Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 14 marzo 2018, n. 6157. Con riferimento al recesso per raggiungimento del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia, l’inizio del regime di recedibilità “ad nutum” del rapporto di lavoro

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[…]

7.2. Non ricorre allora l’ipotesi cui alla L. 11 maggio 1990, n. 108, articolo 4, comma 2, secondo cui le disposizioni di cui alla L. n. 300 del 1970, articolo 18 si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni, in possesso dei requisiti pensionistici, che abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi del Decreto Legge n. 791 del 1981, articolo 6 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 54 del 1982.

7.3. Tanto premesso va rammentato che nel lavoro subordinato privato la tipicita’ e tassativita’ delle cause d’estinzione del rapporto escludono risoluzioni automatiche al compimento di determinate eta’ ovvero con il raggiungimento di requisiti pensionistici, diversamente da quanto accade nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni in tema di collocamento a riposo d’ufficio, al compimento delle eta’ massime previste dai diversi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche stesse (cfr. Cass. 17/06/2010 n. 14628 e 3/11/2008 n. 26377).

7.4. Dalla L. 1 maggio 1990, n. 108, articolo 4 si desume che, nel lavoro privato, il compimento dell’eta’ pensionabile o il raggiungimento dei requisiti per la effettiva attribuzione del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia (Decreto Legislativo n. 248 del 2007, articolo 6, comma 2-bis) da parte del lavoratore determinano soltanto la recedibilita’ “ad nutum” dal rapporto di lavoro e, dunque, il venire meno del regime di stabilita’, non gia’ la automatica estinzione del rapporto stesso, sicche’, in assenza di un valido atto risolutivo del datore di lavoro, il rapporto prosegue con diritto del lavoratore a percepire le retribuzioni anche successivamente al compimento del sessantacinquesimo anno di eta’ (Cass. 24/04/2014 n. 9312, 05/03/2003 n. 3237, 20/04/1999 n. 3907).

7.4. Ne consegue che, nel campo dei rapporti di lavoro di natura privatistica, per la risoluzione del rapporto per limiti di eta’ anagrafica del lavoratore, al datore di lavoro e’ imposto comunque l’obbligo di preavviso (Cass. 06/02/2004 n. 2339, 13/04/2001 n. 5576, 28/09/2000 n. 12890, 12/08/2000 n. 10782, 07/06/1995 n. 6396, 27/05/1995 n. 5977, 25/07/1994 n. 6901).

7.5. Come e’ stato osservato (cfr. Cass. 29/12/2014 n. 27425) anche la Corte costituzionale ha ritenuto compatibile con la Costituzione la (…) previsione del recesso ad nutum, sul principale rilievo secondo cui “in una societa’ come quella attuale, in cui si hanno disoccupazione e sottoccupazione, l’assenza di una piena tutela del diritto al lavoro (per difetto di garanzie di stabilita’ del posto) per i lavoratori che abbiano gia’ conseguito la pensione di vecchiaia trova ragionevole giustificazione nel godimento, da parte loro, di tale trattamento previdenziale ed una ratio siffatta non solo opera anche rispetto ai lavoratori pensionati per vecchiaia gia’ al momento della costituzione del rapporto, ma legittima altresi’ la possibilita’ che di questi, come degli altri che conseguano il pensionamento nel corso del rapporto, sia possibile il licenziamento senza l’osservanza della forma scritta, prevista soltanto in funzione del diritto alla stabilita’, non garantita alle teste’ menzionate categorie di lavoratori” (vedi, per tutte: Corte cost. sentenze n. 15 del 1983; n. 309 del 1992; n. 225 del 1994; n. 174 del 1971; n. 45 del 1965, nonche’ Cass. 26 maggio 2004, n. 10179).”

7.6. Orbene nella specie, come si e’ ricordato, pacificamente, la lettera di recesso, con la quale si e’ dato atto della cessazione del rapporto per il raggiunto limite di eta’ anagrafica e’ stata comunicata all’interessato il giorno 29 ottobre 2007, mentre la data di compimento del sessantacinquesimo anno di eta’ del lavoratore era il (OMISSIS) e dunque la risoluzione datoriale del rapporto di lavoro a causa del raggiungimento dei limiti massimi d’anzianita’ lavorativa e’ stata effettuata prima del compimento dei sessantacinque anni del dipendente ma era destinata ad operare al momento di tale evento. Pertanto, non essendo stata seguita da allontanamento del lavoratore dal posto di lavoro, essa non costituisce licenziamento, difettandone il presupposto della volonta’ di interrompere un rapporto in corso, ma piuttosto un semplice atto risolutivo, che, se conforme alla contrattazione collettiva e se non contestato dal destinatario con riguardo alla sua legittimita’, non e’ sottoposto alla medesima normativa del licenziamento, sicche’ non si configura il diritto del lavoratore all’indennita’ di preavviso, tanto piu’ che, in tale ipotesi, il preavviso e’ lavorato (cfr. in termini oltre alla gia’ citata Cass. n. 27425 del 2014, Cass. 20/02/2013 n. 4187, 29/11/2004 n. 22427 e recentemente ancora in un caso analogo al presente Cass. 24/01/2017 n. 1743 e ord. sez. Lav. 29/08/2017 n. 20499).

7.7. L’articolo 2118 c.c., comma 2, d’altra parte, prevede l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere al lavoratore l’indennita’ sostitutiva del preavviso in ogni caso di licenziamento individuale che non sia preceduto da periodo di preavviso lavorato (Cass. 21/01/2014 n. 1148).

7.8. In definitiva l’inizio del regime di recedibilita’ ad nutum del rapporto di lavoro, contemporaneo alla fine del regime di recedibilita’ causale, attribuisce al datore di lavoro il potere di far cessare immediatamente il rapporto, purche’ (e salva l’ipotesi di giusta causa ex articolo 2119 c.c.) il lavoratore abbia avuto la possibilita’ di giovarsi del periodo di preavviso grazie ad una tempestiva intimazione del licenziamento, valida anche se resa gia’ in regime di recedibilita’ causale, sicche’ e’ legittimo un c.d. licenziamento che, sebbene intimato in regime di recedibilita’ causale e privo di giustificazione, sia destinato a produrre effetto solo al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di eta’ del lavoratore e, quindi, in coincidenza del subentrare del regime di recedibilita’ ad nutum (Cass. 28/11/2007 n. 24722 e 16/05/1995 n. 5356 richiamate da Cass. n. 27425 del 2014).

8. In conclusione e per le considerazioni sopra esposte, dalle quali resta assorbito l’esame dell’ultimo motivo di ricorso, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13, comma 1 bis citato D.P.R..

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che si liquidano in Euro 4000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13, comma 1 bis citato D.P.R..

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