla presente, riguardante un iscritto a INARCASSA, ha affermato il principio – che il Collegio condivide – secondo cui “nell’ipotesi in cui un ente previdenziale, avente personalita’ giuridica di diritto privato, comunichi ad un proprio assicurato un’informazione erronea in ordine all’avvenuta maturazione del requisito contributivo occorrente per poter fruire della pensione di vecchiaia, pur non essendo applicabile la Legge 9 marzo 1989, n. 88, articolo 54, il quale pone a carico dell’INPS l’obbligo di comunicare agli assicurati l’entita’ dei contributi versati, merita nondimeno tutela, ai sensi dell’articolo 1175 c.c., l’affidamento dell’assicurato, essendo altresi’ gli organi degli enti previdenziali privati, per l’attivita’ di amministrazione e di gestione svolta, in possesso di dati e di conoscenze, che comportano la titolarita’ di poteri e di connessi doveri, anche di comunicazione, da esercitare con diligenza. Ne consegue che grava sull’ente previdenziale l’obbligo di risarcire il danno derivato dall’erronea comunicazione e dalla conseguente decisione dell’assicurato di cancellarsi dall’albo professionale” (Cass. 1 marzo 2012, n. 3195).
Nella suddetta sentenza e’ stato osservato che – benche’ la Legge n. 88 del 1989, articolo 59, si riferisca espressamente soltanto all’INPS e all’INAIL, ponendo a carico di tali Enti l’obbligo di comunicare, con valore certificativo, all’assicurato “i dati richiesti relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica” – nondimeno merita tutela anche l’affidamento di un iscritto ad un ente previdenziale, avente personalita’ giuridica di diritto privato, come l’INARCASSA.
Infatti, gli organi di questo tipo ente sono in possesso di dati e – per l’attivita’ di amministrazione di beni e di gestione di posizione altrui da loro svolta – di conoscenze anche giuridiche quasi sempre superiori a quelle degli assicurati. Cio’ comporta altresi’ la titolarita’ di poteri di diritto privato e di connessi doveri anche di comunicazione, il cui esercizio deve essere svolto con diligenza e nel rispetto dei generali principi di correttezza e di buona fede, ai sensi degli articoli 1175 e 1176 c.c., essendo idoneo a generare affidamento nei destinatari, sempre con riferimento ai dati di fatto concernenti la posizione assicurativa dell’interessato (che sono gli unici in possesso dell’ente) e sempre che la comunicazione sbagliata sia tale da indurre l’interessato in errore scusabile.
Nelle suddette condizioni se l’ente previdenziale, avente personalita’ giuridica di diritto privato effettua comunicazioni erronee sulla situazione pensionistica o previdenziale dell’assicurato sull’ente grava l’obbligo di risarcire il danno derivato dall’erronea indicazione fornita (vedi, in tal senso, anche Cass. 17 maggio 2003, n. 7743).
Il applicazione – mutatis mutandis – dei principi affermati in tema di erronee comunicazioni al fornite da parte dell’INPS in materia, si deve precisare che essendo la responsabilita’ di cui si tratta di tipo contrattuale, l’ente risponde del danno derivatone salvo che provi che la causa dell’errore sia esterna alla propria sfera di controllo e l’inevitabilita’ del fatto impeditivo nonostante l’applicazione della normale diligenza (vedi per tutte: Cass. 10 novembre 2008, n. 26925; Cass. 3 febbraio 2012, n. 1660; Cass. 19 settembre 2013, n. 21454).
Cio’ comporta che colui che agisce in giudizio per ottenere il conseguente risarcimento del danno ha l’onere di provare unicamente la fonte del suo diritto e di allegare il fatto dannoso, senza necessita’ di provare la colpa dell’autore del fatto dannoso, che e’ presunta – salva la dimostrazione, da parte dell’ente, della non imputabilita’ dello stesso al proprio comportamento – mentre il debitore convenuto e’ gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento o dell’impedimento rappresentato dalla impossibilita’ della prestazione derivante da causa a lui non imputabile prova che esige la dimostrazione dello specifico impedimento, che ha reso impossibile la prestazione (vedi, fra le altre: Cass. 19 maggio 2001, n. 6865).
Come si e’ detto, alla base della suddetta configurazione e’ da porre la tutela del legittimo affidamento di un iscritto nelle comunicazioni relative alla propria posizione assicurativa e pensionistica fornitegli dall’ente previdenziale di appartenenza che, ancorche’ avente personalita’ giuridica di diritto privato.
In proposito, si deve precisare che e’ da escludere, in via generale, che l’ordinamento imponga all’assicurato l’obbligo di verificare l’esattezza dei dati forniti dal proprio ente previdenziale, sicche’ persistendo, in difetto di tale adempimento, il nesso causale tra erroneita’ delle comunicazioni e danno indotto dalle stesse, per avervi il destinatario fatto affidamento, la possibile applicazione – in relazione alle circostanze del caso concreto – del principio di cui all’articolo 1227 c.c., comma 2, – che impone l’onere di doverosa cooperazione della parte creditrice per evitare l’aggravamento del danno indotto dal comportamento inadempiente del debitore – presuppone che l’eventuale condotta attiva o positiva del creditore, funzionale a limitare le conseguenze dannose del detto comportamento, possa assumere rilievo soltanto nei limiti della “ordinaria diligenza”, cioe’ per quelle attivita’ non gravose, non eccezionali, non comportanti rischi notevoli e/o rilevanti sacrifici (ex plurimis, tra le piu’ recenti, Cass. 25 settembre 2009, n. 20684 del 2009; Cass. 5 luglio 2007, n. 15231; Cass. 30 marzo 2005, n. 6735).
In tale quadro non e’ dunque possibile invocare il principio di autoresponsabilita’ dell’assicurato – professionista – cui fa riferimento la ricorrente – perche’ tale principio, nei limiti in cui e’ applicabile nel nostro ordinamento, nasce per tutelare l’affidamento degli altri soggetti sulle dichiarazioni altrui e comporta che colui che effettua una dichiarazione si assuma la responsabilita’ di quanto dichiarato. E’, tuttavia, pacifico che il suddetto principio non possa trovare applicazione nelle ipotesi in cui il destinatario della dichiarazione e’ in condizioni di accorgersi, usando l’ordinaria diligenza, della erroneita’ della dichiarazione stessa (oppure della non corrispondenza della dichiarazione alla reale volonta’ del dichiarante), come accade nella specie.
Neppure potrebbe farsi richiamo all’autocertificazione, non ricorrendone, all’evidenza, i presupposti applicativi.
Resta quindi da ribadire che anche gli enti previdenziali aventi personalita’ di diritto privato sono tenuti, nell’esercizio dei loro compiti istituzionali, a non frustrare la fiducia degli assicurati, tra l’altro fornendo loro informazioni errate o anche dichiaratamente approssimative sulla rispettiva posizione contributiva e pensionistica.
Questo comporta pure il doveroso, sollecito controllo e riscontro dei dati afferenti la situazione contributiva e pensionistica eventualmente forniti dagli assicurati, che possono essere anche affetti da incolpevoli errori – oltre che da errori volontari, che pero’ hanno differenti conseguenze – non essendo configurabile, come si e’ detto, alcun obbligo giuridico dell’assicurato in merito alla verifica dei dati suddetti, mentre sono gli enti destinatari ad essere tenuti, istituzionalmente, ad effettuare, in tempi adeguati i necessari accertamenti al riguardo, anche nel proprio interesse.
5.1.- La Corte torinese, con congrua e logica motivazione, ha fatto buongoverno dei richiamati principi, affermando che:
1) e’ indubbio che il (OMISSIS) chiese l’iscrizione a INARCASSA dal 1 novembre 1979, benche’ nel mese di novembre 1979 egli svolgesse ancora attivita’ lavorativa subordinata, sicche’ l’errore originario della Cassa fu causato dalla condotta dell’assicurato;
2) pero’ all’errore di origine si e’ sovrapposto – con rilievo causale esclusivo – l’errore della Cassa in sede di controllo della regolarita’ dell’iscrizione, sulla base della documentazione richiesta all’assicurato e da questi sollecitamente inviata;
3) infatti, essendo l’attivita’ professionale del (OMISSIS) cessata il 14 novembre 1999, la Cassa avrebbe dovuto rilevare tempestivamente, in base alla documentazione in suo possesso, che l’iscrizione doveva decorrere dal 1 dicembre 1979 e non dal 1 novembre 1979 e che, quindi, non si era perfezionato il requisito contributivo (di venti anni di versamenti) per la liquidazione della pensione di anzianita’;
4) la Cassa, invece, non solo non ha rilevato che, per tabulas, risultava che era sbagliato far decorrere l’iscrizione dal 1 novembre 1979 perche’ la data esatta di decorrenza era il 1 dicembre 1979, ma ha indotto il (OMISSIS) in errore comunicandogli con lettera del 23 ottobre 1989 che la anzianita’ della iscrizione decorreva dal 1 novembre 1979, cosi’ ingenerando nel destinatario un incolpevole affidamento sulla regolarita’ della propria situazione contributiva e pensionistica;
5) inoltre, nel maggio 1999, quando il (OMISSIS) inoltro’ la domanda di pensione la Cassa rinnovo’ la induzione in errore indicando nel 31 ottobre 1999 la data di maturazione del diritto a pensione, in tal modo impedendo all’interessato, almeno in prossimita’ del pensionamento, di regolarizzare la situazione procrastinando del mese mancante la cessazione dell’attivita’ lavorativa;
6) successivamente la Cassa ha anche proceduto alla liquidazione della pensione diretta e l’ha pagata per cinque anni fino al decesso del (OMISSIS) (avvenuto il (OMISSIS));
7) la rilevazione dell’errore e’ stata talmente tardiva da avvenire nel corso dell’istruttoria relativa alla pensione di reversibilita’ in favore della vedova e quindi quando l’assicurato era gia’ deceduto e non era piu’ in condizione di porvi eventualmente rimedio, soltanto in quella occasione si e’ accertato che, sia pure per soli 16 giorni, non sussisteva il requisito della iscrizione ventennale sicche’ il (OMISSIS) non aveva diritto alla pensione liquidatagli e, di conseguenza, non e’ sorto il diritto della vedova alla pensione di reversibilita’;
8) nella descritta situazione va accolta la censura della (OMISSIS) volta ad ottenere il risarcimento dei danni cagionati da INARCASSA per avere ingenerato con il descritto comportamento un incolpevole affidamento in merito alla regolarita’ della situazione contributiva e previdenziale del (OMISSIS), in quanto la condotta colposa della Cassa e’ da considerare la causa esclusiva del danno subito dalla (OMISSIS);
9) tale danno che e’ costituito dal mancato riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilita’ va liquidato in misura pari alla pensione perduta, con gli interessi.
Ne deriva il rigetto anche del secondo motivo.
6.- Con riguardo al terzo motivo va, in primo luogo, precisato che – nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione del motivo – come si evince anche dalla memoria depositata ex articolo 378 c.p.c., tutte le relative censure si risolvono nella denuncia del vizio di motivazione della sentenza impugnata, rappresentato dalla prospettata “insanabile contraddittorieta’” tra la gia’ riportata affermazione della Corte torinese secondo cui l’errore originario della Cassa fu causato dalla condotta dell’assicurato e la successiva statuizione che a tale errore iniziale si e’ sovrapposto – con rilievo causale esclusivo – l’errore della Cassa in sede di controllo della regolarita’ dell’iscrizione.
Il suddetto vizio non e’ sussistente.
Infatti – come si desume dalla congrua e logica motivazione della sentenza e come si e’ anche detto sopra – il suddetto controllo, con riguardo ai dati relativi alla situazione contributiva e pensionistica dell’interessato, e’ un compito istituzionale dell’ente previdenziale, tanto piu’ che e’ diretto anche a prevenire eventuali comportamenti scorretti – anche dolosamente – che possono incidere sugli equilibri finanziari dell’ente stesso.
Il fatto che esso venga svolto sulla base della documentazione richiesta all’assicurato (e da questi, nella specie, sollecitamente inviata) non modifica la situazione, in quanto tale documentazione serve ad “agevolare” il compito della Cassa attraverso la fornitura dei dati personali (anagrafici etc.) dell’assicurato, ma non ha certamente valore di “autocertificazione”, ne’ in se’ ne’ tanto meno per quel che concerne i dati di tipo contributivo – pensionistico che e’ l’ente previdenziale, anche dotato di personalita’ di diritto privato, competente a determinare e a comunicare agli assicurati che lo richiedano, generando nei destinatari il legittimo affidamento sulla relativa esattezza.
Ne’ va omesso di considerare che, nella specie, la Cassa ha avuto circa venti anni di tempo – dal momento dell’iscrizione a quello della corresponsione della pensione diretta al (OMISSIS) – per rilevare, in modo da consentire all’interessato di potervi rimediare, l’errore, che si e’ rivelato “fatale” per la (OMISSIS). Invece, vi ha provveduto solo nel corso dell’istruttoria relativa alla pensione di reversibilita’ in favore della vedova, dopo avere corrisposto per un quinquennio la pensione diretta al defunto e quando ormai non poteva piu’ porsi rimedio alla mancanza – per soli 16 giorni – del requisito della iscrizione ventennale alla Cassa.
Ne deriva che – come peraltro risulta dalla sentenza impugnata – la sovrapposizione ovvero la prevalenza dell’errore della Cassa rispetto a quello iniziale indotto dalla condotta dell’assicurato e il conseguente “rilievo causale esclusivo” da attribuire al primo si desume dallo stesso svolgimento della vicenda, caratterizzata anche dal fatto che, nel corso dei lunghi anni a propria disposizione, la Cassa non solo non ha rilevato l’errore ma, prima nell’ottobre 1989 e poi nel maggio 1999, ha ingenerato nel (OMISSIS) un incolpevole affidamento sulla regolarita’ della propria situazione contributiva e pensionistica con comunicazioni sbagliate e poi ha addirittura provveduto a pagargli la pensione per un quinquennio.
Pertanto, anche il terzo motivo deve essere respinto.
7.- Al rigetto del ricorso principale consegue l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato (vedi, fra le tante: Cass. 28 febbraio 2007, n. 4787; Cass. 9 giugno 2010, n. 13882).
4 – Conclusioni.
8.- In sintesi, il ricorso principale va respinto e quello incidetale condizionato va dichiarato assorbito.
Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 5000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
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