Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 12 marzo 2018, n. 5948. Anche il premio di fedeltà, erogato ai dipendenti con elevata anzianità, erogato alla cessazione del rapporto è assoggettabile a contribuzione

segue pagina antecedente
[…]

11. Sono, infine, infondati il sesto, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso della societa’ opponente, i quali possono essere esaminati congiuntamente essendo connessi in quanto vertono, sotto diversi aspetti, sulla qualificazione giuridica dell’indennita’ fatta oggetto di pretesa contributiva.

Orbene, non e’ affatto vero che il richiamo eseguito dalla Corte d’appello al precedente n. 16060/2003 di questa Corte non sia pertinente, in quanto l’esito di quel caso e’ stato utilizzato dalla Corte di merito in considerazione della ravvisata analogia con l’attuale questione.

Infatti, nel precedente n. 16060 del 25.10.2003 della sezione Lavoro di questa Corte fu statuito quanto segue: “Il cosiddetto premio fedelta’, erogato dal datore di lavoro ai propri dipendenti dotati di elevata anzianita’ di servizio in azienda all’atto della cessazione del rapporto di lavoro – che e’ un emolumento in denaro corrisposto in dipendenza del rapporto di lavoro e non una liberalita’ concessa una tantum e non collegata al rendimento del lavoratore o all’andamento aziendale – deve essere incluso nella retribuzione imponibile a fini contributivi, in quanto la suddetta nozione, dettata dalla L. 30 aprile 1969, n. 153, articolo 12 (applicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta in giudizio) e’ piu’ ampia rispetto alla nozione civilistica di retribuzione, comprendendo non solo il corrispettivo della prestazione lavorativa, ma anche tutto cio’ che il lavoratore riceva o abbia diritto di ricevere dal datore di lavoro, in dipendenza del rapporto di lavoro, salvo le voci espressamente escluse dallo stesso articolo 12”.

“Il “premio di fedelta’”, erogato dal datore di lavoro ai propri dipendenti dotati di elevata anzianita’ di servizio in azienda all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, non puo’ essere assimilato alla indennita’ di anzianita’ – esclusa dalla retribuzione imponibile ai fini previdenziali ai sensi della L. n. 153 del 1969, articolo 12, comma 2, – non costituendo una retribuzione differita e proporzionale da erogarsi in favore di tutti i lavoratori, ed essendo condizionato al concorso di altre circostanze, ovvero ad una anzianita’ minima maturata in azienda.”

La Corte d’appello di Milano ha, pertanto, colto bene l’analogia col caso sopra richiamato, in quanto e’ stato puntualmente accertato che anche nella fattispecie la finalita’ dell’erogazione in esame era quella di stimolare la permanenza dei lavoratori in azienda e, quindi, di “fidelizzarli”, non di favorirne l’esodo, con conseguente assoggettabilita’ a contribuzione dell’indennita’ in esame. Ne’ appaiono condivisibili le argomentazioni della ricorrente in ordine al fatto che l’indennita’ in questione veniva erogata al momento della cessazione del rapporto, poiche’ cio’ che rileva, ai fini dell’assoggettabilita’ di tale premio alla contribuzione, non e’ il momento della sua corresponsione, bensi’ la sua natura giuridica che e’ strettamente connessa alla sua finalita’, messa bene in rilievo dalla Corte di merito, e che consente di ritenere che il premio “tre mensilita’” non si sottrae alla regola generale della contribuzione di cio’ che viene erogato in costanza di rapporto di lavoro. Ne’ appare conferente il richiamo alla circolare dell’Inps, in quanto la stessa presuppone che si tratti di indennita’ analoga a quella di fine rapporto, situazione, questa, che nella fattispecie e’ stata esclusa.

12. Col suo primo motivo l’Inps deduce la nullita’ della sentenza per omessa pronunzia sulla parte del motivo di gravame avente ad oggetto la prescrizione del diritto dell’Inps ai contributi sul servizio di trasporto gratuito.

Il motivo e’ infondato per la semplice ragione che l’Inps non censura la specifica statuizione dell’impugnata sentenza della Corte d’appello di Milano con la quale si afferma espressamente che l’istituto di previdenza aveva fatto acquiescenza agli altri capi della sentenza di primo grado. Orbene, non vi e’ dubbio che in tali capi della sentenza di prime cure rientrasse la questione della prescrizione del diritto dell’Inps ai contributi sul servizio di trasporto gratuito, per cui la difesa dell’ente avrebbe dovuto contestare in maniera altrettanto specifica tale autonoma statuizione che racchiude in se’ una precisa “ratio decidendi” che, allo stato, non risulta essere stata investita nella presente sede di legittimita’.

13. Col secondo motivo l’Inps si duole della violazione e/o falsa applicazione de4ll’articolo 2697 c.c., L. n. 388 del 2000, articolo 116, comma 8, lettera a) e articolo 116, comma 8, lettera b) nonche’ del vizio di motivazione, contestando la decisione della Corte d’appello di ritenere applicabile nella fattispecie la sanzione meno grave collegata all’ipotesi dell’omissione contributiva, in luogo di quella piu’ grave dell’evasione contributiva ed assumendo che la controparte avrebbe dovuto farsi, invece, carico di dimostrare l’assenza di un suo intento fraudolento al fine di poter beneficiare del piu’ favorevole regime sanzionatorio.

Anche tale motivo e’ infondato, atteso che, con motivazione adeguata ed immune da rilievi di legittimita’, la Corte d’appello di Milano, nel ricondurre l’ipotesi in esame a quella punita in maniera meno grave, cioe’ al caso specifico dell’omissione contributiva, ha ben evidenziato che poteva condividersi l’assunto difensivo della societa’ circa un’effettiva e reale incertezza sulla sussistenza dell’obbligo contributivo di cui trattasi a seguito della comunicazione amministrativa poco chiara dell’ente impositore ed alla luce della circolare n. 451 del 3.3.1978 dell’Inps che escludeva dalla contribuzione le somme strettamente collegate con la cessazione del rapporto di lavoro, per cui era da escludere la sussistenza di un intento elusivo della societa’ atto a giustificare l’applicazione della piu’ grave sanzione connessa all’ipotesi dell’evasione contributiva.

14. In definitiva entrambi i ricorsi vanno rigettati.

La reciproca soccombenza delle parti induce questa Corte a ritenere interamente compensate tra le stesse le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e compensa le spese del presente giudizio.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *